- Quattro giorni di ritardo…domani farò il test! -
16 Marzo 1978 - Sono incinta. Quasi tre mesi. Sul quasi ho dei problemi. Lo scorso anno ho perso un bambino e non voglio rischiare nulla questa volta. Mi alzo dal letto. La radio è accesa (il mio amore prima di andare in ufficio accende la radio sintonizzata su Radio Montecarlo in modo che mi faccia compagnia). Vado a vomitare il caffè appena preso, come tutte le mattine. Tiro fuori lo yogurt dal frigo e …
” interrompiamo le trasmissioni per una drammatica notizia che ha dell’incredibile. Il Presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro è stato rapito poco fa a Roma da un commando di terroristi. I poliziotti della sua scorta sono stati tutti uccisi.“
Firmato Brigate Rosse.
Rimango senza fiato…non posso crederci. Mi piange il cuore pensare a quei ragazzi che non ci sono più. Non provo nessuna emozione per il Presidente. Nessuna emozione.
Ma ho problemi più grandi. Salvaguardare la vita che è in me.
Istantanea da "Scarlet war" di Paolo Marchetti
(commento)
"Salvaguardare la vita che è in me". La maternità è per Eva, la priorità da salvaguardare nel suo essere nel mondo, nel vivere la sua vita. In altri termini, per Eva, la maternità va salvaguardata, anche di fronte alla forte reazione emotiva causata dalla brutalità di un fatto di sangue, del cinico omicidio di "quei ragazzi che non ci sono più"; (mi pare che erano cinque: una strage).
Lo sposo, (cioè io), che "accende la radio sintonizzata su Radio Montecarlo, in modo che faccia compagnia" alla sposa che dorme, dopo più di un terzo di secolo di vita coniugale, può confermare, con provata sicurezza, che per la sua Eva, non esisteva vocazione più forte della maternità.
Eva del terzo millennio, vede nella ma-donna la "Madre”dell’uomo Gesù; la figlia di Gioacchino e di Anna, la piccola Vergine ebrea offerta a Dio, la vergine immacolata concepita senza macchia, la sposa del falegname ebreo Giuseppe, della casa di Giuda, ecc., è totalmente immersa nelle necessità secolari, temporali e strumentali per il raggiungimento del suo prioritario fine esistenziale - secondo natura - , per seguire fino in fondo la sua vocazione più radicale ed esclusiva: che la coinvolge totalmente, nel corpo e nell'anima, fin nelle viscere più profonde: la maternità.
Solo la donna è Madre (di Dio); l’uomo le è naturalmente necessario per l'accoppiamento pro-creativo, per accompagnarla nella sua vocazione antropologica di essere “mamma": la custode esclusiva della vita passata, presente e futura.
Solo una donna può essere mamma; e può affermare con sicurezza: "Io sono la via, la verità e la vita”, la frase pronunciata dal "perfetto uomo e perfetto Dio" da lei stessa generato con la partecipazione dell'uomo
L'uomo, figlio di donna, frutto del suo ventre, fecondato dall’amore e figlio dell'amore; l'essere eterno intrappolato nel tempo finito, come un semplice e normalissimo "uomo", dice e proclama, nel suo tempo finito e per sempre, con forza e potenza divina: Io sono la via, la verità e la vita, grazie alla donna.
La donna, che ha generato l'Uomo, custodisce questa Verità, questa Vita e questa Via, nel suo cuore e per sempre.
L’hai riempita mesi fa, dicendo che ci avevi messo tutti i momenti belli vissuti assieme. Hai riempito quella maledetta valigia e sorridevi Mi hai detto che in questo viaggio volevi portare con te tutte le cose belle che la vita ti aveva donato.
Il nostro primo bacio, in quel cinemetto di periferia, la nostra prima notte d’amore che poi è stata la nostra prima notte di nozze, la nascita del nostro primo figlio, lo stupore nel vedere la perfezione di quell’esserino appena nato; il nostro secondo figlio, quello che è rimasto sempre il piccolo di casa.
