Storia del Fantasy : la fine di un'era
nov 292018La Storia si affaccia : i Grandi Miti sono soverchiati
Gli articoli Fantasy non sono in ordine cronologico: non avrebbe senso. Tuttavia viene impietoso il momento in cui in Europa calano le tenebre delle guerre e dell’ignoranza, e molte epopee andranno perdute.
Siamo alla fine dunque? Mai e poi mai. Il Fantasy smarrito verrà prima o poi ritrovato, anche se questa Ode segna la fine di un’era, l'era delle Fate, degli Eroi, dei grandi Viaggi e dei sogni di Libertà.
Primo coro dell’Adelchi
Dagli atri muscosi, dai fori cadenti
Dai boschi, dall’arse fucine stridenti,
Dai solchi bagnati di servo sudor,
Un volgo disperso repente si desta;
Intende l’orecchio, solleva la testa
Percosso da novo crescente romor.
Dai guardi dubbiosi, dai pavidi volti,
Qual raggio di sole da nuvoli folti,
Traluce dai padri la fiera virtù;
Nei guardi, nei volti confuso ed incerto
Si mesce e discorda lo spregio sofferto
Col misero orgoglio d’un tempo che fu
S’aduna voglioso, si sperde tremante;
Per torti sentieri, con passo vagante,
Fra tema e desire, s’avanza e ristà;
E adocchia e rimira scorata e confusa
Dei crudi signori la turba diffusa,
Che fugge dai brandi, che sosta non ha.
Ansanti li vede, quai trepide fere,
Irsuti per tema le fulve criniere,
Le note latebre del covo cercar:
E quivi, deposta l’usata minaccia,
Le donne superbe, con pallida faccia,
I figli pensosi pensose guatar
E sopra i fuggenti, con avido brando,
Quai cani disciolti, correndo, frugando,
Da ritta da manca, guerrieri venir:
Li vede, e rapito d’ignoto contento,
Con l’agile speme precorre l’evento,
E sogna la fine del duro servir.
Udite! Quei forti che tengono il campo,
Che ai vostri tiranni precludon lo scampo,
Son giunti da lunge, per aspri sentier:
Sospeser le gioje dei prandj festosi,
Assursero in fretta dai blandi riposi,
Chiamati repente da squillo guerrier
Lasciâr nelle sale del tetto natío
Le donne accorate tornanti all’addio,
A preghi e consigli che il pianto troncò.
Han carca la fronte dei pesti cimieri,
Han poste le selle sui bruni corsieri,
Volaron sul ponte che cupo sonò.
A torme, di terra passarono in terra,
Cantando giulive canzoni di guerra,
Ma i dolci castelli pensando nel cor;
Per valli petrose, per balzi dirotti,
Vegliaron nell’arme le gelide notti,
Membrando i fidati colloquj d’amor.
Gli oscuri perigli di stanze incresciose,
Per greppi senz’orma le corsa affannose,
Il rigido impero, le fami durar;
Si vider le lance calate sui petti,
A canto agli scudi, rasente gli elmetti,
Udiron le frecce fischiando volar.
E il premio sperato, promesso a quei forti
Sarebbe o delusi, rivolger le sorti,
D’un volgo straniero por fine al dolor?
Tornate alle vostre superbe ruine,
All’opere imbelli dell’arse officine,
Ai solchi bagnati di servo sudor.
Il forte si mesce col vino nemico;
Col novo signore rimane l’antico;
L’un popolo e l’altro sul collo vi sta.
Dividono i servi, dividon gli armenti;
Si posano insieme sui campi cruenti
D’un volgo disperso che nome non ha.
Alessandro Manzoni.
Non temete gentili lettori:
La Soria Continua !!!!!
Gwendydd