Il blog di Rosella Rapa

Tourismi letterari

Fast Fashion - La Moda Insanguinata

mag 302024

Costume e Società

FAST FASHION – LA MODA INSANGUINATA

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Nell’armadio di mia figlia ci sono due camicette cucite nella prima metà degli anni ‘80, una da mia mamma, una da me. Vanno bene per occasioni medio-eleganti, sembrano fatte ieri. Se invece cercate una camicetta in uno store odierno, vi durerà un mese, una settimana, forse per una volta sola. Non sto esagerando: siamo arrivati all’assurda e perversa situazione in cui i “Brand” producono appositamente abiti che durano pochissimo per costringere le persone a comprare sempre di più, ancora di più, usando tattiche di pubblicità sempre più aggressive mascherate da “offerte imperdibili”. E si compra, perché i dictat della moda ormai cambiano di stagione in stagione, o addirittura di mese in mese. I prodotti hanno prezzi accessibili, che ogni fascia di utente può permettersi. Ma tutto questa facilità nell’abbigliarsi ha retroscena che DEVONO essere fermati.

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Sappiamo da tempo che per garantire prezzi bassi i produttori hanno trasferito le industrie del tessile e della moda in paesi poveri dove il costo della manodopera è molto basso, anzi bassissimo. Troppo basso per sopravvivere. Guardate i numeri degli incidenti sul lavoro nella nostra fortunata Italia: credete che in paesi dove non c’è alcuna tutela, nessuna norma di sicurezza, orari di lavoro infiniti, poco sonno e poco cibo gli incidenti non capitino? Nessuno ne parla, i Paesi non lo dichiarano, ma basta riflettere un poco. E questa è solo la punta dell’Iceberg.

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Gli abiti smessi (perché ci sono) li ho sempre donati a enti di beneficenza, spesso con un fine preciso: per rifugiati, per senzatetto, per zone colpite da cataclismi naturali. Sapevo comunque che UNA PARTE di ciò che donavo prima o poi sarebbe stata gettata per usura totale; ebbene mi sono dovuta ricredere.
JUNK, una mini-serie di Sky, riportata su YouTube, ha rivelato una situazione agghiacciante. Dalla produzione del filo alla discarica dell’indumento tutto contribuisce a devastare, inquinare, uccidere. Lascio al fondo il link alla prima puntata, perché l’impatto visivo è molto più efficace delle sole parole.

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La serie parte dalla fase meno drammatica: la discarica mondiale degli abiti in Cile, dove l’abbigliamento dismesso arriva da altri stati per essere sepolto sotto uno strato di sabbia nel deserto. Ci sono capi e oggetti che non si decomporranno MAI. La serie continua parlando di smaltimento, confezione, produzione. Anche il riciclo, la riconversione dei tessuti e delle fibre non è esente da gravi fenomeni di inquinamento, perché le fasi di sbiancamento e tintura richiedono grandi quantità di acqua, che viene riempita di ammoniaca e di altri agenti chimici, per poi essere ributtata nei fiumi. Si prende pulita a monte e si scarica inquinatissima a valle, mentre chi lavora in queste attività non solo la beve e la usa per lavarsi, ma viene anche esposto ai vapori degli elementi chimici utilizzati nel procedimento. Poi ci sono le fibre che crediamo naturali, e quindi meno impattanti: ma il cotone indiano è stato modificato geneticamente, e cresce solo con sementi speciali e massiccio utilizzo di pesticidi. I contadini vengono rovinati a tal punto che alcuni, avendo perso tutto, si suicidano. La viscosa, che origina dalla cellulosa di alcuni alberi, porta all’abbattimento di intere foreste, ed alla conseguente morte del loro microclima, con tutti gli animali che le abitano.

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Non posso raccontarvi l’intero documentario. Alla fine di tutti gli episodi io mi sono immaginata una fila di persone morte dietro ogni indumento prodotto, ad oggi, per essere usato una volta sola. Imprimetevi nella mente questa immagine, e ricordatela ogni volta che decidete di acquistare qualcosa.

