Il Blog di Rosario Frasca

Le opinioni di un Clown, ovvero: Il mito di Er

Migranti di Guerra

set 262019

“Non si può ridurre la drammatica crisi attuale ad un semplice conteggio numerico. I migranti sono persone, con nomi, storie, famiglie e non potrà mai esserci vera pace finché esisterà anche un solo essere umano che viene violato nella propria identità personale e ridotto ad una mera cifra statistica o ad oggetto di interesse economico” (Franciscus).


Il sangue di San Gennaro - Sandor Marai

Vinicio Capossela - Non è l'amore che va via

Premessa

Anche nell’Europa, tanto ambita dai migranti di guerra: di tutte le guerre, c’é stata una guerra, cruenta e distruttrice, che ancora si protrae per i rigagnoli di una civiltà opulenta e decadente; e ci sono ancora quei migranti di guerra che sembrano vagare in esistenze vuote e senza senso. Uno di loro era lo scrittore ungherese Sandor Marai: un romanziere che ha lasciato testimonianza di queste migrazioni senza senso; e che ha scritto molto sulle infinite guerre esistenziali dell’uomo.

Nel suo ultimo romanzo, pubblicato da Adelphi qualche anno fa, "Il sangue di San Gennaro”, è ben descritto questo peregrinare esistenziale del migrante di guerra mitteleuropeo. Nell'ultimo capitolo del romanzo, è descritta una lunga confessione, a un prete sonnacchioso e distratto, di una donna, compagna di un profugo e profuga anch’essa; sempre al suo fianco e a lui aggrappata come ci si aggrapperebbe a un solido scoglio, in un mare fluttuante e sconosciuto.

Riporto di seguito una parte di questa confessione; un brano in cui la donna descrive la genesi della fuga dalla città "vuota di senso”.

 

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La strada (Fellini) - Giulietta Masina

Sono ormai tre anni che ho lasciato il mio paese per seguire lui. Non sarei riuscita a restare lì senza di lui. Quando seppi che stava andando via, feci di tutto pur di seguirlo.

Nessuno mi faceva del male, avevo un lavoro, ma mi disse che sarebbe andato via e che non voleva tornare mai più, capii che per me non c'era più né lavoro né casa né famiglia. Non avevo più nessuno se non quell'uomo. E quando seppi che sarebbe andato via fui presa dal terrore. Come se il vuoto terribile in cui ero vissuta, all'improvviso si aprisse, come se mi ritrovassi al fondo di un abisso, senza nessun appiglio per risalire.

Non eravamo più giovani. Non eravamo una coppia di innamorati. Eravamo invecchiati d'un tratto, tutti e due, durante la guerra, nelle cantine, durante i bombardamenti, poi quando erano arrivati i bolscevichi, in certe altre cantine, dove eravamo vissuti a lungo in molti.... Perché noi tutti eravamo vissuti in una specie di invisibile scantinato.

Era molto difficile andar via... E non penso soltanto alle difficoltà ufficiali, al sospetto, alla cortina di ferro, la cosa più difficile era decidere di andar via. Lì, oltrecortina, avevo comunque un legame persino con ciò che odiavo. E quando me ne andai, capii che anche l'odio può costituire una forma di attaccamento potente quanto l'affetto. Eppure me ne andai, perché quando seppi che lui era in procinto di andar via, mi sentii in preda al terrore.

Non volevo restare in quel vuoto, senza di lui... Avevo una casa, un lavoro e, a volte, mi sembrava di vivere come un tempo. La città era tornata ad animarsi intorno a noi, c'erano ponti e spettacoli teatrali. Ma poi quelle cose terribili, le persecuzioni, le esecuzioni, la scomparsa di persone che conoscevo... E tutto questo in un clima d'indifferenza. Come accade a chi si risveglia dopo un'anestesia. La guerra, i tedeschi, i bolscevichi - era come vivere in un incubo. In ogni cosa c'era un che di paralizzante.

