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eloise
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Posted - 10/10/2020 : 10:25:34
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Tra l'altro ora mi viene in mente: perché dici che la letteratura è il prodotto della scrittura? Forse lo è la costituzione di un canone letterario, ma non la letteratura in sé. Qualcuno ha sostenuto (e tu sai a chi mi riferisco) che "si fa più letteratura un giorno di mercato in piazza delle Vettovaglie che in un'intera giornata all'Accademia" o qualcosa del genere, non ricordo neanche più bene (ma piazza delle Vettovaglie sì che me la ricordo bene ). Chi ha mai potuto sostenere che i poemi antichi che si recitavano e basta non siano letteratura? solo che chiaramente non sono trasmissibili allo stesso modo, si perdono e quindi io dico che sì, è letteratura, ma ahinoi non la conosciamo. Nel film Fahrenheit 451 un'intera popolazione memorizza un testo letterario a testa per poterlo recitare a voce, per diventare egli stesso quell'opera, in un mondo allucinante dove la carta scritta è stata bruciata interamente. L'Odissea sarebbe meno letteratura per questo?
Certo, la scrittura ne permette il permanere e la trasmissibilità, per cui permette, diciamo, la costituzione di un'antologia, di un canone, e, conseguenza più importante, la costituzione e sovrapposizione di regole e sistemi, elemento questo fondamentale da cui deriva un sempre maggiore valore delle opere successive, che accorpano in sé i sistemi precedenti e dialogano, si interfacciano, si rapportano ad essi.
Insomma, il discorso è complesso e non mi sento di averne definito bene i contorni, nemmeno solo a livello di genesi di un prodotto come indichi tu.
Eloise www.letteratour.it
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Edited by - eloise on 10/10/2020 11:52:51 |
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Rosario
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Tiziano
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Posted - 10/10/2020 : 16:34:26
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i significati delle parole si possono anche cambiare, basta intendersi, però attualmente credo che l'unico punto su cui concordano tutti gli studiosi di letteratura è che la letteratura è scritta, altrimenti è un'altra cosa (un tempo l'altra cosa era definita "Folklore"): ecco perché dico che l'affabulazione precede la letteratura, perché appunto l'essere umano prima ha imparato a parlare e poi a scrivere. IL passaggio storico non è semplice, perché la scrittura nasce per registrare, non per raccontare; perché questo accadesse ci fu bisogno di una evoluzione tecnica delle scrittura e della comparsa di una ritualità religiosa che prevedeva il racconto mitico. Tu, Eloise, hai ragione a sostenere che la letteratura è un sistema (una tradizione, una retorica, una missione sociale, ecc.), ma questo è sovrastrutturale rispetto all'universalità della narrazione. Sostanzialmente sono d'accordo con te, il tuo discorso non fa una piega, o meglio: ne fa una, credo, perché forse - almeno è questo che mi pare - non distingui tra la scrittura come tecnica di trasposizione grafica del linguaggio verbale e scrittura come forma di espressione, come la intende Barthes; è ovvio che solo questo secondo caso riguarda la letteratura. E qui il riferimento francese cade a proposito, anche se non ricordo (ah...la smemorata vecchiaia) a chi mi dovrei riferire, se a Derrida o a Foucault, comunque uno dei due ha scritto che il testo letterario - l'ecriture - ha in se una forza - puissance - che deborda sempre dal testo ed è infine inafferabile all'analisi. Mi pare che sia proprio il caso di "Nel Museo di Reims"
Tiziano |
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Tiziano
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Posted - 10/10/2020 : 16:45:20
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Il tuo riferimento alla piazza delle Vettovaglie m'ha fatto ricordare che il mio professore mi fece togliere dalla tesi di laurea il capitolo su Orlando; perché? Soltanto perché era stato un suo allievo e quindi non gradiva che lo criticassi. Che poi non era, a mio parere, una critica bensì una constatazione: la sua teoria freudiana del ritorno del rimosso nel testo letterario poteva pur esser valida in generale, ma finiva per essere una mera deduzione che dimenticava la peculiare dimensione del singolo testo. Non mi piacciono le teorie che analizzano il testo letterario per trovare la conferma di se stesse. Va bene analizzare l'ecriture, ma poi voglio sentire la puissance.
