Il Blog di Rosario Frasca

Le opinioni di un Clown, ovvero: Il mito di Er

Pasolini

mar 032020

"Le ceneri di Gramsci", il poemetto che dà il titolo alla raccolta, datato 1954 e pubblicato sul n. 17-18 di Nuovi Argomenti del novembre-febbraio '55-'56.

 

undefinedAntonio Gramsci (1891-1937), filosofo italiano, organizzatore e co-fondatore del Partito Comunista Italiano. Gramsci scrisse più di trenta quaderni di storia e analisi durante la sua prigionia voluta da Mussolini. I suoi Quaderni dal Carcere contengono sia idee relative alla storia italiana e al nazionalismo, sia riflessioni originali sul Marxismo e principi critici ed educativi, tra cui il famoso concetto di egemonia culturale. Morì poco dopo il suo rilascio a causa di problemi di salute.

 

 

 

 

 

Scrive Pasolini:

Intorno ai quarant'anni, mi accorsi di trovarmi in un momento molto oscuro della mia vita. Qualunque cosa facessi, nella «Selva» della realtà del 1963, anno in cui ero giunto, assurdamente impreparato a quell'esclusione dalla vita degli altri che è la ripetizione della propria, c'era un senso di oscurità. Non direi di nausea, o di angoscia: anzi, in quell'oscurità, per dire il vero, c'era qualcosa di terribilmente luminoso: la luce della vecchia verità, se vogliamo, quella davanti a cui non c'è più niente da dire.

 

Mi sono immaginato un piccolo dialogo tra il poeta e il filosofo che s'incontrano a Testaccio.

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Pasolini chiede a Gramsci, che dorme "nella stessa pasta dei sogni" di una tomba, nel cimitero acattolico di Testaccio:

 

«Mi chiederai tu, morto disadorno,

d'abbandonare questa disperata

passione di essere nel mondo?»

 

Gramsci dall'aldilà risponde a Pasolini, che si consuma nell’al di qua, alle falde del "Monte de' cocci":

 

Solo l'amore, solo il conoscere conta,
non l'aver amato, l'aver conosciuto.
Dà angoscia il vivere di un consumato amore
L'anima non cresce più.

 

Un pensiero profondo, abissale; parole che inchiodano e vincolano inesorabilmente l'amore e la conoscenza - cioè la realtà - solo al presente, nell'atto, nell'azione; e vestono il passato di quel "consumato amore” nell'immobilità paralizzante di un'angoscia non voluta e rabbiosa.

 

undefinedUna rabbia che cova dentro. Pasolini sente la sua esistenza dispendersi - come le ceneri di Gramsci - nell'indeterminatezza di un nulla abissale. Questa è stata la sua vita il suo dolore, la sua rabbia poetica.

Il suo "Il Vangelo secondo Matteo", oggi rivalutato e restaurato, rappresenta la sintesi simbolica di questo suo "vivere contro".

 

 

Bisogna rileggere tutta l'opera pasoliniana in questa chiave di angoscia esistenziale, per rivalutare tutta la potenza del suo "j'accuse" contro la casta ipocrita e arrogante del potere politico e mediatico.

 

 

La sua morte e le sue opere assumono, in quest'ottica, il valore di testimonianza e di documento storico.

Con lo sguardo addolcito della memoria affettiva, il suo vissuto angoscioso è presente, latente e virulento, in tutte le sue opere; eppure lui in quella selva oscura vedeva "la luce della vecchia verità, quella davanti a cui non c'è più niente da dire."

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 Murales dedicato a Pier Paolo Pasolini: “L’occhio è l’unico che può accorgersi della bellezza

 

Io, tu...l'altra

gen 272020

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Giuliana Mangione
27 gennaio 2016

Ai miei amori
Rosario, Matteo, Luca

Io, tu... l'altra

È un mese che abbiamo smesso di frequentarci.
Un mese che non ci tocchiamo più, non ci parliamo più, non usciamo più insieme.
Ho deciso io di non avere più nulla a che fare con te, io ho troncato ogni rapporto, io ho eluso ogni occasione per stringerti ancora tra le dita.


