Il Blog di Rosario Frasca

Le opinioni di un Clown, ovvero: Il mito di Er

La Greppia di Natale

dic 102022

Racconto di Natale 2022

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Presepe Reggia di Caserta

 

Definizione

greppia ‹grép·pia›
s.f.
1 La rastrelliera per il foraggio, sovrastante la mangiatoia; estens. , la mangiatoia.
...
ETIMOLOGIA Dal gotico *kripa
DATA sec. XV.

C’era una volta,

in un paese lontano, una fanciulla di bell’aspetto di nome Ermione. Indossava sempre dei vestitini colorati e viveva in una casa fatta di legno che si trovava nel punto più alto della collina.

Tante leggende e racconti erano stati inventati riguardo al Confine, in quel un posto quasi magico, dove le piccole finestre della sua casa guardavano da una parte il paese delle genti e dall’altra aprivano lo sguardo sulle soglie del misterioso bosco di Aram.


Ogni mattina, la bella Ermione, scendeva dalla collina fino ad arrivare nella piazza del paese per vendere i suoi lavori fatti a mano, ma poi, quando la meridiana segnava le quattro del pomeriggio, tutta allegra, con passo svelto, amava ritornare sulla cima della collina e sedersi ai piedi del grande Abete Bianco e da lì ammirare il sole al tramonto. Il suoi pensieri e sogni erano sempre colorati di rosa e la vita scorreva serena.


Il bosco di Aram, che da alcuni era temuto e da tanti persino sconosciuto, era invece il suo giardino segreto. L’unica regola per entrare nel bosco di Aram era il silenzio. Per Ermione però non era un problema. Quando, la prima volta, chiese di entrare nel bosco, il grande Abete Bianco, che si trovava alle soglie del bosco e ne era il primo custode, le regalò un mantello di seta argentea, detto anche “il leggero mantello del silenzio”. Ogni volta che Ermione lo indossava, il mantello aveva il potere di aprire il suo cuore all’ascolto, le folle dei pensieri che le giravano dentro si calmavano e dopo poco sparivano completamente, lasciando il suo cuore in uno stato di serena pace con la quale poteva entrare nel bosco.

Sempre, in quelle occasioni, il suo sguardo si faceva vigile e il suo orecchio attento per scoprire le tante meraviglie nascoste negli angoli più remoti di quella selva incantata. Le varietà di alberi e gli animali che vi abitavano erano tantissime, ma non era sempre stato così. Nelle antiche leggende del paese, si raccontava che all’inizio, la collina era un enorme e sconfinato deserto. Ma poi, ci fu un tempo propizio, e venne un gran Signore che vista la profonda desolazione di quella terra, decise di porvi rimedio e mandò un editto a tutti gli angoli di quel regno che diceva
così:

“Nel deserto preparate la via al Signore.

Ogni valle sia innalzata,
ogni monte e ogni colle siano abbassati;
il terreno accidentato si trasformi in piano
e quello scosceso in vallata.
Farò scaturire fiumi su brulle colline,
fontane in mezzo alle valli;
cambierò il deserto in un lago d'acqua,
la terra arida in zona di sorgenti.
Nel deserto pianterò cedri,
acacie, mirti e ulivi;
nella steppa porrò cipressi,
olmi e abeti;
perché vedano e sappiano,
considerino e comprendano a un tempo
che questo ha fatto la mano del Signore”.

 Nel giro di due decenni la terra brulla e abbandonata, iniziò ad essere lavorata, accudita, arata, vennero piantati alberi e così piovve. Si formarono ruscelli, fiumi e poi laghi e tutto divenne verde e rigoglioso.

