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 Daniele Del Giudice, Nel museo di Reims
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Pagina: of 6

Tiziano
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Posted - 18/09/2020 :  17:17:58  Show Profile
Rosario ha scritto:
"Nel museo di Reims" è la testimonianza di Daniele del Giudice che, nel romanzo, cerca di organizzare la vita sul rapporto che intercorre tra luce e ombra, verità e menzogna.
1. non trovo particolarmente interessante l'antinomia luce/ombra; non credo possa aiutare molto l'interpretazione. Inoltre la descrizione della luce nella "Morte di Marat" fatta da Anne è semplicemente e realisticamente corretta, nel dipinto è proprio così, la luce sembra emanare dal corpo di Marat.
2. all'antinomia verità/menzogna sostituirei verità/finzione. Sul primo concetto non mi soffermo, poiché lo trovo sempre teoreticamente imbarazzante, diciamo che mi limito ad intenderlo come corrispondenza con la realtà (ma è ovvio che non è così); la finzione invece la ritengo la dimensione essenziale di questa storia, ovvero lo spazio in cui Anne e Barnaba instaurano un gioco. Perché il loro è un gioco, che Anne comincia e Barnaba, comprendendolo, accetta e prosegue (infatti suppongo che la scelta di Del Giudice di quel dipinto sia dovuta soprattutto al fatto che, esistendone diverse versioni, consente anche a Barnaba di partecipare al gioco. Qual è il gioco? Liberarsi della realtà, violare la rappresentazione in cerca di nuove versioni e di nuovi sentimenti. In questo senso Anne è il fantasma della libertà, il Virgilio che appare per guidare verso un altro mondo. Ovviamente il gioco è sospensione della realtà, illusione condivisa, regola genetica dei comportamenti; nel racconto sono tutti elementi rintracciabili. Poi il gioco deve finire, si può giocare solo nello spazio prescelto (l'eterotopo Museo _ qui mi verrebbe da fare una digressione sul "gioco del mondo", ma sarebbe lunghissima, vi rinuncio), quindi la storia finisce con la fine della visita. Poi sarà quel che sarà.
3. devo ancora analizzare la questione dei colori, del colore come proprietà della cosa o come sentimento. Intanto ho pensato un possibile collegamento con la poesia "Vocali" di Rimbaud; però, mentre cercavo in rete notizie sui colori, ho fatto una scoperta interessante: un testo pubblicato da poco, "Antropologia del turchese" di Elen Meloy, che voglio leggere e che presumibilmente affiancherà nella mia libreria "Breviario mediterraneo" (di cui prima o poi chiederò ad Eloise di farmi parlare su Letteratour)
4. Ho scritto all'inizio che trovo una somiglianza (ma anche differenze, che qui tralascio) col film "Love in translation". Lì la storia è l'incontro tra due solitudini: un non più giovane attore che si trova a Tokio per girare degli spot pubblicitari, alle prese con lo spaesamento culturale e la mancanza di comunicazione con la moglie, e una giovane moglie, forzatamente sola poiché il marito è sempre a giro per lavoro; il non-luogo in questo caso è un albergo, dove i due malinconici solitari insonni protagonisti si incontrano. Per qualche giorno si incontrano, si studiano, si scoprono simili, fanno amicizia, nasce una relazione che ha qualche aspetto erotico appena accennato ma che poi si interrompe quando ambedue tornano alla familiare vita quotidiana: fine del gioco. A me sembra che Anne e Barnaba facciano lo stesso nel Museo di Reims.
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Rosario
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Italy
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Posted - 18/09/2020 :  18:18:36  Show Profile
<blockquote id="quote"><font size="1" face="Verdana, Arial, Helvetica" id="quote">quote:<hr height="1" noshade id="quote">Originally posted by Tiziano

Rosario ha scritto:
"Nel museo di Reims" è la testimonianza di Daniele del Giudice che, nel romanzo, cerca di organizzare la vita sul rapporto che intercorre tra luce e ombra, verità e menzogna.
1. non trovo particolarmente interessante l'antinomia luce/ombra; non credo possa aiutare molto l'interpretazione. Inoltre la descrizione della luce nella "Morte di Marat" fatta da Anne è semplicemente e realisticamente corretta, nel dipinto è proprio così, la luce sembra emanare dal corpo di Marat.
2. all'antinomia verità/menzogna sostituirei verità/finzione.
[/quote]

Rispondo in merito ai primi due punti elencati da Tiziano:

- il rapporto tra i due livelli luce/ombra lo ha dichiarato l'autore nell'intervista;

- l'antinomia luce/ombra può non interessare ma c'è; è un fenomeno naturale ed è facilmente sperimentabile;

- che l'antinomia luce/ombra possa "aiutare molto l'interpretazione": non è una questione di fede, nè di credulità ma è un fatto del tutto soggettivo e personale che non può essere generalizzato come sistema interpretativo tout court.