Mi hai fatto troppo male e questa volta non sono riuscita a perdonarti. Troppo male ho sopportato per una malsana attrazione che avevo e forse ho ancora verso di te.


Devo riconoscere che in alcuni momenti della mia vita, specialmente quelli dolorosi, se non ti avessi avuta accanto sarebbe stato difficile venirne fuori. Mi hai tenuto compagnia nelle notti insonni, mi hai consolata quando la solitudine mi attanagliava, alcune volte ho pensato tu fossi l'unica che potesse capirmi.


Mi sbagliavo.


Vedere negli occhi dell'uomo che amo la paura di non essere in grado di aiutarmi a liberarmi di te, della tua subdola manipolazione nei miei confronti e in quelli degli altri, del tuo spregiudicato modo di amarmi fino a togliermi il respiro, mi hanno dato il coraggio di lasciarti e questa volta per sempre.


I primi giorni senza di te sono stati duri, una sera sono stata sul punto di accarezzarti ancora, mi sembrava persino che senza te non valesse la pena vivere. A che punto mi hai portata... altro che "50 sfumature di grigio"!
Quella sera ho capito che avevo bisogno di aiuto. Il rischio era che riprendessi ad avere talmente bisogno di te da permetterti di abusare di me. Ancora una volta.


Poi ho trovato lei, ormai posso considerarla un'amica, mi ha aiutato e mi sta aiutando a non considerarti più di quello che vali. Certo non brucia di passione come facevi tu quando eri parte della mia vita, ma posso farmi accompagnare da lei in quasi tutti i luoghi dove io e te insieme non eravamo benvolute.


Gli amori della mia vita la vedono di buon occhio, sorridono quando mi rivolgo a lei con allegria dopo una serata insieme.
So che tenterai ancora di farmi tua, di farmi sentire inadeguata in alcuni luoghi, in certi contesti, ma dopo quarant'anni ed oltre di convivenza, ti conosco abbastanza per sapere che non hai la pazienza per aspettarmi più di tanto. Chi te lo fa fare, hai un mondo ai tuoi piedi, per te è più facile fare a meno di me.

 
Io dovrò lottare ancora per fare a meno di te, ma con il suo aiuto ci riuscirò.


Ti ho amata molto, troppo, un amore mal corrisposto, ma mi rendo conto ora che era l'unico fossi in grado di darmi. Ciao bionda, anzi... addio.

 

(Il ritratto è opera di Sara Mangione)

Il viaggio nell'aldilà di Fellini

gen 242020

 

 

"Il viaggio di G. Mastorna", storia di uno che è morto ma non lo sa (Fellini)

 

boni operis
bene operandum

 

 

"In quei giorni mi sono convinto di poter morire di infarto anche perché ho temuto che l'impresa fosse sproporzionata alle mie forze. Liberare l'uomo dalla paura della morte. Come l'apprendista stregone che sfida la sfinge, l'abisso marino, e ci muore. È il mio film - ho pensato - che mi ammazza."(Federico Fellini, "Fare un film")

 

Fellini ricorre alla metafora dell'apprendista stregone per spiegare il suo senso di frustrazione nell'aver ideato, progettato e sceneggiato un film che non ha saputo o potuto o voluto realizzare: liberare l'uomo dalla paura della morte, per Fellini è rimasto un sogno, un proposito eroico, un'opera incompiuta.

L'apprendista stregone (in tedesco Der Zauberlehrling) è una ballata composta nel 1797 da Wolfgang Goethe, ispirata a un episodio del Φιλοψευδής (Philopseudḗs , ovvero "l'amante del falso") di Luciano di Samosata.[1]

Dall'opera letteraria, il compositore francese Paul Dukas ricavò l'impianto del suo poema sinfonico "L'apprendista stregone". Alla storia si sono ispirate diverse opere successive, la più famosa delle quali è un episodio del film d'animazione Disney Fantasia (1940) con protagonista Topolino.

