Il Blog di Rosario Frasca

Le opinioni di un Clown, ovvero: Il mito di Er

La caccia, un tomtom per il cammino dell'uomo.

ott 302017


 La caccia

 

Il brano che segue, tratto dal romanzo "Le braci" di Sandor Marai, è stato scelto per l'efficacia argomentativa sull'innato desiderio di uccidere dell'uomo e per una portentosa descrizione di un gesto sacrificale nel mondo arabo.

 

Affiorano in questo brano, quelle figure che caratterizzano le tesi antropologiche con cui René Girard approfondisce analisi, motivazioni e finalità del "desiderio mimetico".

 

Questi affioramenti, partendo da una circoscritta e attenta osservazione, distinguono ed evidenziano nella natura umana, un latente e irriducibile carattere "bestiale". L'uomo è visto antropologicamente come animale aggressivo, violento e capace di compiere cruente uccisioni ed efferati abominii. Ma è sempre l'uomo che è capace di ordinare questa viscerale violenza, questo innato desiderio di uccidere nell'ambito religioso, con l'immolazione della vittima sacrificale.

 

Sandor Marai in queste pagine mostra una maestria particolare nel descrivere le sensazioni dei personaggi, facendo rivivere al lettore le situazioni che le suscitano. La "memoria affettiva", descritta da Girard nel suo "Menzogna romantica e verità romanzesca", è la linfa che alimenta il racconto che il generale fa al suo amico "non ritrovato"; la memoria di una giornata di caccia dove viene messa a nudo la verità sull'uomo e sul suo innato e viscerale desiderio di uccidere.

 

L'uomo ha bisogno di un "tomtom" per ritrovare se stesso

Buona lettura.

"Dopo quarantun anni, due uomini, che da giovani sono stati inseparabili (una di quelle amicizie maschili non meno intense del rapporto fra due gemelli monozigoti), tornano a incontrarsi in un castello ai piedi dei Carpazi. Uno ha passato quei decenni in Estremo Oriente, l’altro non si è mosso dalla sua proprietà. Ma entrambi hanno vissuto in attesa di quel momento. Null’altro contava, per loro. Perché? Perché condividono un segreto che possiede una forza singolare: «una forza che brucia il tessuto della vita come una radiazione maligna, ma al tempo stesso dà calore alla vita e la mantiene in tensione». Tutto converge verso un «duello senza spade» – e ben più crudele. Tra loro, nell’ombra, il fantasma di una donna." (Risvolto di copertina del romanzo Le Braci di Sandor Marai)

 

 

Il desiderio di uccidere.               undefined

Siamo uomini, uccidere è un imperativo della nostra vita. Non possiamo fare diversamente…

L'uomo uccide per difendere qualcosa, uccide per procurarsi qualcosa, uccide per vendicarsi di qualcosa.

...tuttavia la caccia rappresenta ancora un sacrificio, un riflesso imperfetto di un antichissimo rito religioso che ha la stessa età dell'uomo. (Sandor Marai)

 

 "Fu una bella caccia. Fu l'ultima grande caccia che si tenne in questi boschi. A quei tempi esistevano ancora dei cacciatori, dei veri cacciatori… può darsi che ce ne siano ancora oggi, non lo so. Quella fu l'ultima volta che andai a caccia nei miei boschi. Da allora qui si presentano solo uomini armati di fucile, ospiti che vengono accolti dall'amministrazione della tenuta e fanno esplodere colpi di arma da fuoco nel bosco. La caccia era quella vera, era qualcosa di diverso. Tu non puoi capirlo perché non sei mai stato un cacciatore.

Per te anche questo rappresentava solo un obbligo, uno degli obblighi da gentiluomo che facevano parte del tuo mestiere, come l'equitazione o la vita di società. Andavi a caccia, sì, ma con l'aria di chi si sottomette a una convenzione sociale. Andavi a caccia col disprezzo scritto in volto. E anche l'arma che reggevi con noncuranza, come un bastone da passeggio.

Non essendo cacciatore, non conoscevi quella strana passione, la più segreta dell'animo maschile, al di là di ogni ruolo e cultura, radicata e profonda come il fuoco nelle viscere della terra. Questa passione è il desiderio di uccidere. Siamo uomini, uccidere è un imperativo della nostra vita. Non possiamo fare diversamente… L'uomo uccide per difendere qualcosa, uccide per procurarsi qualcosa, uccide per vendicarsi di qualcosa.

