Il blog di Elio Ria

Spighe di poesia

2. Tutti lo conoscono, pochi lo leggono

gen 192021

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Dante tutti lo conoscono. Pochi lo leggono. Amato dai dantisti. È studiato però con affanno dagli studenti. Benigni lo ha letto in televisione e nell’aula del Senato (4 maggio 2015), in occasione del 750° anniversario della nascita. La cultura televisiva (unica realtà percepita da milioni di persone) impera e quand’essa è ‘somministrata’ al pubblico da un comico dà forse maggiore diletto. Fatto rilevante è che Dante sopravvive grazie al suo nome e cognome, ma della Divina Commedia e delle altre sue opere gli italiani sanno ben poco.
Si è conclusa la stagione della cultura, nonostante gli sforzi anche governativi di ringiovanirla alla stregua di una donna vecchia che costantemente si sottopone ad interventi chirurgici per migliorare l’aspetto del viso e del corpo, ma rimane pur sempre una donna rattoppata che non crea più stupore. Sui Grandi della letteratura è forse calato il grande silenzio? La funzione dell’intellettuale è in liquidazione? Un tempo l’intellettuale fondava la propria opera sul presupposto che la storia avesse un senso, prestava il proprio impegno per quel senso al fine di ridefinirlo, aggiustarlo, sui principi del fare cultura. Oggigiorno si avverte l’assenza di ‘quelle cose’ che negli anni ’70 e ’80 rappresentavano la voglia di impegno nella cultura e fungevano da stimolo nell’innovazione sociale, nel pensiero, nella riflessione, nel contatto umano. Cos’erano ‘quelle cose?’. Essenzialmente le fabbriche, gli operai, il ceto medio, che avevano un determinato peso specifico nel contesto contemporaneo. Di ‘quelle cose’ oggi rimane ben poco: il nuovo capitalismo tecnologico e finanziario ha frantumato l’architettura sociale indispensabile alla conoscenza, al sapere e alla divulgazione del patrimonio culturale nazionale. La povertà di oggi è anche culturale: mancano i lettori, gli scrittori veri scarseggiano. Ogni cosa che riguarda l’individuo e nell’insieme la società è resa fluida e finisce nelle tubature di scarico, trascinando con sé la memoria e la speranza di futuro. In Italia, la circolazione del sapere è in aderenza all’ovvietà e il valore della fiducia in essa è scarso. Leggere i classici permetterebbe invece un confronto con un mondo culturale distante e vicino, del quale si avverte ancora l’esigenza di comprenderlo meglio e di rivitalizzarlo nel contesto dell’attualità. Distante per l’intervallo storico e temporale; tuttavia vicino per il suo innegabile aspetto fondativo della civiltà occidentale.
Questi sono tempi brutti e difficili, ma in ambito letterario l’Italia ha una tradizione di studi superiori molto importante che deve essere salvaguardata: ma salvaguardare significa ripensare e rinnovare.
Dove sono gli intellettuali? Cosa fanno gli scrittori? I poeti contemporanei? Quest’ultimi sono fin troppo impegnati alle loro produzioni,  preferiscono i salotti di quattro dame all’impegno al quale è invece chiamato il poeta, quell’impegno civile di cui Dante ci ha trasmesso la testimonianza con un’opera che resiste, per fortuna, e che nonostante tutto vive e rappresenta un modello di poesia, e non solo.
Asor Rosa non ha dubbi:

Se fino agli anni Settanta riesci a collocare gli scrittori entro categorie definite, già nel decennio successivo il quadro appare disintegrato. […] Fino agli anni Settanta, il panorama si compone di scelte nitide, dagli anni Ottanta in poi, e in misura crescente, questo non è più possibile. Si pensi agli ultimi narratori degni di considerazione: Mazzucco, Ammaniti, Vinci, Giordano… Ognuno di loro, necessariamente, va per proprio conto: la cosiddetta «società letteraria» si è totalmente disintegrata (Il grande silenzio, Laterza, 2010).

