Il blog di Elio Ria

Spighe di poesia

Il destino del poeta

ott 162019

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Parole? Sì, d’aria,
perdute nell’aria.
Lascia che mi perda tra le parole,
lascia che sia l’aria sulle labbra,
un soffio vagabondo senza contorni,
breve aroma che l’aria disperde.


Anche la luce si perde in se stessa.

(Octavio Paz, Destino del poeta, Libertà sulla parola, Guanda 1965, trad. it. G. Bellini)

Ocatvio Irineo Paz Lozano (1914-1998) è stato un poeta, scrittore e saggista messicano, premio Nobel per la letteratura nel 1990.
Il destino del poeta e quello di diffondere l’aroma della poesia come il caffè del mattino, in una sensazione di quiete e di dolcezza, dove tutto si perde, anche l’aria. Il destino del poeta è questo: smarrirsi tra le parole, in un lessico di immagini e di intenzioni, di speranze, affinché almeno una parola faccia sussistere il mondo, la nostra realtà, dalla quale non sempre ne riconosciamo la fattualità.

Quando il ‘non dire’ è già di per sé un ‘dire di desiderio’

ott 102019

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Il più bello dei mari
è quello che non navigammo.
Il più bello dei nostri figli
non è ancora cresciuto.
I più belli dei nostri giorni
non li abbiamo ancora vissuti.
E quello
che vorrei dirti di più bello
non te l'ho ancora detto.

(Nazim Hikmet)

 

Cosa c’è di più bello nella vita? C’è ciò che rimane per sempre in un sogno! Il compimento del desiderio dà ristoro in un attimo, ma poi se ne ricerca un altro in una moltiplicazione di attimi all’infinito. E allora ciò che non avviene, ma rimane sempre nel cuore, ed è pensabile in ogni istante, è sublime.
In questo testo poetico Nazim Hikmet ci dà la prova della bellezza del desiderio inesprimibile e irrealizzabile, che rimane però dentro nell'intimità affinché sia per sempre pensiero di desiderio.

 

Il paesaggio che ci sfugge

mar 312019

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Non questa luce
sull’inceneritore,
non queste case grandi
e tutte a spigoli:
il tuo castigo sono le ore
che senti il sangue scorrere
come a rovescio,
e sei fermo sull’angolo
e vedi il paesaggio che ti sfugge,
viene, brilla e si vuota
come in uno specchietto retrovisore.

(Umberto Fiori, Paesaggio)

Vediamo una realtà, anche quella in apparenza più oscura (l’inceneritore), vuota di senso, a rovescio, che non brilla. Percepiamo la realtà componendo in immagini la decadenza che c’è in noi. Fermi sull’angolo di un luogo il paesaggio ci sfugge, non sappiamo cogliere l’erba anemica che ai bordi di un marciapiede germoglia, nemmeno gli spigoli delle case cubiche che vorrebbero significare la non circolarità della nostra esistenza. Ci manca la giusta dose di malinconia, di incapacità a stabilire un rapporto con il prossimo e la realtà. Può mai bastare uno specchietto retrovisore?

 

 

La parola di Emily

mar 102019

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Una parola è morta
quando è pronunciata,
così dice qualcuno,
io dico invece
che incomincia a vivere
proprio quel giorno.

(Emily Dickinson, Frammento 1212)


La poesia dickinsoniana è una poesia di singolare concretezza, nonostante gli aspetti metaforici e a volte trascendentali di cui sono connotati i suoi versi “di-versi” e inoppugnabili, che nella potenzialità della Parola (quasi sovrumana) esprimono l’intima essenza della Poesia.

Dialogo intimo con gli oggetti

feb 192019

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Non parlavo che al cappotto disteso
al cestino con ancora una mela
ai miti oggetti legati
a u abbandono fuori di noi
eppure con noi, dentro la notte
inascoltati.

(Antonella Anedda, Ora tutto si quieta, tutto raggiunge il buio)

Gli oggetti fuori di noi, ma legati con noi. Antonella Anedda lega un dialogo intimo con gli oggetti in un dispiegarsi di esclusione e di abbandono; ma soprattutto di resistenza al tempo che logora e spezza i ricordi degli oggetti che sono partecipi della nostra vita. Oggetti che sanno dire di noi, basta chiederglielo.

Immagini di discussione

feb 102019

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Quando due che discutono
sono arrivati al cuore della questione
e uno alza gli occhi al cielo, scuote le braccia,
l’altro si guarda intorno
a mani giunte, come cercando aiuto,
e gridano fatti e prove,
cambiano tono, si chiamano per nome
– ma non c’è niente, nessuno che possa più
dare ragione a nessuno –
proprio allora, lontani come sono,
rivedono il miracolo:
che sia una la stanza,
che sia lo stesso
il tavolo dove battono.

(Umberto Fiori, Altra discussione)

Una discussione come tante che si snocciolano in una stanza, circoscritta fra poche persone; dove la ragione è sempre appesa a un filo invisibile di verità e a un carico di gestualità. Umberto Fiori la rappresenta con fotogrammi letterari e con meticolosità per evidenziarne la paradossale della staticità dei contendenti, in cui i contenuti si rimandano fra di essi e si contorcono, si imbottigliano, in un litigio infinito che s’innalza nei toni, si abbassa nelle motivazioni, si stempera infine (forse) per sopraggiunta e inevitabile stanchezza.

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