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 Il nazional socialismo in Germania
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eloise
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Posted - 10/03/2017 :  22:16:00  Show Profile  Visit eloise's Homepage
quote:

anche qui in Italia nel 1921, l'allora P.S.I. si divise e si creò l'allora P.C.I. (Partito comunista italiano). Le suddivisioni indeboliscono, e chissà come mai avvengono sempre quando le società sono in crisi e poi spunta L'UOMO FORTE.


Esatto Margherita, proprio questo dovrebbe sempre far riflettere tutti, anche oggi, sulle responsabilità di certe scelte e certe incapacità a misurare e riconoscere i veri "avversari" politici (avversari nel senso proprio di "da avversare").
Ma andiamo avanti, ci sono ancora altri gruppi di resistenza di cui parlare nella Germania dell'epoca, piano piano ve li voglio riassumere tutti.

Eloise
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eloise
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Posted - 14/03/2017 :  12:12:26  Show Profile  Visit eloise's Homepage
La resistenza tedesca al nazismo.
Dal libro "Ces allemands qui ont affronté Hitler" di Gilbert Badia.

3. IL GRUPPO HERBERT BAUM
Si tratta di un gruppo che, sotto la direzione di Herbert Baum, Martin Kochmann e le loro futuri mogli, Marianne Cohn e Sala Rosenbaum, riunì circa un centinaio di persone che avevano in comune, quasi tutte, le origini ebree e una simpatia per posizioni politiche comuniste o socialiste.
Inizialmente questo gruppo aveva lo scopo di formare politicamente i giovani interessati, redigere e diffondere alcuni scritti politici, dipingere qualche graffito antinazista sui muri di Berlino.
Nonostante numerosi arresti avvenuti nel 1935 e durante la cosiddetta "notte dei Cristalli" (pogrom del novembre del 1938 a seguito del quale si stimano ca 1300/1500 vittime), il gruppo riuscì a ricostituirsi ed essere sempre attivo anche nel 1940-41. Le attività del gruppo si limitavano allora alla distribuzione di scritti e all'organizzazione di riunioni a tema politico.
Nel maggio del 1940 alcuni esponenti del gruppo fecero atto pubblico di una manifestazione pacifica recandosi al cimitero ebreo di Berlino-Weissensee per rendere omaggio a Rudi Arndt, ex responsabile del blocco 22, composto da ebrei, che era stato condannato a morte nel campo di concentramento a Buchenwald.
A partire dal 1941 il gruppo conosce molte difficoltà, dato l'obbligo di portare la stella gialla come marchio di riconoscimento e il passaggio di molti di loro alla clandestinità.
A seguito di numerose discussioni, decide di preparare un colpo: durante l'inaugurazione da parte dei nazisti della mostra "Il Paradiso sovietico", il 18 maggio 1942, fanno scoppiare due bottiglie con esplosivo, ferendo 8 persone ma causando in realtà pochi danni. La Gestapo interviene immediatamente e nel giro di 4 giorni - forse a seguito di una denuncia - 4 partecipanti all'azione sovversiva furono arrestati. Herbert Baum fu così atrocemente torturato che ne morì (o si suicidò in prigione). Tra il 1942 e il 1943 si procedette con 25 condanne a morte e 10 deportazioni. Si annunciò poi che altri 500 ebrei (250 secondo altre fonti) della regione berlinese sarebbero stati arrestati, alcuni vennero subito condannati a morte, altri inviati in campi di concentramento.
A seguito di questo episodio, l'Unione ebraica del Reich riuscì a entrare in contatto con uno dei pochi sopravvissuti, Richard Holzer, chiedendo espressamente che tutto il gruppo Baum rinunciasse a qualsiasi azione suscettibile di provocare il regime.



Segnalo inoltre il sito: http://herbertbaumgroup.blogspot.it/
Ha come sottotitolo: Jewish Resistance during the Holocaust was one of the realities of World War II.

Credo che questa piccola testimonianza storica dell'esistenza del gruppo Baum chiarisca anche come la resistenza ebrea (a livello individuale) ci sia stata, o quantomeno abbia provato ad esserci, anche se, come quella comunista, era quella più esposta a pericoli e infine abbia dovuto soccombere all'uso della forza da parte del regime nazista.

Eloise
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eloise
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Posted - 14/03/2017 :  16:05:34  Show Profile  Visit eloise's Homepage
La resistenza tedesca al nazismo.
Dal libro "Ces allemands qui ont affronté Hitler" di Gilbert Badia.

4. LA RESISTENZA DEI TEDESCHI ESPATRIATI
Nei primi mesi d'insediamento del nuovo regime nazista, migliaia di tedeschi scappano dalla Germania. La maggior parte di essi non sono nemici politici del Reich, ma soprattutto ebrei vittime delle prime misure antisemitiche. Erano convinti che si trattasse di un espatrio che doveva durare poche settimane, pochi mesi al massimo. Una "escursione" che in realtà durò poi 12 o 13 anni.
Di fronte alla loro storia, questi emigrati si sforzarono di lottare contro il regime dal di fuori.
Il loro primo pensiero fu quello di informare i paesi stranieri delle reali condizioni sociali e politiche della Germania, del vero volto del nazismo, che negava le persecuzioni ebree.
La Francia, per ovvie ragioni di confine, fu il paese col maggior numero di immigrati dalla Germania. Moltissimi immigrati erano giornalisti, artisti, musicisti, scrittori: fu un fiorire di pubblicazioni e scritti in Francia, Svizzera, Olanda. Alcuni di questi testi diventarono dei best-seller, in Europa ma successivamente anche in America, soprattutto del sud, come ad esempio "La settima croce" di Anna Seghers.
L'attività di questi espatriati cercò anche di contrapporre una versione alternativa alla propaganda nazista all'estero, quest'ultima ad opera di ambasciate riccamente pagate dalla Germania.
In questo contesto si situa anche la serie di trasmissioni radiofoniche ad opera di Thomas Mann, dall'America.
In Francia le attività di questi immigrati furono, come già detto in altro post precedente, supportate dagli intellettuali locali. Ho già parlato del Comitato di vigilanza degli intellettuali antifascisti e dell'istituzione, nel 1933, dell'Istituto per lo studio del fascismo.
Uno dei risultati più eclatanti di quest'attivismo si registrò nella questione dell'incendio del Reichstag avvenuto tra il 27 e il 28 febbraio 1933. Oltre all'olandese van der Lubbe, furono arrestati anche Ernst Torgler, presidente del gruppo comunista al Reichstag, e i bulgari Dimitrov, Tanev e Popov. L'obiettivo era chiaro: sfruttare l'episodio per estendere il processo a tutto il comunismo. Ciò che durante il processo apparve chiaro fin da subito era l'innocenza di Torgler e dei bulgari. Ma è solo grazie alla mobilitazione internazionale che si riuscì a istituire una commissione d'inchiesta internazionale composta da giuristi di fama venuti da 10 paesi non comunisti e a comprovare la loro innocenza. In quanto a der Lubbe, fu condannato a morte subito dopo un processo in cui apparve evidente che era drogato e incapace di rispondere con il pieno supporto del proprio intelletto, forse per paura, da parte delle autorità tedesche, che rivelasse cose scomode.
Hitler aveva commesso l'errore - che non ripeterà più - di organizzare un processo pubblico, invitando la stampa estera.

