feb 132020Se la vita ti ingannerà
Non rattristarti, non infuriarti!
Nel giorno della tristezza sarà calmo:
Il giorno della gioia, credimi, arriverà.
Il cuore vive nel futuro;
Il presente è malinconico:
Tutto è fugace, tutto passerà;
Ciò che passera, sarà caro.
(Aleksandr Puškin, Se la vita ti ingannerà)
Agli inizi dell’Ottocento, la Russia non ha ancora una letteratura, ci sono stati degli autori, dei momenti di accenno, ma quella che si intende come tale non si è manifestata sino a quel tempo. Puškin ne è l’iniziatore per la prosa e la poesia. La sua morte (1837) in duello fu una tragedia per la Russia e la letteratura. Predilige la bellezza, la natura, gli slanci.
In questa poesia traspare la consapevolezza del poeta che guarda alla vita con gli occhi ‘buoni’ e ‘fiduciosi’; sa il poeta che il giorno della gioia arriverà e non è possibile aspettarsi ogni giorno di gioia. Tutto nella vita è centellinato nelle piccole e grandi cose, il presente è malinconico, fugace; solo il passato sarà caro, ricco di ricordi che nella lente di ingrandimento del tempo sono visti con meno ragione e più sentimento distillato. Il monito è indiscutibile: non rattristarti se la vita ti ingannerà, poiché c’è già pronto un infinito nella mano, basta saperlo cogliere.
nov 262019
A te, de l’essere
Principio immenso,
Materia e spirito,
Ragione e senso;
5. Mentre ne’ calici
Il vin scintilla
Sí come l’anima
Ne la pupilla;
Mentre sorridono
10. La terra e il sole
E si ricambiano
D’amor parole,
E corre un fremito
D’imene arcano
15. Da’ monti e palpita
Fecondo il piano;
A te disfrenasi
Il verso ardito,
Te invoco, o Satana,
20. del convito.
Via l’aspersorio
Prete, e il tuo metro!
No, prete, Satana
24. Non torna in dietro!
(G. Carducci, Inno a Satana)
Satana simbolo positivo. Carducci compose quest’Inno (qui se ne riportano soltanto i primi sei quinari) in opposizione ai reazionari che condannavo ogni aspetto della modernità come prodotto di Satana. Le cose che i reazionari aborrivano come opera del demonio, per Carducci erano invece gli aspetti positivi della vita. Satana è assunto come simbolo della felicità, della bellezza naturale e artistica, della libertà di pensiero, della ribellione a ogni forma di dogma e dispotismo, del progresso della scienza; mentre il Cristianesimo nega e opprime tutto ciò che è fuori dalla ‘norme’ religiose che mortificano la ragione. Insomma, qui Satana è il genio, è la forza che sprigiona idee, scienza, arte, bellezza. Perché dunque non adorarlo (contemplarlo, seguirlo, ascoltarlo), come già fecero gli eretici finiti poi arsi sul rogo? Eh sì, pensare in direzioni opposte e contrarie ai canoni è un pericolo per tutti coloro che hanno fissato su palafitte di legno negli stagni della menzogna, la Verità. Parrebbe, allora, che la menzogna inscrive sulle linearità della Verità le proprie increspature per intorbidire e confondere e ammansire la ragione, affinché ciò che davvero potrebbe essere non possa mai esserlo. Tutto è già scritto nelle scritture? Davvero l’Inferno è così terribile? E il Paradiso è forse l’accomodamento consigliato da un dio all’acquiescenza? Il dubbio è amletico: Satana o Dio? E se la scelta fosse nessuno dei due?
nov 132019
Ormai vecchio
e quasi infermo
le uscite
per fare pochi passi
fuor dell’uscio
e solo con uno scopo
di assoluta necessità,
mi fanno ricordare
quando schizzavo fuori
in ogni momento
senza saper neppure dove andavo.
Dove andavo?
Chi lo sa.
A costruire qualche nuova menzogna?
No,
alla ricerca della verità.
(Aldo Palazzeschi, Via delle cento stelle)
Il poeta è ormai un uomo anziano, e qui in questa poesia i versi si coniugano con la narrazione orale, ben specificata con le pause della recitazione. Un ibrido scritto-orale efficace. Palazzeschi con un confronto diretto con il lettore pone domande e risposte; consapevole che ad una certa età la menzogna non serve: è preferibile la verità, che potrebbe apparire più nitida, meno velata, forse rivelatrice del senso dell’esistenza umana. Il poeta è categorico: No,/ alla ricerca della verità, questo in effetti conta, a condizione che sia ben determinata la direzione della sua ricerca. Quando si è anziani, la conoscenza dei ‘passi’ è necessaria, non ci si può smarrire nei labirinti degli inganni, va ricercata la soluzione finale dell’esistenza. Dove? Difficile ‘sapere dove andremo a finire?’
nov 072019
Per nascere occorre un ritorno.