La ballata di Goethe racconta di uno stregone che si assenta dal suo studio, raccomandando al giovane apprendista di fare le pulizie. Quest'ultimo si serve di un incantesimo del maestro per dare vita a una scopa affinché compia il lavoro al posto suo. La scopa continua a rovesciare acqua sul pavimento, come le è stato ordinato, fino ad allagare le stanze: quando si rende conto di non conoscere la parola magica per porre fine all'incantesimo, l'apprendista spezza la scopa in due con l'accetta, col solo risultato di raddoppiarla, perché entrambi i tronconi della scopa continuano il lavoro. Solo il ritorno del maestro stregone rimedierà al disastro. La morale della ballata è chiara: il limite delluomo di fronte al mistero, di fronte all'immensità di tutto ciò che non conosce. La conoscenza è come l'acqua della metafora: più ne togli, più ce n'è da togliere.

L'espressione è diventata proverbiale anche in italiano. Nel lessico letterario e giornalistico, l'apprendista stregone è una persona che ha la presunzione di avventurarsi in ambiti che non conosce, applicando metodi e tecniche che ancora non è in grado di padroneggiare, con l'alto rischio di provocare danni irreversibili per tutta la collettività. La figura dell'apprendista stregone si può inoltre considerare anticipatrice di quella dello scienziato pazzo, personaggio tipo della narrativa e del cinema popolare nel Novecento.

 

"Il viaggio di G. Mastorna", il film ideato, scritto e mai girato di Federico Fellini, rientra in pieno tra le opere riconducibili al mito letterario dell'apprendista stregone. L'ossessione di Fellini, per la parola "fine", che non voleva apparisse al termine del film, racchiude questo significato mitico dell'apprendista stregone:

 

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l'impotenza dell'uomo di fronte al mistero dell'aldilà

 

La realizzazione dell'aldilà onirico di Fellini, resta un'opera incompiuta; un logos sovrumano che l'artista non ha saputo e/o potuto e/o voluto rappresentare. Il grande regista, come l'apprendista stregone, sembra che si sia arreso al suo desiderio inappagato; ma, a ben guardare, la parola "FINE" al termine del suo film non è stata scritta. Questa sua irrequietezza di fronte alla parola "fine", è già un segno che connota il suo personale e problematico rapporto con la morte: il suo intimo rifiuto per quell'ultimo respiro, l'atto che per lui rappresentava la "fine" di tutto. Un pensiero che lo costringe nell'angoscia; al vuoto esistenziale di un uomo che si nega qualsiasi futuro: un uomo senza speranza.

 

 

 undefinedIl grande sipario si è chiuso inesorabilmente anche per lui; ma aldilà del sipario, il suo set resta pienamente operativo: la sua opera continua per sempre, in eterno, nei percorsi misteriosi dell'aldilà. "Il viaggio di G. Mastorna" non finirà mai. Il fastidio fobico di Fellini per la parola "fine" è superato: quella brutta, incombente e minacciosa parola, non è comparsa nei titoli di coda del suo film: la "fine" non ha corrotto il senso e la purezza del suo mondo onirico. In fondo, qualsiasi opera d'arte è, e resta, un'incompiuta d'autore: perchè comunque l'opera si perpetua e si sviluppa in chiunque la guardi, la legga e la interpreti, risuscitandola a nuova vita, nei secoli dei secoli.

 

L'opera omnia di Fellini altro non è che la rappresentazione onirica e della sua vita, filtrata e addolcita dalla memoria affettiva; il ricordo indulgente verso l'icona di un vissuto in un mondo di macerie, ruderi oscuri e fondali luminosi; terrificante e poetico; una realtà onirica che si rivela in tutti i suoi film, in tutte le sue stupefacenti e immaginifiche sceneggiature.