Grazie all'aiuto della Federazione internazionale dei Trasporti, i resistenti all'estero poterono far passare opuscoli e scritti sovversivi da e per la Germania. Ma era un'operazione pericolosissima che diede nascita ai cosiddetti "Tarnschriften" ("letteratura nascosta" o "camouflaged publications"): i testi sovversivi, che si trattasse di un discorso di un leader comunista, o di un appello di Heinrich Mann, o di appelli all'unità da parte dei partiti operai, venivano nascosti nei sacchetti di shampoo o di grani di pomodori, in una mappa di Dusserdolf edito dalla Dresdner Bank o ancora in un prospetto che invitava a soggiornare sulle Alpi Bavaresi. Sono stati trovati più di 2000 Tarnschriften.
Purtroppo, a partire dal 1935-36 quasi tutti i sistemi di resistenza in Germania furono smantellati dalla Gestapo, che nel frattempo non ha mai smesso di accrescere il suo potere e la sua onnipresenza, e la maggior parte dei Tarnschriften vennero intercettati dalla polizia di Himmler.

A partire dal 1937, la situazione dei tedeschi emigrati all'estero in Europa peggiora. In Francia si registra un profondo cambiamento nell'opinione pubblica. Nel maggio del 1938, il ministero degli Interni francese emette una serie di decreti che limitavano i diritti degli immigrati. Inoltre, l'opinione pubblica si scontrava continuamente con la propaganda degli immigrati, che dipingeva una Germania in preda al caos e alla crisi economica, mentre numerosi reporter che avevano assistito ai giochi olimpici del 1936 avevano trovato un paese ordinato, pulito, calmo e una popolazione soddisfatta del suo regime. La credibilità degli immigrati calava sempre più, e il desiderio generale di pace diventava di anno in anno più forte della fatica di stare all'erta contro un nemico che faceva sempre meno paura...

Quando alla fine la Polonia fu invasa e la Francia, controvoglia, entrò nel conflitto contro la Germania, una delle prime cose che fece il governo francese fu quello di internare la quasi totalità degli antifascisti tedeschi e austriaci maschi che si erano rifugiati in Francia.




Eloise
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Margherita
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Italy
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Posted - 15/03/2017 :  20:31:27  Show Profile
Eloise, la tua relazione è importantissima e molto interessante. In questi giorni vorrei riuscire a leggere per poi fare una relazione il libro della Arendt, la banalità del male, e come ho già detto farmi anche una idea delle motivazioni, del carattere, dei desideri, degli aguzzini, quelli "addetti ai lavori" di tutto questo grandissimo massacro. Probabilmente sto andando fuori tema, però più che altro lo faccio per me.
Dalle tue relazioni storiche risulta ancora che già dal 1936 non c'era più molta resistenza, per il semplice fatto che i nazisti, giustamente dal loro punto di vista, avevano già fatto fuori ogni opposizione, e dopo il '36, le altre resistenze erano poche, impaurite, e purtroppo non avevano più molto effetto.
Il saggio della Arendt è sulla letteratura del Corriere della Sera della domenica, nei primi dieci posti dei saggi, mi pare il 5°. Strano che sia rispuntato fuori e sia così attuale, forse per il film su Hanna Arendt della Von Trotta del 2012? L'ho visto ieri in DVD, molto bello, riprende con maestria i concetti della Arendt sulla banalità del male e sulla personalità di Eichmann. Per ora io del libro ho letto solo un capitolo, il libro ora me lo ha preso mio figlio e lo sta leggendo lui.

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eloise
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Posted - 17/03/2017 :  11:29:22  Show Profile  Visit eloise's Homepage
Margherita, grazie dei tuoi numerosi spunti.
Quando avrò terminato questa parte storica che spero non vi annoi, sicuramente andrò a leggermi altro tra i tanti vostri suggerimenti e guardarmi qualche film. Cerco di essere concisa e breve, ma le cose da dire sono così tante e la storia, fino a un certo punto, non è ulteriormente riassumibile, spero abbiate pazienza.
La resistenza maggiore fu negli anni 30, come dici bene tu, perché dopo gli spazi vitali per muoversi erano rimasti veramente pochi e pericolosissimi. Ma arriviamo ora a un altro gruppo di resistenza, molto famoso, che nacque e operò invece dopo, negli anni 40: la Rosa Bianca, di cui sicuramente Ombra potrà dirci poi molto di più.

La resistenza tedesca al nazismo.
Dal libro "Ces allemands qui ont affronté Hitler" di Gilbert Badia.

5. LA ROSA BIANCA
La Rosa Bianca è un gruppo di resistenti spesso classificato dagli storici come "gruppo giovanile" o "gruppo cristiano". Infatti era composto da giovani studenti motivati da valori religiosi e culturali, solo in un secondo momento diventano più politicizzati. E' uno dei movimenti che è diventato tra i più famosi, e ciò immediatamente.
Hans Scholl e Alexander Schmorell, due studenti di medicina di 24-25 anni, decidono nel giugno del 1942 di fare un appello alla resistenza contro il regime nazionalsocialista. Redigono quattro testi e li diffondono con l'aiuto di qualche altro studente, Sophie Scholl, sorella di hans, Traute Lafrenz e Christoph Probst, tutti provenienti da famiglie borghesi molto religiose. L'obiettivo era quello di chiamare alla resistenza contro il regime tutti gli studenti dell'università di Monaco ma, attraverso di essi, anche i genitori e le famiglie in generale, i professori, gli intellettuali.

Alcuni estratti:
"Ogni individuo cosciente della propria responsabilità come membro della cultura cristiana e occidentale (...) deve militare contro questo flagello dell'umanità". Questo regime ha "sterminato 300.000 ebrei in Polonia" e spedisce "delle figlie di famiglia (polacche) tra i 15 e i 20 anni nei bordelli delle SS". E' necessario risvegliare il popolo tedesco "che continua a dormire di un sonno profondo" perché "ciascuno è colpevole, colpevole, colpevole".

In realtà il numero di persone raggiunte da questi primi scritti è stato molto limitato, si parla di poco più d'un centinaio di persone.
Nel frattempo, Scholl e Schmorell sono stati inviati sul fronte dell'Est per tre mesi, com'era imposto dal regime a tutti gli studenti di medicina, e hanno potuto toccare con mano non solo le condizioni degli ebrei, ma anche quelle della popolazione locale e dei prigionieri sovietici. Schmorell, di madre russa, si è intrattenuto con i contadini dei territori occupati. Un soggiorno che ha modificato il loro punto di vista sulla guerra e sul comunismo, e che li decide a muoversi in modo da raggiungere non più solo qualche cittadino ma tutto il popolo tedesco.
Il gruppo pian piano si è allargato e ha preso contatti con altre università e altre città: Hambourg, Sarrebruck, Stuttgart, Berlino e Vienna, nonché col gruppo di Kreisau e altri. E' in questo contesto che entra in contatto anche col professor Kurt Huber, di Monaco, che accettò di partecipare alla redazione dei due ultimi scritti, anche se non condivideva tutte le loro opinioni.
Un fatto importante da sottolineare è che all'epoca Willi Graf, un giovane appartenente al gruppo, non riuscì affatto nell'intento di coinvolgere alla loro causa alcune associazioni giovanili cattoliche che aveva contattato, il che pare dimostrare che, in quel momento, quantomeno una buona parte dei giovani tedeschi non era pronta ad approvare le azioni e le idee della Rosa Bianca, che col passare del tempo diventavano sempre più antinaziste.

