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 Daniele Del Giudice, Nel museo di Reims
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eloise
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603 Posts

Posted - 31/08/2020 :  14:44:16  Show Profile  Visit eloise's Homepage


Buongiorno a tutti!
Con grande piacere apro questo post dedicato a Daniele Del Giudice, Nel museo di Reims, nuovo argomento di lettura e discussione dopo anni di inattività su questo forum.
Il libro è stato editato da Einaudi nel 1988 e attualmente non si trova in commercio in edizione cartacea, ma solo in digitale o negli archivi delle biblioteche. Peccato, personalmente mi è piaciuto molto leggerlo ed è per me un motivo in più per essere grata a Tiziano di averlo suggerito.

Apro dunque ufficialmente la discussione! Attendo le vostre prime impressioni sul testo. Se avete problemi ad accedere o ad usare il forum non esitate a scrivermi a eloise@letteratour.it

Eloise
www.letteratour.it

Rosario
Senior Member

Italy
418 Posts

Posted - 31/08/2020 :  15:40:36  Show Profile
Buon pomeriggio a tutti. Ho iniziato la lettura in digitale da qualche giorno; intanto cercherò il cartaceo nelle biblioteche campagnole e cittadine. L'argomento "arte" mi stuzzica e motiva fortemente la mia partecipazione alla discussione.


RF
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eloise
Senior Member

603 Posts

Posted - 31/08/2020 :  16:48:51  Show Profile  Visit eloise's Homepage
Caro Rosario, ben ritrovato sul forum!

Eloise
www.letteratour.it
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Rosella
Senior Member

Italy
316 Posts

Posted - 31/08/2020 :  19:30:48  Show Profile
Ciao a tutti: bentornati e bentrovati.
Ho trovato il testo in biblioteca e l'ho letto durante le vacanze. E' breve, veloce, scritto molto bene.
A Presto

Rosella - Gwendydd
"scritto da uno storico parziale, prevenuto e ignorante"
(Jane Austen - La storia dei re d'Inghilterra)

Edited by - Rosella on 08/09/2020 17:29:23
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Tiziano
Average Member

Italy
166 Posts

Posted - 01/09/2020 :  19:15:33  Show Profile
Salve a tutti. Sono lieto di ritrovarvi.
Visto che io il libro l'ho letto una vita fa inizio a parlarne.
Comincio con una osservazione tecnica: il testo è diviso in 12 parti (non so se chiamarle capitoli o paragrafi o che altro, perché a dividerle c'è solo lo spazio bianco) di cui l'elemento saliente è che vi si alternano due narratori: quello che racconta in prima persona, il protagonista Barnaba, e quello che racconta in terza persona, che tecnicamente sarebbe il narratore onnisciente, ma a me tanto onnisciente non pare. Questa alternanza di punti di vista narrativi è uno dei fatti di questo racconto che non comprendo bene: poteva essere scritto in prima, com'è nell'esordio. o in terza, com'è nell'epilogo, ma perché ambedue? Io ritengo che ogni opera letteraria abbia una propria intrinseca necessità, che il lettore dovrebbe comprendere; invece a me pare di non comprendere.
A meno che - è una supposizione - Del Giudice l'abbia introdotto proprio per moltiplicare i punti di vista, ovvero gli sguardi che si intrecciano nel racconto. In tal caso credo proprio che dovremmo costruire una vera e propria geometria prospettica.

Tiziano

Tiziano
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Rosario
Senior Member

Italy
418 Posts

Posted - 04/09/2020 :  10:30:22  Show Profile
Grazie Tiziano; bentornato. La tua supposizione, almeno per me, è stata illuminante; ho cercato in rete notizie sull'autore e sul romanzo e ho trovato un'intervista in cui lo stesso autore conferma il duplice punto di vista:

“In questo testo ci sono due livelli del tema sul rapporto fra luce e ombra."

Vale a dire che il "rapporto tra luce e ombra" lo possiamo assumere come "tema di fondo" del romanzo; e i due diversi punti di vista, sono espressi nell'alternanza delle due narrazioni, in prima e in terza persona. Due narratori che raccontano la stessa storia...potrebbero essere analizzati secondo le categorie del desiderio mimetico triangolare di Renè Girard, proprio come tu hai scritto:

"credo proprio che dovremmo costruire una vera e propria geometria prospettica"

... secondo il triangolo mimetico:

soggetto,
mediatore,
oggetto del desiderio
.

