mar 172018
Il deputato
Rosina, un deputato
non preme una saetta
che s’intenda di Stato:
se legge una gazzetta
e se la tiene a mente
è un Licurgo eccellente.
[…]
Che asino, Rosina,
che asino è colui
che s’alza la mattina
pensando al bene altrui!
Il mio signor Mestesso
è il prossimo d’adesso.
L’onore è un trabocchetto
saltato dal più scaltro;
la patria, un poderetto
da sfruttare e nient’altro;
la libertà si prende
non si rende, o si vende.
[..]
(Giuseppe Giusti)
Il poeta satireggiando la furbizia dei deputati, sottolineandone l’incompetenza e l’indifferenza al bene pubblico, si rivolge ad un’ascoltatrice e confidente immaginaria. Il discorso rivolto ad una donna diventa un’irridente leggerezza di chiacchiera. In fondo, il deputato non ha alcuna importanza se non s’intende di cose di Stato, basta che legga qualche legge e la impari a memoria ed è bell’è pronto un Licurgo che detta norme di un governo serio e severo. Gli è sufficiente la nozione, ignorandone problemi e significati, ma l’ignoranza della legge non gli impedisce di riformare il codice. Il suo egoismo lo porta a non conoscere altro prossimo da aiutare, conosce soltanto sé stesso. L’onore, che imporrebbe lealtà e generosità, è un inganno (trappola) nel quale i più furbi evitano di cadere perché li distrarrebbe dai propri interessi.
La poesia di Giuseppe Giusti (1809-1850) è stata scritta nel 1848, centosettanta anni fa, il tempo passa, le cattive abitudine rimangono.
mar 112018
Tu non conosci il Sud, le case di calce
da cui uscivamo al sole come numeri
dalla faccia di un dado
(Vittorio Bodini, La luna dei Borboni)
Era il Sud di Bodini. Polvere, odori genuini di cucina, gente vestita di dolore e colori, campi di grano e vigna, altari fioriti a Pasqua, campanili magri. Bambini vestiti di primavera. Olio e uva, grano, pane per tutte le ore, uomini e donne appesi al cielo, resurrezione e morte, preghiere e lamentazioni, feste di piazza con scapece e luminarie, processioni e bande, santi e madonne, confratelli e guardie d’onore, il mare negli occhi di tutti, mani grandi e ruvide, fumo di tabacco, briscole e scope nei bar. Il dialetto: un’armonia di suoni e voci dai toni bassi in principio di discorso, poi alti e disarticolati in immagini gestuali alla fine. Più che una lingua un atteggiamento frivolo verbalmusico con montaggi di vocaboli spiccatamente fuori lingua per marchiare situazione di vita, dove i dadi assumono il gioco di magia nel parlato e nell’agire. Dadi bianchi come case di calce, quella calce che un tempo bolliva ed era calda, densa e morbida, dura a temperatura ambiente, liquida per imbiancare e disinfestare.
Sud di spensieratezza e di fatica: concetto infinito di semplicità, forte nell’agire, che nel suo modo di vivere con macare (streghe), leggende, esorcismi individuali e collettivi, abitudini adattate alla sorte, è magia oltre i riti della superstizione e della bellezza di un terra che non smette mai di resistere alla sorte.
mar 032018
(Li Bai, noto in Occidente anche come Li Po)
Inverno
Anche quel muro vecchio
anche quel magro cane
anche il gelo nel secchio
gode il sol, stamane.
Li Po è stato un poeta cinese considerato tra i massimi della Dinastia T’ang (618-907), figura cardine nella storia della letteratura cinese.
L’uso dell’anafora nei primi tre versi della poesia sottolinea la predilezione del poeta alla contemplazione di cose semplici, affinché tutto ciò che è semplicità sia magnificata nella poesia, massima espressione del dire, di quel ulteriore dire che sfugge all’insipienza delle parole della prosa e del parlare frettoloso della gente. Il paesaggio è uno degli argomenti preferiti ed è trattato da quasi tutti gli autori cinesi, i quali preferiscono esaltare l’economia dell’insieme in un universo privo di punti di vista.
L’inverno è gelo e calore, affettività ritrovata in un abbraccio, solitudine in casa, letture dietro la finestra che gocciola fiocchi di malinconia, serenità d’animo.
Il gelo nel secchio (microcosmo), in un giorno d’inverno, può godere il sole e sciogliersi lentamente nel piacere di un calore che ristora seppure brevemente con discontinuità di tempo, poiché dopo diventerà ancora gelo e dopo ancora caldo, in una situazione di cannibalismo naturale che vige per diritto di natura nell’alternanza di calore (primavera ed estate) e gelo (autunno e inverno).