Il quinto testo du riscritto più volte; il prof. Huber cancellò molte delle tesi troppo "comuniste" di Schmorell, mentre fu approvata la bozza definitiva di Scholl. Il testo condannava il "militarismo prussiano", evocava la costruzione di un'Europa pacifica, e insisteva sulla necessità di rovesciare un regime criminale. Non fu più firmato come Rosa Bianca ma come "Opuscolo del movimento di resistenza in Germania". Non si sa bene quanti ne furono diffusi, si stima ca 6 o 9mila. Si sa che fu distribuito per posta, in altre città, ma a Monaco anche direttamente a mano alla stazione, nelle cabine telefoniche, sulle macchine, ecc. Le reazioni della popolazione tedesca purtroppo sembravano nulle. Ciò non impedì loro di redigerne subito un sesto. In questo testo il prof. Hubert voleva inserire una frase che richiamasse la popolazione contro il blscevismo: frase che, non si sa con quali dinamiche esatte, fu eliminata completamente. In questo sesto opuscolo, ci si rivolgeva solamente agli studenti, commentando la disfatta di Stalingrado e facendo un appello senza riserve contro i metodi nazisti: violazione dei diritti individuali, non rispetto della dignità dei cittadini. Ma Scholl era già controllato dalla Gestapo, che ne intercettò una parte. Lungo dal preoccuparsi, il gruppo studiava sempre più impazientemente metodi per poter "risvegliare le coscienze". Scholl e Schmorell ne vennero a dipingere i muri dell'univesità con scritte sovversive. La loro impazienza fu tale che Hans e Sophie Scholl arrivarono al punto di distribuire quasi apertamente, il 18 febbraio, il loro ultimo scritto all'università. Quando gliene rimase circa un centinaio in mano, li lanciarono in aria nella corte centrale dall'alto del secondo piano. Il bidello li vide, e li denunciò.

Il processo ai due fratelli Scholl, assieme a Christoph Probst, fu organizzato con una rapidità estrema, eseguito in sole tre ore e tutti furono ghigliottinati tre ore dopo. Lo stesso giorno l'Associazione degli Studenti nazionalsocialisti organizzò una manifestazione pro-regime: si parla di ca 3000 partecipanti. Anche se il numero può essere stato ingrossato, alcuni testimoni neutrali hanno parlato di un anfiteatro universitario strapieno, e di masse di studenti che hanno applaudito a più non posso il bidello.
Il 19 aprile, la Gestapo ha arrestato altre 14 persone: Schmorell, Willi Graf, Kurt Huber e altri. Il professore fece un'arringa rimasta negli annali. I tre furono ugualmente condannati a morte; gli altri furono inviati in prigione, pena estremamente leggera per la situazione di allora e che permise loro di sopravvivere, a differenza di coloro che solitamente erano inviati nei campi di concentramento. Franz Joseph Muller, che era tra loro, è attualmente presidente della Fondazione Rosa Bianca di Monaco.
Un terzo processo fu fatto nel luglio del 1943, con un solo condannato alla prigione.

Nonostante le esecuzioni e le condanne, l'attività della Rosa Bianca non si fermò. Hans Leipelt, a Hambourg, scrisse e diffuse un ultimo opuscolo nel quale aggiunse in chiusura la frase "Il loro spirito vive ancora". Fu con l'arresto di Leipelt che la Gestapo scoprì l'esistenza di altri gruppi in loco che continuavano l'opera della Rosa Bianca. La maggior parte di loro fu inviata nei campi di concentramento.

Le persone che si riconobbero e portarono avanti le attività della Rosa Bianca erano resistenti che traevano motivazione da valori etici. Quasi tutti erano giovani che sognavano di appartenere un giorno a un'Europa pacifica. Storie e vite che dovrebbero farci riflettere, tutti, sempre.



Ci sono un'infinità di cose su internet sulla Rosa Bianca. Ma mi piace segnalarvi questo link in particolare:
http://www.meetingrimini.org/default.asp?id=673&item=4339#prettyPhoto
dove in fondo alla pagina si trovano alcuni documenti scaricabili: sono una bella raccolta di documenti, passi e fotografie che illustrano come questi individui fossero giovani AMICI tra loro, prima che RESISTENTI, e mi è sembrato bello condividere anche con voi questa realtà: in un periodo oggi in cui si parla sempre più di bullismo e assenza di valori, come alcuni giovani dell'epoca abbiano dato un esempio, oltre che di cittadinanza e umanità responsabile, anche di amicizia e condivisione di valori positivi.

Eloise
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eloise
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Posted - 17/03/2017 :  15:34:50  Show Profile  Visit eloise's Homepage
La resistenza tedesca al nazismo.
Dal libro "Ces allemands qui ont affronté Hitler" di Gilbert Badia.

6. L'ORCHESTRA ROSSA
L'Orchestra Rossa è il nome che la Gestapo aveva dato nel 1941 ad alcuni gruppi belgi e francesi che agivano per i servizi segreti russi. In realtà sotto questo nome fu chiamato anche un gruppo tra i più sconosciuti e calunniati della resistenza tedesca, che ha riunito in Germania persone che non avevano nulla a che fare con lo spionaggio belga o francese. Si trattò invece di un numero eterogeneo, per estrazione sociale e ideologie, di funzionari, medici, militari, diplomatici, giornalisti, scrittori, scultori, ballerine, giovani e meno giovani, comunisti e aristocratici che si raggruppò nel 1939 a Berlino.
Il gruppo in germe esisteva già nei primi anni del nazismo. Accomunava persone che rifiutavano il "pensiero unico", il "Weltanschauung" che il regime voleva imporre, ed erano aperti a ogni altra convinzione alternativa al nazionasocialismo, non necessariamente la propria.
Uno dei suoi esponenti maggiori, Harro Schulze-Boysen, figlio di ufficiale, diventa presto un "nazional-rivoluzionario" e redige un piccolo mensile d'opposizione, "L'avversario", nel quale sostiene l'idea che alcuni dei tedeschi perseguitati dai nazisti non sono meno patrioti di loro. Quando Hitler prese il potere, fu arrestato, bastonato e deportato in un campo di concentramento; uno dei suoi collaboratori (ebreo) fu assassinato. Schulze-Boysen fu liberato solo dopo l'intervento della madre presso Goring. Intraprende quindi la formazione militare e diventa luogotenente. Nel 1936 si sposa con Libertas Haas-Heye che lavora al Ministero della Propaganda e che qui prende visione di numerosi film e fotografie che dimostrano i crimini commessi in Polonia e URSS dalle truppe tedesche. E' tramite lei che conosce Adam Kuckoff, che lo metterà in contatto col gruppo di Arvid Harnack.
Harnack, figlio di borghesi intellettuali, si forma in Gran Bretagna e Stati Uniti e si laurea con una tesi sul movimento operaio negli Stati Uniti. All'università di Giessen, in Germania, dove è stato nominato, crea l'associazione Arplan che si propone di studiare il sistema e i risultati dell'economia in vigore nell'Unione sovietica. L'arrivo al potere di Hitler blocca i suoi studi. Per le sue competenze, è comunque impiegato al Ministero dell'Economia e si installa a Berlino. Sua moglie Mildred, conosciuta negli Stati Uniti, lavora all'università come insegnante d'inglese e si occupa dello studio delle lingue straniere e dei regimi politici dei diversi paesi.
Le serate tra tutti questi conoscenti diventano ben presto una routine: si parla di politica, di questioni scientifiche, culturali e artistiche. Pian piano il cerchio si allarga: Harnack entra in relazione con un gruppo di resistenti comunisti a seguito a John Sieg; Schulze-Boysen allarga le sue conoscenze ad altri comunisti e/o artisti e scrittori. Nel 1939 i due gruppi si uniscono e si allargano ulteriormente, anche a giovani e numerose donne. Forse sotto l'influenza dei giovani comunisti, il gruppo prende ben presto una piega diversa: alle serate di discussione fanno seguito il confezionamento e la diffusione di opuscoli che vengono incollati sui muri di Berlino. Col passare dei mesi l'opera di propaganda si fa più intensa e precisa, si auspica "per il popolo tedesco un governo socialista degli operai, dei soldati e degli intellettuali". I piccoli gruppi che costituivano questo grande gruppo eterogeneo moltiplicano, ognuno per conto proprio, i documenti e le iniziative di resistenza passiva o attiva (chi scriveva opuscoli, chi diffondeva un bollettino, chi traduceva lettere dei prigionieri e si occupava di farle pervenire alle famiglie, ecc) e testimoniano l'autonomia di ciascuno.
La polizia ignorò per lungo tempo la provenienza di tutto questo materiale che diventava tanto più inquietante tanto più precise erano le descrizioni del massacro degli ebrei e dei civili o militari sovietici nella parte a Est.