In quest'ottica, i due punti di vista, luce ed ombra, che corrisponderebbero a verità e menzogna, sono rappresentati nell'unicum girardiano della maschera ancestrale ovvero il doppio mostruoso di ogni creatura umana.

Il rapporto luce e ombra è uno degli argomenti che ho trattato nella nota Il viaggio nell'aldilà di Fellini; in particolare la nota pone l'accento sulla paura della morte che sposa benissimo con il senso di vuoto esistenziale di Barnaba, causato dalla incombente cecità.

Riporto il link per chi vuole esplorare il viaggio nell'aldilà di Fellini tra ruderi oscuri e fondali luminosi: https://www.letteratour.it/ilblogdirosariofrasca/index.php?controller=post&action=view&id_post=49#.X1oYesaaqks.link




RF

Edited by - Rosario on 10/09/2020 14:34:21
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eloise
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603 Posts

Posted - 04/09/2020 :  12:50:10  Show Profile  Visit eloise's Homepage
Buongiorno a tutti!
Scusate la mia assenza ma mi sono fatta male a una spalla e ho dovuto rallentare un po'...
Dunque scrivo anch'io per agganciarmi a Tiziano che come al solito col suo intervento è andato a mettere subito a fuoco uno dei punti cardine della storia. Storia che a me pare ed è parsa da subito incentrata sul TEMA DELLA CONOSCENZA.

Io sono di parte e penso sempre a Calvino (ora magari Tiziano mi bacchetterà), ed è vero che qui siamo agli antipodi come tipo di protagonista e non c'è uso dell'ironia. Ma il problema che si pone è simile a quello che troviamo spesso nelle storie di Calvino: come si percepisce e come si interpreta il reale? il mondo esterno?

L'aggiunta fondamentale in questo caso, oltre ovviamente alla nota dolorosa (la malattia, la cecità, l'assenza - per forza di cose - dell'ironia), è che questa ricerca sulla conoscenza non viene fatta singolarmente, ma stavolta in due (o tre): il protagonista (io), la ragazza (l'altra), e col discorso della narrazione che come sottolinea Tiziano è fatta in modo duplice, anche il narratore in terza persona (l'autore?).
Due o tre visioni dunque del reale.

Domanda ulteriore: e tra queste visioni, infine, c'è una sintesi? ma qui forse faccio un passo ancora troppo avanti.

PS. Interessantissimo Rosario il tema LUCE / OMBRA. Devo approfondirlo.


Eloise
www.letteratour.it

Edited by - eloise on 04/09/2020 18:51:26
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Tiziano
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Posted - 06/09/2020 :  16:55:02  Show Profile
infilo alcune considerazioni in ordine sparso (magari l'ordine lo troveremo poi):

1. il narratore onnisciente è invece reticente: ci dice tutto su Barnaba, non ci dice quasi niente su Anne: perché?
2. Comunque l'unica cosa importante che sappiamo è che Anne soffre: 12° - "ancora una volta pensò al dolore di Anne, così invisibile dietro le forme accese e leggere della sua voce"
3. la geometria degli sguardi disegna un rombo: il narratore guarda Barnaba e Anne, che guardano i quadri e si guardano tra loro: 4 vertici di un rombo iscritto nel rettangolo delle sale espositive. La ratio qual è? Forse ce la spiegherà Rosario.
4. (mi spiace ma il riferimento sarà per voi incomprensibile): ho sempre pensato che la visita del Museo sia una sorta di espansione della visita al Chateau Voltaire narrata nel precedente "Atlante occidentale"; lì uno dei due protagonisti, il giovane scienziato (l'altro è il vecchio scrittore) entra insieme ad una donna, Gilda, per visitarlo, ma dentro è completamente buio e, scopriranno, non c'è nulla, è vuoto
5. ultima considerazione, forse del tutto a sproposito: ho l'impressione che questa storia in qualche modo, per qualche aspetto, si possa collegare col film di Sofia Coppola "Love in translation"