Sei andato avanti ad elencarmi tutta una serie di eventi che già conoscevo, ho pensato ad una delle tue solite stranezze, quelle che in fondo mi hanno fatta ridere per quarant’anni!
Ed ora mi vieni a dire che devi partire, che devi partire senza di me! Dopo tutto questo tempo insieme, te ne vuoi andare senza di me! Continui a ribadire che questo viaggio lo devi fare da solo! Ma io non voglio restare qui senza di te. Che ci faccio da sola in questa grande casa? Eh dimmelo, spiegami perché io dovrei rimanere qui! Io non voglio che tu mi lasci, ti prego portami con te. Ma tu non rispondi, hai lo sguardo triste e continui a dire no con la testa. Ti odio, lo capisci ti ODIO!
Il tuo unico e solo tradimento. Questo: andare via e lasciarmi sola. Piango, singhiozzo, poi sento la voce di nostro figlio, il piccolo di casa, che mi dice:
- Mamma, è stanco lascialo andare.-
Lasciarlo andare? Fai presto tu a parlare; tanto appena lui sarà partito, tu non farai altro che tornartene a casa tua, tra le braccia della tua donna, a dire: – sai papà se ne è andato.-
Ed io? Cosa farò io?!
Poi ti guardo. Ti vedo, sì sei stanco, tanto stanco.
Ed allora decido, decido di lasciarti andare. Sento la flebile stretta della tua mano, mi avvicino al tuo volto e ti sussurro:
- vai amore mio vai -
e dopo tanto tempo ti vedo sorridere.
– La valigia - bisbigli - la valigia! -
- Si amore, eccola, eccola qui, vicino a te. -
Sussurri un grazie, poi chiudi gli occhi.
Dico - Addio amore -
Ma tu rispondi:
– non addio, arrivederci -.
Spero che tu abbia ragione; ed io che ho negato sempre Dio, prego perché mi lasci un posto… accanto al tuo.
note:
(*) tratto da "La tensione di Eva" - Sguardi di donne inquiete - Youcanprint
Ciao mammà, mi chiedo, da questo insolito palcoscenico, l’ultimo che almeno da queste parti siamo in grado di testimoniare, cosa racconterò a mio figlio, tuo nipote, di te.
Gli parlerò della tua invidiabile ironia, spregiudicatezza, dei tuoi capricci, del tuo amore per le storie? Del tuo essere tanto curiosa della vita degli altri, così che da piccola venivi chiamata “la portinaia?”, atteggiamento questo che tua nipote Adele, sembra proprio aver ereditato da te.
Forse sì.
O forse comincerò con narrargli la storia di una bambina cresciuta troppo in fretta.
Mi ricordo che quando avevo dodici anni, vidi in un filmetto Super 8 una ragazzina che giocava sul bagnasciuga, illuminata dal sole, che sorrideva mentre guardava l’obiettivo.
Io ti chiesi, attonito:
- Ma allora sei stata ragazzina pure tu? -
E tu, un po’ ironica e un po’ infastidita mi hai risposto:
- Eccerto fijolo, che te sei messo in testa? C’ho avuto pure io un po’ de vita mia, prima de te! -
Ecco sì allora comincerò da questo, dalla tua strenua battaglia nel cercare di proteggerti da sola come una ragazzina, che voleva fare tante cose e tante cose ha fatto, dentro la donna che presto saresti e sei diventata.
Diciamo che tua nonna, il suo nemico lo sistemò subito. Era un malloppo di sensazioni che le si conficcava tra il cuore e la testa, che le dava un senso di oppressione, di ansia, di insofferenza, di inquietudine troppo grande.
Andò da uno stregone e si fece dare una capsula lunga, che doveva accendere e aspirare, per far passare tutto. E in questo modo avrebbe potuto fare quasi tutto quello che desiderava.
