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 La Signora Dalloway, Virginia Woolf
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Tiziano
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Italy
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Posted - 05/02/2012 :  16:54:59  Show Profile
Azzardo una interpretazione.
Perdonate la lezioncina: in questo romanzo il narratore è esterno ed onnisciente, mentre la focalizzazione è interna, variabile (perché si alternano i punti di vista di diversi personaggi) e multipla; insomma è di una estrema complicazione, un vortice narrativo talvolta centrifugo (perché si allontana dal personaggio centrale, Clarissa) talaltra centripeto (perché i punti di vista convergono su di lei). Eppure sono convinto che al di là di questa moderna complicazione ci sia un genotesto antico. Allora ho avuto un’illuminazione (o un’allucinazione), probabilmente conseguente a quei miei riferimenti alla Sibilla e a Dioniso e al pensiero che tutto si svolge nel centro di Londra. Accidenti, mi son detto, ma qui ci sono le unità di tempo (una giornata), di luogo e d’azione: sotto il romanzo ci sta la tragedia. Hanno la stessa struttura: c’è il prologo, che introduce la protagonista in medias res, nonché Peter; quindi il parados, che introduce il coro (i molti personaggi che pensano a Clarissa, il primo corista è Scrope Purvis (che la descrive come donna-uccello: “sembrava una gazza verde-azzurra”); poi i vari episodi, con tanto di stasimi, e infine l’esodo, con Peter che contempla Clarissa, dopo che il coro è uscito (gli invitati alla festa).
Se il livello immanente del testo è la tragedia allora diventa esplicita la sua dimensione mistica, nascosta dietro la giornata mondana d’una signora dell’alta società. Ecco dunque che la conclusione acquista un senso nuovo:

Che cos’è questo terrore? Che cos’è quest’estasi? Pensò tra di sé. Che cos’è che mi riempie di una tale straordinaria emozione?
E’ Clarissa, disse.
Perché, eccola, era lì

Terrore ed estasi sono parole pesanti, che vanno ben oltre i sentimenti mondani. E’ comparsa la dea.
Mi rimane da valutare il ruolo di Septimus.


Tiziano
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ombra
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296 Posts

Posted - 06/02/2012 :  09:09:14  Show Profile  Visit ombra's Homepage
Mrs Dallawoy, come da voi giustamente asserito, è uno dei romanzi che testimonia come tra Ottocento e Novecento il romanzo naturalista decade. Da questo sistema nasce un nuovo romanzo nel quale non esiste una realtà oggettiva e tutto si spinge verso il soggettivismo. Tale spinta ci porta dunque verso l’interiorità dei personaggi e rende chiara tra la “rottura” dell’orologio del romanzo . In Mrs Dalloway, gli onnipresenti rintocchi del Big Ben si pongono a dimostrazione di come il tempo oggettivo non combaci con la durata interiore, quest’ultima tutta giocata su contrazioni, dilatazioni, rievocazioni passate. In questo quadro, non è difficile comprendere come il romanzo di Virginia Woolf si sviluppi in un unico giorno, una normalissima giornata di giugno dal mattino alla sera.
Questo romanzo dice molto nella profondità e ricchezza di pensiero dei suoi personaggi, in cui la scrittrice “affonda la penna” e lo sguardo. Lo stile modernissimo si costruisce, come accade con molti romanzi del Novecento, seguendo quell’arte di montaggio che nella Woolf si serve del paesaggio metropolitano che diviene catalizzatore della svolta narrativa ed eco del vario sentire dei personaggi; ed anche si realizza nella grandiosa abilità nel passare da un personaggio all’altro fino ad arrivare, dopo averci fatto addentrare nella più profonda e recondita interiorità di tutti i caratteri (da Clarissa a Septimus da questo a Peter Walsh), al finale, alla festa di Clarissa, dove non qualcosa si capisce, ma tanto, tanto si capisce; della vita, della morte, della saggezza, della follia, dell’uomo.
Mrs Dalloway è un romanzo strutturalmente complesso ma abilmente orchestrato, la stessa Woolf lo definì il suo romanzo più completo, e la cui genesi e volontà ci è data proprio dalla stessa Virginia Woolf dove, in poche righe nel Diario di una scrittrice (1953) che cito fedelmente, riassume gli intenti che si prefisse:
“Voglio dare la vita e la morte, la saggezza e la follia; criticare il sistema sociale e mostrarlo nell’opera, nel momento di massima intensità.”