- Personalmente mi sono limitato ad accennare l'antinomia luce/ombra solo per richiamarla nel caso in cui la discussione arrivi alla necessità di un approfondimento di tipo "girardiano"; in tal caso, chi conosce il desiderio mimetico triangolare potrà sperimentare l'efficacia analitica dell'antinomia luce/ombra o verità/menzogna o realtà/finzione.

- luce/ombra, verità/menzogna, realtà/finzione sono tutte antinomie similari, che non confliggono tra loro e che ciascuno può usare nei termini che più gli aggradano senza disagi nè imbarazzi.

Chiarito ciò, inserisco un piccolo approfondimento che avevo preparato sul rapporto luce/ombra prendendo spunto dalla teoria mimetica:

Il rapporto luce/ombra non è immaginario ma assolutamente reale e costituisce la base di ogni fraintendimento e di ogni conflitto. Doppi è il termine della teoria mimetica usato per indicare questo rapporto.

L’accento cade sull’identità e la reciprocità costanti dei due protagonisti-antagonisti (Barnaba e Anne) al centro dei fraintendimenti e del conflitto che li oppone; conflitto causato dalla loro diversa "percezione" di un stesso oggetto; una diversità che non riescono a ricomporre in un'unica "realtà oggettiva".

Luce e ombra restano opposte nonostante l'unicità dell'oggetto ovvero della realtà: proprio come Barnaba e Anne. È la stessa opposizione che c'è tra verità e menzogna e/o tra realtà e finzione;

opposte ma necessarie l'una all'altra: non esiste ombra senza luce, verità senza menzogna, realtà senza finzione.

Porre l’accento su questo aspetto aiuta a comprendere il paradosso del rapporto luce/ombra: una opposizione che porta il lettore a scoprire un po’ alla volta le innumerevoli, se non infinite, implicazioni della sua stessa scoperta.

RF

Edited by - Rosario on 06/10/2020 14:16:31
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Rosario
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Italy
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Posted - 18/09/2020 :  19:50:23  Show Profile
L'autore

Forse leggere la biografia dell'autore può aiutare (spero che Tiziano non mi bacchetti per questa... insolenza)

Biografia dell'autore tratta da wikipedia

Daniele Del Giudice nato Roma, 11 luglio 1949 è uno scrittore e giornalista italiano.

Dopo un periodo come critico e giornalista per Paese Sera, Del Giudice ha esordito nel 1983 con il romanzo Lo stadio di Wimbledon, scoperto da Italo Calvino, edito, come i successivi, da Einaudi, ed incentrato sulla figura di Bobi Bazlen. Il suo secondo libro è stato Atlante occidentale, che racconta il rapporto tra il fisico Pietro Brahe e lo scrittore Ira Epstein.

Nel 1988, Del Giudice ha pubblicato Nel museo di Reims, storia di Barnaba e del suo volersi fissare nella memoria le immagini di un museo, prima di diventare cieco.

Nel 1994 esce Staccando l'ombra da terra, libro che contiene sei racconti dedicati al volo, che vinse il Premio Bagutta. Dal racconto Unreported inbound Palermo, contenuto nella raccolta, sono tratti l'omonimo spettacolo teatrale di Marco Paolini (con musiche di Giovanna Marini)e il dramma musicale di Alessandro Melchiorre.
Nel 1997 ha pubblicato la raccolta di racconti Mania; nel 2001, riprendendo la tematica di Unreported inbound Palermo ha scritto insieme a Marco Paolini I-TIGI, Canto per Ustica, testo di uno spettacolo teatrale sulla tragedia del DC9 Itavia precipitato nel 1980. Lo spettacolo, prodotto da Accademia Perduta/Romagna Teatri, è andato in scena a Bologna e a Palermo nel 2000 (ventennale della strage) e quindi è stato pubblicato in una confezione libro+DVD. Il filmato dello spettacolo è stato trasmesso dalla RAI nel 2017.

Ha ottenuto numerosi riconoscimenti fra i quali il Premio Viareggio Opera Prima nel 1983, il Premio Comisso nel 1985,[9] il Premio Bergamo nel 1986,[10] il Premio Bagutta nel 1995 e, per due volte, 1994 e 1997, il Premio Selezione Campiello.[11]

Nel 2002, riceve il Premio Feltrinelli dall'Accademia dei Lincei per l'opera narrativa.[12] I suoi lavori sono stati pubblicati in varie lingue.

All'uscita di Orizzonte mobile (Premio letterario dell'Unione europea nel 2009[13]), è stato indicato come vincitore del premio Strega, notizia che l'autore ha smentito, affermando di non voler partecipare alla corsa per quel premio.

A decorrere dal 6 giugno 2014, gli è stato concesso un assegno straordinario vitalizio dI 24.000 euro all’anno in base alla Legge Bacchelli.