Crebbe il Cedro del Libano che è pianta di frutto nobile, di legno incorruttibile, di odore soave: fecondo di opere, insigne per limpidezza di cuore, fragrante per nome e fama, che fiorisce di mirabile letizia. L’utile Biancospino, arbusto salutarmente pungente, abile a far siepi contro il cinghiale del bosco, costruttore di mura e restauratore di strade sicure. Il verdeggiante Mirto, pianta dalle proprietà sedative e moderanti; che fa ogni cosa con modestia e discrezione, senza voler apparire né troppo giusto né troppo arrendevole, così che il bene appaia nel moderato decoro delle cose. E v’è pure l’Olivo, l’albero della pietà e della pace, della gioia e della consolazione. Con l’olio della sua letizia illumina i volti di chi l’incontra e le sue opere di misericordia sono la consolazione dei piangenti. Suo amico è l’Olmo, perché quantunque questo non sia albero nobile per altezza e per frutto, è tuttavia sempre di sostegno per tutti e insegna come portare gli uni i pesi degli altri. C’è poi il simpatico Bosso, pianticella sapiente che non sale molto in alto ma che non perde mai il suo verde, sa cos’è il timore e vive nella sua umiltà, abbracciato alla terra, felice d’esistere. Ripete spesso:

“Non alzate la testa contro il cielo...chi si umilia sarà esaltato. Nessuno disprezzi o tenga in poco conto i ministeri esteriori e le opere umili, perché per lo più le cose che esteriormente appaiono più modeste, sono interiormente le più preziose”.

Infine c’è il maestoso Abete Bianco, lì, sulla soglia del bosco. Slanciato nell’alto, denso di ombre e turgido di fronde, egli è porta d’accesso al bosco, è amante del bene e delle altissime verità. Guarda con benevolenza le cose della terra e con le sue alte cime penetra e contempla la bontà delle cose celesti.

 In quegli anni, la bella Ermione, aveva imparato tante cose da tutti i suoi amici alberi: la nobiltà d’animo e la dignità, la discreta sobrietà e la temperanza, la letizia e la pace, l’umiltà e la perseveranza, ma più di tutto aveva pian piano iniziato a distinguere le varie mozioni che si producono nell’anima e a diventar abile ad accogliere le ispirazioni buone e a respingere quelle cattive. Era anche nato in lei il desiderio di vivere tutta la vita orientata verso il bene, così da poter portare gioia ovunque andasse. Abete Bianco, il più saggio tra gli alberi, s’avvedeva dei progressi della fanciulla e decise che era venuto il tempo d’insegnarle non solo a distinguere tra bene e male,
ma anche come scegliere dov’è il meglio in ogni situazione, cioè il Magis.

Quel pomeriggio l’arrivo di Ermione al bosco fu repentino e con gioiosa effervescenza salutava tutti i suoi amici con grandi sorrisi, regalava caramelle e offriva acqua dolce a chiunque incontrava. Sembrava un funghetto delle foreste, così Abete Bianco, la fece chiamare e salutandola le domandò:

“Salve Ermione, ti vedo gioconda, qual buon vento ti rallegra?”

ed Ermione:

“Ma caro Abete, perché mi guardi interrogato ed hai quel libro in mano? Non è oggi il giorno d’andare al laghetto della memoria?”.

L’albero la guardò interdetto e disse:

“Oggi? Laghetto della memoria?”

ma pensando in cuor suo che era molto più importante spiegarle cose fosse il Magis e le raffinatezze degli inganni di Messer Gramigna, continuò:

“Beh...vediamo…”

e prese in mano un lungo calendario con numeri, date, nomi, luoghi. Il buon Abete per dissuaderla, fece come per scrutare in quella pergamena grandi segreti, dopo un po' alzò gli occhi e disse:

“E sia, ma non oggi...forse domani”.

E con voce solenne disse:

“E’ venuto il tempo, ed è questo, che tu possa iniziare a
distinguere, in ogni occasione, tra tanti beni qual è il meglio”.