Un saluto
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ombra
Senior Member

296 Posts

Posted - 06/02/2012 :  16:16:58  Show Profile  Visit ombra's Homepage
Ho una riflessione da sottoporvi che mi è venuta in mente proprio oggi. Ma noi oggi non siamo in fin dei conti delle signore Dalloway? Viviamo i suoi sogni,le sue sconfitte,le sue rinunce,i suoi amori.Incontriamo amici e familiari e sfioriamo il destino di persone che senza conoscerle ci passano accanto. Siamo tutti signore Dalloway? A mio avviso un poco si.Ognuno di noi ha rinunciato a qualcosa, ha zittito il proprio io, per il marito, per la famiglia,per i figli.E' sbagliato?E' un compromesso al quale non si deve acconsentire? Non lo so, non sono siucura. Uun tempo credevo che l'affermare se stessi dovesse essere sopra ogni cosa.Ora sono in dubbio e mi chiedo: "forse la rinuncia della nostra soddisfazione a favore di colore che amiamo può essereun'affermazione di se stessi?"

A presto
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eloise
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603 Posts

Posted - 06/02/2012 :  16:18:44  Show Profile  Visit eloise's Homepage
Ottimi questi post! mi compiaccio! :)

La prospettiva "mitica" aperta da Tiziano mi incuriosisce molto, non l'avevo mai associata alla Woolf, come nemmeno avevo mai considerato l'unità di tempo/spazio/azione nella prospettiva teatrale in questo romanzo. D'altronde, come dice giustamente Ombra, il tempo è proprio un elemento soggettivo che si dispiega in tutta la narrazione di Mrs Dalloway, ciò è reso mirabilmente esplicito dai rintocchi dell'orologio. La dimensione soggettiva appare sotto tutti i punti di vista, e non è un caso se Rosella troverebbe da analizzare questo romanzo nella sua prospettiva psicologica: la presenza di Septimus stesso ci autorizza a considerarla una chiave interpretativa importante. Certo, come dice Rosella, qui "ci sarebbero pillole per tutti", ma è forse questa la prima conseguenza del calarsi veramente dentro nell'interiorità di ogni personaggio. Septimus permette di farlo anche in una versione "staccata" dalle basi consolidate della società, e apre in questo senso, da parte della Woolf, un approfondimento sui rapporti tra la società e l'interiorità, con un'aspra critica sulla prima.
I riferimenti ai primi anni del Novecento sono numerosi: il tempo soggettivo di Bergson, la sfacettatura dell'io e l'importanza della memoria di Proust, i nuovi parametri di valutazione del soggetto dopo Freud. Tutto ciò è ampiamente presente nel romanzo. Wow.

Eloise
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ombra
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296 Posts

Posted - 06/02/2012 :  16:18:48  Show Profile  Visit ombra's Homepage
Scusate sono un po' di fretta e ho fatto un po' di disastro nello scrivere.
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eloise
Senior Member

603 Posts

Posted - 06/02/2012 :  16:19:23  Show Profile  Visit eloise's Homepage
Ops... Ombra sul tuo secondo post mi riservo di riflettere un attimo e rispondere più in là, se mi riesce ;)

Eloise
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ombra
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296 Posts