Tiziano |
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Rosario
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Posted - 10/10/2020 : 19:40:09
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Tra la realtà e la sua rappresentazione c'è la letteratura, c'è la finzione, c'è l'identificazione c'è l'imitazione .... c'è la mimesi
il desiderio mimetico governa il mondo e qualsiasi letteratura che lo rappresenta.
Scrive Luciano nella sua "storia vera":
"Quando lessi tutti questi autori, non li biasimai troppo per il fatto che mentivano, vedendo che questa era ormai un’abitudine anche di quelli che si professavano filosofi, ma mi meravigliai di questo, che credevano che gli altri non si sarebbero accorti che essi scrivevano cose non vere. .... Scrivo dunque intorno a cose che né vidi né provai né appresi da altri, e inoltre di cose che non esistono affatto, e che non possono assolutamente esistere. Perciò occorre che i miei lettori non ci credano per nulla."
Se fossi svedese, gli darei il Nobel per la Letteratura ante litteram
Non so se Del Giudice è sulla linea di Luciano, ma il suo romanzo lo è senz'altro perchè, per quanto si sforzi di svuotare la realtà oggettiva di senso e di significato, riempiendo di menzogne la narrazione, riesce comunque a rappresentare al lettore una realtà immaginaria, finta e posticcia vista dal quasi-cieco Barnaba; un mondo fittizio che svanisce come la nebbia col calore del sole, diradandosi e vagando nell'aria mossa dal soffio di una leggera brezza, colorata di verità dalla calda voce di Anne... che comunque mente spudoratamente.
ricordo un libro che lessi tanto tempo sotto l'influsso della moda di Calvino l'autore era Perec; c'era un brano che aveva un titolo significativo dello svuotamento della realtà: "Tentativo di esaurimento di un luogo parigino": un elenco impietoso di tutto ciò che cadeva sotto lo sguardo scutatore di un uomo seduto al bar:
"Ottobre 1974. Per tre giorni consecutivi Georges Perec siede ai tavolini dei caffè o sulle panchine in place Saint-Sulpice, 6° arrondissement, Parigi, e osserva la piazza in differenti momenti della giornata."
Il concetto è lo stesso osservare la realtà e elencare qualsiasi cosa soltanto nominandola: ciò allo scopo di esaurire il luogo osservato. Nel museo di Reims, Barnaba e Anne fanno la stessa cosa; svuotano di significato e di senso il quadro che stanno osservando: il vero e menzognero Marat assassinè di David.
Ratio imitarum naturam (I, 60, 5.)
RF |
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Rosario
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Posted - 11/10/2020 : 17:54:26
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Il fantastico finale
La corruzione della verità -
"N’ayant pu me corrompre ils m'ont assassiné” (Non potendo corrompermi mi hanno ucciso) -
Il finale del romanzo-racconto riguarda la corruzione della verità. Barnaba riesce a leggere l’intera frase ma risponde ad Anne con solo due parole:
A MARAT, DAVID.
Anne risponde con una menzogna:
“Sì. Soltanto due parole”…
ma Barnaba accoglie la menzogna di Anne come una manifestazione d’amore:
…"e la sua voce aveva un colore caldo e brillante, lucido di tenerezza”.
d’incanto i punti di vista di Barnaba (prima persona) e del narratore (terza persona) si uniscono in un solo sentimento d’amore.
La menzogna diventa l'unica verità per Barnaba, Anne e il narratore.
Finalmente la realtà - rappresentata dal Marat assassinè, di David - si è svuotata di senso.
È l'apoteosi dell'amore irragionevole.
Ratio imitarum naturam (I, 60, 5.)
RF |
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Rosario
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Posted - 12/10/2020 : 12:02:45
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"La buona arte comincia con un’evasione dalla noia."