Ermione rimase ferma, poi, comprese che quel lungo panegirico era un sostanzioso “no” e quindi iniziò a fare i capricci. Era scura in viso e si mise seduta vicino al Bosso che la compativa, poi passò dietro al Biancospino per nascondersi, così poter sgattaiolare via dal bosco, ma il buon Cedro con una tossettina, come a volersi schiarire la voce, prese a dire:

“Su, su, fanciulla...non vorrai fare i capricci?!? Lo sai che sei stata affidata a noi dalla Pietà Celeste, affinché tu possa imparare l’arte della vita e non venir sballottata qua e là da qualsiasi vento di dottrina, o presa nelle maglie di quella astuzia che tende a trarre nell’errore. Al contrario, sei qui per imparare a vivere secondo verità nella carità, per crescere bene in ogni cosa, e
infine per evitare gli inganni di Messer Gramigna e andare sempre avanti di bene in meglio”.

Ermione si arrese e andò a sedersi vicino ad Abete Bianco, che gli spiegò: cosa fosse la consolazione senza causa, di stare attenta alle illusioni, di studiare il corso dei suoi pensieri e vedere se il principio, il mezzo e il fine fossero tutti buoni, e ancora a considerare la disposizione della sua anima e infine dal giorno seguente avrebbe dovuto annotare ciò che poteva servirle come memorandum per poter scegliere sempre il meglio.

Sulla via del ritorno una ridda di pensieri le girava nella mente, aveva ascoltato con attenzione discorsi, parole e consigli, intuiva in essi una sconosciuta profondità, ma ne era al contempo spaventata; sembravano cose troppo difficili ed estranee, ma si consolò pensando che il giorno dopo, sarebbe finalmente andata al laghetto della memoria e lì avrebbe avuto modo per ricordare e comprendere tutto ciò che le era stato detto.

L’indomani, di buon mattino, s’avviò contenta per il sentiero che portava al laghetto della memoria. Mentre camminava un pensiero le ritornò in cuore, e suonava come un monito, una frase che Abete Bianco le aveva ripetuto più volte:

“Attende tibi!”, a dire: “Attenta a te stessa… a come vedi e ascolti la realtà”.

L’aria era leggera e fresca, Ermione, seduta sulla riva, guardava le nuvole che si specchiavano nell’acqua e prendevano le più strane e belle forme. Mentre stava lì s’accorse di una una figura che era comparsa vicino alla sua. Si girò di scatto per sapere chi fosse e rimase meravigliata al vedere una figura così bella. Era un albero nuovo, luminoso e dai modi gentili.

L’Albero Luminoso si presentò in modo affabile, le offrì dei frutti ed Ermione vedendo che erano buoni da mangiare, gradevoli agli occhi e anche desiderabili per acquistare saggezza, mise da parte i consigli di Abete Bianco, subito prese e ne mangiò. Ne fu estasiata e si trovò contenta per aver fatto questa nuova amicizia. Guardava l’Albero Luminoso con ammirazione, anche se mentre camminavano per uscire dal bosco, lei notò che diversamente da tutti gli altri, quest’albero aveva una pianta rampicante che saliva intorno al suo tronco fino al collo. Le sembrò una cosa strana, ma non volle ripagare tanta generosità con una diffidente paura.

Arrivarono alle soglie del bosco e lì si salutarono. Ermione diede un cenno di saluto anche ad Abete Bianco, che le lanciò uno sguardo di disapprovazione, Ermione non se ne avvide, pensò che a volte anche gli alberi posso essere stanchi ed irritati e così prese il sentiero che portava verso casa. Quasi arrivata al vialetto, si sentì vicino una presenza, volse lo sguardo indietro e vide Albero Luminoso che la seguiva. Si fermò, sorrise e l’albero non perse occasione per invitarsi a cena.