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Ogni personaggio dei suoi film è una maschera di se stesso; del vero Fellini che ci guarda sornione dallo schermo velato e rugoso di un cinema di periferia e ci dice: "Ecco, anche questo film serve a qualcosa. Io non lo so a che cosa serve… se uno sapesse tutto, quando si nasce, quando si muore, sarebbe Dio. Io non lo so a che cosa serve questo film, ma serve. Perché se non serve questo film, non servono neanche le stelle.." (cfr. Federico Fellini, La Strada).

 

 

 

 

L'opera incompiuta di Fellini ci rappresenta, insieme a tutte le nostre periferie esistenziali che cercano alloggio nei quartieri "incorrotti" e misteriosi di un aldilà onirico e purificante. La morte, ovvero la porta dell'aldilà, qualcuno ha voluto fissarla in immagini danzanti in note dolcissime.

 


 

 Dialogo dal finale di 8 e 1/2

(R) Luisa, mi sento come liberato; tutto mi sembra buono, tutto ha un senso, tutto è vero.

Ah come vorrei sapermi spiegare, ma non so dire.

Ecco, tutto ritorna come prima, tutto di nuovo confuso; ma questa confusione sono io: io come sono e non come vorrei essere; e non mi fa più paura.

Dire la verità, quello che non so, che cerco, che non ho ancora trovato;

solo così mi sento vivo e posso guardare i tuoi occhi fedeli senza vergogna. È una festa la vita, viviamola insieme.

Non so dirti altro Luisa, nè a te nè agli altri; accettami così come sono, se puoi; è l'unico modo per tentare di trovarci.


(L) Non so se quello che hai detto è giusto; ma posso provare ...se mi aiuti.

 

 

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Per correr miglior acqua alza le vele

ormai la navicella del mio ingegno,

che lascia dietro a sé mar sì crudele;

 

   e canterò di quel secondo regno,

dove l'umano spirito si purga

e di salire al ciel diventa degno.

(Purgatorio, Canto I - Dante Alighieri)

 

Deo gratias!

ott 062019

 

E ancora proteggi la grazia del mio cuore

Adesso e per quando tornerà l'incanto

L'incanto di te, di te vicino a me

(Vinicio Capossela - Ovunque proteggi)

 

Suor Beatrice di Gesù Fortunati

 

Monastero - Manziana, 18 settembre 2019

Professione perpetua di Suor Beatrice

Nota di ringraziamento

 

Il giorno dopo è… 

Se la felicità fosse un vizio oggi mi potrei dire molto viziosa, se fosse una virtù molto virtuosa, se fosse un’abitudine potrei dire che sono stata rivestita di un abito di gioia e oggi ne sono ornata come non mai. Ed è molto più bello di ciò che mi aspettavo, avevo infatti un po’ di timore del “giorno dopo…” …e invece…

Il giorno dopo la professione perpetua, alle 11 di mattina, mi sono ritrovata sulla panchina del terrazzo del Noviziato, seduta stanca serena, e stavo lì; semplicemente lì, in quell’angolino di mondo, a guardare il celeste intenso del cielo e seguire i movimenti del vento tra le nuvole e c’era in me la sensazione della bellezza della vita che mi veniva incontro: semplice, fresca, accogliente.


E ripensai a quando tutto cominciò.

Ero adolescente e sognavo il mio futuro. C’è sempre stato in me il desiderio profondo di essere felice e insieme l’idea che, prima o poi, anch’io avrei vissuto il mio “giorno speciale”, il giorno del “Si per sempre”. Poi a 17 anni, mi capitò di partecipare ad un ritiro spirituale, grazie a mia madre, che mi obbligò ad andare senza possibilità di replica, e fu il primo “deserto” della mia vita. In quel giorno, erano circa le quattro del pomeriggio, aprii la bibbia e lessi nel capitolo secondo di Osea i versetti 21-22:

Amore e Psiche - (M. Capitolini)

undefined“Ti farò mia sposa per sempre,
ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto,
nella benevolenza e nell’amore,
ti fidanzerò con me nella fedeltà,
e tu conoscerai il Signore”.