Siamo in un museo; con gli occhi del quasi cieco Barnaba e di Anne osserviamo i quadri esposti; uno in particolare esprime la catarsi dei protagonisti e del racconto: Marat assassinè di David. Mentre leggiamo, osserviamo con loro e ci poniamo domande sull'arte e sulla nostra capacità d'interpretare l'arte, anche da parte di Barnaba, di Anne, del narratore e di Del Giudice. Anche l'arte letteraria è arte; è una raffigurazione* (Ricoeur) che va oltre la scrittura e la lettura.
Tra le bozze del mio blog ho trovato una nota sull'arte che avevo iniziato a scrivere al tempo della discussione su "Opinioni di un clown" di Boll ma che è rimasta lì a sonnecchiare in attesa d'una ispirazione publicistica che tarda a venire.
Tra i vari trafiletti, rubati qua e là, sui libri di casa o sul web, ne ho trovato uno di Ezra Pound che ho ritenuto degno di condivisione in questa discussione perchè ha un riferimento esplicito anche all'arte "letteraria" su cui abbiamo "accennato" qualche sporadica opinione. Ecco il trafiletto tratto dalla prefazione dell'autore alla sua opera "Lo spirito romanzo":
"La buona arte non annoia mai nessuno. Con questo voglio dire che è compito dell’artista impedire la noia; e, nell’arte letteraria, sollevare, rinfrescare, ravvivare la mente del lettore - a ragionevoli intervalli - con qualche forma d’estasi, con qualche splendor di pensiero, con qualche immagine di pura bellezza, con qualche folgorante giro di frase - il riso non è estasi da poco. La buona arte comincia con un’evasione dalla noia."
(*) La conversione di un testo in “opera d’arte” non è un fenomeno automatico e irrazionale. Ricoeur suggerisce di osservare se il “mondo fittizio” si presenta come qualcosa che “si può abitare, che può essere ospitale, estraneo, o forse ostile”, come un testo e un mondo con il quale si stabilisce una “strategia di gioco, anche di combattimento, di sospetto e di rifiuto, che permette al lettore di praticare la distanza nell’appropriazione”.
Dunque si può “parlare con proprietà di mondo, quando l’opera interagisce con lo spettatore o il lettore, e il lavoro di raffigurazione fa si che vacilli il suo orizzonte di aspettative; solo nella misura in cui si può raffigurare questo mondo, l’opera si rivela capace di un mondo.”
RF |
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eloise
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Posted - 12/10/2020 : 12:09:13
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Si potrebbe dunque affermare che la letteratura è quel sistema linguistico tipicamente scritto con cui un uomo tenta di rappresentare il mondo, o parte di esso, e riesce a farlo sollecitando in chi legge "la potenza dell'incanto".
Con la seguente definizione di termini: - sistema linguistico: perché costruito su regole linguistiche e retoriche; - tipicamente scritto: di solito è scritto ma ci possono essere eccezioni; è comunque sempre in qualche modo riconducibile alla scrittura; - un uomo: perché l'io autoriale e l'io narrante, in qualsivoglia forma o rapporti siano col testo o tra di loro, sono fondamentali nella costruzione di questo prodotto; - rappresentare il mondo: l'autore costruisce una "realtà" nel testo, una raffigurazione, un universo entro le cui coordinate si svolge la narrazione; - la potenza dell'incanto: è ovviamente la parte più difficile e meno definibile, ma è quella che come giustamente dice Tiziano ci fa sentire la "puissance" del testo; è ciò che fa avvicinare la letteratura alle altre forme d'arte perché è lo stesso incanto che ci può derivare dall'ascoltare un brano di Mozart o dal vedere la nascita di Venere di Botticelli. In definitiva la sua definizione non è un "problema" che appartiene solo alla letteratura ma un po' a tutta l'arte in genere. E' la definizione in genere di capolavoro che è difficile.
Un testo è più facilmente definibile "capolavoro letterario" quando riesce a soddisfare maggiormente uno o più punti sopra citati. Se ad esempio il suo sistema linguistico è particolarmente rilevante e lo è anche la sua capacità di rappresentare il mondo (darne una visione organica), come ad es. la Divina Commedia, più facilmente sarà considerato un capolavoro.