Perché fermare questa carneficina dipende da noi.

 

JUNK, primo episodio: https://www.youtube.com/watch?v=fOpqsvYOx54&t=6s

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Bandiera Bianca

mar 272024

Bandiera Bianca

 

 undefinedNon dovrei. Non sono più giovane, ma neppure troppo anziana per chiudere la porta al mondo; dovrei dare l’esempio ai più giovani, ma come sempre non vogliono ascoltare, e credono che per ridurre le ingiustizie basti affollarsi nelle manifestazioni e gridare il loro disappunto. Serve anche quello, c’è stato anche al mio tempo, poi è mancato qualcosa: l’impegno costante giorno dopo giorno. “La mia generazione ha perso”, cantava Giorgio Gaber, e la mia, venuta poco dopo, sembra non avere mai vinto.

Il Papa ha detto che non è una vergogna alzare Bandiera Bianca, ed è stato subissato dalle critiche, tanto che ha dovuto spiegarsi. Bandiera Bianca non vuol dire resa incondizionata: vuol dire tregua, dare spazio alle parole anziché alle armi, cedere su qualcosa per ottenerne altre, e, finalmente fare in modo di marciare verso la Pace. Marcia durissima, perché tutto ciò che è stato distrutto andrà ricostruito.

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Fin dal suo inizio, ho sentito la guerra in Ucraina come se fosse mia. Sono cresciuta nei tempi della Guerra Fredda, che tanto fredda non era, perché l’Unione Sovietica aveva invaso metà dell’Europa, e Berlino era divisa da un muro. Una città tagliata in due da armi, mattoni e filo spinato. Penso alla mia città in quelle condizioni e rabbrividisco. Quando la Russia ha invaso l’Ucraina mi sono sentita male: un balzo all’indietro nella storia di 60 o 70 anni, che non poteva essere tollerato. Giusto imbracciare le armi per difendersi dall’invasore, ma ora è troppo. Chiediamo uno spiraglio per poter trattare, o non resterà niente da difendere.

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Israele sta perpetrando un genocidio? Io penso di sì, e non mi vergogno a dirlo. Ero alle elementari e già studiavo che i confini dello stato di Israele, buono e giusto, non erano tracciabili, perché aveva invaso il Sinai, parte della Giordania e non so che altro ancora. Ricordo come fosse ieri che il re di Giordania alzò Bandiera Bianca, ritirandosi dai “Territori Occupati”. Molti pensano che i bambini non capiscano, non ricordino. Vi assicuro che non è così. Per questo bisogna sempre fare attenzione a ciò che si dice davanti a loro. Cosa penseranno un giorno non lontano i bambini palestinesi che vedono intorno a loro fame, freddo, sporcizia, morte e distruzione? Ammesso che sopravvivano, cresceranno con la convinzione che uno solo è il loro nemico, covando un desiderio di vendetta che trasmetteranno ai loro figli, e ai figli dei loro figli, in una spirale di odio senza fine. Sappiamo chi deve alzare bandiera bianca, lo sta dicendo tutto il mondo ormai, ed è quasi incredibile. undefined      undefined

Non è che i Paesi Occidentali si comportino meglio. Sono migliaia i profughi che scappano da paesi dominati da guerra ed oppressione e che vengono lasciati in veri e propri campi di concentramento, senza un tetto, senza acqua e spesso in mezzo alla neve. Qualcuno vorrebbe lasciarli in mezzo al mare, con la segreta speranza che affoghino. Molti muoiono in mezzo al deserto che c’è prima, senza nemmeno venire seppelliti. Se fra qualche migliaio di anni esisteranno ancora esseri umani che cercano dignità nel proprio passato, qualcuno troverà resti di persone lungo una sorta di di percorso non tracciato, e si chiederà se esistesse una “civiltà” che aveva costruito una strada attraverso una landa desolata per mettere in comunicazione quelli che un tempo erano due continenti separati da un mare che non esisterà più, o avrà fagocitato tutte sponde sabbiose collegandosi ad unico, grande Oceano di acqua calda.