Dentro le mie viscere ci fu uno sconvolgimento, non sapevo dove mi avrebbero portato quelle parole, ma sapevo chiaramente che Dio aveva parlato a me, alla mia vita. Sono passati 22 anni da quel caldo agosto a Collevalenza e oggi quella parola si è realizzata, oltre ogni mia immaginazione.


Ed è tutto vero!

Dire il “Sì per sempre” a Dio: per, con, in Gesù Cristo; dire il “Sì per sempre” all’amore ha come frutto: l’Eternità. Cioè il gusto di sentire che la propria vita è stata innestata definitivamente nel flusso di quel tempo eterno che passa attraverso i secoli, di generazione in generazione, e che dà valore ad ogni singolo atto che viene compiuto, e in cui nulla viene perduto, ma tutto, proprio tutto di ciò che si vive, diventa “materia di futuro”. Da qui il grande desiderio di fare del bene ed evitare il male; e di “fare del bene” - o come si dice qui in Monastero - di “fare di ogni azione un atto d’amore!”.


 E ora penso proprio d’aver preso l’abitudine d’essere contenta; infatti sin dal mattino c’è un sorriso sereno sulle mie labbra e vedendo il sole che sorge faccio un grande respiro e sento l’anima come volare e poi mi viene una gran voglia di vivere. Come la sensazione chiara d’essere felice semplicemente, di esistere, di esserci, e sentire nel cuore sbocciare un sentimento profondo di gratitudine per essere amata tanto, comprese fragilità, e poi meravigliarmi ancora per il nuovo giorno che si apre dentro una promessa, che mi accoglie e mi dice: “Questo oggi è per te, perché tu viva e sia felice!”.

 

 Noli me tangere - Beato Angelico


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Grazie di aver partecipato alla mia gioia,
grazie per la benevolenza e l’amicizia,
grazie di esserci.
Nel cuore e nella preghiera… ora per sempre!
Deo gratias!

 

Suor Beatrice di Gesù Fortunati

 


 

 

 

 

 

 

Il ricordo

ott 032019

 

 

Vola il tempo lo sai che vola e va,

forse non ce ne accorgiamo

ma più ancora del tempo che non ha età,

siamo noi che ce ne andiamo

e per questo ti dico amore, amor

io t'attenderò ogni sera,

ma tu vieni non aspettare ancor,

vieni adesso finché è primavera.

(Fabrizio De Andrè)

Il ricordo

di

Alice Rallo

 

Per mia fortuna, ho molti bei ricordi di mia zia Giuliana.

 
Ma c'è un ricordo di un evento, credo, più importante degli altri,

che, pensai subito, avrei portato con me per sempre.

 
undefinedQuando mi laureai, nel 2015, zia Giuliana mi invitò a casa sua per un caffé, e mi diede il suo regalo, un anello a sua volta datole da una sua zia, accompagnato da un biglietto.

 

Nel darmelo, mi disse che nella mia vita avrei avuto tanti traguardi da
festeggiare, ma che quello, il conseguimento della laurea, a differenza magari di un matrimonio, o della nascita di un figlio, era e sarebbe rimasto un risultato soltanto mio, raggiunto con la fatica e con l'impegno, e quindi di godermelo.


Non so perché, ma ho sempre pensato che con questo zia volesse dirmi di non rinunciare mai a coltivare il mio universo personale e la mia crescita individuale, qualunque futuro il destino mi avrebbe riservato.

 

Forse perché è giusto che sia così, e forse perché per poter essere brave mogli, bravi mariti, o bravi genitori, o ancora bravi amici, brave persone, insomma, occorre innanzitutto non appiattire se stessi.

 

Non rinunciare a vivere la propria storia personale, anche in una vita vissuta con gli altri.

Io credo che mia zia non abbia mai rinunciato a vivere la sua storia, neppure durante la malattia.