La parola scritta non può che essere politica, in quanto è depositaria di un alto significato della responsabilità dell’impegno del poeta, ed è condivisione tra la storia personale del poeta e quella di tutti gli altri individui. La poesia fa accadere sempre qualcosa di buono. Essa è nell’uomo e parla dell’uomo, dei suoi rapporti, delle speranze, delle disperazioni, delle gioie, del passato e del presente. Parla di ciò che è contenuto nell’Io, ma anche di ciò che è latente. Dante docet.
L’assenza di lettura connessa alla sua importanza sociale è anche riconducibile alle abitudini di pigrizia del lettore, che preferisce il comodo divano per saziarsi di programmi televisivi inutili e demenziali. E pensare che un tempo la televisione mandava in onda (1963-1968) Almanacco, programma di divulgazione con cadenza settimanale toccando argomenti di scienza, storia e costume; nel comitato di redazione figuravano studiosi e docenti universitari come Carlo Bo, Alfonso Gatto e Gabriele De Rosa. Negli anni ’60 Non è mai troppo tardi era un corso di istruzione popolare a cura di Alberto Manzi.

Non si legge, ma si pubblicano quintali di poesie che fanno rabbrividire per le banalità esplicate. La poesia non fa tirature. Tutti si avvalgono (indegnamente) del titolo di poeta. Il poeta nel terzo millennio ha una grande responsabilità: dovrà innanzitutto comprendere che quanto più scarsa è la disponibilità della gente all’ascolto, tanto più intensa è la necessità della gente di essere ascoltata. È una paradossale condizione della società, la quale ormai stenta a proteggersi dall’eccesso di proposte che provengono da ogni ambito sociale.
La poesia è percepita come un’attività arcaica, estranea al ‘mercato’. Si riscontra l’assenza di una lingua autorevole e credibile, fruibile da tutti, non elitaria, che sappia opporsi al linguaggio dell’omologazione di massa. La forza della poesia, per Dante, consisteva nella capacità di trasmettere la verità, di significare e di osservare le cose con la sensibilità insita nella propria natura di poeta, al punto di creare un ponte fra la luce dell’intelletto e le cose invisibili.
La poesia può opporsi al degrado sociale, può fare in modo che la letteratura classica conservi la sua autenticità.
Cultura non vuole dire leggere tanti libri o imparare nozioni, ostentare in ogni modo erudizione, recitare dotte citazioni in latino, rievocare a vanvera letterati del passato. Anzi, vuol dire sviluppare idee, presiedere ogni giorno al motore della mente per oliarlo e farlo partire, ragionare, riflettere, ponderare. Il tempo di questa società è sublimato (nella sua accezione scientifica): si trasforma direttamente dallo stato solido allo stato aeriforme, con la conseguenza che non si riesce a comprendere più né lo stato né la sua condizione temporale. Sì è sempre indaffarati e la vita scorre con continui rimandi al dopo, costantemente in condizioni di disturbo. Il tempo è così ristretto che ha prodotto profondi mutamenti a livello individuale e collettivo, i quali generano cicli ripetitivi di occupazioni, automatizzati e corrispondenti al concetto di un benessere corporale ossessivo. C’è, ad esempio, uno strumento che ormai nessuno utilizza: l’agenda. Non ha più senso scrivere appuntamenti; ogni cosa si sviluppa in un segmento temporale così breve che non richiede di essere ricordata. L’ozio contemplativo e la lettura in solitudine sono attività che non si tengono in considerazione. È in atto il totale controllo delle coscienze. In questa sconcertante realtà lo studio è demandato nelle aule scolastiche con le consuete forme di insegnamento, dove il piacere della lettura è commisurato ad un alto tasso di disinteresse, e gli studenti non riescono a dare un senso al loro dovere di studio, presi come sono da altri aspetti affabulatori, dei quali sono vittime inconsapevoli.

 

 

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