La Torre di Babele
apr 232025La Torre di Babele
L’informazione pubblica è allo sfascio. Poche notizie, frammentate, bugie plateali diffuse largamente, sciocchezze imperanti e sempre un gioco per dire che tutto va bene. Una Babele di linguaggi, alfabeti, sigle su sigle e social e post e twit e altre diavolerie ancora.
Tutti avranno nell’immaginario la mitica torre, fatta a piramide, con scale che si arrotolavano a mo’ di serpente intorno ad essa, per portare sempre più in alto pietre e mattoni.. Oggi, infine, l’abbiamo costruita, ma con criteri ultramoderni: pareti spessissime e lisce, forma a tubo, e sulla cima tra vetri e specchi, capi di stato, di governo, di industrie,
governatori, dittatori, petrolieri, inquinatori, guerrafondai e pazzi di ogni genere. Vivono alla grande, tra attrici di plastica, stelle dello sport, del cinema, astronauti, premi nobel, coppe campioni e vai così. Nessuno può raggiungerli, se loro non lo vogliono. E quando i più grandi ne sono stanchi, le stelline del momento vengono buttate via.
Sotto, ai piedi della Torre ci sono miliardi di persone di ogni colore, e di ogni etnia, resi tutti uguali dal fango che li ricopre. Urlano e imprecano, e vogliono salire, ma le lisce pareti della torre li respingono, e loro litigano, si attaccano, si uccidono. Nel nome di un vecchio passato, vecchio di secoli e mai del tutto sepolto, si azzuffano per un posto più vicino, senza rendersi conto che, se cominciassero a guardare al futuro, potrebbero ripartire, ricostruire, e allontanarsi dalla malefica torre, per fare qualcosa di nuovo, senza torri possibilmente, e senza battaglie. Ma non ne hanno la minima voglia.
E noi? Esistiamo ancora in questa pazza descrizione distopica?
Certo, noi siamo dentro la torre. Abbastanza al sicuro, finché non arrivano Tsunami, Terremoti, Valanghe, Inondazioni, Aerei che precipitano, Auto sui mercatini di Natale, colpi di Stato, Guerre ai confini NON dichiarate, Terroristi silenti, Giovinette rapite e Denaro buttato all’aria come se si trattasse noccioline: peccato che non siano per noi.
Appoggiati alle pareti interne, in bilico sui pochi brandelli rimasti dei piani interni, cerchiamo di tenerci in equilibrio per non cadere più in basso, su piani ancora più malconci. Ogni tanto qualcuno precipita, e ci guardiamo bene dal soccorrerlo. Abbiamo così poco, che basta appena per noi. E il malcapitato finisce sul fondo, espulso in compagnia dei reietti.
Eppure, noi avevamo potere. C’è stato un momento in cui abbiamo avuto la possibilità di decidere per conto nostro, di fare il lavoro per cui eravamo portati, di condividere gioia con gli amici e contribuire, un pezzetto per volta, a costruire scale per tutti, in modo che fosse facile salire e scendere, magari viaggiare. Ci hanno bombardati. Ci hanno stancati, Ci hanno distrutti. Con le loro bugie, le canzonette, il terrore di essere cacciati.
Cosa è cambiato dunque? A mio parere, la capacità di pensare ad altri, non solo a noi stessi. Altre persone che hanno i nostri stessi problemi, farci forza insieme e chiedere a gran voce che i nostri diritti e, prima ancora, la nostra stessa esistenza, siano rispettati.
Abbiamo perso forse il nostro essere Europei, con precisi valori quali la famiglia, l’accoglienza, l’aiuto ai più poveri, l’intima connessione con un messaggio molto molto più grande di noi?
Non e’ mia abitudine addentrarmi in terreni che non conosco, ma mi sembra che la vecchia Europa, malgrado una brutta storia di guerre e divisioni, malgrado un futuro che si prospetta orribile, sia ancora unita dal messaggio di Cristo. Ci spinge ancora, a riprenderci, ad andare avanti, a sventare le bugie, a trovare nuove passioni e soprattutto a condannare la violenza.