 

Benché fosse un argomento sempre presente, non le ha mai tolto la sua
intelligenza, la sua ironia, la sua sensibilità, tutti i suoi pregi e tutti i suoi difetti.

 

Io mi ricorderò sempre di questo.

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E mi ricorderò sempre di lei.

 

Migranti di Guerra

set 262019

“Non si può ridurre la drammatica crisi attuale ad un semplice conteggio numerico. I migranti sono persone, con nomi, storie, famiglie e non potrà mai esserci vera pace finché esisterà anche un solo essere umano che viene violato nella propria identità personale e ridotto ad una mera cifra statistica o ad oggetto di interesse economico” (Franciscus).


Il sangue di San Gennaro - Sandor Marai

Vinicio Capossela - Non è l'amore che va via

Premessa

Anche nell’Europa, tanto ambita dai migranti di guerra: di tutte le guerre, c’é stata una guerra, cruenta e distruttrice, che ancora si protrae per i rigagnoli di una civiltà opulenta e decadente; e ci sono ancora quei migranti di guerra che sembrano vagare in esistenze vuote e senza senso. Uno di loro era lo scrittore ungherese Sandor Marai: un romanziere che ha lasciato testimonianza di queste migrazioni senza senso; e che ha scritto molto sulle infinite guerre esistenziali dell’uomo.

Nel suo ultimo romanzo, pubblicato da Adelphi qualche anno fa, "Il sangue di San Gennaro”, è ben descritto questo peregrinare esistenziale del migrante di guerra mitteleuropeo. Nell'ultimo capitolo del romanzo, è descritta una lunga confessione, a un prete sonnacchioso e distratto, di una donna, compagna di un profugo e profuga anch’essa; sempre al suo fianco e a lui aggrappata come ci si aggrapperebbe a un solido scoglio, in un mare fluttuante e sconosciuto.

Riporto di seguito una parte di questa confessione; un brano in cui la donna descrive la genesi della fuga dalla città "vuota di senso”.

 

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La strada (Fellini) - Giulietta Masina

Sono ormai tre anni che ho lasciato il mio paese per seguire lui. Non sarei riuscita a restare lì senza di lui. Quando seppi che stava andando via, feci di tutto pur di seguirlo.

Nessuno mi faceva del male, avevo un lavoro, ma mi disse che sarebbe andato via e che non voleva tornare mai più, capii che per me non c'era più né lavoro né casa né famiglia. Non avevo più nessuno se non quell'uomo. E quando seppi che sarebbe andato via fui presa dal terrore. Come se il vuoto terribile in cui ero vissuta, all'improvviso si aprisse, come se mi ritrovassi al fondo di un abisso, senza nessun appiglio per risalire.

Non eravamo più giovani. Non eravamo una coppia di innamorati. Eravamo invecchiati d'un tratto, tutti e due, durante la guerra, nelle cantine, durante i bombardamenti, poi quando erano arrivati i bolscevichi, in certe altre cantine, dove eravamo vissuti a lungo in molti.... Perché noi tutti eravamo vissuti in una specie di invisibile scantinato.

Era molto difficile andar via... E non penso soltanto alle difficoltà ufficiali, al sospetto, alla cortina di ferro, la cosa più difficile era decidere di andar via. Lì, oltrecortina, avevo comunque un legame persino con ciò che odiavo. E quando me ne andai, capii che anche l'odio può costituire una forma di attaccamento potente quanto l'affetto. Eppure me ne andai, perché quando seppi che lui era in procinto di andar via, mi sentii in preda al terrore.

Non volevo restare in quel vuoto, senza di lui... Avevo una casa, un lavoro e, a volte, mi sembrava di vivere come un tempo. La città era tornata ad animarsi intorno a noi, c'erano ponti e spettacoli teatrali. Ma poi quelle cose terribili, le persecuzioni, le esecuzioni, la scomparsa di persone che conoscevo... E tutto questo in un clima d'indifferenza. Come accade a chi si risveglia dopo un'anestesia. La guerra, i tedeschi, i bolscevichi - era come vivere in un incubo. In ogni cosa c'era un che di paralizzante.