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Le stupidaggini dette dai Politici che “governano” (è un eufemismo) un Pianeta che la Specie Superiore sta distruggendo pezzo dopo pezzo non si contano più. Cito solo la migliore “Ci stiamo estinguendo! Fate più figli!” Per lasciarli dove? Davvero, ditemi DOVE. Sul cemento? Nel deserto? A mangiare carne clonata in laboratorio? A morire senza alcuna assistenza, perché costa troppo ed è improduttiva? A spararsi tra di loro per alimentare il mercato delle armi da fuoco? A cercare tra i rifiuti delle generazioni passate qualcosa da mettersi addosso?

 

Sono stanca. Alzo Bandiera Bianca. Spero che quando questa follia iniziata con la Guerra di Troia avrà fine, in qualche angolo sperduto del Pianeta rimangano degli esseri umani che possano ricominciare una Nuova Storia, con l’augurio che possa evolvere meglio di quelle passate.

Buona Pasqua, anzi Buona Resurrezione.

 

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Il Villaggio Leumann

feb 142024

Nei dintorni di Torino

Villaggio Leumann

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Il Villaggio fu edificato tra la fine dell ‘800 ed i primi del ‘900 ai lati dell’omonimo cotonificio su progetto dell’ing. Pietro Fenoglio, ideatore delle più significative opere in stile liberty a Torino.


Si tratta di un “progetto pilota” e della prima esperienza di questo genere in un villaggio operaio. Fu concepito per essere del tutto autonomo: infatti oltre alle abitazioni per gli operai e gli impiegati, per lo più villette ad un piano con relativo giardino e orto, comprendeva un Convitto per le Operaie gestito da suore, l’edificio dei Bagni, il Teatro, l’Ambulatorio, l’Ufficio Postale, la Stazione del treno, l’Albergo, il Nido, la Scuola Materna ed Elementare, la Chiesa, il Circolo per gli Impiegati ed uno Spaccio Alimentare.

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Sorse in un’area quasi disabitata, oltre la periferia di Torino, nel Comune di Collegno che offriva condizioni ottime per l’impianto di un opificio: il costo relativamente basso del terreno, la presenza di corsi d’acqua e della ferrovia.
Fu voluto da un imprenditore di origine Elvetica Napoleone Leumann, figlio di Isaac Leumann, che da semplice tessitore si ingrandì fino ad avere una azienda completa.


Napoleone non creò soltanto un'industria con un annesso nucleo residenziale, bensì un'area ben definita in cui lavoro, famiglia, tempo libero, istituzioni sociali e previdenziali erano strettamente connessi fra loro, formando un contesto socialmente evoluto ed efficiente. L'organizzazione urbanistica, l'architettura degli edifici, le istituzioni sociali e i servizi assistenziali in esso creati fanno del villaggio un organismo che pone al centro dei suoi obiettivi una maggiore qualità di vita delle maestranze, sia sul lavoro che nella vita privata, con concreti vantaggi riscontrabili anche nell'ottima qualità che caratterizzò i prodotti del Cotonificio Leumann. ( https://it.wikipedia.org/wiki/Villaggio_Leumann )

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“Fu si può dire precursore e realizzatore di una politica sociale modernissima, quando il collaborazionismo delle classi era un mito. Ebbe nella sua vita un solo culto: quello del lavoro associato alla beneficenza. E del saggio proposito di migliorare il tenore di vita dei suoi dipendenti fece lo scopo essenziale della sua laboriosa esistenza. Due erano gli ideali a cui indirizzò in particolar modo la sua opera: il benessere fisico e morale dei suoi dipendenti e l’educazione e l’istruzione dei loro figli. Per ottenere il primo era necessario pensare a migliorare le condizioni igieniche.”
(dal necrologio per la morte di Napoleone Leumann.)