Il problema era che questo malloppo si presentava frequentemente durante il giorno e quindi frequentemente doveva aspirare. Col tempo si sarebbe tanto indebolita. Ma lei non lo sapeva. O comunque non era affare nostro o di chi le volesse bene. Questo era il prezzo da pagare per poter vivere la sua vita, senza mai chiedere aiuto a nessuno.
Però così realizzò diversi sogni.
Innanzitutto trovò prestissimo il suo principe azzurro, anzi un po’ più scuro, olivastro di pelle: un bel principe nero, che è poi tuo nonno: il principe che le sarebbe stato accanto fino alla fine. Però come succede in tutte le favole moderne, era lei che “comandava” il suo principe.
Poi tua nonna fece due figli bellissimi, io e tuo zio. Giocò tanto con loro, li allevò e presto li lasciò andare per il mondo: tanto si accorse che avevano le idee abbastanza chiare e se la sarebbero cavata.
E intanto, come ti ho detto all’inizio, continuava ad aspirare quella capsula e a sperare di fare molte altre cose.
Lavorò tanto. Poi smise.
Per lei, per quella ragazzina da proteggere, era tempo di nuovo di giocare e andare a scuola. Spinta anche dal suo principe, fece tanti corsi di teatro, imparò a vivere tante vite diverse, e si creò un bel gruppo di amichette e amichetti.
E nello stesso periodo, amante del sapore delle cose buone, fece molti corsi di cucina, imparò a servire piatti belli e gustosi, principalmente per la sua famiglia e per gli amici.
E poi leggeva tanto, dipingeva e scriveva.
In modo del tutto singolare amava il suo principe, i suoi figli, fratelli, sorelle, nipoti, cugini, zii, nuore, amiche, amici, i genitori fragili e smemorati, gatti, cani, volatili, tramonti, e tutti i paesaggi. Spesso trovava il modo di crearne le voci e farne indelebili ritratti, ironici e qualche volta amari.
Si faceva amare tua nonna e a volte detestare, in tutti i suoi capricci; si faceva amare in modo del tutto originale.
E naturalmente per fare tutto questo continuò sempre ad aspirare dalla capsula e a sperare di vivere ancora e ancora.
Ma a forza di aspirare si ammalò. Le sue energie diminuirono a poco a poco. Il suo corpo non resse. I suoi sorrisi rimasero però, fino alla fine.
Per quanto attraverso il teatro e la letteratura avesse imparato a vivere tante vite, ne aveva una sola. E quella si concluse, qualche mese prima della tua nascita.
Tra le tante vite, una la donò a me, che sono diventato tuo padre. Ma di nonna abbiamo un sacco di cose, tante storie e poesie da condividere.
Pensa una di queste poesie è ispirata a Cecco Angiolieri, grande poeta, ed è l’elogio del poter diventare quello che ci sentiamo di essere, con il diritto di cambiare, sempre, abitandola questa vita meravigliosa, nei suoi infiniti bagnasciuga.
Si intitola Un angolo nascosto* e fa così:
Se fossi un gatto un cane oppure un ratto, cercherei un angolino tutto mio dove nascondermi da tutti, anche da Dio.
Se fossi un ratto, un cane oppure un gatto, cercherei un posto ben lontano, dove nessuno possa giungere con mano.
Se al contrario fossi un usignolo potrei cantare sublimi melodie, perdermi nel buio, prendendo il volo nascosto nel silenzio delle stelle, complici d’essere, complici anche quelle.
Se invece poi fossi un panda rosa nascondermi vorrei dentro una sposa, come un figlio nel grembo della madre da cui non vuole uscire, da cui non vuol tornare.
Se fossi donna il mondo intero vorrei poter amare senza celare paure ed emozioni, senza cercare angoli nascosti dove poter esprimere mille sensazioni.