Biografia tratta da Treccani

Del Giùdice, Daniele. - Scrittore italiano (n. Roma 1949); critico militante, ha trasferito nella sua narrativa la cultura e la lucidità del raffinato conoscitore della letteratura contemporanea.

Nel suo primo romanzo (Lo stadio di Wimbledon, 1983) narra l'inquieta ricerca di un giovane intorno alla vita dello scrittore triestino Bobi Bolzen, amico di U. Saba e E. Montale.

Una scrittura raffinata, capace di congiungere la ricerca narrativa e la volontà di vedere oltre la forma, sono le caratteristiche delle sue opere successive, da Atlante occidentale (1985) ai racconti Staccando l'ombra da terra (1994); in Orizzonte mobile (2009) volge in romanzo la propria esperienza di viaggio in Antartide, fondendola con le descrizioni del Polo Sud lasciate da naufraghi e da altri viaggiatori del passato.

Ha pubblicato saggi di critica su I. Svevo, su S. Zweig e su P. Levi (Introduzione alle opere, 1997). In I-TIGI racconto per Ustica (2001), scritto con M. Paolini, ha raccontato l'intreccio e le diverse chiavi di lettura della strage del giugno 1980.

Insignito del premio Feltrinelli per la prosa narrativa (2002), tra le sue opere più recenti vanno segnalate, entrambe del 2009, Orizzonte mobile e la raccolta di racconti Elogio della politica, il libro-autoritratto In questa luce (2013) e il volume di racconti editi e inediti I racconti (2016)(*).

(*)L'altro giorno ho preso in prestito in Biblioteca l'ultimo volume di racconti e Nel museo di Reims è il primo racconto di questa raccolta del 2016 che contiene una bella prefazione di Tiziano Scarpa.

Da notare che nella biografia presa da Treccani non si menziona "Nel museo di Reims" pubblicato per la prima volta nel 1988.

È una svista o un segno di quella (mis)conoscenza trattata nel racconto?

RF

Edited by - Rosario on 18/09/2020 20:18:22
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Rosario
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Italy
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Posted - 19/09/2020 :  13:48:56  Show Profile
Il racconto

incipit (protagonista)

- "È da quando ho saputo che sarei diventato cieco che ho cominciato ad amare la pittura.
- Forse amare non è la parola giusta, perchè nelle mie condizioni, è difficile provare un sentimento verso qualcosa fuori,
- e poi perchè le mie condizioni già non mi permettono di vedere più bene,
- e dunque non posso dire con certezza che cosa amo,
- se i quadri che vado a cercare nei musei, o questo stesso andare e cercare,
- fin quando la vista non cadrà del tutto."

Il protagonista entra nella storia in prima persona, si presenta, ci informa sulle sue condizioni, il suo sentimento, la sua incertezza su ciò che ama…e ci annuncia il presagio della fine, dell’oscurità, del buio finale.

incipit (narratore)

"Barnaba, un ragazzo italiano alto e coi capelli neri ricci, era arrivato a Reims sera prima. Aveva cenato e dormito in un albergo, e atteso che il sonno scendesse in modo naturale. Non beve, non prende pillole. Col tempo si era sforzato di accettare la sua condizione fino in fondo, compresa la difficoltà ad addormentarsi, compreso quell'attimo di blanc (tristezza) al risveglio, quando uno sa che deve ricordare qualcosa di doloroso, come il fatto di divenire cieco, ma per un attimo ancora non se ne ricorda."

Il narratore, in terza persona, entra nel racconto con la descrizione fredda e distaccata del personaggio protagonista.
Ci informa del suo arrivo a Reims la sera prima,
che aveva cenato e dormito in un albergo;
che aveva atteso che il sonno scendesse in modo naturale;
che non beve, non prende pillole.
L'accettazione della sua condizione,
compresa la difficoltà ad addormentarsi
compreso quell'attimo di tristezza al risveglio nel attesa di una riminescenza di qualcosa di molto doloroso, il fatto di diventare cieco,
ma per un attimo ancora non ricorda.

L'incipit del narratore completa la profilazione del protagonista informando il lettore che il "sapere di dover diventare cieco" è qualcosa di molto doloroso per il protagonista e gli concede un attimo di tristezza al risveglio.

Il tempo del narratore non coincide con il tempo del racconto.

Con questo scarto temporale l'autore permette al narratore di intervenire nella storia come personaggio invisibile, che c’è, è presente, vede tutto quel che succede; e sa tutto sui personaggi e sulla storia (una storia che non finisce).

Un ulteriore filtro narrativo che arricchisce la descrizione dei personaggi e delle situazioni. Una terza persona che entra in scena come una teatrale "voce narrante” invisibile o comunque esterna alla storia: un personaggio che non prende parte all’azione del tempo narrato ma interviene come voce narrante esterna, per descrivere, specificare e completare emotivamente situazioni e personaggi.

Un po’ come il teatro di denuncia di Marco Paolini.

