Il blog di Elio Ria

Spighe di poesia

La tana del fato

set 152018

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Da ragazzo, Theodore, sedevi per lunghe ore
sulle rive del torbido Spoon
con gli occhi profondi fissi sulla tana del gambero,
aspettando che apparisse spingendo la testa,
prima le antenne ondeggianti, come fili di fieno,
e poi il corpo, colorato come steatite,
gemmato con occhi di giada.
E tu domandavi, come rapito,
che cosa sapeva, che cosa desiderava, e perché mai vivesse.
Ma più tardi guardasti uomini e donne
nascosti nelle tane del fato fra grandi città,
osservando le loro anime uscire,
in modo da poter vedere
come vivevano, e per che cosa,
e perché strisciassero così in faccende
sulla distesa di sabbia dove l’acqua vien meno
quando l’estate declina.

 
(Tratto da E. Lee Masters, Antologia di Spoon River,
Einaudi, Torino 2009)

Tana per il gambero, casa per gli uomini. Entrambe sono luogo di protezione per una vita tranquilla, ma soprattutto ‘tane del fato’. C’è da chiedersi perché ‘tane del fato’? In verità, considerare un luogo preciso di abitazione del ‘fato’ appare un azzardo, non spiegabile, nonostante sia apprezzabile la similitudine gambero/uomo. La poesia di Masters, con questa indeterminatezza ed enigmatico significato del destino come luogo di esistenza, ci dice che non vi è alcun motivo per sperare nell’inesistenza del fato, addirittura ne attesta la residenza. Insomma, nulla di serio, tutto vacuo e tutte le cose umane sono tristi e deplorabili. Forse!? Mi pare che ridere sia impossibile; no, no, conviene invece ridere per giustificare la tristezza e riconoscere come l’immensità che caratterizza un orizzonte privo di confini sia almeno consolatoria, pur in assenza di possibilità definitorie. Tuttavia, si deve avere il buon senso di salvare il tragico (fato), altrimenti quale bussola si possiederebbe nella vita?

 

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