Il blog di Rosella Rapa

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Rebecca di Rio Sole

giu 062024

Recensioni

Rebecca di Rio Sole

Un Libro Dimenticato: Rebecca di Rio Sole (Rebecca of Sunnybrook Farm)

Sono molto felice di poter parlare di questo libro, ritrovato nella mia biblioteca di ragazzina. Segnò per me un momento importante, per la mia formazione, i miei ricordi; credo che riuscì ad influenzare anche parte delle mie opinioni e della mia vita. Sono rimasta molto affezionata a questo testo: se mi leggerete fino alla fine vi rivelerò …

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La Trama

La storia ha un inizio un po’ triste, ma non lacrimoso. Si apre con una lieta descrizione della famiglia Randall nella loro fattoria, Rio Sole (Sunnybrook). I genitori sono poveri, e non molto esperti come contadini, ma vivono con grande amore insieme ai loro otto figli, in maggioranza femmine. Purtroppo, questo gruppo felice viene presto turbato dalla morte del padre, e Rebecca Rowena deve andare a vivere con le sorelle maggiori della madre, Miranda e Jane, a Riverboro, nella loro Casa Rossa. In realtà Miranda aveva espressamente richiesto la sorella maggiore, Anna, preparata e coscienziosa, una vera donnina di casa, per poterle aiutare. In cambio l’avrebbero allevata come una figlia, permettendole anche di studiare.

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Proprio perché Anna è un aiuto tanto prezioso, la mamma non può lasciarla andare: ha bisogno di lei, per non essere costretta a vendere la fattoria, e per poter allevare i figli, alcuni dei quali sono ancora piccini. Al posto di Anna deve partire Rebecca, la secondogenita. Una ragazzina svagata, distratta, con tanta buona volontà, così tanta che finisce spesso col mettersi nei guai.
Fin dall’inizio del suo viaggio si comprende che Rebecca è una ragazzina molto poco convenzionale: chiede al conducente della diligenza, uomo burbero e silenzioso, di poter sedere accanto a lui, ed inizia a raccontargli (ed a raccontarci), la storia della sua vita: di come i genitori siano stati persone molto istruite, di buona famiglia, ma non molto capaci con il denaro. I nomi dei figli sono tutti tratti da romanzi famosi: Rebecca Rowena viene ovviamente da Ivanhoe, libro che la ragazzina ha letto e riletto, e porta con sé, fin nella nuova casa. Alla fine del viaggio il conducente si toglie il cappello, e fa scendere “la signorina”. Rebecca non passerà inosservata nella quieta cittadina di Riverboro. undefined


Zia Jane è felicissima di avere in casa una ragazzina allegra e cordiale, ma zia Miranda si dimostra severissima, intransigente. Rebecca deve andare a scuola, ma non solo: deve imparare a cucire, ricamare, cucinare, fare i lavori di casa, frequentare la chiesa: ricevere cioè una educazione completa per diventare una brava moglie, e perfetta padrona di casa.

Rebecca, però, non è la tipica ragazza che aspira in cuor suo a vivere per un marito e per le faccende domestiche, anche se ama molto i bambini, che le ricordano i fratelli lontani. Al cucito preferisce gli studi, al ricamo la pittura, ai lavori domestici, i libri; ma il suo più grande desiderio è scrivere. Il suo perdersi nel mondo dei sogni, le sue stravaganze, la sua lentezza nell’imparare a cucire e cucinare sono sempre fonte di punizioni severe, impartite dalla terribile zia Miranda. Per fortuna, a consolarla c’è la sua grande amica Emma Jane, compagna di scuola. Emma è tutto il contrario di Rebecca: negli studi riesce mediocremente, ma è già pronta per essere una vera, brava, eccellente donna di casa.