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Il cotonificio ha continuato la propria attività produttiva dal 1875 fino al 1972 quando chiuse in seguito ad una grave crisi del settore tessile. Fortunatamente il comune riuscì ad acquistare il complesso del Villaggio per mantenerlo intatto.
Le abitazioni sono ancora utilizzate come tali e gli edifici che ospitavano servizi hanno ancora una funzione pubblica: infatti, Il Convitto delle Operaie ospita la Biblioteca Civica, l’Albergo è sede di associazioni, la Stazione è utilizzata per iniziative rivolte ai giovani, il locale dei Bagni ospita il Centro Anziani, il teatro è stato trasformato in unità abitative.
L’Ufficio Postale, la Scuola e la Chiesa mantengono invece la funzione originaria.

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Attualmente il Villaggio Leumann è visitabile con una guida che racconta la storia della famiglia e spiega la funzione di ogni edificio.
https://villaggioleumann.it/

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Napoleone Neumann

Purtroppo l'esempio di Napoleone Leumann rimase un caso pressocchè isolato. Si ebbero altri esempi di proprietari d'azienda che si occuparono anche del benessere dei loro dipendenti, costruendo villaggi accanto alle fabbriche e dotandoli di servizi comuni come asili nido, scuole per i bambini, chiesa, cinema e quant'altro. Un caso importante fu quello di Camillo e Adriano  Olivetti, in provincia di Ivrea. Adriano era convinto che si potesse creare un equilibrio tra solidarietà sociale e profitto, tanto che l'organizzazione del lavoro comprendeva un'idea di felicità collettiva che generava efficienza.

(https://it.wikipedia.org/wiki/Adriano_Olivetti)

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In poco tempo tutte queste opere e la ideologia che le guidava caddero nell'oblio. Le fabbriche furono smantellate, le abitazioni abbandonate, gli operai buttati sulla strada. Avanzava il capitalismo sfrenato, senza regole, senza dignità. Senza rispetto per gli esseri umani e per l'Abiente.

 

 

 

Papa Francesco riscrive la Storia

feb 062024

Papa Francesco riscrive la Storia

Le Scuole Residenziali Indiane e La Dottrina della Conquista

Decine di migliaia di anni fa, durante l’Era Glaciale, l’Homo Sapiens attraversò lo stretto di Bering, ricoperto dai ghiacci, e arrivò nel Nord delle Americhe, scendendo poi a Sud e popolando l’intero Continente. Nacquero e morirono diverse culture, civiltà, religioni. Molto tempo dopo, nell’anno che noi chiamiamo 1492, Cristoforo Colombo, navigando verso Ovest trovò una terra precedentemente sconosciuta, che fu chiamata “India Occidentale” e poi America.

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Fin dal primo momento fu considerata terra di conquista dagli Europei, che fecero a gara per accaparrarsene una fetta, ignorando del tutto le popolazioni che già l’abitavano, considerandole selvaggi ignoranti e violenti, da sterminare a tutti i costi, con metodi sempre più disumani. Negli Stati Uniti e e in Canada si arrivò a strappare i bambini dalle loro famiglie per “educarli” alla civiltà Anglo-Americana. In realtà i bambini venivano vessati e maltrattati: non tutti tornarono a casa.
Di questo parla il libro che ho recensito “Le scuole residenziali indiane” che vanta una ricchissima bibliografia. Dice l’Autrice: “A partire dal 2021 l’uso del GPR (Ground Penetration Radar) ha consentito di fare rilevamenti che attesterebbero la presenza di moltissimi resti umani nei terreni delle ex scuole. Se ne deduce che siano le salme degli studenti nativi, ma al momento le presunte salme non sono state ancora riesumate e, quindi, comprovate". Si attende solo l’esumazione.