La vita riprendeva, mi vestivo con abiti graziosi, a volte accadeva che non ci fosse pane o carbone, che mancasse l'elettricità, dopodiché tornava ad esserci tutto, e nel frattempo si poteva andare dal parrucchiere, acquistare lo shampoo e lo smalto per unghie... Ma da vicino tutto era diverso. Al mattino giustiziavano un mio conoscente, e alla sera andavo al Teatro dell'Opera, a sentir recitare un altro mio conoscente...

Passavano gli anni, uno, tre. Gli uomini che fino al giorno prima avevano protestato contro i comunisti cominciarono a stancarsi. A stancarsi di essere in collera e di protestare... Nessuno si fidava più di nessuno. E un bel giorno nessuno si fidò più di se stesso...

Credo che fu quello il momento in cui lui decise di abbandonare il paese. Forse aveva paura di non aver più la forza di protestare, di essere sopraffatto nell'intimo dall'inerzia generale, aveva paura che sarebbe arrivato il giorno in cui non si sarebbe fidato più neanche di se stesso.

undefinedIl violoncellellista (Fellini)

 

Corollario

1 - Brano tratto dalla recensione: "La vocazione di Eva"

La scritta-prologo annuncia la scena che racconta il travaglio di una profuga clandestina e del suo viaggio della speranza verso l'Italia. Il racconto è letto dalle due attrici e si snoda nelle vicende vissute in prima persona dalla profuga. Il racconto è piano e fluido quasi a ricordare gli infiniti silenzi che accompagnano i profughi nei loro viaggi della speranza. Non ci sono fasi concitate, né narrazioni orrende; tutto fila liscio e senza scosse, come una nave che solca un mare piatto di bonaccia; un mare senza movimento, senza onde. Finito il racconto resta un amaro in bocca inspiegabile, una rassegnazione a non vivere che noi, cittadini dell'opulenza, non riusciamo a comprendere. " ho capito che l'Italia non mi aveva voluto.volevano solo assicurarsi di potermi rimandare in fretta nella terra da cui ero quasi morta per andarmene ". Mi sovviene il ricordo di un'altra profuga che in una lunga confessione a un prete sonnacchioso dice:

"... in quell'istante capii anche che nessun documento rilasciato da qualsiasi paese nel mondo mi sarebbe servito, ormai non sarei più stata davvero me stessa, non avrei più avuto un'identità. Posso essere una cittadina, una contribuente fiscale, una lavoratrice. ma non più me stessa." (Il Sangue di San Gennaro - Sandor Marai)

Nel pensiero della spoliazione dell'essere donna mi sorprendo nel buio finale della scena. Non c'era bisogno di me dietro le quinte; sono rimasto seduto, attonito e rimbambito; ho aspettato la scena successiva senza fiatare. Il teatro ti lascia spazi per far decantare le effervescenze emotive e prepararti così a vivere la scena successiva.

2 - Brano tratto dalla recensione: "Sandor Marai - Le Braci: L'arte del monologo"

Non c’è spazio per l’amore in queste pagine; eppure l’amore è l’incontrastato dominatore dei sentimenti che, come linfa invisibile, alimenta passioni e solitudini esistenziali dell’ostinato e orgoglioso Generale e dell’amico traditore, in fuga dalle situazioni galeotte, dalla verità e da se stesso. Uno scontro tra due modi di intendere la vita che riflettono il contrasto tra il vecchio mondo aristocratico del Generale e l’incalzante mondo borghese che reclama la sua superiorità culturale; una superiorità che si rivela sempre più fittizia e non sufficiente a rimpiazzare i valori della tradizione. Un contrasto culturale storicamente confermato ed espresso dal primo conflitto mondiale che fa da sfondo alle vicende narrate.

 

 

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Link:

La vocazione di Eva

Sandor Marai: l'arte del monologo

 

 

 

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