p.s Eloise: l'accostamento a Calvino è frequente: d'altronde fu Calvino a "scoprire" Del Giudice, quindi qualche affinità dovrebbe esserci; inoltre certamente in ambedue c'è una prevalente dimensione conoscitiva (tant'è che nel saggio in cui rencensii "Atlante occidentale" - trent'anni fa! - parlavo di romanzo epistemologico; se lo ritrovo te lo faccio leggere). Però Del Giudice è uno scrittore complesso, scavando nel suo stile e nelle sue tematiche si trovano elementi sorprendenti, che lo allontanano da Calvino (basterebbe leggere "Orizzonte mobile" per verificarlo)

Tiziano
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Rosario
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Italy
418 Posts

Posted - 06/09/2020 :  20:19:46  Show Profile
Tiziano, provo a chiarire e, per quel che può servire, rispondere alla tua osservazione sulla geometria dei punti di vista; ma non senza prima ricordare il rapporto tra i due livelli dichiarati dall'autore: luce e ombra.

"E la luce, da dove viene?
Non viene da nessuna parte, c'è, è tutta sul corpo, ma come se fosse autonoma, generata dall'ombra stessa.
"

È il riferimento esplicito al tema "luce e ombra". Barnaba chiede da dove viene la luce; Anne risponde che non viene da nessuna parte, c'è ed è tutta sul corpo; ma come se fosse autonoma, generata dall'ombra stessa.

Il tema luce/ombra dichiarato dall'autore è qui trattato dal punto di vista del narratore e "i narratori stanno là dove tutto può accadere." (cit. Monica Morini)

Anche la reticenza sul personaggio Anne è voluta dall'autore; secondo me, rientra in quell'ombra che genera la "luce" che c'è ed è tutta sul corpo" anche se "non viene da nessuna parte".

Per quanto riguarda le geometrie dei punti di vista, il rombo lo possiamo immaginare tracciando gli sguardi dei due personaggi e del narratore, ovvero da "tre" punti vista; ma il rombo è una figura geometrica con "quattro" angoli e quattro lati; però, le magie della geometria ci permettono di ridurre il quadrilatero in due triangoli contrapposti con un lato in comune. Questa riduzione in triangoli semplifica e facilita le nostre analisi; possiamo cioè effettuare le triangolazioni e considerare le relazioni che intercorrono tra diversi punti (di vista).

Per le "triangol-azioni" mimetiche girardiane i tre punti sono:
  • soggetto
  • mediatore
  • oggetto del desiderio


e i livelli non sono i due indicati dall'autore, luce/ombra; ma sono i tre livelli della letteratura:
  • autore
  • personaggio
  • lettore




In conclusione possiamo dire che l'analisi condotta secondo i criteri girardiani è centrata sul comportamento umano (cioè antropologica); mentre l'analisi impostata e sviluppata sui tre livelli della letteratura, riguarda la trasmissione di un messaggio universale a tutti i lettori di tutti i tempi.

Qualsiasi romanzo è una testimonianza soggettiva di vita reale; ovvero la rappresentazione di una realtà oggettiva filtrata dai sentimenti e dal vissuto dell'autore.

"Nel museo di Reims" è la testimonianza di Daniele del Giudice che, nel romanzo, cerca di organizzare la vita sul rapporto che intercorre tra luce e ombra, verità e menzogna. Ci riesce? lo vedremo alla fine

RF

Edited by - Rosario on 07/09/2020 13:49:21
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Rosario
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Posted - 07/09/2020 :  14:36:55  Show Profile
Ciao Rosella ... m'era sfuggito di rispondere al tuo saluto d'accoglienza.

RF
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Rosario
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418 Posts

Posted - 07/09/2020 :  14:53:38  Show Profile
Visto che il suo vate è stato Calvino, riporto una sua dichiarazione, scritta sulla quarta di copertina del romanzo di esordio di Del Giudice:

«Chi ha posto giustamente il rapporto tra saper essere e saper scrivere come condizione dello scrivere, come può pensare d’influire sulle esistenze altrui se non nel modo indiretto e implicito in cui la letteratura può insegnare a essere?"