Posted - 06/02/2012 :  16:44:07  Show Profile  Visit ombra's Homepage
Eloise, la mia è una riflessione personale che come dicevo ho meditato oggi ma il dubbio finale mi è sorto da un pochino di tempo... se qualcuno di voi ha una risposta mi aiuterà a pensare e capire, e sarà di sicuro aiuto
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Tiziano
Average Member

Italy
166 Posts

Posted - 06/02/2012 :  17:45:35  Show Profile
andiamo per ordine.
Prima voglio aiutare Ombra a riflettere. Quando ho scritto che mi sento come Peter che contempla la sua esperienza intendevo proprio questo: ormai credo di aver fatto le cose più importanti nella vita, mi volto indietro e le valuto; certamente ho fatto rinunce, anche pesanti, ho fatto scelte, talvolta meditate talaltra immediate, giuste e sbagliate; ho amato, e ovviamente l'amore si è poi trasformata in quotidiana abitudine condita anche di qualche risentimento; ho regalato a me e al mondo due figli; ecc. E ora penso: bene, ho vissuto, ne valeva la pena (nel senso letterale del termine) e sento in me un sentimento di pienezza che mi fa dire: sono proprio un piccolo grande uomo, come tutti. Perché la vita ci chiede di impegnarci a vivere; se ci impegnamo (e a meno che non ci capitino catastrofi esistenziali) comunque vada sarà un successo.

E ora veniamo al romanzo.
la mia concezione della letteratura rimanda ad una prospettiva antropologica e strutturalista, per cui ritengo che sotto[/i e ][i]dentro ogni testo ci sia il mito e che ogni testo sia l'eco di una narrazione primordiale. Ma in questo romanzo più che in altri, anche perché deriva dal risveglio romantico della mitopoiesi, conseguente al rifiuto del classicismo.
Penso che l'indizio di Clarissa come donna-uccello sia essenziale, perché rimanda alla Sirena (nel mito originario le sirene erano metà donne e metà uccello, come le Arpie) e da questo punto iniziale potrebbero derivarsi una serie di rifermenti interessantissimi; ad esempio Clarissa cuce quando incontra Peter, così come le Moire tessono il destino; le sirene sono collegate da Euripide a Persefone, divinità infera; ecc.
E' una chiave di lettura. Voi potreste obiettarmi che son tutte estrapolazioni ingiusticate dal testo, ma io vi risponderei con le parole di Blanchot: l'autore scrive l'opera e ne è congedato. E' il lettore che la chiama a parlare: lazarus, veni foras.
E' comunque evidente che questo romanzo m'ha accalappiato.


p.s. a proposito di Ulysses: vorrei ricordare che noi abbiamo un Joyce italiano, Gadda, che ha scritto un romanzo per me straordinario: "Quer pasticciaccio brutto de' via Merulana"

Tiziano
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Rosella
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Italy
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Posted - 07/02/2012 :  02:14:16  Show Profile
Ciao a tutti. Sono in ritardo rispetto agli ultimi post perchè non ho potuto avere internet: prometto di recuperare quanto prima.

Intanto ringrazio Tiziano per la perfetta "lezione": avevo scritto subito che questo libro ha bisogno di essere
studiato, a fondo, con attenta analisi di tutti i particolari, e anche della scrittura.
Il Flipper mi ha curiosamente fatta rimbalzare su Londra, perchè è nelle strade di Londra che si attua il passaggio
della pallina. Io la conosco abbastanza bene, e ci sono tornata proprio quest'estate: mi sono trovata a pensare che
Londra sia uno scenario dato per scontato; insomma chiunque legga il libro deve saper passeggiare per Londra, caput mundi. O forse è l'opposto: poco importa dove si svolge l'azione, perchè in fondo non ha bisogno di uno sfondo particolare, deve essere un quadro universale. Ma, allora, perchè trovo quest'ambiente così tremendamente Inglese?