Quella sera, stettero a parlare nel giardinetto di Ermione per un bel po'. La fanciulla ripensava e raccontava la sua storia, quella del paese e del bosco, del miracolo dell’uomo che piantò gli alberi, dei suoi amici e dei progetti che aveva per il futuro. Desiderava custodire il Confine e far sì che il bosco di Aram diventasse sempre sereno e più rigoglioso. Albero Luminoso sorrideva ed esultava ad ogni progetto della fanciulla. Così mentre parlavano, questi le disse che per realizzare i suoi bellissimi sogni avrebbe dovuto diventare molto responsabile e mettersi a lavorare molto; solo questo avrebbe permesso al bosco e a tutto il paese di crescere e vivere molto meglio. Ermione concordò con quest’idea, fu così, che dallo spuntare dell’alba, iniziò a lavorare instancabilmente giorno e notte e confezionava abiti e vestiti.

Nel passare dei giorni il ritmo di lavoro divenne più serrato e si fece persuasa di scendere solo una volta a settimana in paese per vedere i suoi manufatti, per poi ritornare in fretta a casa per continuare a lavorare. Passarono così diverse settimane. Ermione era contenta del suo lavoro ed aveva comprato anche una scatola di ferro per conservare tutti i suoi guadagni.

Nei giorni in cui si sentiva venire meno le forze, s’incoraggiava ripetendo a se stessa che stava facendo tutto per il bene dei suoi amici. Intanto il bosco, in sua assenza, cominciò ad essere invaso dalle piante rampicanti di Messer Gramigna. L’acqua iniziò a scarseggiare, la terra divenne più brulla, gli alberi del bosco si domandavano il perché della prolungata assenza della fanciulla e iniziarono a temere per la loro vita.

Venne così un giorno in cui Olmo, Cedro, Mirto e Abete Bianco decisero di fare una spedizione segreta per vedere dove e come stesse la loro cara Ermione. Presero il sentiero del silenzio e dopo alcune ore di cammino, sul far del tramonto, arrivarono alla casetta della fanciulla. Da fuori si sentiva qualcuno che lavorava e parlottava tra sé, era proprio la loro amica Ermione. Bussarono, provarono a chiamarla, batterono con le fronde sulle finestre, ma la giovane era troppo intenta nel suo lavoro e non s’accorse di nulla. Desolati e vedendo che ormai stava scendendo la notte, gli alberi fecero ritorno nel bosco.

Passarono alcuni mesi e la fanciulla, sempre attesa nel bosco, non si vedeva mai arrivare. Gli alberi divennero tristi e cominciarono a perdere la loro lucentezza, contemporaneamente l’Albero Luminoso, conosciuto più comunemente come Messer Gramigna, aveva allargato il suo possesso nel bosco e tanti alberi erano stati soffocati dai lacci delle sue piante rampicanti e si erano ammalati. L’aria iniziò a cambiare, la pioggia tardava a venire, gli alberi iniziarono a seccare. La gente del paese discuteva nei crocicchi delle strade, per cercare una soluzione alla fame.

E arrivò un sabato ed Ermione di buon mattino scese in paese, ma invece del solito mercato, vi trovò gran trambusto, campane che suonavano, sirene che urlavano, uomini che correvano, bambini che piangevano: il bosco stava bruciando. Ermione, guardando dal fondo della vallata s’accorse di una linea di fuoco che contornava tutto il bosco. Spaventata e scossa diede un grido soffocato e scrollò la testa come di chi si risveglia da un lungo sonno, da un’illusione. Cosa stava succedendo? E tutto il suo lavoro? A cosa erano serviti tanti sacrifici, tante notti insonni, tanti risparmi? Eppure erano mesi che lavorava proprio per il bosco. Come era potuto accadere? Era basita e non sapeva cosa poter fare.

Mentre il trambusto del paese continuava, lei si sedette al bordo di una fontana nella piazza centrale. Il subbuglio continuava e dall’alto della collina una voce faceva l’eco di un nome, e come un passa parola generale, si sentiva ripete a volte forte a volte piano: Ermione, Ermione, Ermione… l’eco arrivò in tutte le botteghe del paese. A quel punto tutti i paesani: grandi e piccoli, giovani e anziani, donne e bambini si dispersero per il paese per trovare la fanciulla.