"(Italo Calvino, quarta di copertina della prima edizione Einaudi del romanzo d’esordio di Daniele del Giudice: Lo stadio di Wimbledon)"

"saper essere, come condizione per saper scrivere",... o vale anche "saper scrivere come condizione per saper essere?

questo sì che è un problema esistenziale.


RF

Edited by - Rosario on 07/09/2020 18:46:45
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Rosella
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Posted - 08/09/2020 :  18:06:45  Show Profile
Daniele del Giudice che, nel romanzo, cerca di organizzare la vita sul rapporto che intercorre tra luce e ombra, verità e menzogna.

"saper essere, come condizione per saper scrivere",... o vale anche "saper scrivere come condizione per saper essere?


Ciao Rosario, grazie del saluto e Ciao anche a Tiziano ed Eloise. Che bravi, cosa resta da dire?
Ho ripreso due frasi di Rosario su cui ritornerò più avanti, ora per un attimo dimentico tutto e torno alle prime impressioni che ho avuto da questo racconto (non mi sembra un romanzo) così, "a botta"

Impossibile per me non identificarmi subito col protagonista: ero bambina e una disfuzione agli occhi nemmeno pensavano a curarla: metti gli occhiali ma sforzati di non usarli. Così cominciai a vagare tra le nebbie, e quando gli occhiali divennero obbligatori fu anche peggio. Vedere da vicino e non da lontano, veder male comunque, con le righe che ballano, il pentagramma si confonde, non puoi usare il binocolo, la luce ti acceca, il buio è nero come la pece.
Per me ci fu un termine a questo tormento, con le lenti a contatto, ma il nostro protagonista ha come previsione di termine il buio assoluto, e cerca di riempirlo con l'immaginazione. Non importa quel che vede, importa quel che sogna.

Poi arriva Anna. Anna, secondo me, non esiste realmente, è un fantasma, una proiezione inconscia che racconta cose, cose qualunque. Quadri perchè siamo in un museo, pesci se fossimo in un acquario. I vostri riferimenti al surreale Calvino mi confermano in questa mia sensazione.

Infine abbiamo il Narratore. Una voce razionale, che cerca di mettere un po' d'ordine in questo susseguirsi di "luce ed ombra", che si intersecano e si sfumano l'una nell'altra. E' come se parlasse al lettore, invitandolo a farsi accorto, perchè la realtà non è sempre quel che sembra, e poi, che cosa è la realtà?

La realtà è un uomo solo che perde la vista, e, per il momento almeno, cerca di non perdere anche la vita, a costo di perdere la ragione.

Caspita quanto ho scritto! Si tratta di prime impressioni, lo ripeto, non mediate dal razionio, pure emozioni che comunque mi hanno fatto dire: un bellissimo raconto

Rosella - Gwendydd

"di uno storico parziale, prevenuto e ignorante"
Jane Austen - La storia d'Inghilterra
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Rosario
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Posted - 08/09/2020 :  19:10:58  Show Profile
Bellissimo intervento Rosella!

Hai scritto più cose te che l'autore in tutto il romanzo!

La tua immedesimazione è stata molto efficace nell'evidenziare i caratteri mimetici del protagonista Barnaba, del suo doppio Anne e del narratore Daniele Del Giudice.

Ho già abbozzato una serie di risposte al tuo intervento ma le inserirò in seguito, dopo averle organizzate "razionalmente" secondo la logica girardiana.

Intanto inserisco ciò che ha detto Daniele Del Giudice del suo romanzo in un'intervista.

“È la storia di Barnaba, un ex ufficiale di Marina che sta perdendo la vista per una malattia mal curata. Avrebbe voluto vedere mari e paesaggi che non conosceva, ma la prima a cadere è stata proprio la vista da lontano, e così ha deciso di conservare come ultime immagini quelle di alcuni quadri che si trovano nei musei d’Europa. Va a Reims, per vedere il Marat assassiné di David.

La sua vista è però ormai compromessa. Una ragazza, Anne, se ne accorge e decide di aiutarlo, di raccontargli i quadri, ma nel farlo, mente.