Si, lo so, queste sono solo elucubrazioni mentali e non toglie né aggiunge nulla al piacere della lettura. Ma servivano a me per mettere un qualche punto fermo nel mio ragionamento interno sul problema.
Detto questo, concordo con Tiziano sul fatto che l'analisi forzata di un testo, soprattutto su un singolo aspetto, per cui per forza se ne debba tirare fuori una certa desiderata verità, non piace neanche a me. Non me ne volere Rosario, ma in tutta franchezza ti racconto questo: la mia tesi, al contrario di quella di Tiziano che sarà sicuramente stata più interessante, mi è stata chiesta proprio su René Girard. Autore che ho trovato interessante per molti aspetti ma di cui non condivido a prescindere, e sempre, l'approccio alla "verità" dei testi. Insomma io mi sono laureata su Sartre. E dovevo trovare significati girardiani nei testi di Sartre. Due mondi che dal mio umile punto di vista sono agli antipodi, e che riguardano questioni che mi "prendono" anche meno. Eppure sai, l'ho fatto. I risvolti girardiani nei testi di Sartre li ho trovati tutti, anche i più insospettabili. Ma mi è sempre rimasto l'amaro in bocca di aver distorto Sartre. E di aver sprecato in malafede il mio lavoro. Avrei potuto scrivere una tesi non migliore, perché il lavoro fatto non è stato facile e l'ho svolto anche bene secondo me, ma più sincera, perché non ero convinta di ciò che scrivevo e cosa ancora peggiore, non ho mai avuto quella sensazione che invece avrei desiderato avere scrivendola: quella di dare un contributo, seppur piccolo, tutto mio, all'analisi di testi, a quella letteratura che ho sempre amato, per farla amare un po' di più agli altri. Sigh. Ma da quelle ceneri forse è nato Letteratour, in fondo non tutto il male viene per nuocere.
Con questo non voglio dire che il tuo approccio non mi interessi, tutt'altro. Non lo condivido, ecco. Ma sono sempre interessata a chi la pensa diversamente da me, perché convinta che la molteplicità di voci sia sempre un arricchimento, mai il contrario ;)
Che dire a questo punto? Siamo andati un po' off-topic, ma non ne sono rammaricata, anzi. E forse Tiziano in qualche modo questo se lo aspettava quando ha suggerito questo testo... Questa digressione sull'interrogarsi su cosa è la letteratura è un valore aggiunto che ci ha regalato Del Giudice, un altro motivo per aver amato questo testo :)
Eloise www.letteratour.it
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Edited by - eloise on 12/10/2020 12:14:20 |
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Rosario
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Posted - 12/10/2020 : 15:34:37
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quote: Originally posted by eloise
(...).. sono sempre interessata a chi la pensa diversamente da me, perché convinta che la molteplicità di voci sia sempre un arricchimento, mai il contrario ;) (...) Questa digressione sull'interrogarsi su cosa è la letteratura è un valore aggiunto che ci ha regalato Del Giudice, un altro motivo per aver amato questo testo :)
molteplicità e valore aggiunto che si possono avere nelle discussioni è anche la mia convinzione; ed è anche certo il mio interesse per tutte le "posizioni"- veritative o menzognere (che è lo stesso)- sulla letteratura. Il concetto di letteratura che ho cercato di spiegare e argomentare, non è esclusivo delle altre posizioni espresse sull'argomento ma inclusivo perchè la verità non esclude ma include, non separa ma unisce, nella diversità e nella molteplicità.
Come dire alla fine diciamo le stesse cose in modo diverso...ma, come tu hai scritto in occasione dell'accostamento delle foto di Zazie e di Queneau, mi vien da dire:
Che meravigliosa differenza!
RF |
Edited by - Rosario on 12/10/2020 15:38:20 |
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Rosario
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Posted - 12/10/2020 : 17:59:17
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Cercare la verità
A quanto scritto nel post precedente vorrei solo aggiungere che l'analisi di un testo è sempre "forzata" qualsiasi essa sia, estetica, veritativa, letteraria, filosofica, ecc.. e, comunque, cercare la verità (analisi veritativa)a volte può essere utile e interessante, non per la conoscenza della la verità in se stessa ma per l'uso che se ne fa o se ne può fare, sia a livello individuale sia a livello sociale. È questa ricaduta nella realtà quotidiana il "valore universale" dell'opera letteraria ovvero della letteratura.
