Il blog di Elio Ria

Spighe di poesia

Case di calce

mar 112018

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Tu non conosci il Sud, le case di calce
da cui uscivamo al sole come numeri
dalla faccia di un dado

(Vittorio Bodini, La luna dei Borboni)

 

Era il Sud di Bodini. Polvere, odori genuini di cucina, gente vestita di dolore e colori, campi di grano e vigna, altari fioriti a Pasqua, campanili magri. Bambini vestiti di primavera. Olio e uva, grano, pane per tutte le ore, uomini e donne appesi al cielo, resurrezione e morte, preghiere e lamentazioni, feste di piazza con scapece e luminarie, processioni e bande, santi e madonne, confratelli e guardie d’onore, il mare negli occhi di tutti, mani grandi e ruvide, fumo di tabacco, briscole e scope nei bar. Il dialetto: un’armonia di suoni e voci dai toni bassi in principio di discorso, poi alti e disarticolati in immagini gestuali alla fine. Più che una lingua un atteggiamento frivolo verbalmusico con montaggi di vocaboli spiccatamente fuori lingua per marchiare situazione di vita, dove i dadi assumono il gioco di magia nel parlato e nell’agire. Dadi bianchi come case di calce, quella calce che un tempo bolliva ed era calda, densa e morbida, dura a temperatura ambiente, liquida per imbiancare e disinfestare.

Sud di spensieratezza e di fatica: concetto infinito di semplicità, forte nell’agire, che nel suo modo di vivere con macare (streghe), leggende, esorcismi individuali e collettivi, abitudini adattate alla sorte, è magia oltre i riti della superstizione e della bellezza di un terra che non smette mai di resistere alla sorte.

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