Barnaba se ne accorge e all’inizio è umiliato, offeso, non vorrebbe mai che si trattasse di un gesto di bontà. Poi però capisce e cerca di entrare nella malattia di Anne, perché in fondo è di due malattie di cui si tratta in questo racconto: da una parte quella di Barnaba, che è una malattia evidente, fisica, dall'altra quella di Anne che è invece più invisibile, anzi, contornata da bellezza, da gaiezza, ma forse proprio per questo ben più radicale.

In questo modo si compone questo racconto che è una storia d’amore ma anche la storia di una apertura possibile attraverso il dolore, attraverso l’attenzione profonda a dov’è l’altro e che cosa chiede e, quindi, un amore inteso come assunzione della responsabilità del destino altrui”.

Ce n'è da dire; ma per ora mi fermo qui.



RF
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Tiziano
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Posted - 09/09/2020 :  18:25:26  Show Profile
Festina lente...
io sono un lettore ruminante: leggo lentamente, percorro il testo come fosse un cammino (talvolta un labirinto), sosto in qua e in là, mi guardo d'intorno.
Ecco: in questo racconto se mi guardo d'intorno vedo un museo. Il museo è lo spazio narrativo, reale, poiché esiste davvero, è fatto così, ci si muove dentro in un certo modo,ha una propria specifica funzione.
Mi domando: perché l'autore ha scelto proprio questo spazio? E comincio a rispondermi notando che il museo è un'eterotopia. Il concetto di eterotopia è di Foucault, indica quel tipo di spazio contiguo agli spazi sociali reali della vita quotidiana; questi sono localizzazioni la cui funzione è di stabilire forme di vita, routines sociali; invece gli spazi eterotopi sono dislocazioni, luoghi altri, che si differenziano, rovesciano i contesti, contestano. Sono eterotopie i cimiteri, i cinema, i manicomi, le prigioni e...i musei. La caratteristica eterotopa del museo è la sospensione del tempo; inoltre è il luogo dell'illusione e della compensazione. Dunque Barnaba entrando nell'eterotopia museale non entra veramente in uno spazio reale bensì in uno spazio altero che è la scena della sua ricerca, dove può illudersi - ma qual è l'illusione che cerca - e può compensare il suo deficit di realtà.
Ogni eterotopia ha il suo phantasma: non potrebbe essere che sia Anne?

Tiziano
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Rosario
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418 Posts

Posted - 10/09/2020 :  12:40:40  Show Profile
Tiziano, il tuo intervento introduce spazi d'indagine intriganti; le definizioni di museo, eterotopia e illusione, che sono andato a rapinare nell'archivio digitale e che riporto in calce a questo intervento, mi hanno stimolato approfondimenti di notevole "peso" concettuale. Per esempio l'illusione di Barnaba mi ha spinto verso la "promessa fallace" girardiana ovvero la "coscienza infelice" hegeliana.

Di coscienza infelice e promessa fallace ne abbiamo discusso già a proposito della lettura di Opinioni di un clown. da quella discussione ne ho tratto una nota che ho pubblicato nel mio blog e di cui riporto i link per chi vuole approfondire:

https://www.letteratour.it/ilblogdirosariofrasca/index.php?controller=post&action=view&id_post=9#.X1oRhblBOSc.link

e anche quello per la discussione su "Le opinioni di un clown": https://www.letteratour.it/forum/topic.asp?TOPIC_ID=692#.X1oWRQORj-M.link

definizioni dizionario mac

museo
s.m.
~ Raccolta, per lo più rispondente a criteri di ampiezza e di organicità, di opere d'arte o di oggetti aventi interesse storico-scientifico: m. etrusco, etnologico, navale

Simbolo di inattualità (idee da m.) o di grande quantità sentita come ostile o sgradevole (quella casa è un m. di orrori), meno spesso, positivamente, di faraonico prestigio (un oggetto da m.;ha una villa che è un m.).

