Il Blog di Rosario Frasca

Le opinioni di un Clown, ovvero: Il mito di Er

Il sacrificio dell'eroe

mag 062022

La condizione dell'artista

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Nella discussione fatta tempo fa sulla lettura del romanzo di Boll, "Opinioni di un clown" in un intervento, Eloise ha posto una domanda specifica sulla condizione dell'artista secondo Hans, (il clown protagonista del romanzo) argomentando tre passi del romanzo, per lei fondamentali:

 

Nel "grido dell'anima" del clown Hans, oltre all'amore, al desiderio, alla critica eccetera si dà anche una rappresentazione molto ben definita dell'artista "vero", cioè non di colui che insegue la fama e l'approvazione sociale ma di colui che vive proprio la condizione dell'artista. Riflessione tra l'altro quanto mai moderna, anche se con miriadi di altri autori e filosofi alle spalle.

Come si può definire la coscienza infelice rispetto alla condizione dell'artista. Le coppie letterarie, fino a che punto possono aiutare in questo. Comunque sia, quali sono i punti principali della condizione dell'artista secondo Hans?

 

Questi tre passi, a mio avviso, sono fondamentali:

1 - http://www.letteratour.it/forum/img/boll01.gif#.YnVePs4D0XI.link


Bellissimo passo secondo me in cui si prendono le distanze non solo dal "messaggio per forza" di chi vuole a qualsiasi costo interpretare e ordinare l'esistente secondo propri criteri e schemi pre-determinati (qui in primis la borghesia e i cattolici), ma anche dalla criticaversus l'arte. "Io detesto spiegare una metafora": grande monito anche per noi stessi, che siamo qui a riflettere sulla letteratura!

2 - http://www.letteratour.it/forum/img/boll02.gif#.YnVePpe9zGI.link


Oltre a contenere una semplice quanto bellissima dichiarazione d'amore, di nuovo troviamo il contrasto tra chi interpreta tutto secondo schemi prefissati e chi parla invece col cuore e basta. "Questo discorso non sa di te" ha senso solo se "da te" ci si aspetta già qualcosa, mentre la vera curiosità e conoscenza dell'altro dovrebbe basarsi sulla possibilità di accogliere e accettare le infinite sfaccettature dell'io così come le ha espresse per esempio Proust.

3 - http://www.letteratour.it/forum/img/boll03.gif#.YnVePqvZhjg.link


Qui si entra nel vivo della concezione dell'arte, che si esplica come un'essenza astratta, [invisibile], che narra, che racconta qualcosa, e che può essere del tutto estraniata dal contingente. Inoltre si introduce ancora una volta la contrapposizione artista vs borghesia dal punto di vista del concetto del tempo libero che, lo ricordo, nasce proprio con l'utilitarismo e la società borghese dell’ottocento.

 

In risposta alle questioni poste in questo lucidissimo intervento di Eloise, ho espresso un'opinione da "clown apprendista"; e ho allargato l'argomento introducendo l'osservazione sul "tempo libero" espressa dal clown romanzato:

L'opera d'arte

Il concetto di "opera d'arte" è legato indissolubilmente al concetto di tempo. Il clown Hans, "l'artista", ci pennella alcune "estrinsecazioni del "tempo libero".

"Osservo con il fervore da fanatico ogni estrinsecazione del tempo libero: l'operaio che si mette in tasca la busta paga e sale sulla sua motocicletta, l'agente di borsa che posa definitivamente il ricevitore del telefono, ripone il taccuino nel cassetto e lo chiude; oppure la commessa di un negozio di commestibili che si toglie il grembiale, si lava le mani e davanti allo specchio si aggiusta i capelli e si rifà il trucco, prende la borsetta ed eccola fuori: tutto è così umano, che spesso mi sento io disumano perché il tempo libero lo posso presentare soltanto come numero."

Mi sembra una definizione calzante sia per l'artista osserv-attore (lettore) e raccont-attore (interprete), sia per il concetto di "opera d'arte" che è vista comunque "fuori dal tempo"(sacro)* e da tutto ciò che è legato al tempo ovvero da tutto ciò che ha inizio e fine, arrivo e partenza; nascita e morte; ciò definisce l'arte intesa in senso religioso, alternativa e/o in concorrenza con la religione del "messaggio" - com'è ben esposto nel primo passo presentato da Eloise: la religione del messaggio che corrompe… la realtà e non permette di assaporare liberamente, fisicamente e armonicamente quel delizioso bicchiere di vino senza ricamarci sopra inopportune iperboli concettuali che corrompono la sacralità sensoriale del gusto con il concetto immaginario del divino: il pensiero non esalta i sensi ma riduce la realtà fisica a pura occasione divinatoria e divinizzante.