Marco Paolini - Ore 22e39 Vajont
https://youtu.be/-fPiDnC47As

RF

Edited by - Rosario on 19/09/2020 19:56:10
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eloise
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Posted - 20/09/2020 :  15:43:47  Show Profile  Visit eloise's Homepage
Eccomi!
Ho cominciato a leggermi per bene i vostri appunti ma sono tanti e sono corposissimi quindi dato che mi piace leggervi per bene mi riservo di farlo meglio con un po' più di tempo.
Intanto vorrei aggiungere così a naso un paio di cose (ma questo testo, pur se molto breve, è così denso Tiziano che insomma mi hai fregata!!!!)...

Intanto riguardo allo SPAZIO: molto interessante Tiziano quello che dici sullo spazio del Museo come quello di uno spazio diverso, altro. Un altro spazio altro e diverso nel romanzo, che costituisce una sorta di pausa tra un primo e un secondo tempo, è la NOTTE, quando il protagonista torna in albergo (altro luogo "altro") tra la prima e la seconda visita, e a me fa tanto pensare - tra tutti i libri che avete citato e che abbiamo analizzato - anche alle Notti bianche di Dostoevskij.
Scusate, questa nota sullo spazio notturno tra i due giorni devo ancora approfondirla (prima di tutto a me stessa).

Un'altra osservazione credo la meriti il titolo: perché mai il museo di Reims? Ma perché dico io il museo di Reims, quando l'opera universalmente riconosciuta come "Il" Marat Assassiné si trova a Bruxelles?... Forse sono io che sbaglio e non me ne intendo, ma se si cercano sommariamente su Internet notizie su questo famoso quadro si scopre che l'originale si trova in Belgio. Il Marat Assassiné conservato a Reims è solo una copia dell'originale, eseguito successivamente dagli allievi di David. Non mi pare un dettaglio di nulla per un testo che si pone, volente o nolente, come uno degli obiettivi quello di sondare le capacità conoscitive dell'uomo, attraverso l'uso dei suoi sensi, funzionanti o meno che siano, e dell'immaginazione laddove questi siano carenti... E la scena finale del romanzo diventa proprio il momento culmine in cui i due quadri vengono contrapposti, come due visioni che - tizianamente parlando - potremmo definire epistemiologiche... come fossero due paradigmi diversi della conoscenza, la prima che si attua attraverso i sensi, la realtà oggettiva (per quanto questo termine vada preso con le molle), la scienza (non è un caso se Marat era un uomo di scienza); la seconda attraverso l'immaginazione, l'empatia, l'approssimazione, il sogno.

E' come se fosse la storia di un PASSAGGIO: attraverso il romanzo vediamo l'evolversi di una coscienza umana pregna di positivismo e determinismo (il Barnaba com'era cresciuto, preciso, analitico, militare) che a causa e per mezzo della malattia, del sogno e di Anne (dal ruolo fondamentale di musa ispiratrice, meraviglioso phantasma che lo accompagna nel mondo onirico e gliene apre le porte) arriva ad accettare un nuovo paradigma conoscitivo e a fare proprio il modello della sua "Fata morgana", come l'ha chiamata Rosella. Infatti, riguardo alla scritta che si legge sul quadro, alla fine è lui che dirà una "bugia", se così la vogliamo chiamare, accettando di entrare nel mondo "diversamente reale" di Anne:

quote:
Dalla cassetta, a Barnaba, arrivavano parecchie lettere, confuse ma non tutte, formavano la scritta in nero e in stampatello, talmente lunga da essere dipinta su due righe, lui la pensò intensamente, "N'ayant pu me corrompre ils m'ont assassiné", la pensò sillaba per sillaba, con tale forza che quasi riuscì a vederla tutta intera.
Piegò appena le spalle, disse sorridendo: "Un po'. C'è scritto solo A MARAT, DAVID".

Ecco qui una immagine in cui confrontare i due quadri:
https://www.letteratour.it/forum/img/marat-assassine.jpg

Scusatemi di nuovo, ho anche altri temi che avete affrontato che vorrei riprendere, la dicotomia luce/ombra che a me pare importante, se non altro come metafora della dicotomia cose conosciute (diurne, razionali)/cose sconosciute (notturne, irrazionali), ma anche il tema - per me importantissimo - dei diversi livelli narrativi e della conoscenza - per così dire - esperita quindi SCRIVENDO.

PS. grazie Rosario per il tuo suggerimento per Akira, me lo devo assolutamente guardare!!!

Eloise
www.letteratour.it

Edited by - eloise on 20/09/2020 16:00:58
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eloise
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603 Posts

Posted - 20/09/2020 :  16:35:27  Show Profile  Visit eloise's Homepage
Come non aggiungere un altro commento?