La vita riprendeva, mi vestivo con abiti graziosi, a volte accadeva che non ci fosse pane o carbone, che mancasse l'elettricità, dopodiché tornava ad esserci tutto, e nel frattempo si poteva andare dal parrucchiere, acquistare lo shampoo e lo smalto per unghie... Ma da vicino tutto era diverso. Al mattino giustiziavano un mio conoscente, e alla sera andavo al Teatro dell'Opera, a sentir recitare un altro mio conoscente...

Passavano gli anni, uno, tre. Gli uomini che fino al giorno prima avevano protestato contro i comunisti cominciarono a stancarsi. A stancarsi di essere in collera e di protestare... Nessuno si fidava più di nessuno. E un bel giorno nessuno si fidò più di se stesso...

Credo che fu quello il momento in cui lui decise di abbandonare il paese. Forse aveva paura di non aver più la forza di protestare, di essere sopraffatto nell'intimo dall'inerzia generale, aveva paura che sarebbe arrivato il giorno in cui non si sarebbe fidato più neanche di se stesso.

undefinedIl violoncellellista (Fellini)

 

Corollario

1 - Brano tratto dalla recensione: "La vocazione di Eva"

La scritta-prologo annuncia la scena che racconta il travaglio di una profuga clandestina e del suo viaggio della speranza verso l'Italia. Il racconto è letto dalle due attrici e si snoda nelle vicende vissute in prima persona dalla profuga. Il racconto è piano e fluido quasi a ricordare gli infiniti silenzi che accompagnano i profughi nei loro viaggi della speranza. Non ci sono fasi concitate, né narrazioni orrende; tutto fila liscio e senza scosse, come una nave che solca un mare piatto di bonaccia; un mare senza movimento, senza onde. Finito il racconto resta un amaro in bocca inspiegabile, una rassegnazione a non vivere che noi, cittadini dell'opulenza, non riusciamo a comprendere. " ho capito che l'Italia non mi aveva voluto.volevano solo assicurarsi di potermi rimandare in fretta nella terra da cui ero quasi morta per andarmene ". Mi sovviene il ricordo di un'altra profuga che in una lunga confessione a un prete sonnacchioso dice:

"... in quell'istante capii anche che nessun documento rilasciato da qualsiasi paese nel mondo mi sarebbe servito, ormai non sarei più stata davvero me stessa, non avrei più avuto un'identità. Posso essere una cittadina, una contribuente fiscale, una lavoratrice. ma non più me stessa." (Il Sangue di San Gennaro - Sandor Marai)

Nel pensiero della spoliazione dell'essere donna mi sorprendo nel buio finale della scena. Non c'era bisogno di me dietro le quinte; sono rimasto seduto, attonito e rimbambito; ho aspettato la scena successiva senza fiatare. Il teatro ti lascia spazi per far decantare le effervescenze emotive e prepararti così a vivere la scena successiva.

2 - Brano tratto dalla recensione: "Sandor Marai - Le Braci: L'arte del monologo"

Non c’è spazio per l’amore in queste pagine; eppure l’amore è l’incontrastato dominatore dei sentimenti che, come linfa invisibile, alimenta passioni e solitudini esistenziali dell’ostinato e orgoglioso Generale e dell’amico traditore, in fuga dalle situazioni galeotte, dalla verità e da se stesso. Uno scontro tra due modi di intendere la vita che riflettono il contrasto tra il vecchio mondo aristocratico del Generale e l’incalzante mondo borghese che reclama la sua superiorità culturale; una superiorità che si rivela sempre più fittizia e non sufficiente a rimpiazzare i valori della tradizione. Un contrasto culturale storicamente confermato ed espresso dal primo conflitto mondiale che fa da sfondo alle vicende narrate.

 

 

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Link:

La vocazione di Eva

Sandor Marai: l'arte del monologo

 

 

 

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