apr 292018
Ho acceso un falò
nelle mie notti di luna
per richiamare gli ospiti
come fanno le prostitute
ai bordi di certe strade,
ma nessuno si è fermato a guardare
e il mio falò si è spento.
(Alda Merini)
L’indifferenza è il rifugio degli egoisti; è il paradiso della conservazione dei propri piaceri che non contempla appunto l’interesse e l’attenzione per gli altri, o per una parte degli altri, di coloro che in silenzio chiedono con uno sguardo un gesto di presenza.
apr 212018
Quando fanciullo io venni
A pormi con le Muse in disciplina,
L'una di quelle mi pigliò per mano;
E poi tutto quel giorno
La mi condusse intorno
A veder l'officina.
Mostrommi a parte a parte
Gli strumenti dell'arte,
E i servigi diversi
A che ciascun di loro
S'adopra nel lavoro
Delle prose e de' versi.
Io mirava, e chiedea:
Musa, la lima ov'è? Disse la Dea:
La lima è consumata; or facciam senza.
Ed io, ma di rifarla
Non vi cal, soggiungea, quand'ella è stanca?
Rispose: hassi a rifar, ma il tempo manca.
(G. Leopardi, Scherzo)
La musa conduce il fanciullo disciplinato a vedere l’officina della Poesia. La divina maestra mostra al suo allievo i ferri del mestiere. E la lima? chiede di colpo il giovane. La risposta: «La lima è consumata; or facciam senza». Incredulo, il ragazzo non soddisfatto, chiede di ripararla. La risposta della musa è perentoria: «ma il tempo manca».
Il concetto è chiaro. In epoca moderna, per Leopardi, prosa e poesia sono segnate da fretta, superficialità, approssimazione e imperfezione. Resta da ammirare la bravura di Leopardi con cui, anche scherzando, sapeva interpretare il cinismo e la vanità culturale della società nella quale viveva.
Il libro anche oggigiorno è raffazzonato nello stile e nel contenuto; belle copertine, pubblicità suggestiva, critica compiacente ne fanno un prodotto da banco per il supermercato della mediocrità.
«Disgraziatamente l’arte e lo studio son cose oramai ignote e sbandite dalla professione di scrivere libri» (Zibaldone, 4269).
apr 152018
L’empio servo tremò; con gli occhi al suolo
udì la sua condanna. A lui non valse
merito quadrilustre; a lui non valse
zelo d’arcani uffici: in van per lui
fu pregato e promesso; ei nudo andonne,
dell’assisa spogliato, ond’era un giorno
venerabile al vulgo.
(Giuseppe Parini, La vergine cuccia, vv. 26-32)
Il servo sacrilego tremò, colpevole di aver dato un calcio a una 'alunna delle Grazie'. Al domestico non valse il fatto di aver servito meritevolmente per molto tempo il padrone, né la motivazione di essere stato messaggero nascosto di comunicazioni amorose con zelo. Andò via, dunque, senza più addosso la livrea che lo aveva reso degno di rispetto agli occhi del popolino. Licenziato, nudo, senza culto, senza la superbia del servo dimesso. Rancido nello spirito, con fremito di vendetta e spasmo di rivincita va a nuova vita il servo.
apr 072018
Per fare un prato occorrono un trifoglio ed un’ape –
un trifoglio ed un’ape
e il sogno!
Il sogno può bastare
se le api sono poche.
(Emily Dickinson, II, XCVII [1755])
Il mondo è dentro di noi, non è necessario uscire dalla propria stanza per conoscerlo. Dickinson rappresenta il mondo con immagini folgoranti e con versi essenziali puntellati da un trattino, e quantunque tutto ciò non dovesse bastare rimane il sogno a deliziare le assenze materiali e immateriali che caratterizzano la vita di ognuno, poiché in vita avremo sempre qualcosa che è in eccesso e qualcosa che è in difetto, ma ciò che eccede compensa ciò che è in difetto.
Il trattino è un segno ortografico che nel verso incede nel sogno per marcare il mondo, delimitarlo nelle sue parti essenziali di natura – un prato, un’ape e un trifoglio sono sufficienti per un respiro altro di mondo.
mar 312018
Scrivi in prosa
Scrivi in prosa i tuoi versi e avran fortuna
ora che i verso più non si misura
né si bada alla stoffa o alla fattura,
se imberci un vero che la mente abbruna.
Non t’attentar d’infastidir la luna
che sul ciel ci sta sol per figura,
e lascia Febo, padre dell’arsura,
che i nostri bimbi hanno riposto in cuna
Vive di larve che il vento disperde
Che s’arrischia a cantar la gentilezza
Ond’ebber fama un dì l’arme e gli amori;
perocché senza sugo il tempo perde
chi non mette tra i fior della bellezza
della sua ganza i madidi pallori.
(Giuseppe Revere)
Giuseppe Revere nacque a Trieste nel 1812 e morì a Roma nel 1889. Ebbe una parte importante nella storia del Risorgimento; animato di un incoercibile estremismo partecipò alle Cinque Giornate di Milano, passato a Venezia, Daniele Manin dovette espellerlo per le sue intemperanze. Criticò la società post-risorgimentale per le tante promesse e rieducazione politica e sociale mancate. Di formazione heniana, fu spirito anticonformista. Nelle sue raccolte di versi evocò, sull’esempio di Giuseppe Prati e in uno stile classicheggiante, paesaggi sentimentali intrisi di simbolismo filosofico-religioso.
Con tiepido sarcasmo nel testo Scrivi in prosa invita i poeti a scrivere i versi in prosa per avere fortuna, senza badare troppo alla qualità della stoffa, ponendo anche un accento polemico alla narrativa realistica e alla sua morbosità ispiratrice.
Oggigiorno avrebbe invitato i poeti (?) a non scrivere nulla e a occuparsi di altro, difatti la qualità più non si misura.
mar 242018
Congedarmi mi dà angoscia più del giusto.
Sono stato troppo uomo tra gli uomini o troppo poco?
Il terrestre l’ho fatto troppo mio o l’ho rifuggito?
La nostalgia di te è stata continua e forte,
tra non molto saremo ricongiunti nella sede eterna.
(M. LUZI, da La Passione, Milano, Garzanti, 1999. Lo stesso monologo venne contemporaneamente pubblicato anche a Brescia per i tipi de l’Obliquo con il titolo Via Crucis al Colosseo).
Gesù sulla croce confida i propri dubbi al Padre nell’attesa che tutto si compia in un tempo che certamente non è eternità, posseduta e governata da Dio che è anche dove pare assente, ed è Dio stesso, divinità che è tempo e ogni cosa. Gesù parla del tempo che appartiene agli umani e di cui avverte la tristezza indicibile. Il tempo nel suo eterno avvicendarsi si conclude e riparte nuovamente, ponendo l’uomo nella scansione di un tempo che dà gioia e dolore.
Si chiede infine di ciò che effettivamente sia stato sulla terra: troppo umano tra gli uomini o troppo poco?
Se fosse stato troppo umano forse la sua vita avrebbe avuto un altro epilogo. Sul Calvario, sulla croce, è più uomo per dare fede di sottomissione a Dio. Troppo umano tanto da essersi fortificato in virtù di prodigi tra gli uomini; troppo poco per non lasciarsi dimenticare dal Padre, al quale vuole ricongiungersi con tenerezza pur in mezzo a grande tribolazione.