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Terminate le scuole a Riverboro, Rebecca teme di perdere ciò che più ama: invece, la vicenda ha una svolta improvvisa. Miranda decide di far proseguire gli studi a Rebecca, in un costoso collegio, situato “in città”. Purtroppo, il denaro delle zie è stato male amministrato, eppure, per far studiare Rebecca, Miranda si assoggetta ad una vita durissima, fatta di rinunce che non osa imporre nemmeno alla sorella.
Solo in punto di morte rivelerà alla nipote tutto il suo affetto, lasciandole in eredità la Casa Rossa, dove la famiglia Randall potrà finalmente vivere unita. Senza Anna, che nel frattempo si è sposata, abbandonando la madre per riuscire ad avere un marito ricco.

 

Nella tristezza di quest’ultimo lutto, Rebecca dimostra di avere un carattere forte e determinato, capace di risollevare la situazione. La ragazzina svagata e sognatrice è cresciuta; le gioie, come le tristezze, hanno contribuito a fare di lei una vera giovane donna. Non di casa, però. Sullo sfondo s’intravede una storia d’amore, ma soprattutto, la realizzazione del suo sogno: sarà scrittrice.


I miei ricordi

Ho letto questo libro decine di volte, quando, ragazzina, avevo tempo a mia disposizione. L’ho rammentato a memoria: e sono passati molti anni da quei tempi non sempre così felici. Inutile dire che fin da subito io divenni Rebecca. Esattamente come lei, lo studio scorreva per me facile e veloce, ma non ho mai imparato a cucire né a ricamare. A quell’epoca, disegnavo e dipingevo. Tuttora non ricamo: dipingo su stoffa. Mi feci comprare Ivanhoe, in una versione per ragazzi, poi in testo integrale: e mi innamorai anche del personaggio di Rebecca nel romanzo di sir Walter Scott.

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Può sembrare strano, o anacronistico, ma negli anni ’60 le bambine portavano ancora gonnellini e calzettoni, e fu una dura lotta arrivare ad indossare i jeans e qualcosa che non fosse stato cucito dalla mia mamma. Il cammino di Rebecca era il mio stesso cammino, anche se io, allora, sognavo di diventare una grande matematica, non una scrittrice.
L’infanzia, e l’adolescenza, sono momenti difficili: leggere la storia di un’altra ragazzina, con un carattere molto simile al mio, che provava i miei stessi sentimenti, riguardo ad avvenimenti che gli adulti giudicavano senza capire, e con severità sproporzionata, mi aiutava a sopportare, a resistere. Ogni rilettura mi mostrava qualcosa di nuovo, perché anche io crescevo, come Rebecca. Le sue difficoltà al collegio, con compagne sempre eleganti, già donne, abituate a civettare con uomini giovani e meno giovani, erano le mie stesse difficoltà nell’ambiente del Liceo.

Scorrendolo ora, ho trovato nuove sfumature. Non è la solita triste storia della ragazzina orfana che fa piangere le bambine sensibili per le sue commoventi disgrazie. E’ al contrario, una storia al femminile, non ancora femminista, ma scritta in tempi in cui le donne lottavano per emanciparsi.
La condizione femminile ha conosciuto alti e bassi, nel corso della lunga storia Europea, ma anche nel vicinissimo XX secolo. La lotta per l’emancipazione , le pari opportunità, come si dice oggi, non è mai finita. Non illudiamoci. Ecco perché questo è un libro sempre attuale, un libro da ricordare.

La bellezza di questo testo non è certo tutta qui. Chiudo gli occhi, e rivedo davanti a me la fattoria dei Randall, sotto il sole, il divertente viaggio in calesse, la cittadina di Riverboro, con i suoi prati verdi e i boschi tutt’intorno, le lunghe passeggiate a piedi di Rebecca, dalla scuola alla Casa Rossa, il viso sempre un po’ triste di Emma Jane, il primo, buffo cappellino di Rebecca, con un ornamento che sembrava un porcospino appallottolato … le descrizioni sono bellissime, vive. Si sente l’amore per la natura, l’amore per la vita.