Volevo porre l'attenzione su un altro passo di questo meraviglioso finale, poco prima delle ultime battute, è il momento in cui Barnaba DECIDE di passare all'altra sponda, all'altro modo di interpretare il reale: Anne lo lascia parlare senza sosta per interi minuti della sua ricerca su Marat, non lo interrompe neanche un attimo, e poi, con gentilezza quasi materna, come una madre che ascolta con rispetto e empatia lo sfogo di un bambino che piange e racconta la sua sofferta ricerca del proprio posto nel mondo attraverso coordinate che gli sono esterne ma poi si accorge che sono illusorie, ...poi Anne, solo quando lui ha terminato, gli dice: E le bolle di sapone?

Sembra quasi la frase di un'idiota (in senso letterale), ma è la frase profonda di chi la conoscenza l'ha già fatta passando dal mondo esteriore e poi l'ha trovata in quello interiore. Le bolle di sapone: incredibile metafora della conoscenza effimera e al contempo fenomeno fisico di illusione ottica.

Allora Barnaba capisce:
quote:
Soltanto allora tornò a pensare a come Anne gli aveva descritto i quadri il giorno prima, a come adesso invece, per Il Marat assassiné, ogni dettaglio in quello che lei aveva detto era preciso e veritiero; pensò a come aveva taciuto durante tutto il suo racconto, a come si può mentire non dicendo, a come si può mentire non mentendo. Ancora una volta pensò al dolore di Anne, così invisibile dietro le forme accese e leggere della sua voce, pensò alla resistenza alla malattia e all'abbandono, pensò che il dolore non è poi così importante, ma se non lo si trascura può aprire qualche porta.

Eccolo, per Barnaba, il perfetto momento dell'EPIFANIA - per dirla con Joyce.

PS. Cavoli Tiziano, e io che non leggevo da mesi, mesi, forse anni, un libro che mi prendeva così tanto. Come minimo ti devo una cena

Eloise
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Edited by - eloise on 20/09/2020 16:41:41
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Tiziano
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Posted - 20/09/2020 :  16:58:24  Show Profile
Riepilogo:
1. io sostengo una teoria letteraria per cui il racconto è un esperimento ideale (la spiegazione della teoria potete leggerla anche qui: https://www.letteratour.it/teorie/A05_racconto_esperimento_ideale.asp )
Credo che proprio nella sperimentazione immaginaria del racconto consista la capacità conoscitiva dell'opera letteraria, cioè il fatto che la declinazione al congiuntivo della realtà consente di analizzare il dominio di possibilità dell'esistenza.
Ebbene, credo che "Nel Museo di Reims" sia proprio un racconto esemplare della mia teoria: Del Giudice costruisce uno spazio particolare dove far muovere i personaggi, per immaginarne i comportamenti e i pensieri, così come l'etologo costruisce labirinti per i suoi topi, per studiarne le attitudini comportamentali.
2. sono convinto che la genesi di questo esperimento si trovi in "Atlante occidentale", nella visita di Brahe e Gilda nel buio e vuoto Castello Voltaire; ecco: Del Giudice stavolta ha illuminato e popolato di oggetti un altro spazio eterotopo, per farvi muovere dentro un altro uomo e un'altra donna. Rammento che l'altro protagonista di quel romanzo, il vecchio scrittore Epstein, si dice impegnato in un esperimento: "vedere oltre le forme", che mi pare sia pure l'esperimento di Barnaba e Anne.
3. perché il museo? Perché appunto è uno spazio in cui il tempo è sospeso, in cui si può instaurare quel comportamento altro che è il gioco, la finzione (ovviamente per "gioco" intendo quel comportamento tipico dell'essere umano che è fondamento della sua spiritualità - v. Huizinga "Homo ludens"). Notiamo che Barnaba sceglie di visitare musei e scrutare dipinti poiché ha perso il contatto con la realtà: v. il 1° par. non può vedere paesaggi né persone, poiché non si possono avvicinare tanto da "toccarli con gli occhi"; quindi deve accontentarsi di un surrogato della realtà.
4. però Anne gli si avvicina tanto che può "toccarle" gli occhi: questo fa nascere una relazione speciale, è l'ingresso in un altro mondo trascendente la realtà. Il gioco che si gioca tra Anne e Barnaba consiste proprio nell'esplorare un'altra possibilità nello spazio dell'immaginario (ed ecco perché penso potremmo vedere in questo racconto anche una giustificazione della letteratura).
5. in questa nuova possibilità c'è la relazione con i colori, che non è centrale tuttavia è interessante perché allude all'apertura di una diversa relazione con la realtà. Potremmo esplorare a lungo questo fatto: dalla caratterizzazione galileana del colore come qualità soggettiva al rapporto patologico tra mente e d esperienze percettive, come nel caso della musica colorata di Michael Torke raccontata da Oliver Sacks, ma non mi pare il caso; mi soffermo soltanto sulla poesia "Vocali" di Rimbaud, alla sua dimensione sinestetica che, letteralmente, ridipinge il mondo.
Ad un certo punto Barnaba domanda: "giallo come un limone?" e Anne risponde: "Giallo come un tradimento". In Barnaba c'è ancora un rapporto referenziale con il mondo, poiché collega il colore alla proprietà di una cosa; Anne invece instaura una relazione sentimentale col colore, ridipinge anche lei il mondo. In un primo momento Barnaba non comprende, pensa alla menzogna ma non si spiega il perché di queste menzogne, poi accetta il gioco della finzione, entra in sintonia con Anne. Si può quindi giocare il gioco del mondo. Poi però il gioco deve terminare, l'esperimento concludersi, il libro dev'essere chiuso.