Ho trovato il film con Vanessa Redgrave.
Certo, portare sullo schermo un libro così profondamente intimista è impresa ardua, ma non impossibile. Ho ammirato gli splendidi costumi, e qualche attore fin troppo attraente, che non trasferisce sul volto la tragedia che lo strazia internamente.
Nel film si perde tutta la lirica e tutto il pensiero profondo, i caratteri sono appena accennati, e ovviamente si da spazio preminente alla storia. Non è comunque da buttar via: è una interpretazione, dalla quale si può dissentire o meno, ma è un lavoro onesto. Ciò che lo riscatta sono le riflessioni finali di Clarissa, Sally e Peter. Mi sarà piaciuto perchè mi trova d'accordo: Clarissa sceglie la via più facile, organizza feste perchè non sa fare altro, e la morte di uno sconosciuto non può intaccare quel mondo di manichini di cera: the show must go on.

Perdonatemi, ma ricchi e potenti, ministri e ladies non fanno per me. Pregerisco le suffragette, le sartine, e le istitutrici.

Rosella - Gwendydd
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Rosella
Senior Member

Italy
316 Posts

Posted - 07/02/2012 :  02:27:56  Show Profile
"Voglio dare la vita e la morte, la saggezza e la follia; criticare il sistema sociale e mostrarlo nell’opera, nel momento di massima intensità."

Ora ho letto tutto.
Bravissima Ombra, hai trovato la frase che mi concilia con tutta la storia: Virgina ha descritto un mondo che non sopportava, proprio come non lo sopporto io! WOW, grazie 1.000! Anche 10.000!

E poi c'è la domanda: siamo tutti Mrs. Dalloway? Io direi che siamo tutti, oltre a Clarissa, Peter, Sally, Septimus, Lucrezia, e via dicendo. Ognuno di noi ha dovuto certamente rinunciare a qualcosa, sogni ed aspettative, per reinventarsi in un altro modo, con rinunce e soddisfazioni. Volevo diventare una scienziata, sono diventata una mamma, fierissima della propria figlia e dei suoi successi. Ma non amo la vita. Non credo affatto che sia un dono e che si debba vivere fino in fondo. Fatte le debite proporzioni e trasposizioni, io sono Septimus.

Ciao a tutti e complimenti!! Una discussione appassionante.

Rosella - Gwendydd
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ombra
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296 Posts

Posted - 07/02/2012 :  08:47:28  Show Profile  Visit ombra's Homepage
Grazie a tutti per le riflessioni sulla mia domanda. Sarà che sono in un momento della vita in cui ho iniziato veramente a crescere (sono andata a convivere da 7 mesi con il mio ragazzo) e ora iniziano le rinunce e il venirsi incontro vero. Per questo mi è sorto il dubbio. Io a differenza tua Rossella credo che la vita sia un dono anche se c'è sofferenza e dolore. E' un dono sempre e comunque.

Scusate se questo post non c'entra molto con la nostra discussione ma volevo solo ringraziarvi.

Ancora grazie e a presto
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eloise
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603 Posts

Posted - 07/02/2012 :  11:18:29  Show Profile  Visit eloise's Homepage
E' fantastico parlare della Dalloway insieme a voi come stiamo facendo, si aprono un sacco di interpretazioni e apprezzo molto anche le chiavi di lettura che ci rimandano alle nostre vite personali. Ma non è un caso. Al di là di tutto, credo sempre più profondamente che Clarissa sia nata col destino di rappresentare davvero la vita: le nostre sono tutte domande che lei stessa solleva.
Per quanto mi riguarda, mi colloco forse un po' nel mezzo a tutti, non comincio ora a costruire qualcosa e nemmeno però posso già guardarmi dietro per vedere qualcosa di stabile, mi sto buttando a capofitto in questa vita sulla quale ci si interroga e questi ultimi anni li vivo più come un'onda che mi travolge che come qualcosa che riesco a guardare con distacco e serenità, sto buttando un sacco di cose sul piatto (figli: già 3 ma piccoli, una quarta in arrivo tra poche settimane - e c'è un sacco di gente che mi crede pazza per questo, e comunque è vero che bisogna essere - come dire - molto "sportivi" per farlo; lavoro sempre con l'interrogativo sul futuro; una casa "definitiva" che stiamo rincorrendo da molto tempo...) per cui non posso permettermi di credere che la vita non vada vissuta fino in fondo, sarebbe un controsenso per i miei stessi bimbi e per tutto ciò che faccio dalla mattina alla sera, è per questo che invidio in fondo sia Clarissa che Tiziano per la loro visione "prismatica" della vita, io per adesso non vedo che luci di cui non colgo un significato compiuto... se non quello di una - ammetto ingiustificata - fiducia nella stessa vita. E in quest'ottica sentir dire da Tiziano "comunque vada è un successo"... non potete immaginare quanto bene faccia!!!