Per i suoi studi per l'Arplan, Harnack era entrato in contatto con l'ambasciata russa. Dato che la guerra avrebbe impedito ogni comunicazione con l'URSS, il gruppo chiese a Mosca di poter usufruire di una ricetrasmittente con sistema di codifica dei messaggi. Di fatto, però, nessuno dei due apparecchi che furono loro consegnati funzionarono mai correttamente. Sorpresi dal lungo silenzio di Berlino, i servizi segreti sovietici chiesero a un agente di scoprirne il motivo, e gli inviarono - anche se codificato - l'indirizzo dei tre dirigenti: Schulze-Boysen, Harnack e Kuckhoff. I servizi segreti tedeschi ci misero un intero anno a decifrare questo messaggio, ma quando ci riuscirono non persero tempo: nell'agosto del 1942 arrestano Schulze-Boysen; seguirono altri 125 arresti. Tutta la faccenda fu tenuta assolutamente segreta da parte dei nazisti, e i processi fatti a porte chiuse. Molti di loro subirono torture, uno di loro morì durante un interrogatorio, altri si diedero la morte. Nonostante la maggior parte fossero civili, fu un tribunale militare a giudicarli. Vi furono in tutto 24 processi, 92 colpevoli, 49 condannati a morte, 39 alla prigione, 4 soltanto rimessi in libertà. Numerosissime le donne coinvolte. La rabbia del Furher fu però tale che ordinò che tutti i condannati ancora in vita fossero impiccati (né ghigliottinati, né fucilati, com'era invece prassi). Il regime diffuse la versione che erano tutti volgari spie al servizio del nemico, e per 50 anni questa fu la versione da tutti conosciuta.


Nella foto, Libertas e Harro Schulze-Boysen.
Foto presa da http://www.gdw-berlin.de/en/recess/topics/14-the-red-orchestra/

Eloise
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eloise
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Posted - 22/03/2017 :  16:21:16  Show Profile  Visit eloise's Homepage
Oggi vi posto l'articolo che Margherita mi ha inviato tramite mail sul testo da lei letto. Quindi tramite me è a lei ora che darò voce.
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SOPRAVVIVERE, di Bruno Bettelheim
ed. SE Milano 2005

Nota sull’autore: Bruno Bettelheim, psicologo e pedagogista, nato a Vienna il 28.8.1903, morì a Silver Sping Maryland a 86 anni il 13.3.1990, Suicida.

In questo volume sono raccolti diversi piccoli saggi dell’autore che scrisse in epoche diverse e che in una nota a pag. 33 suggerisce "ai lettori che desiderassero leggere di seguito i saggi che trattano direttamente dei campi di concentramento e della sopravvivenza in essi potrebbero seguire questo ordine:

1. Esperienze traumatiche e reintegrazione
2. Campi di concentramento nazisti
3. Comportamento individuale di massa in situazioni estreme
4. Contributi inconsci alla propria distruzione
5. Alcune osservazioni sulla forza di attrazione del totalitarismo
6. Il destino di Anna Frank: una lezione ignorata
7. Eichmann: il sistema, le vittime
8. sopravvivere
9. L’olocausto una generazione dopo"

Dello stesso autore si veda anche sullo stesso argomento "Il prezzo della vita", Adelphi 1960.

Parte prima:
IL LIMITE ULTIMO
Nella primavera del 1938, subito dopo l’annessione dell’Austria, Bettelheim venne prima arrestato e poi deportato nel campo di Dachau (aveva 25 anni e scritto la tesi di laurea). Fu liberato nel 1939 dalla Gestapo per un’amnistia in onore del compleanno di Hitler.
Bettelheim si reputò fortunato perché a causa di un forte trauma alla testa per un colpo delle SS, una ferita da curare, venne tenuto in infermeria per qualche giorno, un tempo prezioso di riposo che gli diede la possibilità di riflettere e recuperare la propria immagine a livello psicologico, ed osservare contemporaneamente come si comportavano gli altri prigionieri che erano lì da lungo tempo.
Inizia così per Bettelheim la lotta per la sopravvivenza, giorno per giorno, per vincere la depressione e per rendere il più possibile vani gli sforzi implacabili delle SS per stroncare il morale dei prigionieri.

Nel 1940 Bettelheim, libero, è negli Stati Uniti, dove iniziò a scrivere "comportamento individuale e di massa in situazioni estreme" e a parlare e a raccontare a tutti degli orrori dei campi. Parlava per liberarsi, ma non ebbe successo, i suoi racconti erano accolti con incredulità. Fu addirittura ammonito affinché non diffondesse tali falsità.
L’articolo citato qui sopra fu scritto e terminato nel 1942, per più di un anno l’articolo venne respinto la tutte le riviste di psichiatria e psicanalisi alle quali l’autore si era rivolto perché li riteneva di sua competenza. Il motivo che diedero varie riviste fu che: uno, l’articolo non era stato scritto come diario durante la detenzione; due, non poteva essere ripetuto per verificarne la verità scientifica.
Uscì finalmente nell’ottobre del 1943 sul Journal of Abnormal and Social Psichology e nell’agosto del 1944 su "Polites".
L’entità della disinformazione sui campi di concentramento ancora alla fine della guerra si può dedurre dal fatto che in quell’anno il generale Eisenhower rese obbligatoria la lettura di questo articolo per tutti i funzionari del governo militare degli Stati Uniti.

ESPERIENZE TRAUMATICHE E REINTEGRAZIONE
L’autore spiega le difficoltà che incontrarono i sopravvissuti ai campi di concentramento, le dinamiche psicologiche che dovettero affrontare; molti di loro preferirono non parlare e rimuovere tutto al prezzo di usare energie psichiche per la rimozione di tutto quel tragico vissuto. Altri invece, come lui, continuavano a parlarne sperando di liberarsene, altri ancora misero in atto la negazione, altri cercarono di riprendere la loro vita di prima, con molta fatica anche perché non si trovavano più nella loro nazione, erano sradicati e dovevano trovarsi un nuovo lavoro.
La reintegrazione in una società civile fu molto difficile, alcuni non ci riuscirono mai.

I CAMPI DI CONCENTRAMENTO NAZISTI
"Lo scopo dei campi di concentramento era essenzialmente terroristico; doveva servire attraverso l’angoscia in tal modo suscitata, a consentire allo stato di controllare tutto quello che i cittadini facevano e pensavano."
L’esistenza dei campi di concentramento veniva costantemente pubblicizzato, mentre al contrario i campi di sterminio venivano senza riuscirci tenuti segreti.
L’orrore dei campi di concentramento fu un mezzo efficace e capace di modificare il comportamento dell’individuo e con esso gli atteggiamenti e tutta la personalità.
"L’istinto di autoconservazione esige che ciascuno cerchi di ridurre il livello di angoscia, e in uno stato di massa il modo più efficace per farlo è divenire un suddito consenziente e ubbidiente dello Stato."