Quindi, l'uso strumentale, questo cercare la verità è un valore aggiunto, un valore pedagogico spesso dimenticato; ed è un tipo di letteratura realista e concreta (serve per servire il bene sociale non per pura evasione eteropica); può anche non piacere ma c'è ed è bene che ci sia, insieme alla poesia e alle altre forme poetiche che, magari, appagano di più il nostro bisogno di... sognare, la nostra immaginazione, il nostro desiderio di estraniarsi dalla pesantezza della realtà quotidiana.
Anche Nel museo di Reims, come in tutti i romanzi, questo valore veritativo della letteratura si trova applicando l'analisi del desiderio mimetico (con annessi e connessi): non sarà poesia, non sarà romantico, non sarà appagante ma è comunque romanzesco, è letteratura nel senso "pieno" del termine.
E qui mi viene in mente la frase, pronunciata da un "matto", che più mi intriga:
"Io sono ignorante, ma ho letto qualche libro e mi son fatto un'idea...e cioè che non c'è niente al mondo che non serve. Lo vedi questo sassolino? Ecco, anche questo sassolino serve a qualcosa. Io non lo so a che cosa serve… se uno sapesse tutto, quando si nasce, quando si muore, sarebbe Dio. Io non lo so a che cosa serve questo sasso, ma serve. Perché se non serve questo sasso, non servono neanche le stelle.." (cfr. F. Fellini, La Strada)
Per me "Nel museo di Reims" è quel sassolino che vede il matto su "La strada" di Fellini; o anche il quadro Marat assassiné che vedono il quasi cieco Barnaba e Anne nel nuseo di Reims.
Alla fine sia il sassolino sia il quadro sia il romanzo "servono" alla letteratura,
perchè:
se non servono loro non servono neanche le stelle.
...rigorosamente! (come la pasta dello spot publicitario)
ratio imitarum naturam (I, 60, 5.)
RF |
Edited by - Rosario on 13/10/2020 16:44:56 |
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Rosario
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Posted - 14/10/2020 : 13:10:09
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quote: Originally posted by eloise
Si potrebbe dunque affermare che la letteratura è quel sistema linguistico tipicamente scritto con cui un uomo tenta di rappresentare il mondo, o parte di esso, e riesce a farlo sollecitando in chi legge "la potenza dell'incanto".
Con la seguente definizione di termini: - sistema linguistico: perché costruito su regole linguistiche e retoriche; - tipicamente scritto: di solito è scritto ma ci possono essere eccezioni; è comunque sempre in qualche modo riconducibile alla scrittura; - un uomo: perché l'io autoriale e l'io narrante, in qualsivoglia forma o rapporti siano col testo o tra di loro, sono fondamentali nella costruzione di questo prodotto; - rappresentare il mondo: l'autore costruisce una "realtà" nel testo, una raffigurazione, un universo entro le cui coordinate si svolge la narrazione; - la potenza dell'incanto: è ovviamente la parte più difficile e meno definibile, ma è quella che come giustamente dice Tiziano ci fa sentire la "puissance" del testo; è ciò che fa avvicinare la letteratura alle altre forme d'arte perché è lo stesso incanto che ci può derivare dall'ascoltare un brano di Mozart o dal vedere la nascita di Venere di Botticelli. In definitiva la sua definizione non è un "problema" che appartiene solo alla letteratura ma un po' a tutta l'arte in genere. E' la definizione in genere di capolavoro che è difficile.
Eloise, prendo spunto dalle tue elucubrazioni per farne delle altre sulla letteratura, la scrittura e l'opera d'arte.
Letteratura e opera d'arte
Non c'è dubbio che per definire cos'è la letteratura o qualsiasi altra "cosa" ovvero "oggetto" dobbiamo allontanarcene, farlo dall'esterno, considerarlo come "cosa" come "oggetto" in altri termini "oggettivarla".