ps. è ovvio il riferimento al romanzo di Cortazar "Il gioco del mondo"



Tiziano
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Rosario
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Posted - 21/09/2020 :  15:59:18  Show Profile
Il desiderio mimetico di Rosella


Per approfondire la conoscenza di Barnaba ho provato ad applicare le dinamiche del desiderio mimetico tra il lettore empatico e il protagonista del racconto. Tra tutti gli interventi, per me il più empatico è quello di Rosella, che ha operato una vera e propria identificazione con il protagonista:

"Impossibile per me non identificarmi subito col protagonista:


e la spiega:

"ero bambina e una disfunzione agli occhi nemmeno pensavano a curarla: metti gli occhiali ma sforzati di non usarli. Così cominciai a vagare tra le nebbie, e quando gli occhiali divennero obbligatori fu anche peggio."

Rosella si è identificata con Barnaba e, per farci meglio "comprendere" la sua identificazione, confessa che lei stessa da bambina ha avuto problemi di vista simili a quelli di Barnaba.

Il rapporto tra Rosella e Barnaba può essere generalizzato come rapporto tra personaggi di due dei tre livelli in cui si definisce la letteratura: autore - opera - lettore; quindi, tra Rosella e Barnaba avviene l'identificazione tra il lettore di oggi e il protagonista del racconto.

Rosella ha vissuto sulla sua pelle il disorientamento, le insicurezze e le paure di Barnaba, un personaggio immaginario. Nel leggere, sente nel proprio corpo le stesse sensazioni e prova gli stessi sentimenti di Barnaba; in lei si è risvegliata una "memoria affettiva" vissuta da bambina e questo le permette di rivivere le situazioni del passato e di giudicare con la serenità del distacco quelle raccontate da Barnaba e, nel confrontarle, arriva alla verità romanzata:

"Per me ci fu un termine a questo tormento, con le lenti a contatto, ma il nostro protagonista ha come previsione di termine il buio assoluto, e cerca di riempirlo con l'immaginazione".

Secondo le triangolazioni del desiderio mimetico girardiano: assegnato a Rosella il ruolo di soggetto, a Barnaba il ruolo di mediatore e alla "conoscenza" quello di oggetto del desiderio, possiamo riformulare il processo di mimesi tra lettore e protagonista, in questo modo:

nell'atto di leggere, per effetto dell'immedesimazione, il lettore desidera possedere la "conoscenza" della realtà perchè è lo stesso desiderio del protagonista.

Entrambi desiderano la stessa cosa; ...ma Barnaba è un personaggio immaginario, non è reale! Rosella se ne rende benissimo conto e chiude l'intervento sul protagonista, nella culla del sogno:

"Non importa quel che vede, importa quel che sogna."

...e nel sogno, si sà: può succedere di tutto!

Come non ricordare che: “Siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni” (William Shakespeare, La Tempesta, Atto IV)


RF
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Rosella
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Posted - 21/09/2020 :  17:27:29  Show Profile
Ciao a Tutti, e un cordiale Benvenuto a Nausicaa
Riprendo subito il suo intervento:

"Buongiorno mi presento sono Nausicaa e mi piacerebbe dare un'opinione (non ho ancora letto tutti i vostri commenti al romanzo!). Mi sono innamorata di questo scrittore perché riesce a immaginare una duplice vita, ci sono menzogne e verità, tanta paura ed insicurezza. Mi spaventa immaginare come questo racconto sia molto simile alla vita di molti di noi, in cui ci facciamo guidare perché impreparati e poi ci ritroviamo a conoscere meglio anche noi stessi. Mi piace la capacità lessicale di introdurci in un mondo fantasioso che in realtà è completamente affine alla quotidianità moderna!"

Veloce e densissimo, riporta molte dualità, che ho ritrovato spigolando tra altri interventi:

luce/buio
passato/futuro
quotidianità/fantasia
certezza/insicurezza
coraggio/paura
esistenza/illusione
conoscenza/ignoranza (in senso dantesco)
realtà/sogno
verità/menzogna

Il libro si configura così come una sciarada, una sfida al lettore, che deve individuare un percorso, all''interno di quel grande Museo che è la Vita, per venire beffato alla fine, con la menzogna di Barnaba, che apre infiniti orizzonti: il finale (fuori del libro, come già detto) ognuno se lo deve ipotizzare. Per me, Barnaba non è così cieco come crede di essere. Lieto Fine.