* Poesia tratta da "La Tensione di Eva" di Giuliana Mangione - Youcanprint
in occasione della sua ultima performance sul palcoscenico del mondo
scritta e letta da Fabrizio Catarci
Pulpito della chiesa di San Giorgio di Oriolo Romano (VT) - 17 luglio 2019
Ah regà ve sto a immaginà state a piagne eh? embè ce credo So' venuta a mancà io, la regina della festa
Quella fatta con l’acido del sarcasmo con l’inchiostro simpatico delle battute a doppio fondo
Quella di un certo qualsivoglia …no?
Quella che prima l’arte e poi tutto il resto Quella che famo er teatro pe’ a‘nà a magnà dopo lo spettacolo
Quella che, a Rosà e daje… e su bello de casa Quella che mo Matteo sta a fa questo sta a fa quest'altro invece Luca, e chi lo sà ‘ndo sta, me sa in Africa.
Quella che, si l’altro giorno Matteo stava discutendo con un tipo cercanno de fa' prevalere le sue idee contro la violenza; quella che Luca j’ha menato subito.
Quella che, a Fabrì oggi me sei quasi piaciuto come attore diciamo che sei mejo come regista, ma solo se ce sto io a recità con te, se no ‘ndo vai.
Quella che stasera vieni a cena! Tanto cucina Rosario e nun portà più la viennetta
Quella che se te serviva un pezzo de core te lo faceva trovà incartato senza che je lo chiedessi
Quella che, nun credo a niente poi, osa' se Dio ce sta, te pare che nun me chiama a fa er provino come cherubino; e se me dice te faremo sapere, je rispondo che so' raccomandata da Rosario.
Quella che riusciva a scherzà con la morte con l’incoscienza di un bambino e la purezza de chi c’ha un’anima appesa a stende ar sole profumata de bucato, e di fior de campo, che ondeggia al vento tiepido della primavera.
Quella che, fateme un regalo, fatelo per me, ridete più omaggio di questo non c’è.
(Fabrizio Catarci)
Il trionfo di Giuliana Mangione sul palcoscenico del mondo:
Trama: La storia si dipana nell'arco di tempo che va dal 1920 al 1933.
Tramite amici comuni, Antoine Carmontel e Marianne Segré si incontrano la notte di Pasqua del 1920, e si innamorano. La relazione viene vissuta però in modi diversi dai due componenti della coppia: se Antoine la vive senza troppo impegno (mentre frequenta Marianne, ogni tanto incontra anche la più matura Nicole), Marianne vi si affida con trasporto e apprensione.
Sentendosi maltrattata, la ragazza comincia a perdere le speranze e lentamente sembra dimenticarlo. Dopo di storie, amori e tradimenti, che avvengono nell'entourage della coppia; e che li vedono in qualche modo spettatori, Marianne e Antoine si ritrovano e decidono di sposarsi, comunque consumati e gravati dal proprio carico esistenziale. Il loro sarà un matrimonio fecondo (dalla loro unione nasceranno tre bambini) ma ormai privo di amore. Di conseguenza, entrambi si inoltrano nelle vie dell'adulterio in una rassegnata ricerca di se stessi.
Marianne intraprende una relazione con Dominique, ex fidanzato dell'amica Solange, ora sposato e padre. Antoine (che nel frattempo ha rilevato una ditta che produce impasti per le cartiere) inizia invece a frequentare Evelyne, sorella minore di Marianne: quando la relazione tra i due giunge al capolinea, la ragazza si suicida ingerendo una dose letale di barbiturici.
Antoine patirà il colpo e Marianne, pur non amandolo più, lascia l'amante per assisterlo. I due continueranno a vivere l'uno a fianco dell'altra, senza più amore, ma resi invulnerabili dai tanti anni di convivenza. (da Wikipedia)
Al capitolo 9 siamo ancora nella fase prematrimoniale della storia e l'autrice descrive lo stato d'animo di Marianne:
Com’era fragile il legame che li univa! Lei non aveva alcun ascendente su di lui, e lui era così volubile, così sfuggente, così inafferrabile! Così libero, santo cielo! "Maledetta libertà maschile" - pensava Marianne - "sei la mia peggior nemica".