Solo così possiamo farla rientrare in un sistema di regole (linguistiche o meno) ; se non la oggettiviamo resta solo la potenza dell'incanto che è soggettiva, cioè, non è uguale per tutti: la potenza dell'incanto di un oggetto è direttamente proporzionale al soggetto incantato alla sua sensibilità alla sua interazione con l'oggetto. Il tutto richiama il principio di indeterminazione di Heisemberg, che Rosella conosce bene, ovvero, in ambito religioso, il principio di trascendenza.
E, a proposito di trascendenza, Steiner in Vere presenze scrive:
(cfr. Steiner - Vere Presenze) - "Se accettiamo l'esistenza di un senso, e la molteplicità dei significati di un opera d'arte, allora dobbiamo anche scommettere su un presupposto di trascendenza, profondamente radicato nelle nostre grammatiche e in continua dialettica con il tema della morte di Dio. Solo a questa condizione potremo ristabilire un rapporto autentico con l'atto creativo e con la sua irriducibile originalità."
Nel museo di Reims, Del Giudice svuota di senso la realtà e lo fa attraverso il gioco delle reciproche menzogne tra Barnaba e Anne. Svuotando il valore oggettivo della realtà, rimane soltanto... io direi l'amore tra Barnaba e Anne ma lo sento troppo banale; e allora facciamo parlare lui con la frase che conclude il romanzo:
"Si soltanto due parole", disse Anne, e la sua voce aveva un colore caldo, e brillante, lucido di tenerezza.
... se non è amore questo, la chiamerei "coccola".
Del Giudice termina il racconto con una coccola a se stesso e al lettore.
Tornando all'opera d'arte, e su quanto è difficile giudicare un capolavoro universale ovvero universalmente riconosciuto, dobbiamo considerare che la percezione di quell'oggetto candidato a opera d'arte è solo soggettiva; ma il soggetto umano si deve considerare fuori dal controllo di qualsiasi sistema controllore, semplicemente perchè è radicalmente libero.
Barnaba è quasi cieco e la sua percezione è immaginaria - ovvero è aiutata e completata dall'immaginazione -; e non corrisponde alla realtà oggettiva percepita da Anne; la quale, per mettere a suo agio Barnaba, mente con dolcezza quasi ad accompagnarlo. Barnaba se ne accorge e allora mente pure lui e, così, giocano e si amano nella reciprocità della menzogna.
Scrittura
Se la scrittura è un'arte allora il romanzo è un opera d'arte. Cos'è un'opera d'arte?
Verso la fine di Lettera a una professoressa [Fondazione Barbiana - Don Lorenzo Milani] troviamo scritto:
“Così abbiamo capito cos’è un’opera d’arte. È voler male a qualcuno o a qualcosa. Ripensarci sopra a lungo. Farsi aiutare dagli amici in un paziente lavoro di squadra. Pian piano viene fuori quello che di vero c’è sotto l’odio. Nasce l’opera d’arte: una mano tesa al nemico perché cambi”.
Per Pier Paolo Pasolini è “una delle più straordinarie definizioni di quello che deve essere la poesia.
...e la poesia la possiamo considerare un genere letterario, ovvero letteratura; il che parafrasando la lettera dei ragazzi di Barbiana
Così abbiamo capito cos'è un opera letteraria (capolavoro). È voler male a qualcuno o qualcosa. Ripensarci sopra a lungo. Farsi aiutare dagli amici in un paziente lavoro di squadra. Pian piano viene fuori quello che di vero c’è sotto l’odio. Nasce l’opera letteraria: una mano tesa al mondo (nemico) perché cambi”.
In effetti, a rileggerlo, il risultato spiega benissimo cos'è o cosa potrebbe essere la letteratura in senso sia mondano sia spirituale.
RF |
Edited by - Rosario on 14/10/2020 17:52:08 |
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Rosario
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Posted - 16/10/2020 : 15:39:05
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Cos’è la raffigurazione?