ETIMOLOGIA Dal lat. Museum, gr. M#363;seóon, der. di Mûsa; propr. “luogo sacro alle Muse”, nome di un istituto culturale dell'antica Alessandria d'Egitto
DATA sec. XVI.

eterotopia ‹eterotopìa›
s.f.
~ In fisiologia umana, fenomeno per cui si originano stimoli di attività funzionale in sede diversa dalla normale.
ETIMOLOGIA Comp. di etero- e del gr. tópos ‘luogo’
DATA 1875.

illusione
s.f.
1 Proiezione in ambito immaginario di elementi che non troveranno corrispondenza nella realtà contingente: vivere di illusioni.

2 Percezione od opinione falsata da un errore dei sensi o della mente: la prospettiva in pittura dà l'i. della profondità;è un'i. che le cose vadano come tu dici

Illusione ottica, errore nella valutazione della forma o delle dimensioni di un oggetto reale o virtuale (per es. un disegno), a cui si è indotti da particolari caratteristiche geometriche di questo, che suggeriscono confronti ingannevoli fra le sue parti.


ETIMOLOGIA Dal lat. illusio -onis ‘ironia’
DATA sec. XIV.

Grazie al tuo intervento (Tiziano), a leggere semplicemente le definizioni e rapportandole ai personaggi e alle situazioni del romanzo, mi sono trovato davanti ad ambiti di riflessione inaspettati.

Le discussioni aumentano in modo esponenziale le possibilità d'indagine speculativa di ciascun partecipante.




RF

Edited by - Rosario on 10/09/2020 14:08:13
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Rosario
Senior Member

Italy
418 Posts

Posted - 11/09/2020 :  15:13:11  Show Profile
Le mie prime impressioni di lettura corroborate e arricchite dai primi interventi di Rosella,Tiziano ed Eloise.

"Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutt'e due in una buca?" (Lc 6, 39)

....questo non c'entra niente con il racconto di Del Giudice ma me lo sono posto come linea guida personale durante le mie elucubrazioni.

Mi rifaccio a quel che ha detto l’autore del suo romanzo rispondendo a una domanda di un suo fan che lo intervistava, per lasciarmi poi andare in una personale "tiritera" senza freni e senza traccia:

“È la storia di Barnaba, un ex ufficiale di Marina che sta perdendo la vista per una malattia mal curata. Avrebbe voluto vedere mari e paesaggi che non conosceva, ma la prima a cadere è stata proprio la vista da lontano, e così ha deciso di conservare come ultime immagini quelle di alcuni quadri che si trovano nei musei d’Europa. Va a Reims, per vedere il Marat assassiné di David.
La sua vista è però ormai compromessa. Una ragazza, Anne, se ne accorge e decide di aiutarlo, di raccontargli i quadri, ma nel farlo, mente.
Barnaba se ne accorge e all’inizio è umiliato, offeso, non vorrebbe mai che si trattasse di un gesto di bontà. Poi però capisce e cerca di entrare nella malattia di Anne, perché in fondo è di due malattie di cui si tratta in questo racconto: da una parte quella di Barnaba, che è una malattia evidente, fisica, dall'altra quella di Anne che è invece più invisibile, anzi, contornata da bellezza, da gaiezza, ma forse proprio per questo ben più radicale.
In questo modo si compone questo racconto che è una storia d’amore ma anche la storia di una apertura possibile attraverso il dolore, attraverso l’attenzione profonda a dov’è l’altro e che cosa chiede e, quindi, un amore inteso come assunzione della responsabilità del destino altrui”.

commento tiritera

L'autore in questa dichiarazione afferma che i due protagonisti sono entrambi malati: uno è quasi cieco…e si vede (viene quasi spontanea una risata sul “cieco" che "vede”); l'altra, "probabilmente" ha quel male di vivere che è invisibile perché nascosto dietro l’ipocrisia di una superficiale gaiezza e bellezza.