Sorridi con disprezzo? Tu eri un artista: forse questi istinti bassi e brutali si sono attenuati nella tua anima delicata?… Credi di non aver mai ucciso qualcosa di vivo? Non esserne così sicuro. In questa serata che ci vede riuniti non ha senso parlare di nient'altro all'infuori della verità, dell'essenziale, perché il nostro incontro non si ripeterà, e forse non saranno più molti i giorni e le sere che che seguiranno, tantomeno poi le serate speciali come questa.

undefinedForse ricorderai che una volta, tanto tempo fa, andai anch'io in Oriente; fu durante il mio viaggio di nozze con Krisztina. Attraversammo terre abitate dagli arabi, e a Baghdad fummo ospitati da una famiglia araba. E' gente di grande nobiltà d'animo, come saprai anche tu che hai girato il mondo. La loro fierezza, il loro contegno dignitoso, la loro passionalità e la loro calma, la disciplina del loro corpo e la sicurezza dei loro gesti, i loro giochi, il fuoco del loro sguardo, tutto rispecchia una nobiltà di antica data, quella particolare nobiltà dei tempi in cui l'uomo, nel caos dei primordi, prese coscienza per la prima volta della propria dignità umana.

Esiste una teoria secondo la quale la nostra specie ha avuto origine dal mondo arabo, all’inizio dei tempi, prima di frazionarsi in tribù, popoli e civiltà diverse. Forse è per questo che sono talmente orgogliosi. Non lo so, non sono addentro in questioni del genere… Invece so qualcosa della fierezza degli uomini. Così come gli individui, anche in assenza di particolari segni distintivi, riconoscono di appartenere alla stessa razza e allo stesso rango, durante quelle settimane in Oriente intuii che laggiù tutti, anche il più sudicio dei cammellieri, erano dei signori.

Come ti dicevo abitavamo presso una famiglia indigena, in una casa che era una specie di palazzo; ci ospitavano dietro raccomandazione del nostro ambasciatore. Quelle case candide e fresche… Le conosci, non è vero? Il grande cortile, in cui ferve incessantemente la vita della famiglia e della tribù, e che serve al tempo stesso da mercato, da parlamento e da luogo di preghiera… Quella scioltezza w quella passione dei giochi che traspare da ogni loro gesto. Quell’inerzia dignitosa, dietro alla quale il piacere di vivere e le passioni si annidano come il serpente tra le pietre immobili battute dal sole.

 

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Una sera, in nostro onore, venne offerta una cena. Fino a quel momento ci avevano ospitati secondo uno stile quasi europeo; il padrone di casa, uno degli uomini più facoltosi della città, era giudice e al tempo stesso contrabbandiere. Le camere degli ospiti erano arredate con mobili inglesi, la vasca da bagno era di argento massiccio.

Ma quella sera vedemmo qualcosa di eccezionale. Gli invitati arrivarono dopo il tramonto; erano tutti uomini, signori con i loro servi. In mezzo al cortile divampava un fuoco che emanava un fumo soffocante, il fumo dello sterco di cammello che fa bruciare gli occhi. Tutti si sedettero in silenzio attorno al fuoco. Krisztina era l’unica donna tra noi.

Quindi portarono un agnello, un agnello bianco, e il padrone di casa tirò fuori il coltello e lo sgozzò, con un gesto che non potrò mai dimenticare… È impossibile impararlo, perché è un gesto orientale che risale a un’epoca in cui l’atto di uccidere possedeva ancora un significato simbolico, religioso, collegato a qualcosa di essenziale: la vittima.

 

undefinedFu così che Abramo alzò il coltello su Isacco, quando decise di compiere il sacrificio; con quel gesto, nei templi dell’antichità si immolavano gli animali dinanzi all’altare, all’idolo, al simulacro della divinità; con il medesimo gesto venne decapitato San Giovanni Battista. In Oriente esso sopravvive in maniera occulta nelle mani di ogni uomo. Fu questo gesto a segnare l’avvento dell’uomo, a stabilire la distinzione tra l’animale e l’essere umano...