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Rebecca di Rio Sole è un libro pacato, che esprime grandi sentimenti e grandi vicende senza bisogno di eccessi lacrimosi o frasi artefatte. I personaggi sono completi, a tutto tondo, perfettamente definiti nell’aspetto e nella psicologia, senza bisogno di discorsi inutilmente prolissi, ma semplicemente attraverso le loro reazioni agli eventi, ed attraverso le parole degli altri membri della piccola comunità.


Il mio segreto

Dovevo rivelarvi un particolare importante, che rende questo libro, per me, specialissimo ed unico:
mia figlia si chiama … REBECCA, come la protagonista di questo bellissimo romanzo e come l’amica del grande Ivanhoe. Ed è molto orgogliosa di portare un nome tanto celebre.


Rosella 2008

Curiosità

Rebecca di Rio Sole fu scritto nel 1903 da un’autrice Americana, Kate Douglas Wiggin. Scrittrice ed insegnante, riuscì a fondare scuole per orfani e per ragazze.

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Il libro ormai è introvabile in Italiano, è una rarità possederlo. La popolarità del testo, testimoniata dalle innumerevoli ristampe. La versione inglese si trova tuttora (l’ultima è del 2008) ma in italiano nulla. Il libro è sparito da ogni catalogo. Un vero peccato: sono sicurissima che piacerebbe molto anche alle adolescenti di oggi.
Ai suoi tempi, fu un enorme successo: ne fu tratta una commedia, scritta dall’autrice stessa con l’aiuto di una esperta Charlotte Thompson. (ancora donne: il mondo stava davvero cambiando) Fu presentata a Broadway nel 1909, ed anch’essa fu un successo. Più tardi ne furono tratti ben tre film :

• Rebecca of Sunnybrook Farm (1917 con Mary Pickford)
• Rebecca of Sunnybrook Farm (1932)
• Rebecca of Sunnybrook Farm (1938 con Shirley Temple, un musical)

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Fast Fashion - La Moda Insanguinata

mag 302024

Costume e Società

FAST FASHION – LA MODA INSANGUINATA

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Nell’armadio di mia figlia ci sono due camicette cucite nella prima metà degli anni ‘80, una da mia mamma, una da me. Vanno bene per occasioni medio-eleganti, sembrano fatte ieri. Se invece cercate una camicetta in uno store odierno, vi durerà un mese, una settimana, forse per una volta sola. Non sto esagerando: siamo arrivati all’assurda e perversa situazione in cui i “Brand” producono appositamente abiti che durano pochissimo per costringere le persone a comprare sempre di più, ancora di più, usando tattiche di pubblicità sempre più aggressive mascherate da “offerte imperdibili”. E si compra, perché i dictat della moda ormai cambiano di stagione in stagione, o addirittura di mese in mese. I prodotti hanno prezzi accessibili, che ogni fascia di utente può permettersi. Ma tutto questa facilità nell’abbigliarsi ha retroscena che DEVONO essere fermati.

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Sappiamo da tempo che per garantire prezzi bassi i produttori hanno trasferito le industrie del tessile e della moda in paesi poveri dove il costo della manodopera è molto basso, anzi bassissimo. Troppo basso per sopravvivere. Guardate i numeri degli incidenti sul lavoro nella nostra fortunata Italia: credete che in paesi dove non c’è alcuna tutela, nessuna norma di sicurezza, orari di lavoro infiniti, poco sonno e poco cibo gli incidenti non capitino? Nessuno ne parla, i Paesi non lo dichiarano, ma basta riflettere un poco. E questa è solo la punta dell’Iceberg.

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Gli abiti smessi (perché ci sono) li ho sempre donati a enti di beneficenza, spesso con un fine preciso: per rifugiati, per senzatetto, per zone colpite da cataclismi naturali. Sapevo comunque che UNA PARTE di ciò che donavo prima o poi sarebbe stata gettata per usura totale; ebbene mi sono dovuta ricredere.
JUNK, una mini-serie di Sky, riportata su YouTube, ha rivelato una situazione agghiacciante. Dalla produzione del filo alla discarica dell’indumento tutto contribuisce a devastare, inquinare, uccidere. Lascio al fondo il link alla prima puntata, perché l’impatto visivo è molto più efficace delle sole parole.