Alcuni dati di fatto sui campi di concentramento nazisti
Fino al 1933 non era mai stato fatto uso deliberatamente, da parte di uno stato, di campi di concentramento come strumento di intimidazione dei cittadini, tranne che nella Russia staliniana.
Il governo nazionalsocialista della Germania fu dunque il primo governo occidentale a utilizzarli come strumento per imporre e detenere il potere.
Sotto il profilo legale la creazione dei campi di concentramento si basò sulla Costituzione tedesca che all’art. 48, paragrafo 2, dava al presidente ampi poteri speciali. Tali poteri furono usati nel 1933 da Paul Hinderburg per promulgare una legge che consentiva la detenzione preventiva per salvaguardare la sicurezza dello Stato.
Non appena il partito nazista fu saldamente installato al potere, i campi di concentramento divennero utili per rinchiudere non solo gli oppositori di sinistra, ma nel 1934 servirono per imprigionare quelli dell’ala radicale del partito tra cui i seguaci di Ernst Roehm. Poi fu la volta dei pacifisti, degli obiettori di coscienza, quelli che erano contrari alla guerra. I campi servirono anche per imprigionare quelli che avevano inquinato la razza ariana, con rapporti sessuali con ebrei. Vennero mandati nei campi anche gli omosessuali considerati criminali attentatori alla purezza della razza. Fino al 1938 la maggioranza dei prigionieri dei campi era costituita dagli oppositori politici al nazismo. Ma dal 1939 in poi le cose cambiarono e la popolazione dei campi di concentramento aumentò regolarmente a un ritmo sempre più veloce.
A partire dal 1940 i prigionieri giudicati incurabili o pazzi venivano uccisi. Nel 1939 si iniziò a decimare e a deportare decine di migliaia di ebrei. Il passo definitivo si ebbe con l’istituzione dei campi di sterminio, il primo esperimento con le camere a gas si ebbe nel campo di Auschwitz, vicino a Cracovia. Lo sterminio giunse al culmine nel luglio del 1942, cessò infine nel settembre del 1944, dietro ordini provenienti da Berlino, nella speranza di ottenere così condizioni di pace più favorevoli.

COMPORTAMENTO INDIVIDUALE E DI MASSA IN SITUAZIONI ESTREME (1943)
Scopo di questo scritto è quello di analizzare l’influsso psicologico che i campi esercitarono direttamente sui detenuti e indirettamente sulla popolazione sottoposta alla dittatura nazista. La Gestapo con i campi di concentramento voleva:

1) spezzare i prigionieri come persone per farne una massa sottomessa priva di resistenza individuale e collettiva;
2) diffondere il terrore tra il resto della popolazione;
3) costruire un campo di addestramento per i membri della Gestapo;
4) fornire alla Gestapo un laboratorio sperimentale in cui studiare sistemi efficaci per spezzare ogni resistenza nei civili;
5) produrre nei prigionieri delle modifiche atte a renderli sudditi più facilmente utilizzabili dallo Stato nazista.

Tutto era fatto per studiare il processo di adattamento alla situazione del campo di concentramento. L’autore considera la sua osservazione nel campo come una sorta di comportamento privato per opporsi alla sua disgregazione, cioè pensava che osservava perché ciò lo aiutava a sopportare la vita nel campo.
Il trauma iniziale consisteva in uno shock nel ritrovarsi privati dei diritti civili e gettati in carcere e quello di subire per la prima volta torture intenzionali e inimmaginabili. Queste ultime quando si veniva presi in carico dalla Gestapo e nel tragitto stesso fra il carcere e il campo. Avveniva quindi quella che Bettelheim chiama "l’iniziazione". La prima tortura veniva chiamata il "benvenuto" della Gestapo nel campo.
Un fatto curioso era il comportamento dei prigionieri non politici della piccola borghesia che nei campi costituivano una minoranza, perché davano ragione alla Gestapo, al potere, trovando però ingiusto che essi stessi fossero lì, sicuramente c’era un errore, ma non misero mai in discussione la giustizia della legge e della polizia.
I membri di questo gruppo collaborarono per prima, molti suicidandosi, mentre altri si comportavano in modo asociale, imbrogliando i compagni e fungendo da spie per la Gestapo. I Membri della borghesia si mantenevano il più possibile separati dagli altri e non costituirono mai un gruppo. Erano convinti che sarebbero stati rilasciati a breve, possedevano denaro da spendere e avevano attorno una corte di "Clienti" della piccola borghesia.
L’adattamento. C’era poi il periodo di adattamento che spesso comportava la Scissione dell’Io, cioè come se quella vita non avvenisse davvero! Tutti gli sforzi emotivi dei prigionieri erano tesi a mantenere inalterata la propria personalità per poter riprendere la vita nel mondo esterno uguale a prima. Gli anziani invece sembravano preoccupati soprattutto di come sopravvivere il meglio possibile entro i confini del campo: giunti a questo punto, tutto quello che succedeva loro, anche le peggiori atrocità, acquistava per loro “realtà”. Non si verificava più la scissione tra l’Io a cui accadono le cose e l’Io che le osserva accadere. Si rendevano conto di essersi adattati alla vita del campo ed erano abbastanza consapevoli che tale processo aveva provocato dei cambiamenti in fondo alla loro personalità.

A proposito del comportamento di massa nei confronti delle famiglie dei prigionieri nei campi:
"i vicini e i conoscenti non provavano molta compassione per queste famiglie, perché la popolazione tedesca aveva sviluppato dei meccanismi di difesa nei confronti dei campi di concentramento. I tedeschi come popolo non sopportano l’idea di vivere in un mondo dove non vigessero la legge e l’ordine."
I prigionieri a causa del trattamento subito nei campi, sviluppavano una regressione nel comportamento caratteristici dell’infanzia o dell’adolescenza. Durante il tragitto verso il campo i prigionieri erano costretti a defecarsi addosso e nel campo la defecazione era regolarmente regimentata, nel corso della giornata i prigionieri che avevano bisogno di defecare dovevano ottenere un permesso dalle guardie.
E’ difficile stabilire se questi modelli di comportamento venissero intenzionalmente indotti dalla Gestapo.
Nel rivolgersi ai compagni i prigionieri erano obbligati a darsi del tu. Per contrasto dovevano rivolgersi alle guardie con la massima deferenza.
Come i bambini diventavano incapaci di stabilire delle relazioni durevoli.
Dovevano eseguire dei lavori inutili senza senso.
Alla fine il prigioniero che aveva raggiunto la fase finale e aveva cambiato la propria personalità al punto da far proprie certi valori delle SS. In questo modo i prigionieri si sentono identificati con le SS, secondo il teorema psicologico dell’identificazione del più debole con l’aggressore.
Ciò che avvenne alla personalità dei prigionieri avvenne in misura meno vistosa alla maggior parte dei cittadini di quel più vasto campo di concentramento che fu la Germania. Il modo di spezzare tale influenza sembrava essere la formazione di organizzazioni resistenziali di tipo democratico, costituite da individui maturi e autonomi, capaci di rafforzare nei compagni la capacità di opporre resistenza.