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I Nativi Americani lottano da sempre per il riconoscimento dei loro diritti; negli ultimi anni i “sopravvissuti” delle Scuole Residenziali hanno cominciato a farsi avanti, e le accuse contro gli Ordini Religiosi Cattolici sono diventate sempre più pressanti, insieme alla richiesta di scuse pubbliche di Governi e Chiese.
Tra fine marzo e fine luglio 2022 Papa Francesco, prima ricevendo una delegazione Indigena Canadese in Vaticano, e poi recandosi di persona in viaggio penitenziale sul suolo Canadese, ha incontrato le comunità Native ed ha affrontato molte critiche, ma ha raccolto anche consensi. Alla fine del suo viaggio, ha affermato che il trattamento riservato ai Nativi è stato un “genocidio”. Le parole del Papa e le sue scuse, analizzate e soppesate dai media e dal mondo accademico, hanno sicuramente fatto puntare i riflettori sui gravosi problemi dei diritti umani dei Popoli Indigeni e sulle responsabilità del colonialismo.
Poco prima di andare in stampa, a fine marzo 2023, c'è stato l’annuncio del ripudio della “Dottrina della scoperta” da parte della Chiesa cattolica.

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Secondo il Forum permanente delle Nazioni Unite sulle questioni indigene, la dottrina della scoperta è nata con la bolla Romanus pontifex del 1455 . Questa dottrina, che ha dato vita al concetto di terra nullius, sancisce il principio secondo cui ogni monarca Cristiano che scopre terre non cristiane ha il diritto di proclamarle sue perché non appartengono a nessuno. E' una dottrina che gli europei hanno usato per centinaia di anni per giustificare l'occupazione, il saccheggio e l'espansione coloniale delle terre colonizzate in nome di principi legali o di altro tipo. È definito nella sua realtà attuale come il patrimonio giuridico di principi discriminatori volti a giustificare il comportamento dei paesi che colonizzano e scoprono.
Sempre secondo i membri del Forum, "la dottrina della scoperta e le scuole residenziali  ... erano vettori essenziali della riduzione in schiavitù dei primi popoli" .

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L’inchiesta termina qui, e qui si apre un dibattito che non sarà né breve né piacevole.

Le parole del Papa hanno aperto un nuovo modo di raccontare la storia: le “conquiste” diventano “espropriazioni” e noi Europei non possiamo nasconderci la responsabilità avuta andando a devastare terre e sterminare popolazioni. Non è possibile giustificarsi dicendo che i governi attuali sono mutati dal 1455 in poi. In molti casi i discendenti degli “esploratori” convivono, male, con i Nativi cui hanno sottratto le terre: oltre a USA e Canada possiamo citare Brasile, Australia, Nuova Zelanda e molte piccole Isole sparse per gli Oceani. A rigore si dovrebbero restituire almeno in parte le terre sottratte, ma intervengono forti motivi economici; quel che resta possibile è ridare diritti e solidarietà alle culture Native, riconoscendo gli errori del passato e smettendo di celebrare come “eroi” assassini e avventurieri d’ogni tipo. I libri di storia dovranno subire pesanti cambiamenti. Monumenti e statue dedicate a Re, Imperatori e Generali che realizzarono politiche imperialiste andranno rivalutati nel loro significato.

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E in Africa?

Nominalmente non ci sono più governi di conquista, ma molti paesi estranei, non solo Europei, vogliono imporre ai popoli locali modi di vivere ispirati al modello “occidentale”, diversi da quelli autoctoni, senza rispettare usi e costumi tradizionali. Inoltre grandi Aziende si installano in territori abitati, causando danni all’ecosistema, e di conseguenza fame e malattie.

Questo è un altro dibattito. Per ora seguiamo le parole del Papa e non dimentichiamo i Nativi Americani, e il loro genocidio.

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Leggi la mia recensione del libro su:

https://www.letteratour.it/nuovi-autori/scuole-residenziali-indiane.asp

 

 

Sulle orme della tradizione - Presentazione

set 292023

Presentazione

Sulle orme della tradizione. Gli Indiani d'America e noi

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In uscita un nuovo libro sui Nativi Americani della Mauna Kea Edizioni, che ha la sua mission principale nella divulgazione di corrette informazioni su cultura, storia e attualità degli Indiani d’America. Ora pubblica un libro che parla della memoria e dell'umanità dei Nativi Americani, autore Francesco Spagna, che insegna da oltre vent’anni Antropologia Culturale all’Università di Padova.