Siamo tutte Clarissa? Credo di sì, la vita in fondo è davvero fatta di rinunce, di sogni che si devono accantonare, ma non è detto in senso negativo, quanto piuttosto costruttivo secondo me. Non si può certo dire che Clarissa sia una donna infelice, anzi io vedo Mrs Dalloway come un inno alla vita, nonostante tutto, l'ho detto più volte e mi rimane fortissima questa impressione. Il romanzo è tutto un'onda che volteggia su un ritmo costante: quel "fear no more" che si sente in ultima battuta in realtà pervade tutto, dall'inizio alla fine: fear no more perché c'è Richard, fear no more perché hai una casa e sei una padrona di casa affermata, fear no more, Clarissa, perché stasera darai una festa che ti farà sentire ancora una volta una presenza concreta nel mondo, dinanzi agli altri, e non solo un'ombra, un'essenza fuggevole che sfiora soltanto le altre esistenze e si rifugia dentro sé (come Septimus). C'è terrore e ansia dietro tutto questo, un po' quello che sente Peter quando avverte la presenza di Clarissa alle sue spalle, e forse è proprio per questo che i due non si sono sposati, anzi non sono mai stati "sposabili": sarebbero stati due esseri insieme a provare terrore e ansia di fronte alla vita, mentre Richard ha dato a Clarissa una stabilità mentale. Anzi da questa riflessione credo che i due potrebbero essere visti lo stesso personaggio: Peter è la Clarissa che non ha mai trovato un perno solido sul quale appoggiarsi. Peter in fondo non ha mai rinunciato a Clarissa ed è vissuto con questa irrequietezza nel cuore; Clarissa ha rinunciato a Peter ed è questo che le ha dato la possibilità di appoggiarsi a Richard e ciò che lui rappresenta per lei. Scusate la banalizzazione che faccio dicendo così, ma è giusto per esprimere una sensazione che mi lascia il romanzo, un altro spunto di riflessione.

In quanto alla donna-mito, grazie Tiziano per quella lettura della donna che cuce quando ritrova Peter, è un punto che ha da subito catalizzato la mia attenzione, questa immagine di lei che cuce quando rivede lui non mi lasciava la mente, e forse tu sei riuscito ad aprirmi una chiave interpretativa.

Al prossimo post per altre riflessioni, non le ho ancora esaurite!

Eloise
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ombra
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296 Posts