P.S. : scusate le mia poca presenza, solo alle prese con due libri alquanto inconsueti.
CIAO


Rosella - Gwendydd

"scritto da uno storico parziale, prevenuto e ignorante"
Jane Austen - La storia dei re d'Inghilterra
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Rosella
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Posted - 21/09/2020 :  17:32:57  Show Profile
Dimenticavo: grazie Rosario per aver esaminato così a fondo il mio intervento. hai centrato proprio tutto!

Rosella - Gwendydd

"scritto da uno storico parziale, prevenuto e ignorante"
Jane Austen - La storia dei re d'Inghilterra
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Naub84
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4 Posts

Posted - 22/09/2020 :  12:40:56  Show Profile

"Questa malattia è tutta per te, solo per te"
Vorrei iniziare il mio commento con questa frase del romanzo.
Leggendo mi sembra di intravedere l'arcano conflitto tra ragione e sentimento, tra corpo e mente.
Le luci sono i momenti vividi in cui Anne cerca di condurre Barnaba,
mentre il buio è quando il protagonista non riesce più a capire di chi fidarsi.
La malattia è insita nella mente di Barnaba, è lui che può, ma non vuole vedere ed è solo attraverso la mente e la luce di Anne,
la sua guida, che può imparare a guarire, a riconoscere la magia dei colori.
La storia è una continua ricostruzione della lotta con sé stessi, ma ci spinge a diverse interpretazioni,
sta al lettore rivedersi tra le righe. La notte è per Barnaba un banco di prova.
Nel buio cerca di capire
come potrebbe sopravvivere una volta che vedrà solo nero, ed è qui che si mette in discussione.
Durante la notte quanti di noi sognano e vivono emozioni che spaventano nella vita reale?
La notte è spesso con i suoi sogni interpretazione delle nostre volontà.
Un racconto psicologico e di introspettivo quello di Barnaba.
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Rosario
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Posted - 22/09/2020 :  19:23:08  Show Profile

lights and dark

"Reading I seem to glimpse the arcane conflict between reason and feeling, between body and mind. The lights are the vivid moments when Anne tries to lead Barnabas, while the dark is when the protagonist can no longer understand who to trust."

(Leggendo mi sembra di intravedere l'arcano conflitto tra ragione e sentimento, tra corpo e mente. Le luci sono i momenti vividi in cui Anne cerca di condurre Barnaba, mentre il buio è quando il protagonista non riesce più a capire di chi fidarsi.)


Mi sono divertito a far tradurre una parte del commento di Nausicaa e l'ho voluta riportare in bacheca, così come è stata tradotta dall'occhio magico di Reverse che mi è comparso mentre leggevo il commento.

Una favola!!! mi sento "internazionale"!!!

Ma ritorniamo all'arcano conflitto tra "ragione e sentimento" "corpo e mente", "luce e buio" ... sono tutti "doppi" in eterno conflitto!
Come specificato dall'autore il rapporto luce e ombra è il tema portante, la linfa del racconto.

Ho chiesto a google "luce e ombra" e lui mi ha risposto con una frase-bandiera dell'argomento:

"Ad un livello sia fisico, che psicologico e filosofico, non possiamo conoscere la luce senza che ci sia qualcosa da illuminare, senza che ci sia un'oscurità, un'ombra. La luce ha senso – diceva Jung – solo in relazione all'ombra, solo se illumina l’oscurità."

ho chiesto a Calvino della "leggerezza" e lui mi ha risposto con la luna:

"Le numerose apparizioni della luna nelle sue poesie [Leopardi] occupano pochi versi ma bastano a illuminare tutto il componimento di quella luce o a proiettarvi l'ombra della sua assenza»

non contento sono andato a chiederlo a wikipedia e lei mi presenta una sfilsa di citazioni dotte e meno dotte ma tutte piene di infiniti significati; ne ho scelto una un pochino fuori dai circoli intellettuali:

"Hai mai sentito parlare del concetto di "doppio"? Ognuno ha in sé due personalità. Una di loro è la persona di tutti i giorni, della vita pubblica, mentre l'altra è l'esatto opposto. La personalità nascosta nel subconscio viene chiamata "Ombra" in termini psicologici. L'Ombra nega il suo opposto simmetrico, la persona "Luce", e in certi casi si espande fino allo stesso livello. Se riesce ad espandersi abbastanza, assume una forma propria, si separa dal corpo, e può andarsene in giro per conto proprio. È per questo, amico mio, che siamo qui entrambi. (Metal Gear Ac!d)


Grazie Nausicaa per il tuo commento "ispiratore".