IL DESTINO DI ANNA FRANK: UNA LEZIONE IGNORATA (anno 1960, pag. 204)
- Veniva negata la verità dei resoconti di quanto accadeva nei campi
- La consapevolezza delle atrocità veniva immediatamente rimossa.
Non appena si ebbe la notizia dei campi di concentramento e della morte si levò dalle nazioni un’ondata di indignazione, subito seguita da una rimozione generale. Agiva l’oscuro sospetto che oggi lo Stato possiede gli strumenti per modificare la personalità dell’individuo ed eliminare milioni di cittadini ritenuti indesiderabili.
E’ il caso dei Frank, che pur di restare uniti e continuare la loro vita familiare andarono in contro alla distruzione, ciò riuscì fatale a un numero enorme di persone durante il nazismo.
Il successo che ebbe il film e la rappresentazione teatrale di A. Frank è dovuto alla voce che si ode fuori campo della piccola Anna (finale fittizio): “Nonostante tutto, continuo a credere che infondo al cuore, gli uomini sono buoni.” Oltre a essere un finale fittizio e anche un sentimento assolutamente improbabile che venne attribuito a una ragazza che è stata fatta morire di fame, che ha visto morire della stessa morte la sorella minore, e la cui mamma è stata assassinata.
Questo articolo è molto importante, in esso c’è anche tutto quello che ho sempre pensato io sulla possibilità di fuga degli ebrei che non avvenne in molti casi. Prendere posizione attiva contro l’inerzia:
“avrebbero almeno potuto morire combattendo come nel ghetto di Varsavia, invece di attendere passivamente di essere condotti al macello”
Sottoscrivo completamente, l’ho detto un sacco di volte, dai 20 anni in poi.
Vedi anche il film “L’Oro di Roma” dove appare con forza lo stesso concetto.


Su EICHMANN: IL SISTEMA. LE VITTIME, si veda Hanna Arent: La brutalità del male: Eichmann a Gerusalemme. Feltrinelli Milano 1964
Bettelheim sostanzialmente dice che una figura come Eichmann poteva nascere solo in un regime totalitario.
Non scrivo niente altro su questo capitolo perché è troppo complicato.

SOPRAVVIVERE
E’ un articolo molto lungo nel quale però l’autore ripete un po’ tutto quello che aveva già detto, poi se la prende particolarmente con il film della Wertmuller Pasqualino settebellezze e con un certo Des Pres per come trattano il tema della sopravvivenza, qui viene esposta dall’autore la sua teoria sui vari suicidi avvenuti anche dopo la liberazione dai campi di concentramento, alla depressione e alla incapacità per molti di loro di essersi ripresi la loro vita.
La Wertmuller viene accusata di un sacco di cose, sicuramente vere, ma francamente non ho voglia di stare qui a scriverle, tutto sommato non me ne frega nulla, la Wertmuller non mi è mai piaciuta e fa dei film moralmente molto discutibili.
A Bettelheim da molto fastidio il concetto di Des Pres “vivere al di là della coazione della cultura e secondo le primordiali esigenze del corpo” e la Wertmuller nel film presta forma visiva ed espressione simbolica a questi principi. Eccetera.

Conclusioni: è un bel saggio ben articolato che mostra fino in fondo la situazione del totalitarismo Hitleriano e la conseguente strage di milioni di persone viste sotto l’occhio psicanalitico e psicologico dell’autore. Un modo di presentare le cose per quelle che veramente sono senza falsità. Quando più di 30 fa le ho lette per la prima volta mi avevano colpito molto, tanto che in particolar modo ricordo quello che l’autore dice su uno dei meccanismi di difesa usati per la lo più dai bambini e poi dagli adulti durante la guerra: la negazione. Questo è stato un meccanismo di difesa usato da molti ebrei che non hanno voluto fuggire dalla Germania, pensando che bastava sopportare le leggi razziali e si sarebbe potuto restare, negando a se stessi il vero pericolo. La negazione di un fatto reale è molto pericolosa per chi la pratica.
Infatti.
A questo punto mi sembra di aver assolto ai compiti che imponeva la mia domanda, c’è stata veramente una resistenza in Germania, e se c’è stata come è stata, e se non c’è stata o comunque è stata minima, perché.
Posso chiudere il mio libro di Bruno Bettelheim SOPRAVVIVERE.

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Eloise
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Rosario
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Posted - 23/03/2017 :  12:39:01  Show Profile
quote:

Oggi vi posto l'articolo che Margherita mi ha inviato tramite mail sul testo da lei letto. Quindi tramite me è a lei ora che darò voce.
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SOPRAVVIVERE

Conclusioni: è un bel saggio ben articolato che mostra fino in fondo la situazione del totalitarismo Hitleriano e la conseguente strage di milioni di persone viste sotto l’occhio psicanalitico e psicologico dell’autore.

c’è stata veramente una resistenza in Germania?
se c’è stata come è stata?
se non c’è stata o è stata minima, perché?

Posso chiudere il mio libro di Bruno Bettelheim SOPRAVVIVERE.



Grazie Margherita (Eloise). Rispondo con le parole di Goethe:

"Tutto quello che ho potuto scoprire dalla storia del povero Werther, l'ho raccolto con cura, ed ora ve lo presento e so che me ne sarete grati. Non potrete negare la vostra ammirazione ed il vostro amore al suo spirito e al suo carattere, né le vostre lacrime al suo destino.
E tu, anima cara, che provi le sue stesse angosce, cerca conforto nei suoi dolori e fa di questo libretto il tuo amico, se per colpa della sorte o per colpa tua non riesci a trovarne altri. (I dolori del giovane Werther - Goethe - incipit)

Possiamo parafrasare il titolo con:
"I dolori di un clown" (in fondo anche il clown è un "sopravvissuto"... e ha le sue opinioni sul dolore e sulla congrega dei "potenti"di turno)
RF
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Margherita
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Posted - 24/03/2017 :  19:00:56  Show Profile
Mio figlio mi ha inviato in pdf (non so dove l'abbia preso) un breve saggio, 24 pagine, secondo me importantissimo intitolato.
"una resistenza a metà, l'esperienza di opposizione antinazista dei Circoli friburghesi." di Alessandra Secci,
Da il pensiero economico moderno giugno 1998.
Farne un riassunto mi sembra molto riduttivo, comunque qui di seguito vi trascrivo la presentazione del saggio fatto dall'autrice, ma ho anche voluto aggiungere alcune punti, presi qua e là che hanno fatto vibrare in mese delle risonanze, non solo trovandole giuste, ma convincendomi sul loro peso spirituale e conoscitivo che hanno avuto su di me.
Presentazione del saggio da parte dell'autrice.
"Il presente saggio prende in analisi una delle esperienze più significative di opposizione ideologica al nazismo, quella dei cosidetti Circoli friburghesi. (Freiburger Kreise), i più 'dotti' tra i gruppi protagonisti del Widerstand, la Resistenza tedesca. Noti alla storiografia per la loro competenza in materia sia economica - per aver tracciato i fondamenti dell'economia sociale di mercato nei loro programma di ricostruzione per una Germania postnazista - sia di teologia - per aver contribuito alla politicizzazione del dissenso e dell'autodifesa dei protestanti riuniti nella Chiesa confessante -; i circoli friburghesi sono qui visti come l'autentico 'trait d'union' tra la resistenza che si rifaceva alla tradizione borghese e conservatrice e quella ispirata alla fede cristiana protestante. Partendo da una ricostruzione delle circostanze che hanno determinato la formazione dei circoli, al centro dell'analisi si pone un esteso memoriale che intendeva offrire un modello di organizzazione della società tedesca alternativo a quello nazista e che costituiva la summa di tutto quanto veniva pensato durante gli incontri segreti delle persone che ad essi appartenevano. Seguendo il Leitmotiv del memoriale, ci si confronta prima con una riflessione storica sulle cause del caos politico dell'area nazista, poi con l'enunciazione degli aspetti programmatici, rigorosamente importati a quella che viene riconosciuta come l'autentica etica protestante, infine con proposte di soluzione della questione ebraica rivelatrici di un non sopito sentimento antisemita. Intento principale di quest'analisi, che si snoda attraverso la storia e l'opera dei Circoli friburghesi come oppositori del nazismo, è quello di offrire un contributo all'individuazione dei possibili limiti teorici ideologici di un fenomeno destinato al fallimento pratico come quello del Widerstand."