Tutto si mostrerà, tra i macigni neri,
anche lei alzerà le braccia esultante
con barlume di tutte le infanzie,
con l’acqua più in su della vita,
giungerà il richiamo, un’estate
che somiglia alla prima
via conosciuta, l’estremo nome
di ogni vita.
(Milo De Angelis, Un’oscura sete)
La poesia di Milo De Angelis ci dà l’idea della circolarità dell’esistenza: dove ogni cosa confluisce ad un ritorno: un azzeramento di tutto ciò che è stato per un nuovo inizio. Potremmo definirlo come il gioco dell’esistenza, immaginando, per un attimo, il gioco dell’oca. Nel testo, tuttavia, in particolare al v.3, compare il pronome ‘lei’ di cui non è dato stabilire l’identità e ci costringe ad accettare l’esistenza di qualcosa. Cosa? Non è facile rispondere a questa domanda, tra l’altro ‘questo personaggio’ misterioso è identificato con chi ha l’acqua più in su della vita. È forse un soggetto che vive, ma non pensa, non ha nulla più da ordinare, da sistemare, poiché tutto volgerà al ‘ritorno’ e non vi sarà necessità di chiudere in una memoria statica il vissuto? Ci sarà certamente un ulteriore ritorno e un ulteriore inizio, e già tutto ciò rivela la ‘non esistenza del soggetto’ ma ‘l’esistenza di una esistenza’ che non ha alcunché di subordinazione alle cose che regolamentano la vita. Insomma, la poesia si connette, anzi puntiglia nei sostrati della materia della parola il verbo del mistero e inocula il virus dell’immaginazione del futuro.
ott 312019
Prepara così:
minio, biacca, cinabro
prepara l’incarnato
segna in cinabro le labbra
scolpisci l’attesa di una cosa
ocra cupa verde terra e tutto il nero
osato per coprire, scaturiscilo
intonaco tonachino calce sabbia sottile polvere di marmo
arriccio sabbia pietrisco calce spenta acqua
fissa il vivo
(la materia per un attimo ha un peso
se la cerchia rovescio
(Luigi Severi, da Sinopia, Exit 2013)
La poesia è tratta da un volume antologico dal titolo EX.IT 2013 con testi e immagini inediti.
Ex.it è, tra l’altro, una rassegna internazionale di scritture di ricerca, che si tiene annualmente ad Albinea (Emilia-Romagna), realizzata e curata dal Fondo EX.IT, costituitosi presso la Biblioteca ‘Pablo Neruda’.
Del testo in questione ne parla il libro La poesia italiana degli anni Duemila di Paolo Giovannetti, editore Carocci 2017.
Questo testo incarna lo spirito, di molti poeti italiani contemporanei, volto a fare esperienze vivaci e nuove di fare e intendere poesia negli anni duemila. Ma non c’è poesia – come spiega Giovannetti nel libro –, ci sono le poesie, tanti e vari modi di interpretare una parola che, in sé, è orrendamente generica e vaga. La poesia, quindi, non sta tutta da una parte, in un poeta, ma tutto in un complesso che va interrogato. Insomma, c’è oggi una genialità nel fare poesie, fughe dalla tradizione. Poesia è ricchezza di parole e di stili in rapporto con la metrica, le ripetizioni, le rime, la liricità, che ne rilevano il suo non essere una ‘cosa’ ma molte ‘cose’. Ed è bella e intrigante, generosa, avara, come una donna che non conosce sazietà di desiderio, sempre alla ricerca di un ‘nuovo’ che possa esibire con sfrontatezza, ma, anche, con eleganza, nel silenzio e nel rumore, in un contesto linguistico aperto vibrante di suoni e di immagini.
Il testo di Severi pare essere un manuale di istruzione: all’inizio, ci si può pensare che le prescrizioni riguardino un trucco; mentre nell’ultima parte si comprende bene che si tratta di un’intonacatura di una casa. In fondo, la poesia non è altro che l’intonacatura di una e più parole.
ott 232019
Dai finestrini dell’autocorriera
ferma in coda sul ponte, una mattina,
abbiamo visto il ritardo mangiarsi il mondo,
abbiamo visto tutto il tempo che c’era.
Le nostre teste hanno smesso di dondolare.
Ai nostri quattro pensieri gonfi di sonno
è arrivato da sotto, tra campi e case,
un cigolio di cingoli.
Sul fondo dello sterro che sia priva
nei nostri sogni come una mano,
abbiamo visto il nero di un macigno
che non passava. Due pale meccaniche
abbiamo visto, come cigni in un lago,
tuffare il collo a turno sotto quel sasso.