Tra i tanti, anche un ragazzo muto dalla nascita, volle mettersi in cerca della fanciulla, ma sconfortato perché non poteva come gli altri ripetere quel nome, arrivato alla piazza centrale del paese si sedette al bordo della fontana vicino ad una taverna chiamata “L’albero Luminoso, da Messer Gramigna” e sospirò. Ermione riconobbe in quel sospiro il suo stesso stato d’animo e gli si avvicinò. Con i gesti il ragazzo cercò di farle capire che gli alberi della foresta avevano detto che l’unica che avrebbe potuto salvare il bosco (e quindi il paese), era la loro amica Ermione, la sua presenza sarebbe bastata per spegnere le fiamme e far guarire il bosco.

Ermione si rese conto che il ragazzo muto stava parlando proprio di lei e che Messer Gramigna vestendosi da Albero Luminoso l’aveva ingannata magistralmente. Ringraziò il giovane e risalì di corsa la collina fino alle soglie del bosco. C’erano fiamme e un grande fumo, in tanti portavano acqua e terra, ma l’incendio era troppo forte, nessuno riusciva a superare la barriera delle fiamme, neanche Ermione. La fanciulla guardò verso il cielo e sperò contro ogni speranza, pianse e poco dopo si sentì una voce che sul ritmo della pioggia recitava così:

 
Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove su i pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
t'illuse, che oggi m'illude,
o Ermione.


Il giorno dopo, Ermione tornò sulle soglie del bosco ed entrando con alcuni compaesani vide Abete Bianco semi bruciato e poi Ulivo annerito, Bosso assetato, Mirto e Olmo sfigurati, Cedro impaurito e Biancospino sfiorito. Che miserabile condizione … Ma non si perse d’animo e passò mesi a curare i suoi amici alberi. Comprese che il lavoro vero della vita non stava nello strafare ma nell’amare, che non è il tanto fare ma il gustare che conta...e che “il mal d’amore non si cura se non con la presenza e la figura”.Così tornò, come i tempi passati, ad andare tutti i giorni nel bosco, a curare i suoi amici, a custodire con attenzione le soglie del bosco.

Arrivò l’Avvento e il paese cominciò a vestirsi a festa per Natale. Ermione portò la buona notizia nel bosco, ma gli alberi si guardarono e vedendosi spogli e bruciacchiati, si dissero l’un l’altro che quell’anno non sarebbero potuti scendere a valle e quindi non ci sarebbero stati né alberi, né luci, né ghirlande, ma soprattutto non ci sarebbe stata la greppia per Gesù Bambino. Ermione allora si sedette da una parte, era silenziosa e triste e non sapeva cosa poter fare. In quel momento il piccolo Bosso disse: “Un passo per volta, un poco per uno”.

Tutti gli alberi si guardarono, compresero e dei grandi sorrisi si aprirono sui loro volti. Olmo prese i suoi attrezzi e ogni albero diede la parte migliore che gli era rimasta. Si mise così, come fine ebanista, a comporre, separare, limare e incastrare ciò che ognuno aveva donato di sé e ne uscì un bellissimo guscio a mandorla. A quel punto il buon Cedro s’avvicinò alla fanciulla e la invitò a regalare il proprio fiocco per abbellire la greppia. Ella era un po' intimorita, perché dopo tutto quello che era successo, si sentiva in colpa, così Abete Bianco disse:

“Cara Ermione, tutti possiamo fare errori, anche in buona fede, ma non è questo che ci determina. In queste situazioni, la cosa più importante è non restare caduti”.

La giovane, allora, si guardò intorno e incoraggiata dalla benevolenza dei suoi amici, riprese forza, si alzò, tolse dai capelli il suo fiocco e lo diede ad Olmo. Fu così, che anche quell’anno in paese ci fu una culla per Dio...e nella Notte Santa il balsamo della misericordia divina scese come rugiada su tutta la valle del Confine e sul preziosissimo bosco di Aram.

 

ratio imitarum naturam




 

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