Al punto - Rappresentare il mondo compreso tra quelli elencati da Eloise per provare a definire la letteratura, è riportato il termine raffigurazione. Senza andare a scomodare le anonime e definizioni sul dizionario del mio Mac, sono andato a cercare sulla mia scrivania uno studio sul "Vivere, raccontare, rappresentare l’invisibile." Un capitoletto riguarda proprio la raffigurazione; eccolo:
- La nozione di “raffigurazione” personale di Paul Ricoeur.
Bisogna prima chiarire il senso del concetto di raffigurazione.
Secondo la “mimesis III” di Ricoeur, è possibile considerare come “raffigurazione” un momento personale che implica due cose: la “comprensione” intellettuale – tecnica – di un testo e la fondamentale “applicazione” di questo testo da parte della persona. Sapendo che entrambe le cose non sono attività cronologicamente distinte. “Tuttavia, dalla prospettiva epistemologica, è diversa la comprensione dalla applicazione: altrimenti la comprensione sarebbe un atto arbitrario”, avverte Ricoeur. Quindi, per descrivere questo momento, conia il termine raffigurazione. Senza questa distinzione, invece di lavorare all’ombra di Ricoeur, saremmo all’ombra del soggettivismo ludico di Richard Rorty.
La conversione di un testo in “opera d’arte” non è un fenomeno automatico e irrazionale. Ricoeur suggerisce di osservare se il “mondo fittizio” si presenta come qualcosa che “si può abitare, che può essere ospitale, estraneo, o forse ostile”, come un testo e un mondo con il quale si stabilisce una “strategia di gioco, anche di combattimento, di sospetto e di rifiuto, che permette al lettore di praticare la distanza nell’appropriazione”.
Dunque si può “parlare con proprietà di mondo, quando l’opera interagisce con lo spettatore o il lettore, e il lavoro di raffigurazione fa si che vacilli il suo orizzonte di aspettative; solo nella misura in cui si può raffigurare questo mondo, l’opera si rivela capace di un mondo.”
Nel romanzo-racconto Nel museo di Reims di Del Giudice, abbiamo diverse e distinte applicazioni di questo concetto di raffigurazione, un po' come la triangolazione del desiderio mimetico di Renè Girard. - il romanzo
- il/i quadro/i esposto/i
- Ciò che osserva Barnaba
ciò che osserva Anne la luce, l'ombra,...
Un'opera d'arte è comunque una raffigurazione del mondo in cui viviamo e non riguarda solo la verità in senso filosofico o religioso; ma è la rappresentazione del mondo e del nostro stare nel mondo. Un mondo che, personalmente, non mi sento di considerare solo una specie di limbo o, una qualsiasi altra e fantasiosa eterotopia.
"solo nella misura in cui si può raffigurare questo mondo, l’opera si rivela capace di un mondo" e questo vale anche per la letteratura, per tutti i racconti di Del Giudice compreso quello che accade a Barnaba e ad Anne Nel museo di Reims.
RF |
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Rosario
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Posted - 16/10/2020 : 20:10:52
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quote: Originally posted by Tiziano
i significati delle parole si possono anche cambiare, basta intendersi, però attualmente credo che l'unico punto su cui concordano tutti gli studiosi di letteratura è che la letteratura è scritta, altrimenti è un'altra cosa (un tempo l'altra cosa era definita "Folklore"): ecco perché dico che l'affabulazione precede la letteratura, perché appunto l'essere umano prima ha imparato a parlare e poi a scrivere. IL passaggio storico non è semplice, perché la scrittura nasce per registrare, non per raccontare; perché questo accadesse ci fu bisogno di una evoluzione tecnica delle scrittura e della comparsa di una ritualità religiosa che prevedeva il racconto mitico. Tu, Eloise, hai ragione a sostenere che la letteratura è un sistema (una tradizione, una retorica, una missione sociale, ecc.), ma questo è sovrastrutturale rispetto all'universalità della narrazione. Sostanzialmente sono d'accordo con te, il tuo discorso non fa una piega, o meglio: ne fa una, credo, perché forse - almeno è questo che mi pare - non distingui tra la scrittura come tecnica di trasposizione grafica del linguaggio verbale e scrittura come forma di espressione, come la intende Barthes; è ovvio che solo questo secondo caso riguarda la letteratura. E qui il riferimento francese cade a proposito, anche se non ricordo (ah...la smemorata vecchiaia) a chi mi dovrei riferire, se a Derrida o a Foucault, comunque uno dei due ha scritto che il testo letterario - l'ecriture - ha in se una forza - puissance - che deborda sempre dal testo ed è infine inafferabile all'analisi. Mi pare che sia proprio il caso di "Nel Museo di Reims"
Tiziano
Sono l'accordo Tiziano: - la scrittura è la registrazione dell'originale affabulazione; - l'affabulazione è il raccontare storie; - raccontare storie è rappresentazione della realtà "mediata" cioè come la vede e l'interpreta l'autore della fabula.