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La serie parte dalla fase meno drammatica: la discarica mondiale degli abiti in Cile, dove l’abbigliamento dismesso arriva da altri stati per essere sepolto sotto uno strato di sabbia nel deserto. Ci sono capi e oggetti che non si decomporranno MAI. La serie continua parlando di smaltimento, confezione, produzione. Anche il riciclo, la riconversione dei tessuti e delle fibre non è esente da gravi fenomeni di inquinamento, perché le fasi di sbiancamento e tintura richiedono grandi quantità di acqua, che viene riempita di ammoniaca e di altri agenti chimici, per poi essere ributtata nei fiumi. Si prende pulita a monte e si scarica inquinatissima a valle, mentre chi lavora in queste attività non solo la beve e la usa per lavarsi, ma viene anche esposto ai vapori degli elementi chimici utilizzati nel procedimento. Poi ci sono le fibre che crediamo naturali, e quindi meno impattanti: ma il cotone indiano è stato modificato geneticamente, e cresce solo con sementi speciali e massiccio utilizzo di pesticidi. I contadini vengono rovinati a tal punto che alcuni, avendo perso tutto, si suicidano. La viscosa, che origina dalla cellulosa di alcuni alberi, porta all’abbattimento di intere foreste, ed alla conseguente morte del loro microclima, con tutti gli animali che le abitano.

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Non posso raccontarvi l’intero documentario. Alla fine di tutti gli episodi io mi sono immaginata una fila di persone morte dietro ogni indumento prodotto, ad oggi, per essere usato una volta sola. Imprimetevi nella mente questa immagine, e ricordatela ogni volta che decidete di acquistare qualcosa.

Perché fermare questa carneficina dipende da noi.

 

JUNK, primo episodio: https://www.youtube.com/watch?v=fOpqsvYOx54&t=6s

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Bandiera Bianca

mar 272024

Bandiera Bianca

 

 undefinedNon dovrei. Non sono più giovane, ma neppure troppo anziana per chiudere la porta al mondo; dovrei dare l’esempio ai più giovani, ma come sempre non vogliono ascoltare, e credono che per ridurre le ingiustizie basti affollarsi nelle manifestazioni e gridare il loro disappunto. Serve anche quello, c’è stato anche al mio tempo, poi è mancato qualcosa: l’impegno costante giorno dopo giorno. “La mia generazione ha perso”, cantava Giorgio Gaber, e la mia, venuta poco dopo, sembra non avere mai vinto.

Il Papa ha detto che non è una vergogna alzare Bandiera Bianca, ed è stato subissato dalle critiche, tanto che ha dovuto spiegarsi. Bandiera Bianca non vuol dire resa incondizionata: vuol dire tregua, dare spazio alle parole anziché alle armi, cedere su qualcosa per ottenerne altre, e, finalmente fare in modo di marciare verso la Pace. Marcia durissima, perché tutto ciò che è stato distrutto andrà ricostruito.

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Fin dal suo inizio, ho sentito la guerra in Ucraina come se fosse mia. Sono cresciuta nei tempi della Guerra Fredda, che tanto fredda non era, perché l’Unione Sovietica aveva invaso metà dell’Europa, e Berlino era divisa da un muro. Una città tagliata in due da armi, mattoni e filo spinato. Penso alla mia città in quelle condizioni e rabbrividisco. Quando la Russia ha invaso l’Ucraina mi sono sentita male: un balzo all’indietro nella storia di 60 o 70 anni, che non poteva essere tollerato. Giusto imbracciare le armi per difendersi dall’invasore, ma ora è troppo. Chiediamo uno spiraglio per poter trattare, o non resterà niente da difendere.