Ma nel racconto questa malattia di Anne non c'è, come ha fatto notare Tiziano, giocando sulla onniscienza e la reticenza:

“1. il narratore onnisciente è invece reticente: ci dice tutto su Barnaba, non ci dice quasi niente su Anne”;

non si legge da nessuna parte del suo male di vivere; sembra piuttosto che Anne sia rassegnata al quel ruolo di guida luminosa e menzognera che le ha dato l’autore; un ruolo che interpreta con un marcato distacco emotivo; con una mesta e patinata gentilezza verso quell'uomo quasi cieco che si ostina a osservare le opere d'arte da vicino vicino; così vicino fin quasi a toccarle …e ne perde così il senso, la totalità immaginata e raffigurata da David nella scena di un mitico assassinio: l’uccisione della vittima sacrificale, del "capro espiatorio" di una rivoluzione decapitata, interrotta, finita…finta. La luce per Marat non viene da nessuna parte ma c’è, è tutta sul corpo: illuminato dall’ombra che è tutt’intorno: l’ombra che illumina.

Barnaba vive una situazione ipocrita, come quella evangelica di cercare la pagliuzza nell'occhio di un altro e non accorgersi della trave che sta nel proprio occhio e oscura la vista.

"Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e allora potrai vederci bene nel togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello." Lc 6,42.

È quel rapporto tra luce ed ombra di cui è intriso tutto il racconto (come dichiarato dall’autore); ma della mancanza di personalità del tizianesco "phantasma eterotopico” Anne, il narratore non se ne fa cruccio; e lascia scorrere la narrazione in una sorta di "limbo esistenziale" dove i protagonisti vagano come zombi senza emozioni, senza vivere, senza esistere come ci ha fatto osservare l’immedesimazione “barnabiana" di Rosella:

"Così cominciai a vagare tra le nebbie, e quando gli occhiali divennero obbligatori fu anche peggio".

Sono arrivato alla conclusione del racconto e mi sono sorpreso in uno stato d’attesa con un punto interrogativo grosso quanto tutto il romanzo; di quello che avevo letto mi erano rimaste soltanto le memorie storiche, magiche ed esoteriche su Marat oculista e guaritore, niente di Barnaba né di Anne ma di Marat, il personaggio assassinato raffigurato nel quadro di David. Memorie raccontate da Barnaba in prima persona; "memorie affettive” e salvifiche di un uomo quasi cieco che cerca se stesso in una donna gentile, quasi vera e che mente spudoratamente; sorretta da un buonismo ipocrita verso un malato cronico senza luce, immerso nell’ombra di una incombente cecità.

"Si, soltanto due parole"e la sua voce aveva un colore caldo e brillante, lucido di tenerezza.

... e tutto finisce ... e la musica, il suono, il ritmo tacciono, si fermano, sfumando le immagini in dissolvenza di un mondo solo immaginato ...da un uomo quasi cieco.

Per il recupero di questa realtà dissolta, viene in soccorso l'intervento di Eloise che pone l'accento sul tema di fondo dell'opera letteraria di Del Giudice:

[Una] "Storia che a me pare ed è parsa da subito incentrata sul TEMA DELLA CONOSCENZA."

Al fine di focalizzare gli probabili approfondimenti sul tema della conoscenza, riporto come linea guida, ciò che dice il protagonista Barnaba sulla sua fruizione dell'opera arte:

"Non sono un conoscitore d’arte, non lo sono mai stato. Nè so bene cos’è che amo nella pittura, proprio perché non l’amo tutta. (…) Ma del resto alla pittura sono arrivato soltanto per esclusione. Di fronte ai quadri, quadri di cui magari conoscevo il titolo per fama, ma che non sapevo fossero proprio quelli, fossero proprio così, l’emozione è stata piena, la commozione è stata immediata, quadri che venivano in fuori, che ti abbracciavano, che ti portavano dentro, E per un attimo io ero ciò che volevo essere."

Io ero ciò che volevo essere, pensa Barnaba, e che non sono, aggiungo io per fare pace con la realtà.

A me pare chiaro che l'immedesimazione di cui Rosella ce ne ha dato esempio nel suo intervento, è lo strumento "necessario" per entrare nella personalità di Barnaba (- Anne - narratore - autore) e provare a capire il suo mondo in dissolvenza, quel suo angoscioso vivere nell'attesa del buio.

Akira Kurosawa ci ha lasciato un esempio magnifico di questo realismo magico dell'arte, nel suo film "Sogni": https://youtu.be/3OTj5Qv153U





RF

Edited by - Rosario on 12/09/2020 12:40:30
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