 

Secondo gli antropologi, l’uomo nacque quando acquistò la facoltà di opporre il pollice alle altre dita ossia nell’istante in cui riuscì a impugnare un’arma, uno strumento di lavoro. Ma può anche darsi che i suoi inizi siano legati alla sua anima piuttosto che ai suoi pollici; su questo non sono in grado di pronunciarmi.

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 Il gentiluomo arabo sgozzò l’agnello e per un attimo quell’uomo anziano avvolto in un burnus bianco, sul quale non era schizzata neanche una goccia di sangue, apparve simile a un gran sacerdote orientale nell’atto di immolare la vittima sacrificale. Gli brillavano gli occhi che sembrava ringiovanito.

 

Tutt’intorno regnava un silenzio di tomba. Gli invitati sedevano attorno al fuoco, seguivano con lo sguardo l’atto di infliggere il colpo mortale, il balenio della lama, il corpo dell’agnello che si dibatteva, il sangue che sgorgava a fiotti. Gli occhi di tutti i presenti luccicavano.

Allora compresi che quella gente era ancora così vicina all’atto di uccidere che la vista del sangue le era familiare, e il balenio di un coltello era per loro un fenomeno naturale come il sorriso di una donna o la pioggia che cade. Immagino che lo avvertisse anche Krisztina, perché la vedevo come affascinata; arrossiva, impallidiva, respirava a fatica, poi tutt’a un tratto voltò la testa, per l’imbarazzo di assistere a una scena di sfrenata sensualità.

 

Comprendemmo cheundefined in Oriente la gente conosce ancora il significato sacro e simbolico dell’uccisione, e anche il suo occulto significato erotico. Giacchè sorridevano tutti, e su quei nobili volti bruni si vedevano espressioni di giubilo e sguardi estasiati, come se l’uccisione fosse qualcosa di salutare e di esaltante, simile a un amplesso.

È strano: nella lingua ungherese queste due parole, uccisione e amplesso, rimano tra loro e derivano l’una dall’altra… Ovviamente noi siamo degli occidentali” dice con voce diversa, in tono un po’ didascalico. “Apparteniamo all’Occidente, o per lo meno siamo degli immigrati divenuti ormai sedentari.

 

L’uccisione, per noi, rappresenta una questione giuridica e morale o un problema di pertinenza medica, comunque una cosa ammessa o proibita, un fatto definito con la massima precisione da un ampio codice morale e giuridico. Anche noi uccidiamo, ma in maniera più complicata, secondo i modi prescritti o autorizzati dalla legge. Uccidiamo in difesa di ideali sublimi e di beni umani preziosi, uccidiamo per tutelare le regole della convivenza umana. Nè possiamo fare diversamente. Siamo cristiani, adepti della civiltà occidentale, siamo portati a sentirci colpevoli.

La nostra storia è disseminata fino ai nostri giorni di una lunga serie di stermini, eppure parliamo dell’uccisione tenendo gli occhi bassi, in tono di pia recriminazione; non possiamo fare diversamente, è questo il ruolo che ci è stato assegnato.

 

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Solo la caccia fa eccezione” dice rasserenandosi.

 

 

"Anche in questo caso dobbiamo osservare certe regole cavalleresche e di ordine pratico, risparmiamo la selvaggina nella misura in cui lo esigono le condizioni di una determinata zona, tuttavia la caccia rappresenta ancora un sacrificio, un riflesso imperfetto di un antichissimo rito religioso che ha la stessa età dell'uomo. Perchè non è vero che il cacciatore uccide per procurarsi la preda. Non ha mai ucciso unicamente per questo, neanche in epoca primordiale, ai tempi in cui la caccia era l'unica possibilità di procacciarsi il cibo.

 

 

undefinedLa caccia è stata sempre accompagnata da riti di ordine tribale e religioso. Il buon cacciatore è sempre stato il primo della sua tribù, che gli attribuiva poteri e dignità di sacerdote. Naturalmente tutto questo si è perso con il passare del tempo. Ma sebbene i riferimenti siano ormai sbiaditi, la caccia ha conservato la sua natura di rito.