Ah, trattenerlo, tenerlo stretto, imprigionarlo! Sposarlo, insomma! Solo questo le avrebbe dato la pace. Addormentarsi al suo fianco sapendo di ritrovarlo ancora li al mattino. Vederlo partire per un viaggio ed essere sicura che sarebbe tornato "a casa", accanto a lei...
Avere il diritto di chiedergli: "Ma dove andate? Quando tornate?" Volubile, infedele, che cosa importava se lui era sempre li, stabilmente? Le sembrava che così si sarebbe liberata dell’amore che aveva per lui. Non subire più i suoi giudizi aspri e arroganti... Dire senza paura: "Ma insomma, perché? Spiegatemi dunque… "
Dormire insieme. Ah, non solo andare a letto, ma dormire! "Quello che ci manca é vivere insieme" pensava. "Niente, nessuna intimità fisica é paragonabile al sonno nello stesso letto, notte dopo notte e non per un’ora. ..".
C’é poi la descrizione della sottile consapevolezza di una latente maturità, quando allo specchio vede la minacciosa comparsa di impercettibili segni di future rughe:
Quel momento in cui, all’improvviso, una donna non si sente più sicura di restare eternamente giovane non assomiglia a un pensiero. Non é neppure un istinto. Ancora non si vive nel timore.
É come se ci si ricordasse di qualcosa. Quando passava per strada, quando lanciava tutt’intorno gli sguardi trionfanti, insolenti, della gioventù in fiore, e incrociava una donna matura, in la con gli anni, leggeva chiaramente su quel volto triste: "Anche tu. .. anche tu.. un giorno.. ". E quel giorno si avvicinava. Era qualcosa che sarebbe puntualmente accaduto. A lei come alle altre.
Adesso capiva il vero significato della frase: "Mi ha resa donna...". Si, donna. .. Capace non solo di provar piacere ma anche dolore. Maturata non solo nella carne - quello era niente -. Ma anche nell’anima.
e termina il capitolo con una frase emblematica sulla donna matura:
"Sapeva di essere diventata totalmente vulnerabile, esposta ormai a tutti i possibili tormenti."
Traspare in questo capitolo un concetto di donna molto chiaro. Inizia con le inquietudini e le insicurezze adolescenziali o giovanili fino ad arrivare al conflitto interiore della donna matura, divenuta ormai vulnerabile nella sua aprioristica solitudine, esposta a tutti i possibili tormenti.
Una vulnerabilità data dall'eterno conflitto tra il desiderio di un Amante e la sicurezza coniugale di uno Sposo, anche nell'infedeltà.
Quanta fragilità, quanta tenerezza suscita questo capitolo di "Due" di Irene Nemirovsky.
Ricorda senz'altro il dramma con esito tragico di Anna Karenina ma qui, in Marianne di Nemirovsky, c'è più consapevolezza della propria fragilità; mentre in Anna Karenina, c'è l'orgoglio che soffoca qualsiasi razionalità.
Tanto che, forse, Marianne di "Due" può essere paragonata più alla remissiva cognata di Anna che non ad Anna stessa;
la cognata è infatti una donna che accetta la mortificazione della propria femminilità piuttosto che rinunciare alla "sicurezza" coniugale e materna.
Ma c'è di più in Marianne; non solo rassegnazione: c'è la sottomissione mortificante ai desideri, ai capricci e alla volontà dell'Amante.