Ore seguono alcuni piccoli brani che possono definirsi come alcune punte del discorso:
Per esempio sulla difficoltà della resistenza:
"Anche le vicende dei Circoli di Friburgo avvalorerebbe l'idea che in Germania la Resistenza sia "consistita prevalentemente in piccoli gruppi e singoli che, in quanto parti di una 'sottocultura' illegale, dovevano evitare ogni rischio e quindi operare in estremo isolamento".
L'azione dei Freiburger, sviluppatasi in un aro di tempo che va dal 1939 al 1945, iniziò da un dibattito sul problema dei limiti del dovere di obbedienza all'autorità statale. (molto importante)
Il Memoriale friburghese aveva una destinazione ben precisa: servire a rappresentare i protestanti tedeschi in occasione di una conferenza ecumenica che si sarebbe tenuta dopo la guerra (eccezionale)
La prima parte del Memoriale discuteva della subordinazione del cristianesimo all'autorità terrena e del modo in cui tale subordinazione debba essere limitata; la seconda parte trattava dei compiti che sorgono per la predicazione cristiana allorché, nella comunità popolare, vengano palesemente disdegnati e violati dei comandamenti divini.
Il Memoriale era introdotto da un commento a Matteo, 5, 13-16, in cui si precisava che la visione cristiana che vuole che "il mondo resti mondo" non deve paralizzare il quotidiano servizio degli uomini del regno di Dio. Da ciò si deduceva che ogni nuova situazione storica richiede un nuovo modo di interrogarsi e di prestare ascolto alla parola di Dio, e dunque una riflessione su come il cristiano debba comportarsi rispetto alla politica, allo Stato e alla comunità
Il dovere di obbedienza all'autorità è limitato dal fatto che quest'ultima si presenti effettivamente come autrice della volontà divina; il cristiano ha anche il dovere di non obbedire qualora l'autorità ordini comportamenti che vanno contro Dio. Il predicatore cristiano ha poi il compito di ammonire chiunque assuma questi comportamenti senza curarsi che essi siano stati prescritti dai detentori del potere."
Mi fermo qui con le citazioni.
Queste affermazioni del Memoriale mi fa pensare che veramente i capi dei campi di concentramento non possono pretendere giustificazione alcuna davanti al mondo, essendo essi cristiani e come tali avevano il dovere di disobbedire a quelli leggi dello Stato che erano in contraddizione con le leggi di Dio e del Nuovo Testamento.
Consiglio vivamente la lettura di questo breve ben fatto saggio.



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eloise
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Posted - 24/03/2017 :  19:26:33  Show Profile  Visit eloise's Homepage
Ecco qua il PDF di Margherita, se qualcuno vuol scaricarselo per leggerlo!
Una resistenza a metà, l'esperienza di opposizione antinazista dei Circoli friburghesi, di Alessandra Secci

Eloise
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Margherita
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Posted - 24/03/2017 :  20:22:09  Show Profile
Rosario, tutto ciò che ho appena scritto contraddice mi pare quanto affermato da te il 21.1.2017, cito:
"il cristiano non ha alcun diretto di "resistenza" alle istituzioni, se non in materia di fede per quanto ingiuste possano essere"
Come vedi nel memoriale dei circoli friburghesi è ben detto che un cristiano DEVE ribellarsi allo Stato, al Potere che opera contro le leggi di Dio. Già!!!!

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eloise
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Posted - 24/03/2017 :  22:13:48  Show Profile  Visit eloise's Homepage
C'è una cosa che mi ha colpito molto rispetto a quanto ha scritto Margherita sul saggio di Bettelheim: il concetto di negazione (o meglio, secondo alcuni, di diniego) come meccanismo di difesa psicologica. Se mi riesce cercherò di approfondire la cosa perché mi interessa molto.

Accanto a questa negazione, c'è anche un'altra negazione cui vorrei accennare: quella dell'Olocausto, cioè quella diffusione di verità alternative secondo cui "si nega che il regime hitleriano abbia pianificato di sterminare gli ebrei, si nega l’utilizzo omicida delle camere a gas e si riduce il numero degli ebrei uccisi nei lager a proporzioni più basse. Addirittura, attribuendo la morte a malattie contratte nei campi o ad eventi correlati al secondo conflitto mondiale. Da questo, secondo i negazionisti deriverebbe che la Shoah non sarebbe altro che una truffa ordita dal popolo ebraico per legittimare l’esistenza dello Stato di Istraele e colpevolizzare le nazioni occidentali, Germania in primis, a scopo economico" (teorie negazioniste), tratto da Giornalettismo.com.
Addirittura, uno dei maggiori esponenti di queste teorie negazioniste, David Irving, ha diffamato la storica americana Deborah Lipstadt che nel suo libro "History on Trial: My Day in Court with a Holocaust Denier" ha raccontato quanto infondate fossero le sue fonti: ne è nato un processo nel 1996 in cui la professoressa Lipstadt si è trovata a dover dimostrare che l'Olocausto è avvenuto realmente, che ad Auschwitz i prigionieri venivano uccisi in camere a gas e che Hitler era responsabile dello sterminio. Ne hanno fatto un film l'anno scorso (novembre 2016), "Denial - La verità negata".
quote:
Legal drama per eccellenza, il film del britannico Mick Jackson naviga felicemente su due binari: da una parte aderisce egregiamente alla materia d'ispirazione, dall'altra utilizza tale materia per innalzarla a un livello simbolico. Il merito va al talentuoso sceneggiatore David Hare, capace di restituire alla parola tutti i sensi che il semplice significato spesso trascura, pur attingendo termini e frasi direttamente dagli atti processuali. La Parola è infatti la grande protagonista di questa solida pellicola, ingigantita da interpreti di incontestabile perfezione tra cui spicca la performance sensibile eppure potente di Tom Wilkinson. Il suo avvocato Richard Rampton costituisce l'emblema fra il professionista che cerca le prove persino ad Auschwitz (misurando distanze fra oggetti che dovevano esserci e non ci sono più) e l'uomo che tenta di trattenere una causa ad alto tasso emotivo dentro ai ranghi razionali di una corte. Se il sistema giudiziario britannico fa il suo (pare che, dopo questo processo, sia persino cambiato) nella impostazione del dispositivo dialettico, il vero nucleo semantico del testo risiede in ciò che non è detto e non è esibito. Tutto è confutabile fino a prova contraria e non cè sterminio che tenga: basta mettere in discussione 4 fori nel tetto di una camera a gas per negare l'Olocausto. Allora - come saggiamente accetta di fare Deborah Lipstadt - vale la pena delegare altrove la propria coscienza, per il bene di una causa che non può riguardare il proprio ego.
Se lo stile registico del film non presenta scossoni da nessun punto di vista tanto da poterlo definire classico, è la profondità della sceneggiatura a fornire il valore più pregiato. Perché difendere la libertà di parola non significa difendere le menzogne (Anna Maria Pasetti, MyMovies.it)


Un commentatore alla recensione di Pasetti scrive giustamente che: "il problema che pone, quello del negazionismo, riguarda tutti noi e sempre più riguarderà le generazioni future, man mano che verranno a mancare i testimoni".