Posted - 07/02/2012 :  11:24:01  Show Profile  Visit ombra's Homepage
Ho riflettuto su quello che potrebbe essere il sottotitolo a quest’opera e a mio avviso sarebbe:
“come narrare una vita raccontando una giornata”
La filosofia di Mrs Dalloway, infattio, è riconducibile all’idea di cogliere il personaggio in una giornata come tante della sua vita, una giornata ordinaria. Questo giorno diventa così il metro delle giornate precedenti. Nel mattino che scorre c’è il ricordo di tutte le mattine che si sono succedute, e pure il Big Ben sembra sottolineare che il tempo scorre inesorabile. Da qui La Woolf parte nello scavare in Clarissa e nel mostrarci la consapevolezza della protagonista sul fatto che si ‘dipende in larga parte da ciò che si è stati’. I pensieri di Clarissa la inducono a domandarsi se la sua vita avrebbe potuto essere diversa se solo trent’anni prima avesse detto sì a Peter Walsh. La morte ricorre spesso nelle sue riflessioni, ma le appare consolatoria, non le causa timori e angosce: si sopravvive nelle persone conosciute, nelle cose che ci sono appartenute, nei luoghi in cui siamo passati o nelle case in cui siamo vissuti.
Parlando di visione della vita e della morte, vorrei soffermarmi sulla contrapposizione tra Septimus e Clarissa. L’infelice Septimus è il doppio di Clarissa; se Clarissa è luce e apertura, Septimus è la sua zona d’ombra, imprigionato com’è nelle sue visioni d’orrore. I due non si incontrano mai nel romanzo, ma Septimus è una sorta di protagonista complementare che permette a Virginia Woolf di dare profondità ai suoi personaggi. Clarissa appare, in apertura, come una signora mondana e di primo acchito anche frivola. In un secondo momento si scopre la sua teoria della vita, il suo pensare alla morte costantemente e il suo equilibrio emotivo. Clarissa è nostalgia; si ritira nella sua memoria, intenta a celebrare il passato. Clarissa loda il presente come un ponte verso il futuro, in quanto il passato è per lei il presente, anticipatore di possibilità future. Septimus è invece rifiuto, detesta il presente e avverte l’incapacità di proiettarsi in un futuro ancora a venire, perché odia il passato, quello della guerra, fonte per lui di sofferenza. La Woolf, inoltre, attua una strategia di progressivo sgretolamento della facciata dei due personaggi. Scavando, così, dentro Clarissa, ci mostra piano piano stati di semioscurità anche se le presenze che vede sono benefiche e confortanti. Septimus, al contrario, guardando oltre la superficie, oltre a quello che è visibile a tutti, vede solo i suoi demoni personali. A mio avviso è questa la grande differenza dei due: la positività sempre e comunque da una parte e la negatività e la distruzione dall’altra.

Ritornando al tema di Londra accennato da Rossella, c’è da notare come la città sia restituita al lettore sotto un doppio aspetto: da una parte è riconoscibile nelle sue forme peculiari, descritte con straordinario naturalismo; dall’altra è filtrata attraverso le percezioni soggettive dei personaggi assumendo caratteristiche irreali, fantastiche. L’immagine di Londra ricolma di vita, si può cogliere solo per frammenti nei flussi di coscienza dei personaggi. La città, quindi, sembra fare da eco alla disposizione interiore della protagonista: è straripante di gente, di suoni, di colori.

Altro aspetto da approfondire è il sistema dei tempi. Ho notato, infatti, che nel testo è piuttosto confuso: il presente dei personaggi è dato al passato e il loro passato, che dovrebbe per logica prevedere il trapassato, non è sotto questa forma. Il tempo rimane lo stesso. Si configura una sorta di dimensione dove domina l’imperfetto, che rivela un non concludersi dell’azione come se la Woolf volesse mantenere una tensione duratura nel tempo.

A presto
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eloise
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603 Posts

Posted - 07/02/2012 :  11:34:28  Show Profile  Visit eloise's Homepage
Dimenticavo: Tiziano, l'accenno a Gadda è un modo per suggerire un'altra lettura? Non conosco quel romanzo, e quello che ne dici per è bastato a incuriosirmi. Magari dopo Ungaretti, come s'era detto... Fate voi.

Eloise
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ombra
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296 Posts

Posted - 07/02/2012 :  11:55:04  Show Profile  Visit ombra's Homepage
Eloise, ho visto ora le tue riflessioni alla mia domanda. Grazie anche a te. Mi piace molto approfondire questo libro con voi e mi piace che comporti anche riflessioni di carattere personale.
Questa discussione è molto stimolante.
Grazie a tutti anche per questo.
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