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Israele sta perpetrando un genocidio? Io penso di sì, e non mi vergogno a dirlo. Ero alle elementari e già studiavo che i confini dello stato di Israele, buono e giusto, non erano tracciabili, perché aveva invaso il Sinai, parte della Giordania e non so che altro ancora. Ricordo come fosse ieri che il re di Giordania alzò Bandiera Bianca, ritirandosi dai “Territori Occupati”. Molti pensano che i bambini non capiscano, non ricordino. Vi assicuro che non è così. Per questo bisogna sempre fare attenzione a ciò che si dice davanti a loro. Cosa penseranno un giorno non lontano i bambini palestinesi che vedono intorno a loro fame, freddo, sporcizia, morte e distruzione? Ammesso che sopravvivano, cresceranno con la convinzione che uno solo è il loro nemico, covando un desiderio di vendetta che trasmetteranno ai loro figli, e ai figli dei loro figli, in una spirale di odio senza fine. Sappiamo chi deve alzare bandiera bianca, lo sta dicendo tutto il mondo ormai, ed è quasi incredibile. undefined      undefined

Non è che i Paesi Occidentali si comportino meglio. Sono migliaia i profughi che scappano da paesi dominati da guerra ed oppressione e che vengono lasciati in veri e propri campi di concentramento, senza un tetto, senza acqua e spesso in mezzo alla neve. Qualcuno vorrebbe lasciarli in mezzo al mare, con la segreta speranza che affoghino. Molti muoiono in mezzo al deserto che c’è prima, senza nemmeno venire seppelliti. Se fra qualche migliaio di anni esisteranno ancora esseri umani che cercano dignità nel proprio passato, qualcuno troverà resti di persone lungo una sorta di di percorso non tracciato, e si chiederà se esistesse una “civiltà” che aveva costruito una strada attraverso una landa desolata per mettere in comunicazione quelli che un tempo erano due continenti separati da un mare che non esisterà più, o avrà fagocitato tutte sponde sabbiose collegandosi ad unico, grande Oceano di acqua calda.

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Le stupidaggini dette dai Politici che “governano” (è un eufemismo) un Pianeta che la Specie Superiore sta distruggendo pezzo dopo pezzo non si contano più. Cito solo la migliore “Ci stiamo estinguendo! Fate più figli!” Per lasciarli dove? Davvero, ditemi DOVE. Sul cemento? Nel deserto? A mangiare carne clonata in laboratorio? A morire senza alcuna assistenza, perché costa troppo ed è improduttiva? A spararsi tra di loro per alimentare il mercato delle armi da fuoco? A cercare tra i rifiuti delle generazioni passate qualcosa da mettersi addosso?

 

Sono stanca. Alzo Bandiera Bianca. Spero che quando questa follia iniziata con la Guerra di Troia avrà fine, in qualche angolo sperduto del Pianeta rimangano degli esseri umani che possano ricominciare una Nuova Storia, con l’augurio che possa evolvere meglio di quelle passate.

Buona Pasqua, anzi Buona Resurrezione.

 

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Il Villaggio Leumann

feb 142024

Nei dintorni di Torino

Villaggio Leumann

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Il Villaggio fu edificato tra la fine dell ‘800 ed i primi del ‘900 ai lati dell’omonimo cotonificio su progetto dell’ing. Pietro Fenoglio, ideatore delle più significative opere in stile liberty a Torino.


Si tratta di un “progetto pilota” e della prima esperienza di questo genere in un villaggio operaio. Fu concepito per essere del tutto autonomo: infatti oltre alle abitazioni per gli operai e gli impiegati, per lo più villette ad un piano con relativo giardino e orto, comprendeva un Convitto per le Operaie gestito da suore, l’edificio dei Bagni, il Teatro, l’Ambulatorio, l’Ufficio Postale, la Stazione del treno, l’Albergo, il Nido, la Scuola Materna ed Elementare, la Chiesa, il Circolo per gli Impiegati ed uno Spaccio Alimentare.