Evidentemente la resistenza e la necessità di resistere non è finita con la seconda guerra mondiale, ma è necessario continuare a resistere anche oggi, sempre. Resistere resistere anche per non dimenticare, anche per non negare.

Ps. Sui circoli di Kreisau devo anch'io postare un riassunto della parte ad essi dedicata da Badia.

Eloise
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Rosario
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Posted - 25/03/2017 :  11:46:35  Show Profile
quote:

Rosario, tutto ciò che ho appena scritto contraddice mi pare quanto affermato da te il 21.1.2017, cito:
"il cristiano non ha alcun diretto di "resistenza" alle istituzioni, se non in materia di fede per quanto ingiuste possano essere"
Come vedi nel memoriale dei circoli friburghesi è ben detto che un cristiano DEVE ribellarsi allo Stato, al Potere che opera contro le leggi di Dio. Già!!!!





Certo Margherita, infatti quello che ho inserito è una breve frase esplicativa copiata da Treccani, (la tecnica del copia-incolla è straordinariamente efficace per le ricerche in rete), ed è riferita alla dottrina dei "due regni" di Lutero.
Ho riportato quella frase per stimolare e argomentare l'analisi sulle possibili cause e concause, non della resistenza ma del nazismo.

Sono dell'idea che l'aver vietato al popolo tedesco (cristiano) di andare contro le leggi dello Stato, (anche se ingiuste), oltre a ingraziarsi i prìncipi di allora può aver generato nel tempo una "triste e infelice" rassegnazione del popolo cristiano (del Regno di Dio) alle leggi ingiuste dello Stato; (non una relazione paritaria, tipo "libera Chiesa e libero Stato" ma una "Chiesa sottomessa e subordinata alle ragioni dello Stato"). Una Chiesa costretta a rincorrere le leggi dello Stato per adattarne una teologia compatibile.

In altri termini, l'uomo doveva obbedire alle leggi dello Stato (anche se ingiuste) perché quelle leggi non riguardavano questioni di "fede" proprie della Chiesa ovvero del "Regno di Dio"; ma trattavano questioni politiche e di governo di stretta pertinenza dello Stato. Un'interpretazione (alquanto opportunista, personale ed opinabile) di quell'indicazione evangelica: "date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio" che, nella lettura cattolica, assume una funzione di separazione e distacco ma non di sottomissione e/o subordinazione tra i poteri della Chiesa e dello Stato.

Le deliberazioni dei circoli di Friburgo hanno elaborato una teologia in grado di superare l'immobilismo del popolo dettato dal divieto di ingerenza luterano per promuovere una "resistenza" giusta e moralmente doverosa e combattere apertamente il potere del dittatore nazista; un dittatore che, approfittando del divieto espresso nella "dottrina dei due regni" qualche secolo prima, ha potuto fare di tutto e di più per la gloria della razza ariana senza il rischio di essere "apertamente" contrastato dal "suo" popolo.

I circoli di Friburgo non contraddicono la frase che ho inserito sulla dottrina dei due regni ma la confermano e ne colgono il senso; poiché in essi viene riconosciuto apertamente dalle chiesa luterana, il "vulnus sociale" di tale anacronistica dottrina.

È per questo che l'intervento e l'inserimento delle tesi dei circoli di Friburgo nella discussione, è fondamentale per argomentare, valutare e capire "storicamente" la "debolezza sociale" della resistenza tedesca; una resistenza che invece, a livello individuale, è stata "eroica" quanto e più di altre resistenze che sono risultate politicamente più efficaci.

RF
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Margherita
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Posted - 26/03/2017 :  15:34:12  Show Profile
Rosario, non sono purtroppo una esperta del Nuovo Testamento e della religione Cristiana, ma la famosa frase: "date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio" mi pare che l'abbia detta Gesù Cristo in una discussione di come ci si poteva regolare con i Romani, in un'epoca in cui i Romani erano i padroni assoluti in Israele e Cesare era visto come un Dio assoluto. Gesù Cristo (ebreo) doveva sottostare alle leggi romane, e proprio in una discussione con un centurione (credo) ha RITENUTO giusto dividere così le cose, il Regno di Dio è separato da quello di Cesare (il potere assoluto).
Questa di Gesù Cristo mi sembra una frase diplomatica, e necessaria per continuare a predicare la sua "legge".
Ciò, secondo me, non vuol dire che ancora dopo 2000 anni questa frase sia valida, anzi direi che non è mai stata valida, perché le leggi, i regni, come li chiami tu, si incontrano per forza nella testa di ognuno di noi, e la testa, il cuore, l'anima, il comportamento, l'etica, in ognuno di noi non può assolutamente avere due pesi e due misure, io non voglio fare come i gesuiti. Io voglio che le mie idee, e quelle degli altri, su questo argomento fondamentale, non siano in contraddizione uno con l'altro.
Ecco perché trovo IMMENSAMENTE importante il Memoriale dei friburghesi, perché è innovativo rispetto a prima, a quando è nato il nazionalsocialismo. I signori del Memoriale, tutti intellettuali, teologi, storici ecc. visto cosa aveva portato la teoria dei due regni, fanno una revisione (finalmente!) dei due Regni, e scrivono (finalmente) che al regno di Cesare (il potere, lo stato eccetera) non si può sacrificare il regno di Dio.
NON FARE AGLI ALTRI CI0' CHE NON VORRESTI FOSSE FATTO A TE.
AMA IL PROSSIMO TUO COME TE STESSO
Sono due imperativi che si trovano nelle due religioni, quella cattolica e quella ebraica.
Qui non ci piove.
Non so cosa dicono in merito i protestanti, sono tanti gruppi e conoscerli anche approfonditamente, per me è troppo.
Premetto, che io sono atea, ma che sono una buona conoscitrice della religione ebraica, e un pochino anche di quella cattolica.
Sono stata la prima che ha tirato fuori l'idea, 30 anni fa che Gesù detto il Nazareno, non fosse chiamato così perché nato a Nazaret, ma perché avesse preso il voto di Nazireato su di se, vedi a proposito Antico Testamento Numeri 6, I-16. Nonché "Gli Esseni e la Cabbala" di Elia Benamozegh (La storia, la dottrina e i costumi di una setta ebraica dalle tradizioni antichissime) Elia Benamozegh, grande studioso e rabbino di LIVORNO è stato citato dal Papa Woityla, nel suo incontro con l'allora Rabbino Capo di Roma (non mi viene il nome)in questo modo circa: "noi che abbiamo in comune Elia Benamozegh, ecc.
Ciao, se posso in seguito esporre non così a braccio e seguendo i ricordi, e se ti interessa......

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Margherita
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Posted - 26/03/2017 :  16:15:56  Show Profile
Eccomi ancora rosario per precisare. Il rabbino capo era Elio Toaf, l'incontro con Paolo VI avvenne presso la Sinagoga ebraica di Roma, domenica 13 aprile 1986, qui in questo incontro Paolo VI nomino come comun denominatore Elia Benamozegh. Io sono una che cerca sempre di UNIRE ciò che è stato diviso, al contrario del "divido ed impero" di Machiavelli.
Tornando al Memoriale dei Fridenburghesi credo, spero che oggi la Markel che è a capo dei cattolici popolari, abbia così successo e venga rieletta perché anche lei fa parte di quella cultura postuma dei Circoli friburghesi.
Posso chiederti che lavoro fai o è una domanda troppo personale?
Ciao.

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