Rosella Rapa, 1925
Per gentile concessione della OnLUS AMSES
Missioni Italiane per le Isole di Capo Verde
Fast Fashion - La Moda Insanguinata
mag 302024Costume e Società
FAST FASHION – LA MODA INSANGUINATA
Nell’armadio di mia figlia ci sono due camicette cucite nella prima metà degli anni ‘80, una da mia mamma, una da me. Vanno bene per occasioni medio-eleganti, sembrano fatte ieri. Se invece cercate una camicetta in uno store odierno, vi durerà un mese, una settimana, forse per una volta sola. Non sto esagerando: siamo arrivati all’assurda e perversa situazione in cui i “Brand” producono appositamente abiti che durano pochissimo per costringere le persone a comprare sempre di più, ancora di più, usando tattiche di pubblicità sempre più aggressive mascherate da “offerte imperdibili”. E si compra, perché i dictat della moda ormai cambiano di stagione in stagione, o addirittura di mese in mese. I prodotti hanno prezzi accessibili, che ogni fascia di utente può permettersi. Ma tutto questa facilità nell’abbigliarsi ha retroscena che DEVONO essere fermati.
Sappiamo da tempo che per garantire prezzi bassi i produttori hanno trasferito le industrie del tessile e della moda in paesi poveri dove il costo della manodopera è molto basso, anzi bassissimo. Troppo basso per sopravvivere. Guardate i numeri degli incidenti sul lavoro nella nostra fortunata Italia: credete che in paesi dove non c’è alcuna tutela, nessuna norma di sicurezza, orari di lavoro infiniti, poco sonno e poco cibo gli incidenti non capitino? Nessuno ne parla, i Paesi non lo dichiarano, ma basta riflettere un poco. E questa è solo la punta dell’Iceberg.
Gli abiti smessi (perché ci sono) li ho sempre donati a enti di beneficenza, spesso con un fine preciso: per rifugiati, per senzatetto, per zone colpite da cataclismi naturali. Sapevo comunque che UNA PARTE di ciò che donavo prima o poi sarebbe stata gettata per usura totale; ebbene mi sono dovuta ricredere.
JUNK, una mini-serie di Sky, riportata su YouTube, ha rivelato una situazione agghiacciante. Dalla produzione del filo alla discarica dell’indumento tutto contribuisce a devastare, inquinare, uccidere. Lascio al fondo il link alla prima puntata, perché l’impatto visivo è molto più efficace delle sole parole.
La serie parte dalla fase meno drammatica: la discarica mondiale degli abiti in Cile, dove l’abbigliamento dismesso arriva da altri stati per essere sepolto sotto uno strato di sabbia nel deserto. Ci sono capi e oggetti che non si decomporranno MAI. La serie continua parlando di smaltimento, confezione, produzione. Anche il riciclo, la riconversione dei tessuti e delle fibre non è esente da gravi fenomeni di inquinamento, perché le fasi di sbiancamento e tintura richiedono grandi quantità di acqua, che viene riempita di ammoniaca e di altri agenti chimici, per poi essere ributtata nei fiumi. Si prende pulita a monte e si scarica inquinatissima a valle, mentre chi lavora in queste attività non solo la beve e la usa per lavarsi, ma viene anche esposto ai vapori degli elementi chimici utilizzati nel procedimento. Poi ci sono le fibre che crediamo naturali, e quindi meno impattanti: ma il cotone indiano è stato modificato geneticamente, e cresce solo con sementi speciali e massiccio utilizzo di pesticidi. I contadini vengono rovinati a tal punto che alcuni, avendo perso tutto, si suicidano. La viscosa, che origina dalla cellulosa di alcuni alberi, porta all’abbattimento di intere foreste, ed alla conseguente morte del loro microclima, con tutti gli animali che le abitano.
Non posso raccontarvi l’intero documentario. Alla fine di tutti gli episodi io mi sono immaginata una fila di persone morte dietro ogni indumento prodotto, ad oggi, per essere usato una volta sola. Imprimetevi nella mente questa immagine, e ricordatela ogni volta che decidete di acquistare qualcosa.
Perché fermare questa carneficina dipende da noi.
JUNK, primo episodio: https://www.youtube.com/watch?v=fOpqsvYOx54&t=6s
Bandiera Bianca
mar 272024Bandiera Bianca
Non dovrei. Non sono più giovane, ma neppure troppo anziana per chiudere la porta al mondo; dovrei dare l’esempio ai più giovani, ma come sempre non vogliono ascoltare, e credono che per ridurre le ingiustizie basti affollarsi nelle manifestazioni e gridare il loro disappunto. Serve anche quello, c’è stato anche al mio tempo, poi è mancato qualcosa: l’impegno costante giorno dopo giorno. “La mia generazione ha perso”, cantava Giorgio Gaber, e la mia, venuta poco dopo, sembra non avere mai vinto.