Le sue parole :

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“Questo libro propone alcune riflessioni sulla relazione tra ‘noi’ e i popoli nativi nordamericani, con la consapevolezza della fascinazione che questi popoli hanno esercitato, dei crimini che su di loro sono stati perpetrati, e della straordinaria resistenza che essi hanno dimostrato. Grazie a questa resistenza molti di questi popoli sono ancora tra noi, su questo Pianeta. La bellezza delle loro culture, la loro storia, la loro inesauribile vitalità la possiamo ancora apprezzare e condividere. In questo senso ‘sulle orme’: di una traccia di memoria e umanità”.

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Il libro si snoda su temi generali, quali i conflitti culturali relazionali tra Nativi e Bianchi durante l’epoca coloniale, e su aspetti specifici, quali i confini delle riserve e dei territori nativi, le rivendicazioni contro le nuove forme di espropriazione e abuso di questi territori, così come la ripresa e la difesa delle tradizioni religiose sciamaniche dalle nuove forme di consumo e abuso spirituale.

Scrive nella prefazione Naila Clerici, già docente all’Università di Genova, anima dell’Associazione Soconas Incomindios e direttrice di Tepee, importante rivista italiana dedicata all’America indigena:
“È come se il suono del tamburo ci accompagnasse, nella lettura di Sulle orme della tradizione: un ritmo a volte incalzante, provocatorio, stimolante, a volte calmo, pregno di informazioni storiche e culturali”.

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Il libro delinea un percorso “sulle orme” delle tradizioni native nordamericane, alla ricerca della traccia di umanità di questi popoli, negata e soffocata dai processi di colonizzazione e assimilazione lungo oltre cinque secoli. La traccia che i tradizionalisti nativi hanno cercato è la stessa che hanno cercato gli antropologi. Questa ricerca, dai due diversi versanti, si è particolarmente intensificata con la ripresa delle tradizioni sciamaniche native nella seconda metà del Novecento e, nello stesso periodo, con la ripresa della ricerca etnografica dell’antropologia postcoloniale e postmoderna.

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Il libro cerca di cogliere questo particolare incrocio, dai due versanti, cercando di evitare schematismi e luoghi comuni: in questo senso il sottotitolo “Gli indiani d’America e noi”.
Il tema del conflitto tra le culture native nordamericane e la cultura dominante risulta pienamente leggibile soltanto da una prospettiva storica che non neghi quegli aspetti di mescolamento e di cooperazione che hanno “fatto l’America” nella collaborazione tra i protagonisti in gioco, su livelli molto diversi quali quello tecnologico, linguistico e religioso.
Il libro pone l’attenzione su come la negazione di questa traccia di incontro, metissage e collaborazione tra culture sia un altro “marchio” del colonialismo moderno, che ha contrapposto “primitivi” e “civilizzati”, razze, religioni inconciliabili, culture essenzialmente contrapposte, categorie in conflitto.

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"Sulle orme della tradizione. Gli Indiani d'America e noi" di Francesco Spagna è il primo volume del progetto di una nuova collana curata dal docente universitario, “Il sentiero di Perline”, dedicata appunto ai popoli indigeni nordamericani.


Il Libro:    

Autore: Francesco Spagna
Titolo: Sulle orme della tradizione - Gli Indiani d’America e noi undefined
Pagg: 220
Lingua: italiano
Prezzo: 20,00 euro
Edizione: seconda edizione
Uscita: settembre 2023
EAN/ISBN: 978-88-31335-45-4

Trattto dal comunicato stampa e dalla Pagina Instagram

https://www.instagram.com/maunakeamaunaloaedizioni/

Rosella Rapa 

 

 

 

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