C'è la volontà di sposarLo vissuta come necessità; c'è la volontà di esserle sottomessa pur di averLo vicino, di essere protetta nella stretta di un Suo abbraccio, di dormire nello stesso letto;
di essere Sua completamente, pensando così di "liberarsi dell'Amore che aveva per Lui";
di essere, insomma, tutta Sua, anche nell'infedeltà; cosa importava se Lui era lì, stabilmente?
L'annullamento totale della sua personalità tra le braccia dell'Amante;
il suo abbandono, il suo "naufragar m'è dolce in questo abbraccio".
Questa è la donna che Irene Nemirovsky ci descrive in Marianne:
una donna annullata, morta a sé stessa, in completa balia dell'Amante.
Beethoven, sordo, dirige l'esecuzione del suo "Inno alla gioia"
La percezione dell'opera d'arte
- In questa scena è mirabilmente rappresentata l'unità creativa di un'opera d'arte senza tempo. La musica contiene il mistero della creazione: un mistero che va oltre la distinzione dei sensi con i quali la percepiamo. Il video restituisce allo spettatore un "Inno alla gioia" veicolato nei sensi propri della percezione di un'esecuzione musicale: l'udito e la vista; il filmato, però, amplifica tale percezione fino a risvegliare un terzo senso, il tatto, che si manifesta in quella increspatura epidermica che chiamiamo "pelle d'oca".
Il coinvolgimento dello spettatore va oltre oltre la distinzione del percettibile: la scena si espande, si allarga; e la regia inserisce elementi, esterni che contestualizzano l'esecuzione e rafforzano la percezione dello spettatore; il quale, investito da tali elementi, si sente partecipe di un'umanità in ascolto e naufraga fluttuando nell'eterno giubilo, a tu per tu con quell'entità divina che lo sovrasta e lo giustifica. Gli elementi esterni della messa in scena filmica, sostituiscono gli elementi esterni dell'ascolto dal vivo, ricreando in video le sensazioni emozionali da "pelle d'oca", come quelle che si provano nella realtà di una platea d'ascolto.
L'opera letteraria
- Anche nell'opera letteraria la “creatività" assurge al divino e ricrea meccanismi di coinvolgimento destinati a rafforzare le sensazioni emotive del lettore. Nel romanzo di Cervantes, il protagonista, Don Chisciotte, guarda al suo modello pseudo-divino, Amadigi, per imitarlo nella perfezione dell'arte della cavalleria; l'autore, Cervantes, guarda agli autori del passato, Omero e Virgilio, divinizzandoli e prendendoli a modello per imitarli nell’arte del racconto; il lettore critico, Girard, guarda anch'esso ai lettori critici del passato, Aristotele, per imitarlo nell’arte della critica (poetica);... e così via, fino all'eterno, imperscrutabile e inconoscibile.
Inserendomi in quest’ottica, ho preso spunto per raccontare il desiderio triangolare di Renè Girard, applicandolo alle diverse situazioni e ai diversi livelli rappresentati nell'opera: il personaggio, l'autore, il lettore critico.
Le riflessioni che seguono il racconto-prologo, sviluppate secondo il triangolo mimetico girardiano, mi hanno aiutato a immaginare l'origine e a comprendere la genesi di quei sentimenti umani che caratterizzano la vita di relazione dell'homo sapiens nella realtà del suo vivere quotidiano.
Il sogno
(racconto-prologo)
L'immaginazione fantastica di don Chisciotte continua a dare lezioni di poesia alla storia
Il desiderio
Una notte stellata di tanto tempo fa, quando ancora ero una splendida femmina e il mio nome era Sidera, mentre vagavo con le altre stelle per i sentieri nebulosi della via lattea, sono incappato improvvisamente nel campo di attrazione fortissimo e irresistibile di un buco nero; quella forza irresistibile mi ha proiettato nello spazio a una velocità pazzesca - (quasi come fossi un proiettile) - e, solcando il buio universale, con la mia luce sottile e fulminea, ho lasciato, per un attimo infinito, la scia luminosa di stella cadente, per la realizzazione dei desideri di qualcuno. Da quel momento tutti mi chiamavano de-sidera; ma quella folle corsa, con un soffio di virilità, trasformò il mio sesso: dal suadente e femminile De-sidera, al virile e maschile De-siderio. Ora il mio nome è Desiderio.