RF
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eloise
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Posted - 22/09/2020 :  19:24:58  Show Profile  Visit eloise's Homepage
Io trovo interessante anche la scelta del quadro.
Marat, come ci ricorda Wikipedia, "è stato un politico, medico, giornalista e rivoluzionario francese". Un uomo del popolo. Tra tutti i rivoluzionari, tra l'altro - ho letto da qualche altra parte - è "lo scrittore", cioè colui che agisce, che fa la rivoluzione attraverso i suoi scritti.
Ce ne parla a lungo anche Barnaba.

Il quadro di David - o meglio, come dicevo nel mio precedente intervento, una delle sue innumerevoli copie - è un soggetto particolare che rappresenta l'attimo subito successivo alla morte di quest'uomo così importante.
Il dipinto si caratterizza per le influenze di Caravaggio: il tema del BUIO e della LUCE è fondamentale in questo quadro così come lo è nella vicenda del protagonista. Nel quadro, la luce è tutta sul viso di Marat, che nonostante sia morto assassinato colpisce per la sua espressione serena e quasi sorridente, di pace. Il resto del quadro è nel buio, soprattutto gli elementi che richiamano la morte violenta (la ferita, il coltello). E' un quadro celebrativo dell'uomo ma anche e soprattutto del suo trapasso sereno. Trapasso inteso nel senso profondo di PASSAGGIO.

Torno a dire che per me è il racconto di una epifania. Il tema della morte e del trapasso di un'anima che sembra rasserenata e rischiarata dal suo passaggio alla morte è secondo me un forte indizio di quello che l'autore vuole raccontare con le vicende di questa particolare malattia, la cecità.

Malattia del corpo (Barnaba), malattia dell'anima (Anne), malattia della vita (positivismo e determinismo): tutto si risolve in una dimensione ulteriore dal momento in cui il protagonista capisce che "il dolore non è poi così importante, ma se non lo si trascura può aprire qualche porta". Eccola, l'illuminazione.

Mi restano da capire i livelli di narrazione tra prima e terza persona...

Eloise
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eloise
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Posted - 22/09/2020 :  19:30:15  Show Profile  Visit eloise's Homepage
Mi sto convincendo che questi giochi in prima e terza persona rappresentino davvero come una sorta di "gioco" narrativo che fa l'autore per mostrare esplicitamente al lettore la sua presenza, il che avvalorerebbe la tesi di Tiziano che questo testo sia un esperimento fatto a tavolino. Tesi che non mi vede a priori convinta - non su tutti i testi almeno. Ma per adesso non mi spiego diversamente questa scelta. Non sarebbe del resto il primo autore che entra nella storia da personaggio per mettersi in scena anche lui ed esplicitare così il gioco narrativo fittizio dell'opera letteraria...

Eloise
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Rosario
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Posted - 23/09/2020 :  12:00:34  Show Profile
quote:
Originally posted by eloise
... Non sarebbe del resto il primo autore che entra nella storia da personaggio per mettersi in scena anche lui ed esplicitare così il gioco narrativo fittizio dell'opera letteraria...



Personalmente sono convinto che: laddove l'autore ha la necessità di intervenire nella trama del romanzo con riflessioni personali sui risvolti filosofici, psicologici e caratteriali dei personaggi, per descrivere e "giocare" da diversi punti di vista, - che Tiziano ha individuato come interno ed esterno, - Del Giudice ha escogitato un personaggio invisibile, esterno alla trama, che romanza in terza persona le situazioni e gli ambienti in cui giocano i personaggi.

Questo gioco di punti di vista, interni ed esterni, mi ha fatto venire in mente una mia lettura degli anni novanta: mi è stata proposta da una commessa della libreria di Roma, dove passavo il mio tempo, perso nelle ricerche senza trama, fatte solo per il gusto di trovare, toccare e sfogliare libri e titoli che stuzzicavano il mio mondo interiore.

In quel momento ero completamente assorbito dagli autori francesi calvinoreferenti e la ragazza mi propose "Le Coq de bruyère" di Tournier. Il libro non era in libreria e lei il giorno dopo mi portò il suo scritto in francese; per pura opportunità ovvero per non offendere i titolari, in libreria comprai un altro libro di Michel Tournier, scritto in italiano: "Venerdì o il limbo del pacifico".

Quest'ultimo libro di Tournier è una riscrittura di Robinson Crusoe in chiave di "avventura fantastica in cui è possibile decifrare l'eterna avventura dell'uomo"(quarta di copertina).

Il sistema escogitato da Tournier somiglia a quello di Del Giudice; la differenza è che tutta la narrazione è in terza persona; mentre la prima persona è espressa come voce narrante di un "diario di bordo" della nave del naufragio umano - Log-book (in inglese anche nell'originale edizione francese) -

In questo Log-book l'autore esprime sporadici inserimenti in prima persona che riflettono sull'avventura umana. Sono riflessioni che diventano una specie di "punto e a capo" delle maestrine elementari che dettano la vita a innocenti e inesperti fanciulli-lettori.

...e io mi sentivo un innocente e inesperto naufrago della vita.


RF
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