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Sorse in un’area quasi disabitata, oltre la periferia di Torino, nel Comune di Collegno che offriva condizioni ottime per l’impianto di un opificio: il costo relativamente basso del terreno, la presenza di corsi d’acqua e della ferrovia.
Fu voluto da un imprenditore di origine Elvetica Napoleone Leumann, figlio di Isaac Leumann, che da semplice tessitore si ingrandì fino ad avere una azienda completa.


Napoleone non creò soltanto un'industria con un annesso nucleo residenziale, bensì un'area ben definita in cui lavoro, famiglia, tempo libero, istituzioni sociali e previdenziali erano strettamente connessi fra loro, formando un contesto socialmente evoluto ed efficiente. L'organizzazione urbanistica, l'architettura degli edifici, le istituzioni sociali e i servizi assistenziali in esso creati fanno del villaggio un organismo che pone al centro dei suoi obiettivi una maggiore qualità di vita delle maestranze, sia sul lavoro che nella vita privata, con concreti vantaggi riscontrabili anche nell'ottima qualità che caratterizzò i prodotti del Cotonificio Leumann. ( https://it.wikipedia.org/wiki/Villaggio_Leumann )

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“Fu si può dire precursore e realizzatore di una politica sociale modernissima, quando il collaborazionismo delle classi era un mito. Ebbe nella sua vita un solo culto: quello del lavoro associato alla beneficenza. E del saggio proposito di migliorare il tenore di vita dei suoi dipendenti fece lo scopo essenziale della sua laboriosa esistenza. Due erano gli ideali a cui indirizzò in particolar modo la sua opera: il benessere fisico e morale dei suoi dipendenti e l’educazione e l’istruzione dei loro figli. Per ottenere il primo era necessario pensare a migliorare le condizioni igieniche.”
(dal necrologio per la morte di Napoleone Leumann.)

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Il cotonificio ha continuato la propria attività produttiva dal 1875 fino al 1972 quando chiuse in seguito ad una grave crisi del settore tessile. Fortunatamente il comune riuscì ad acquistare il complesso del Villaggio per mantenerlo intatto.
Le abitazioni sono ancora utilizzate come tali e gli edifici che ospitavano servizi hanno ancora una funzione pubblica: infatti, Il Convitto delle Operaie ospita la Biblioteca Civica, l’Albergo è sede di associazioni, la Stazione è utilizzata per iniziative rivolte ai giovani, il locale dei Bagni ospita il Centro Anziani, il teatro è stato trasformato in unità abitative.
L’Ufficio Postale, la Scuola e la Chiesa mantengono invece la funzione originaria.

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Attualmente il Villaggio Leumann è visitabile con una guida che racconta la storia della famiglia e spiega la funzione di ogni edificio.
https://villaggioleumann.it/

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Napoleone Neumann

Purtroppo l'esempio di Napoleone Leumann rimase un caso pressocchè isolato. Si ebbero altri esempi di proprietari d'azienda che si occuparono anche del benessere dei loro dipendenti, costruendo villaggi accanto alle fabbriche e dotandoli di servizi comuni come asili nido, scuole per i bambini, chiesa, cinema e quant'altro. Un caso importante fu quello di Camillo e Adriano  Olivetti, in provincia di Ivrea. Adriano era convinto che si potesse creare un equilibrio tra solidarietà sociale e profitto, tanto che l'organizzazione del lavoro comprendeva un'idea di felicità collettiva che generava efficienza.

(https://it.wikipedia.org/wiki/Adriano_Olivetti)

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In poco tempo tutte queste opere e la ideologia che le guidava caddero nell'oblio. Le fabbriche furono smantellate, le abitazioni abbandonate, gli operai buttati sulla strada. Avanzava il capitalismo sfrenato, senza regole, senza dignità. Senza rispetto per gli esseri umani e per l'Abiente.

 

 

 

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