Il Papa ha detto che non è una vergogna alzare Bandiera Bianca, ed è stato subissato dalle critiche, tanto che ha dovuto spiegarsi. Bandiera Bianca non vuol dire resa incondizionata: vuol dire tregua, dare spazio alle parole anziché alle armi, cedere su qualcosa per ottenerne altre, e, finalmente fare in modo di marciare verso la Pace. Marcia durissima, perché tutto ciò che è stato distrutto andrà ricostruito.
Fin dal suo inizio, ho sentito la guerra in Ucraina come se fosse mia. Sono cresciuta nei tempi della Guerra Fredda, che tanto fredda non era, perché l’Unione Sovietica aveva invaso metà dell’Europa, e Berlino era divisa da un muro. Una città tagliata in due da armi, mattoni e filo spinato. Penso alla mia città in quelle condizioni e rabbrividisco. Quando la Russia ha invaso l’Ucraina mi sono sentita male: un balzo all’indietro nella storia di 60 o 70 anni, che non poteva essere tollerato. Giusto imbracciare le armi per difendersi dall’invasore, ma ora è troppo. Chiediamo uno spiraglio per poter trattare, o non resterà niente da difendere.
Israele sta perpetrando un genocidio? Io penso di sì, e non mi vergogno a dirlo. Ero alle elementari e già studiavo che i confini dello stato di Israele, buono e giusto, non erano tracciabili, perché aveva invaso il Sinai, parte della Giordania e non so che altro ancora. Ricordo come fosse ieri che il re di Giordania alzò Bandiera Bianca, ritirandosi dai “Territori Occupati”. Molti pensano che i bambini non capiscano, non ricordino. Vi assicuro che non è così. Per questo bisogna sempre fare attenzione a ciò che si dice davanti a loro. Cosa penseranno un giorno non lontano i bambini palestinesi che vedono intorno a loro fame, freddo, sporcizia, morte e distruzione? Ammesso che sopravvivano, cresceranno con la convinzione che uno solo è il loro nemico, covando un desiderio di vendetta che trasmetteranno ai loro figli, e ai figli dei loro figli, in una spirale di odio senza fine. Sappiamo chi deve alzare bandiera bianca, lo sta dicendo tutto il mondo ormai, ed è quasi incredibile.
Non è che i Paesi Occidentali si comportino meglio. Sono migliaia i profughi che scappano da paesi dominati da guerra ed oppressione e che vengono lasciati in veri e propri campi di concentramento, senza un tetto, senza acqua e spesso in mezzo alla neve. Qualcuno vorrebbe lasciarli in mezzo al mare, con la segreta speranza che affoghino. Molti muoiono in mezzo al deserto che c’è prima, senza nemmeno venire seppelliti. Se fra qualche migliaio di anni esisteranno ancora esseri umani che cercano dignità nel proprio passato, qualcuno troverà resti di persone lungo una sorta di di percorso non tracciato, e si chiederà se esistesse una “civiltà” che aveva costruito una strada attraverso una landa desolata per mettere in comunicazione quelli che un tempo erano due continenti separati da un mare che non esisterà più, o avrà fagocitato tutte sponde sabbiose collegandosi ad unico, grande Oceano di acqua calda.
Le stupidaggini dette dai Politici che “governano” (è un eufemismo) un Pianeta che la Specie Superiore sta distruggendo pezzo dopo pezzo non si contano più. Cito solo la migliore “Ci stiamo estinguendo! Fate più figli!” Per lasciarli dove? Davvero, ditemi DOVE. Sul cemento? Nel deserto? A mangiare carne clonata in laboratorio? A morire senza alcuna assistenza, perché costa troppo ed è improduttiva? A spararsi tra di loro per alimentare il mercato delle armi da fuoco? A cercare tra i rifiuti delle generazioni passate qualcosa da mettersi addosso?
Sono stanca. Alzo Bandiera Bianca. Spero che quando questa follia iniziata con la Guerra di Troia avrà fine, in qualche angolo sperduto del Pianeta rimangano degli esseri umani che possano ricominciare una Nuova Storia, con l’augurio che possa evolvere meglio di quelle passate.
Buona Pasqua, anzi Buona Resurrezione.
Il Villaggio Leumann
feb 142024Nei dintorni di Torino
Villaggio Leumann
Il Villaggio fu edificato tra la fine dell ‘800 ed i primi del ‘900 ai lati dell’omonimo cotonificio su progetto dell’ing. Pietro Fenoglio, ideatore delle più significative opere in stile liberty a Torino.