( Umberto Fiori, Sterro, da La bella vista, 2002)
Umberto Fiori è nato a Sarzana nel 1949, vive a Milano, laureato in filosofia, è un insegnante, poeta, scrittore e musicista.
In Sterro, il poeta ci mette in contatto con l’immagine di un pullman e dei suoi passeggeri, in ritardo a causa dei lavori di scavo presso un ponte.
Il ritardo è il protagonista di questa poesia. I passeggeri di un pullman assistono all’intoppo temporale che li costringe a ‘rimanere appesi’ ad un tempo non sostenuto più dal suo naturale scorrimento. Entrano, quindi, in contatto in modo diretto con i cigolii dei cingoli, un rumore inatteso in una situazione altrettanto inattesa. Fiori ci restituisce in questi versi la quotidianità del tempo, che ci costringe ad assistere al tempo stesso che si arresta.
Il tempo assume a sé un rumore e lo rimanda ai passeggeri come segno di sospensione della quale non si può sapere nulla.
Il tempo è il nostro concetto di riferimento al mondo, un’astrazione mentale di cui ci serviamo per comprendere un movimento invisibile ed eterno, incomprensibile, ma organizzato tra le lancette dell’orologio, ovviamente per nostra comodità. Ad esso siamo sottoposti in una condizione conflittuale di interessi e di ragioni che si esprimono in due distinti versanti: ‘essere cosa’ a sé, oppure essere ‘parte’ della traiettoria del tempo che dà svolgimento di eventi nel mondo, senza che vi sia – da parte dell’uomo - nessuna interpretazione antecedente allo svolgimento dell’evento. Rimane soltanto l’amara constatazione di essere nel tempo, alle sue spalle, mai davanti ad esso, di esserci dell’essere (Heidegger).
Nel testo di Fiori, rileviamo la consapevolezza dei passeggeri di ‘vedere’ il ritardo mangiarsi il mondo. Ecco, allora, il ritardo che priva l’uomo della gestione in ‘comodato d’uso’ del tempo.
Il ritardo è estraneo al tempo e all’uomo, però appare come un’esigenza del tempo ad ostacolare l’incontro dell’uomo con il mondo. Esso è, ancora, il presentimento di qualcosa che è in latenza: un ritorno del tempo a sé, che non abita nella pura immediatezza, ma instaura un frammezzo che deve sopportare l’attesa di un nuovo tempo indecifrabile, per il quale bisogna comunque vigilare e attenderlo.
Questo tempo del qui e non dell’altrove ha un sapore di angoscia, di sudore, di smembramento dei pensieri, di attesa infinita di incognite. È dimora del nulla, e nel nulla si compie ciò che nell’idea del tempo è il tempo, vale a dire un senza limite di intensità e durata.
Il verso abbiamo visto il ritardo mangiarsi il mondo è la configurazione del finito imprigionato nello spazio insolvente del tempo. Il ritardo, possiamo intenderlo, come un atto di ribellione di un frammento del tempo nei confronti delle leggi di movimento costante ed eterno. Una fuga ‘romantica’ del figlio-frammento dal padre-tempo, padre-tiranno. Padre-tiranno di se stesso, nell’elaborazione incessante di attimi conformi e omologati alla legge dell’eternità che non ammette alcunché di diversità e differenziazione, sempre nella convinzione di piantare le sue tende in altri mondi, in un susseguirsi di tempi e di modi mai volti al compimento, inclusi – invece – in una sorta di maledizione dettata dal suo stesso desiderio di generarsi all’infinito nell’abitazione del verbo scorrere, il quale esclude il ricorso totalizzante al ritardo.
Allora, il ritardo è la giusta sospensione di tempo che riceve l’uomo affinché egli stesso si adoperi a dare una curva alla linearità del tempo, sterzando il principio regolatore del motore verso una condizione meno asfissiante del vivere tempo e della sua pura mortalità.
Il ritardo è una trasgressione che il tempo compie su se stesso, imponendosi di non pensare il proprio pensiero di tempo nella determinazione di ‘questo momento’, poiché forse ‘questo momento’ non esiste. E sarebbe utile che oggi si guardasse e soprattutto si intendesse il tempo in maniera diversa di come si è fatto sino ad oggi, con l’intento di migliorare il nostro rapporto al mondo, in una condizione di umano, troppo umano.
Fiori ci ha messo di fronte a un fatto descritto in maniera straordinaria: abbiamo visto il ritardo mangiarsi il mondo, in cui l’immagine suscita idee e favorisce la formazione della poesia; tuttavia, la parola come il tempo occorre attraversarla…