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Edited by - Rosario on 16/10/2020 20:30:36 |
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Rosario
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Posted - 17/10/2020 : 11:46:37
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Il principio dell'illuminismo: (il passaggio dal buio alla luce).
cit. dal romanzo Nel museo di Reims di Del Giudice
Poi (Barnaba) domandò in tono più rassegnato: "E la luce, da dove viene?" “Non viene da nessuna parte, rispose Anne. - C’è, è tutta sul corpo, ma come se fosse autonoma, generata dall’ombra stessa”.
Il rapporto luce ombra segue il principio dell’illuminismo ovvero il passaggio dal buio alla luce… nonostante il Marat assassiné di David rappresenti il passaggio dalla vita alla morte. Ciò vorrebbe dire dire che il senso globale del quadro raffigura il passaggio dall'buio della vita nel mondo alla luce aldilà, dell'altro mondo: la vita e la morte si scambiano i ruoli rispetto al buio e alla luce.
Provo a fare un'analisi percettiva, (sperando che Tiziano non se ne abbia a dispiacere).
Seguendo le indicazioni di Anne, la luce non viene da nessuna parte; è tutta sul corpo di Marat ed è generata dall’ombra del mondo che lo circonda e che sta abbandonando.
È nell’uomo la luce, tutto il resto è ombra.
La luce autonoma sul corpo di Marat risplende proprio al momento della morte o meglio del transito; è come se la luce della vita eterna fendesse le tenebre della morte del mondo secolare.
Forse è un linguaggio troppo religioso; ma è quello che ho percepito.
Marat-Barnaba-Del Giudice è sereno, quasi sorridente, finalmente vede la luce oltre l’ombra del mondo che sta abbandonando; è come il leopardiano "naufragar m’è dolce in questo mare”; un naufragio che segna la fine dei suoi supplizi e del suo dolore.
La dolcezza, il calore e la purezza della voce di Anne le è compagna in questo suo transito illuminista.
Forse è un linguaggio troppo poetico; ma è quello che ho percepito.
A l'alta fantasia qui mancò possa; Ma già volgeva il mio disio e il volle, Si come rota ch'igualmente è mossa, L'amor che move il sole e l'altre stelle.
ratio imitarum naturam (I, 60, 5.)
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Edited by - Rosario on 19/10/2020 17:52:15 |
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Tiziano
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Posted - 17/10/2020 : 17:26:19
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bè, cara Eloise, abbiamo scoperto che i nostri professori hanno abusato del nostro intelletto, costringendoci (te più di me) a tesi di laurea che non ci piacevano. Ma è stato solo un piccolo inciampo delle liturgie accademiche, non mi pare che il nostro intelletto ne abbia risentito. A proposito di Sartre, trascrivo un mio recente appunto che ho ritrovato nel mio zibaldone, scritto dopo che ho riletto il romanzo; magari poi ci viene in mente qualcosa: "Non ci avevo mai pensato, forse a causa del mio disinteresse per Sartre (fatta eccezione per La nausea), quello che mi pare di aver capito ora è che lo sguardo, il giudizio e la relazione con la realtà di Roquentin sono gli stessi di Palomar (e magari, forse, anche di Zeno e di Moscarda), con qualche differenza, principalmente la prospettiva ironica che rappresenta il punto di vista di Calvino e non di Sartre."
Tiziano |
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