Benvenuto Inverno, giovane aitante e sprezzante del fuoco, guerriero che divora il cielo e la terra, vertigine dell’infinito.
feb 252018
Autoesilio
Purtroppo convivo con la tua assenza
sopravvivo alla distanza che ci nega
mentre costeggio il confine tra due mondi
senza decidere quale di loro può darmi
la calma che io esigo per amarti
senza soffrire la tua indifferenza
il mio ritiro preventivo
da una battaglia già persa
determinato a non entrare mai in te
ma non alla tortura di evitarti.
Lois Pereiro è stato un poeta e scrittore spagnolo di lingua e nazionalità galiziana. Si ammalò di Aids e morì all'età di 38 anni. Ha pubblicato due poemi, 1981/1991 Poesie (1992) e Poesia d'Amore e di ultima malattia (1995). Poeta maledetto del punk. Parlava lentamente, quasi in silenzio, volutamente, per allontanarsi da sé stesso e dal mondo.
Lo spazio ristretto del verso diventa il suo esilio poetico per contrapporre grandezze morali alle sue battaglie già perse. Esplora la solitudine delle parole per avvicinarsi all’incidente necessario della morte, nella sua dolcezza di demone e di angelo, di diversamente dissacrante ed eccezionale nella memoria di una propria sacralità di vita, in cui osserva tutto ciò che è dettaglio e grandezza di infinitamente fuggevole nel confine suggestivo che separa la morte dalla vita. In quell’attimo di abbandono totale della propria vita il poeta lacera definitivamente gli inganni della seduzione e ritrova sé stesso, purificato nelle parole della poesia. Il poeta vive la morte.
feb 182018 
La bella vita ormai ci ha reso folli:
vino già all’alba, e a sera mal di testa.
La tua vana allegria, tenera peste,
freneremo, e il tuo acceso colorito?
(Osip Mandel’štam, da La bella vita ormai ci ha reso folli)
Nel Seicento gli infami (uomini senza fama, quindi senza voce), ignoti venivano riscattati dallo spettacolo buffo. C’era chi faceva burle, facezie, chi raccontava barzellette, chi declamava poesie per attenuare la noiosissima vita di corte. Nani, buffoni, ballerini, giocolieri (“provigionati medicei”) si producevano in deliranti e orgiastiche prove di straordinaria follia per far ridere e distrarre i Signori dell’epoca, Personaggi di second’ordine, un po’ come oggigiorno, con un’unica differenza: hanno molta voce, visibilità e potere oltre ogni decenza, ma pur sempre “provigionati".
Osip Mandel’štam, prosatore e saggista, esponente di spicco dell'acmeismo e vittima delle Grandi purghe staliniane è stato uno dei grandi poeti del XX secolo. Morto di fame in un gulag. Un poeta guerriero, ucciso per la guerra contenuta nei suoi versi. Non ha avuto paura di sfidare Stalin a viso aperto, di chiamarlo «montanaro del Cremlino», né di voltare le spalle agli scrittori-servi dei regime. Il poeta russo è l’agnello sacrificale della rivoluzione russa, un controrivoluzionario che non ha mai abbassato la testa per una bella vita. Ha voluto per sé la brutta vita, intesa non come una colpa, ma come una grazia.
A noi piace la bella vita e il suo acceso colorito. Altro che voltare le spalle; preferiamo (sempre per comodità e interessi) prostrarci alla tenera peste in ragione del non-senso radicale della vita, vanamente compensato e distratto dal piacere e dalla distrazione. La vita dei poeti è un miracolo della poesia.
feb 112018
Costretto in casa, mentre fuori brilla il sole,
un bimbo di sette anni che dovrebbe poter giocare
in pace su un’altalena una giostra uno scivolo
scivolò su una lastra di metallo gelido, da obitorio.
(Tony Harrison, L’immagine allo specchio)
Fermi tutti: c’è la guerra. Non una, ma nessuna ragione. Un obitorio e un cimitero per concludere la storia di un bambino di sette anni che ha soltanto come giochi avversità e negazioni. Il sole brilla a prescindere poiché non sa o finge di non sapere?
Dentro casa c’è la preghiera (pronunciata sommessamente) di libertà. Fuori c’è la guerra che va dove le pare in costruzioni di inattese sospensioni di soste e di percorsi.
In verità, c’è un pensiero di guerra che non inciampa mai in ciò che vuole e rendere possibile, tranne la vita. Rimane il dire poetico che è la casa ospitale di amore di un poeta, che dà parola all’oscurità che lo circonda e la rimanda alla lastra di metallo gelido che altro non è che questa follia della guerra che abitiamo (anche) con indifferenza.
[Nella foto Esraa e Waleed, due fratellini di 4 e 3 anni, siedono fra le macerie di Aleppo, il giorno di Natale. Come 3,7 milioni di altri bambini siriani, non hanno mai vissuto un giorno di pace - ©UNICEF/ UN013172/Al-Issa]