L'arte è elemento di rottura così come vuole essere la religione intesa nel senso liberatorio e non nel senso di una morale fondata sul rispetto di "regole morte", - queste sì che sono "fuori dal tempo" -, inattuali e inattuabili, fuori dalla realtà di tutti i giorni anche se rivestite di una sacralità pesso solo di comodo.

La regola, umana soggetta al tempo (potere temporale), uccide l'arte e l'artista così come uccide l'amore e l'amante. La regola senza la fede che va oltre il tempo, è la morte nell'anima: quella stessa morte a cui si ispira la coscienza infelice interpretata ipocritamente dai padroni del pensiero. Nel suo romanzo "la morte dell'anima", Jean-Paul Sartre ha descritto con lucidità questo passaggio esistenziale: "Dal rifiuto giovanile alla scelta militante. La dolorosa maturazione di un intellettuale nella Francia travolta dal nazismo" (sottotitolo del romanzo edizione Oscar Mondatori). Le leggi, per quanto perfette possano essere, senza sacrificio si trasformano in "trappole per topi".

Il sacrificio

Le opinioni del clown Hans non sono solo opinioni ma un "j'accuse" feroce all'ipocrisia che impera nella società, nell'humus culturale di una nazione, nazista per caso e cattolica per convenienza ovvero universale nell'accezione più corruttibile e deleteria del termine: l'onnipotenza, la dis-umana "volontà di potenza" che Nietzsche ha così ben definito nella sua poetica del "superuomo" e interpretato con la sua vita, lasciandocene testimonianza preziosa, per sempre verificabile nelle sue opere.

Opere intrise di "nichilismo": una filosofia, quella del superuomo, con una sua logica semplice e lineare ma con esiti nefasti; una coercizione tribale, primitiva divenuta di moda non per la sua intrinseca forza, sebbene accattivante, trainante e dirompente; ma per la debolezza  di un contraltare eroico umanistico; esiti nefasti che la storia ci ha restituito e restituisce senza compromessi; che hanno caratterizzato e caratterizzano tuttora le cronache quotidiane di una globalizzazione totale, totalitaria e impossibile.

E allora, dall'alto della nostra estraneità storica, davanti al sacrificio dell'eroico clown, l'evangelico ecce homo con il quale Pilato presenta alla folla Cristo flagellato e coronato di spine (Giovanni 19,5) si perde nell' autarchico e disarmante Ecce Bombo di Nanni Moretti.

da ecce homo a ecce bombo… !!!

 

ratio imitarum naturam (I, 60, 5.)

Il viaggio nell'aldilà di Fellini

gen 242020

 

 

"Il viaggio di G. Mastorna", storia di uno che è morto ma non lo sa (Fellini)

 

boni operis
bene operandum

 

 

"In quei giorni mi sono convinto di poter morire di infarto anche perché ho temuto che l'impresa fosse sproporzionata alle mie forze. Liberare l'uomo dalla paura della morte. Come l'apprendista stregone che sfida la sfinge, l'abisso marino, e ci muore. È il mio film - ho pensato - che mi ammazza."(Federico Fellini, "Fare un film")

 

Fellini ricorre alla metafora dell'apprendista stregone per spiegare il suo senso di frustrazione nell'aver ideato, progettato e sceneggiato un film che non ha saputo o potuto o voluto realizzare: liberare l'uomo dalla paura della morte, per Fellini è rimasto un sogno, un proposito eroico, un'opera incompiuta.

L'apprendista stregone (in tedesco Der Zauberlehrling) è una ballata composta nel 1797 da Wolfgang Goethe, ispirata a un episodio del Φιλοψευδής (Philopseudḗs , ovvero "l'amante del falso") di Luciano di Samosata.[1]

Dall'opera letteraria, il compositore francese Paul Dukas ricavò l'impianto del suo poema sinfonico "L'apprendista stregone". Alla storia si sono ispirate diverse opere successive, la più famosa delle quali è un episodio del film d'animazione Disney Fantasia (1940) con protagonista Topolino.

La ballata di Goethe racconta di uno stregone che si assenta dal suo studio, raccomandando al giovane apprendista di fare le pulizie. Quest'ultimo si serve di un incantesimo del maestro per dare vita a una scopa affinché compia il lavoro al posto suo. La scopa continua a rovesciare acqua sul pavimento, come le è stato ordinato, fino ad allagare le stanze: quando si rende conto di non conoscere la parola magica per porre fine all'incantesimo, l'apprendista spezza la scopa in due con l'accetta, col solo risultato di raddoppiarla, perché entrambi i tronconi della scopa continuano il lavoro. Solo il ritorno del maestro stregone rimedierà al disastro. La morale della ballata è chiara: il limite delluomo di fronte al mistero, di fronte all'immensità di tutto ciò che non conosce. La conoscenza è come l'acqua della metafora: più ne togli, più ce n'è da togliere.