Forse non ho mai amato nulla in vita mia come quelle partenze per la caccia alle prime luci dell'alba. Ci si sveglia che è ancora buio, ci si veste in modo totalmente diverso dagli altri giorni, con indumenti adatti alla circostanza, si fa colazione in maniera diversa, ci si rincuora con un bicchiere di acquavite e sbocconcellando un po' di arrosto freddo nella stanza illumunata da una lanterna.

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Amavo l'odore degli abiti da caccia; il panno era impregnato degli effluvi del bosco, delle fronde, dell'aria pura e degli schizzi di sangue, perchè gli uccelli abbattuti si attaccano alla cintura e il loro sangue insudicia gli abiti. Ma il sangue è sudiciume?... Non credo. È la materia più nobile che esista al mondo: ogni volta che l'uomo ha sentito il bisogno di comunicare il suo Dio qualcosa di grandioso, di ineffabile, lo ha sempre fatto offrendogli un sacrificio di sangue. E poi amavo l'odore di metallo oliato del fucile. E l'odore acre e ammuffito delle parti in cuoio grezzo dell'equipaggiamento da caccia.

Amavo tutto questo" dice il generale quasi con vergogna, come fanno i vecchi quando confessano qualche piccola debolezza. "E poi esci di casa e scendi nel cortile, i tuoi compagni ti stanno già aspettando, il sole non è ancora spuntato, il guardacaccia tiene i cani al guinzaglio e ti riferisce sottovoce gli avvenimenti della notte. Poi sali in carrozza e parti.

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Il paesaggio comincia a destarsi, il bosco si stiracchia, sembra che si strofini gli occhi uscendo dal sonno. Tutto esala un profumo così puro che ti sembra di tornare in una patria diversa, quella in cui ebbero inizio la vita e le cose. Poi la carrozza si ferma ai margini del bosco, tu scendi, il cane e il guardacaccia ti accompagnano in silenzio. Il fruscio del fogliame umido si percepisce appena sotto le suole dei tuoi scarponi.La pista è disseminata di tracce di animali.

 

E adesso tutto comincia a vivere intorno a te: la luce, come se mettesse in moto un meccanismo nascosto che aziona il sipario del mondo, squarcia il velo che ricopre la foresta. Inizia il concerto degli uccelli e, in lontananza, a trecento passi di distanza, un cervo sta avanzando sul sentiero. Ti ritrai nel folto della boscaglia per osservarlo. Sei venuto col cane, oggi non fai la posta ai cervi...

La bestia si ferma, non vede niente, non fiuta la tua presenza perchè il vento soffia nella tua direzione, e tuttavia avverte il pericolo fatale; solleva la testa, torce il collo delicato, le sue membra si tendono, per alcuni istanti rimane immobile davanti a te, in posizione di attesa allarmata, come un individuo messo di fronte al suo destino si arresta impotente perché sa che il fato non è un evento fortuito nè un incidente, ma la conseguenza naturale di circostanze imprevedibili e difficilmente comprensibili.

A questo punto sei pentito di non aver portato con te delle cartucce a pallettoni. Anche tu, immobile nel folto del bosco, sei a tua volta in balia dell'attimo, tu, il cacciatore.

E nella mano avverti un fremito antico come l'uomo, l'impulso di uccidere, questa attrazione proibita, questa passione più forte di tutto il resto, uno degli stimoli segreti, nè buoni nè cattivi, che animano la vita in tutte le sue forme: essere più forti dell'altro, dimostrarsi più abili, non commettere errori, restare padroni della situazione.

È la stessa sensazione che prova il leopardo mentre si prepara a balzare, il serpente mentre si rizza tra le rocce, l'avvoltoio mentre piomba sulla preda da mille metri di altezza. La stessa che prova l'uomo mentre scruta la sua vittima. Ed è quella che provasti anche tu, forse per la prima volta in vita tua, quando, appostato nel bosco, alzasti l'arma e la puntasti su di me con l'intensione di uccidermi."

Il generale si china sul tavolino che si trova in mezzo a loro davanti al camino; si riempie il bicchiere e assaggia con la punta della lingua il liquore purpureo e sciropposo. Quoindi rimette il bicchiere sul tavolo, con aria soddisfatta.

 

 

 Pier Paolo Pasolini ha visto così il "sacrificio" assoluto per l'umanità:

la crocifissione di Dio.

 

La mia recenzione del romanzo di Sandor Marai:

 Le braci: l'arte del monologo

 

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