La mia folle corsa finì sul pianeta terra, che stella non è; mi sono ritrovato spiattellato nel bel mezzo di un romanzo, in una tranquilla e situazione di bivacco campestre in cui uno strano cavaliere parlava infervorato al suo scudiero. Nel volteggio veloce di qualche pagina scoprii che Don Chisciotte della Mancia era il nome del cavaliere e Sancho Panza, quello del suo scudiero.
1 - A tu per tu con l'eroe
Mi divincolo nella situazione campestre e mi ritrovo a tu per tu il cavaliere che dinoccolondosi nella sua veste da atteggione romantico eloquisce:
"Quando un pittore vuol diventare famoso nella sua arte, cerca di imitare le opere originali dei più eccellenti maestri che conosce;
Le parole "arte" e "imitare" stimolano la mia curiosità e, sistemandomi per meglio ascoltare, acuisco l'attenzione a quel che dice:
...e la stessa regola vale per la maggior parte dei mestieri o funzioni importanti che servono al decoro delle repubbliche;
Il discorso si fa sempre più interessante: Don Chisciotte dice che l'imitazione delle opere originali dei più eccellenti maestri che si conoscono è una regola generale per il decoro delle repubbliche.
e così deve fare e fa colui che vuole acquistare fama di uomo prudente e paziente".
Ho ascoltato in silenzio le parole del cavaliere errante, che continuava a sblaterale, elargendo sapienti consigli e magistrali insegnamenti sull'arte di vivere e dello scrivere; la sua lezione continuò nello specificare una certa necessità mimetica:
"imitando Ulisse, nella cui persona e nelle cui peripezie Omero ci offre un ritratto vivente di prudenza e di pazienza; così come Virgilio nella persona di Enea ci ha mostrato il valore di un figlio pio e la sagacia di un capo prode e avveduto";
Poi, con arguzia, precisa che i nominati maestri nell'arte del racconto, in realtà, hanno scritto menzogne raccontando le gesta dei loro eroi; menzogne inventate per rappresentare ai posteri esempi di virtù eroiche ben lontane dalla realtà vissuta; infatti chiarisce così l'invenzione poetica:
"ritraendoli e rivelandoli non quali essi erano, ma quali dovevano essere per servire da esemplari di virtù ai secoli a venire".
Mi piace questo strambo cavaliere; mi avvicino per osservarlo meglio e lui, scorgendomi interessato, con l'orgoglio, l'enfasi e la venerazione di un fedele discepolo, vibrando in alto la spada arruginita, introduce nel discorso il suo idolo personale nell'arte cavalleresca; l'idolo da imitare per essere stimato un perfetto cavaliere:
"Allo stesso modo, Amadigi fu il nord, la stella, il sole dei prodi e amorosi cavalieri, e noi dobbiamo imitarlo, noi altri che combattiamo all'insegna dell'amore e della cavalleria."
Il fantastico don Chisciotte, chiude la lezione lanciando la sua sfida mimetica:
"Così dunque penso, Sancho, amico mio, che il cavaliere errante che lo avrà saputo meglio imitare si avvicinerà maggiormente alla perfezione della cavalleria."
Soddisfatto di aver adempiuto un atto magistrale degno di un cavaliere errante, Don Chisciotte monta sul suo ronzino, si volta verso di me e ammicca l'occhio in segno di complicità; poi compiaciuto, sprona il suo recalcitrante quadrupede e s'incammina fiero verso i "nuovi orizzonti" dell'arte romanza.