L'espressione è diventata proverbiale anche in italiano. Nel lessico letterario e giornalistico, l'apprendista stregone è una persona che ha la presunzione di avventurarsi in ambiti che non conosce, applicando metodi e tecniche che ancora non è in grado di padroneggiare, con l'alto rischio di provocare danni irreversibili per tutta la collettività. La figura dell'apprendista stregone si può inoltre considerare anticipatrice di quella dello scienziato pazzo, personaggio tipo della narrativa e del cinema popolare nel Novecento.

 

"Il viaggio di G. Mastorna", il film ideato, scritto e mai girato di Federico Fellini, rientra in pieno tra le opere riconducibili al mito letterario dell'apprendista stregone. L'ossessione di Fellini, per la parola "fine", che non voleva apparisse al termine del film, racchiude questo significato mitico dell'apprendista stregone:

 

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l'impotenza dell'uomo di fronte al mistero dell'aldilà

 

La realizzazione dell'aldilà onirico di Fellini, resta un'opera incompiuta; un logos sovrumano che l'artista non ha saputo e/o potuto e/o voluto rappresentare. Il grande regista, come l'apprendista stregone, sembra che si sia arreso al suo desiderio inappagato; ma, a ben guardare, la parola "FINE" al termine del suo film non è stata scritta. Questa sua irrequietezza di fronte alla parola "fine", è già un segno che connota il suo personale e problematico rapporto con la morte: il suo intimo rifiuto per quell'ultimo respiro, l'atto che per lui rappresentava la "fine" di tutto. Un pensiero che lo costringe nell'angoscia; al vuoto esistenziale di un uomo che si nega qualsiasi futuro: un uomo senza speranza.

 

 

 undefinedIl grande sipario si è chiuso inesorabilmente anche per lui; ma aldilà del sipario, il suo set resta pienamente operativo: la sua opera continua per sempre, in eterno, nei percorsi misteriosi dell'aldilà. "Il viaggio di G. Mastorna" non finirà mai. Il fastidio fobico di Fellini per la parola "fine" è superato: quella brutta, incombente e minacciosa parola, non è comparsa nei titoli di coda del suo film: la "fine" non ha corrotto il senso e la purezza del suo mondo onirico. In fondo, qualsiasi opera d'arte è, e resta, un'incompiuta d'autore: perchè comunque l'opera si perpetua e si sviluppa in chiunque la guardi, la legga e la interpreti, risuscitandola a nuova vita, nei secoli dei secoli.

 

L'opera omnia di Fellini altro non è che la rappresentazione onirica e della sua vita, filtrata e addolcita dalla memoria affettiva; il ricordo indulgente verso l'icona di un vissuto in un mondo di macerie, ruderi oscuri e fondali luminosi; terrificante e poetico; una realtà onirica che si rivela in tutti i suoi film, in tutte le sue stupefacenti e immaginifiche sceneggiature.

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Ogni personaggio dei suoi film è una maschera di se stesso; del vero Fellini che ci guarda sornione dallo schermo velato e rugoso di un cinema di periferia e ci dice: "Ecco, anche questo film serve a qualcosa. Io non lo so a che cosa serve… se uno sapesse tutto, quando si nasce, quando si muore, sarebbe Dio. Io non lo so a che cosa serve questo film, ma serve. Perché se non serve questo film, non servono neanche le stelle.." (cfr. Federico Fellini, La Strada).

 

 

 

 

L'opera incompiuta di Fellini ci rappresenta, insieme a tutte le nostre periferie esistenziali che cercano alloggio nei quartieri "incorrotti" e misteriosi di un aldilà onirico e purificante. La morte, ovvero la porta dell'aldilà, qualcuno ha voluto fissarla in immagini danzanti in note dolcissime.

 


 

 Dialogo dal finale di 8 e 1/2

(R) Luisa, mi sento come liberato; tutto mi sembra buono, tutto ha un senso, tutto è vero.

Ah come vorrei sapermi spiegare, ma non so dire.

Ecco, tutto ritorna come prima, tutto di nuovo confuso; ma questa confusione sono io: io come sono e non come vorrei essere; e non mi fa più paura.

Dire la verità, quello che non so, che cerco, che non ho ancora trovato;

solo così mi sento vivo e posso guardare i tuoi occhi fedeli senza vergogna. È una festa la vita, viviamola insieme.

Non so dirti altro Luisa, nè a te nè agli altri; accettami così come sono, se puoi; è l'unico modo per tentare di trovarci.


(L) Non so se quello che hai detto è giusto; ma posso provare ...se mi aiuti.

 

 

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Per correr miglior acqua alza le vele

ormai la navicella del mio ingegno,

che lascia dietro a sé mar sì crudele;

 

   e canterò di quel secondo regno,

dove l'umano spirito si purga

e di salire al ciel diventa degno.

(Purgatorio, Canto I - Dante Alighieri)

 

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