Si tratta di un “progetto pilota” e della prima esperienza di questo genere in un villaggio operaio. Fu concepito per essere del tutto autonomo: infatti oltre alle abitazioni per gli operai e gli impiegati, per lo più villette ad un piano con relativo giardino e orto, comprendeva un Convitto per le Operaie gestito da suore, l’edificio dei Bagni, il Teatro, l’Ambulatorio, l’Ufficio Postale, la Stazione del treno, l’Albergo, il Nido, la Scuola Materna ed Elementare, la Chiesa, il Circolo per gli Impiegati ed uno Spaccio Alimentare.
Sorse in un’area quasi disabitata, oltre la periferia di Torino, nel Comune di Collegno che offriva condizioni ottime per l’impianto di un opificio: il costo relativamente basso del terreno, la presenza di corsi d’acqua e della ferrovia.
Fu voluto da un imprenditore di origine Elvetica Napoleone Leumann, figlio di Isaac Leumann, che da semplice tessitore si ingrandì fino ad avere una azienda completa.
Napoleone non creò soltanto un'industria con un annesso nucleo residenziale, bensì un'area ben definita in cui lavoro, famiglia, tempo libero, istituzioni sociali e previdenziali erano strettamente connessi fra loro, formando un contesto socialmente evoluto ed efficiente. L'organizzazione urbanistica, l'architettura degli edifici, le istituzioni sociali e i servizi assistenziali in esso creati fanno del villaggio un organismo che pone al centro dei suoi obiettivi una maggiore qualità di vita delle maestranze, sia sul lavoro che nella vita privata, con concreti vantaggi riscontrabili anche nell'ottima qualità che caratterizzò i prodotti del Cotonificio Leumann. ( https://it.wikipedia.org/wiki/Villaggio_Leumann )
“Fu si può dire precursore e realizzatore di una politica sociale modernissima, quando il collaborazionismo delle classi era un mito. Ebbe nella sua vita un solo culto: quello del lavoro associato alla beneficenza. E del saggio proposito di migliorare il tenore di vita dei suoi dipendenti fece lo scopo essenziale della sua laboriosa esistenza. Due erano gli ideali a cui indirizzò in particolar modo la sua opera: il benessere fisico e morale dei suoi dipendenti e l’educazione e l’istruzione dei loro figli. Per ottenere il primo era necessario pensare a migliorare le condizioni igieniche.”
(dal necrologio per la morte di Napoleone Leumann.)
Il cotonificio ha continuato la propria attività produttiva dal 1875 fino al 1972 quando chiuse in seguito ad una grave crisi del settore tessile. Fortunatamente il comune riuscì ad acquistare il complesso del Villaggio per mantenerlo intatto.
Le abitazioni sono ancora utilizzate come tali e gli edifici che ospitavano servizi hanno ancora una funzione pubblica: infatti, Il Convitto delle Operaie ospita la Biblioteca Civica, l’Albergo è sede di associazioni, la Stazione è utilizzata per iniziative rivolte ai giovani, il locale dei Bagni ospita il Centro Anziani, il teatro è stato trasformato in unità abitative.
L’Ufficio Postale, la Scuola e la Chiesa mantengono invece la funzione originaria.
Attualmente il Villaggio Leumann è visitabile con una guida che racconta la storia della famiglia e spiega la funzione di ogni edificio.
https://villaggioleumann.it/
Napoleone Neumann
Purtroppo l'esempio di Napoleone Leumann rimase un caso pressocchè isolato. Si ebbero altri esempi di proprietari d'azienda che si occuparono anche del benessere dei loro dipendenti, costruendo villaggi accanto alle fabbriche e dotandoli di servizi comuni come asili nido, scuole per i bambini, chiesa, cinema e quant'altro. Un caso importante fu quello di Camillo e Adriano Olivetti, in provincia di Ivrea. Adriano era convinto che si potesse creare un equilibrio tra solidarietà sociale e profitto, tanto che l'organizzazione del lavoro comprendeva un'idea di felicità collettiva che generava efficienza.
(https://it.wikipedia.org/wiki/Adriano_Olivetti)
In poco tempo tutte queste opere e la ideologia che le guidava caddero nell'oblio. Le fabbriche furono smantellate, le abitazioni abbandonate, gli operai buttati sulla strada. Avanzava il capitalismo sfrenato, senza regole, senza dignità. Senza rispetto per gli esseri umani e per l'Abiente.