2 - Sul naso dell'autore
Seguo come un'ombra il cavaliere ormai amico e il suo silenzioso scudiero, che procedono caracollando verso le mete dei loro sogni; e d'improvviso salto dalle pagine del manoscritto, al cospetto dell’autore che si stava scervellando per presentare adeguatamente la sua opera ai futuri lettori; appena si accorge della mia presenza, Miguel de Cervantes, scrive ispirato nel suo prologo:
"Tutto quello che occorre all'autore, in ciò che andrà scrivendo, è il gusto d’imitare le cose; più questo sarà perfetto, e migliore risulterà ciò che avrà scritto."
Pago di aver ispirato questo enunciato mimetico e realista, mi addormento soddisfatto sulle pagine del romanzo in attesa di qualcuno che mi risvegli per la necessità di appagare la sua sete di verità.
3 - Tra i neuroni del lettore
Passata una manciata di secoli, mi accorgo di essere stato risucchiato, attraverso gli occhi intelligenti di un lettore, un certo René Girard; mi sveglio e mi ritrovo in una mente piena di innumerevoli neuroni che pulsano scomposti, o meglio, in assoluta autonomia, ciascuno per suo conto, con intensità e ritmo distinti ma, a ben vedere, tutti precisini, ordinati e rispettosi di ogni singolarità. Osservo incuriosito questo armonioso spettacolo e mi accorgo che il bel René stava sperimentando, con sinapsi e allitterazioni, una composizione logica per organizzare e presentare un discorso persuasivo sulla verità nascosta nei romanzi di diversi autori.
Orgoglioso della mia presenza in questo concerto neuronico, mi spalmo nelle pieghe della memoria di René e risveglio in lui un ricordo liceale: Aristotele, un umano ellenico che, nella sua mania d’ordine filosofico, ha lasciato qualcosa ai posteri; ovvero un'opera sull’arte poetica in cui è scritto:
"In generale due sembrano essere le cause che hanno dato origine all’arte poetica, e tutte e due naturali. Ed infatti in primo luogo l’imitare è connaturato agli uomini fin da bambini, ed in questo l’uomo si differenzia dagli altri animali perché è quello più proclive ad imitare e perché i primi insegnamenti se li procaccia per mezzo dell’imitazione; ed in secondo luogo tutti si rallegrano delle cose imitate."
La luce di questo carisma aristotelico, illumina le mie fattezze e il geniale René si accorge della mia presenza e, rileggendo il brano dell'ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha - in cui mi ero spiattellato cadendo dal cielo stellato e lattiginoso -, si appropria di me; una volta pervaso dalle mie fattezze desideranti, con furore creativo, mi appiccica, come desiderio, alle diverse situazioni mimetiche "triangolate" nel romanzo. Nasce così e prende fama, il più poetico e letterario dei desideri: "il desiderio mimetico triangolare".
René Girard, una volta scoperto e triangolato il desiderio mimetico, inizia la trattazione della sua intrigante opera fondativa di critica letteraria: "Menzogna romantica e verità romanzesca”. Un’opera che scopre gli altarini della "menzogna" ovvero dell'originale illusione, romantica; e lascia scorgere la "verità” nei risvolti romanzeschi del racconto, nelle diverse situazioni, triangolate come le rotte nelle mappe di navigazione.
I tre personaggi in cerca d'autore, Don Chisciotte, Cervantes e Girard, ormai saturi dei loro rispettivi "grand desir", riuniti nei boschi narrativi della letteratura, lo nascondono nell'albero-romanzo, perduto nei campi onirici dell'immaginazione, pieni d'erba lirica e polline poetico; e io, piccolo e infinitesimo desiderio delle vie stellate e nebulose dell'universo, mi accuccio accanto all'imitazione della verità; nascosta fin dalla creazione del mondo, tra i bagliori accecanti di una realtà premurosa e menzognera, piena di promesse fallaci, sotto un rigoglioso albero di Giuda.
...la realtà è l'unica inafferrabile, incorruttibile verità