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 Amélie Nothomb, Stupori e tremori
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Rosario
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Posted - 03/05/2013 :  13:50:23  Show Profile
Qualche post fa ho parlato dell'assenza di riferimenti alla libertà; ebbene mi devo correggere. Grazie alla leggerezza calviniana ho riletto a pag 117 questo bellissimo periodo:

"La finestra era la frontiera tra la luce orribile e la mirabile oscurità, tra i gabinetti e l'infinito, tra l'igienico e l'impossibile da lavare, tra lo sciacquone e il cielo. Finchè esisteranno finestre, l'essere umano più umile della terra avrà la sua parte di libertà.
Un'ultima volta mi gettai nel vuoto. Guardai il mio corpo cadere."

Je regardai mon corps tomber.

Grazie all'intervento di Sara dg che ha mediato tra me e Tiziano sul concetto di leggerezza, ho scoperto che la leggerezza è associabile all'idea di libertà: così l'assenza di peso di una caduta nel vuoto rende l'immagine del volo e della leggerezza. Il volo, la caduta o il "naufragar m'è dolce" leopardiano sono metafore della libertà.

Quindi, a differenza di quanto ho scritto nel post precedente, in questo libro si parla anche di libertà ma, per meglio definire le specificità delle due culture in gioco, a parlarne non è "la giapponese" ma l'occidentale che lavora in Giappone.

E qui si aprirebbe un'altro argomento di riflessione: il concetto di lavoro.


RF
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eloise
Senior Member

603 Posts

Posted - 07/05/2013 :  18:35:46  Show Profile  Visit eloise's Homepage
Scusate se sono un po' assente causa impegni lavorativi e varie malattie dei bimbi, ma comunque vi ho letto tutti e ho molto apprezzato anche l'intervento di SaraDG, mediatrice tra Rosario e Tiziano. Ringrazio soprattutto Tiziano per avermi aperto un varco d'interpretazione molto bello di quei momenti in cui la protagonista si ferma a guardare giù dalla vetrata.
Riguardo al tema nipponico, che mi affascina sempre, proprio successivamente alla Nothomb ho letto "L'élégance du hérisson" di Muriel Barbéry, che mi è piaciuto molto, e dove casualmente (oppure no?) ho ritrovato il tema del rapporto tra mondo occidentale e mondo orientale, nello specifico giapponese. Ma qui l'ago pende inequivocabilmente verso il secondo, per certi versi anche in modo infantile, quasi manicheo oserei dire, e ciò nonostante il testo si ponga a un livello di profondità filosofica in modo, quantomeno, più manifesto. Che sia un caso oppure che questo confronto stia diventando per noi occidentali un nodo dal quale, dopo l'ambito economico e produttivo, lavorativo ecc., non ci si possa più sottrarre?

Eloise
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Rosario
Senior Member

Italy
418 Posts

Posted - 08/05/2013 :  16:45:04  Show Profile
Prendo spunto dal punto di domanda di Eloise per approfondire l'argomento "confronto" culturale tra l'occidentale Europa e l'orientale Giappone.

Per me non ci si può limitare a un confronto, ma è necessario un “incontro” vero e proprio tra le due distinte culture che, per convivere, è necessario che procedano insieme, arricchendosi e facendo proprie le reciproche particolarità, verso l’unicum culturale condiviso. Dalla individualità alla comunità; dall’io e te al noi.

Per parlare di cultura, necessariamente dobbiamo condividere la definizione. Ho cercato e trovato alcuni appunti che avevo fissato dalla lettura di un libro sull'argomento, (volutamente anonimo, ma vi assicuro che l’autore è “abbastanza” autorevole e darò gli estremi solo a richiesta). Ecco qualcosa sulla definizione di cultura:

Definizione di cultura.

"Potremmo dire: cultura è la forma di espressione comunitaria, sviluppatasi storicamente, delle conoscenze e dei giudizi che caratterizzano la vita di una comunità."

Poi l'autore specifica:

"a. Cultura è un tentativo di comprendere il mondo e l’esistenza dell’uomo in esso, ma un tentativo non puramente teoretico, bensì guidato dagli interessi fondamentali della nostra esistenza. Ciascuno lo può fare soltanto con gli altri. Il nocciolo delle grandi culture sta nell’interpretazione del mondo ordinata al rapporto col divino.
b. Cultura in senso classico include il superamento del visibile, dell’apparenza, per volgersi ai fondamenti, ed è, nel suo nocciolo, apertura al divino. La cultura è sempre legata a un soggetto comunitario, che accoglie in sè le esperienze del singolo e, a sua volta, dà loro l'impronta. La crisi di un soggetto culturale insorge quando non gli riesce più di collegare in modo convincente il patrimonio (saggezza degli antichi e tradizioni primordiali) previo e sovranazionale con nuove conoscenze critiche. Allora risulta dubbio il carattere di verità del patrimonio previo, che, da verità, si cambia in mera consuetudine, perdendo la sua forza vitale.
c. La cultura ha a che fare con la storia. Lungo il suo cammino la cultura si sviluppa attraverso l'incontro con nuove realtà e l'assimilazione di nuove conoscenze. Storicità delle culture significa la loro attitudine a procedere oltre, da cui dipende la loro attitudine ad aprirsi e ad accogliere la trasformazione mediante l'incontro."

Non riporto altro per non appesantire l'intervento che già così mi sembra abbastanza corposo, al limite del "fuori tema" rispetto alla natura di questo forum (letteratura), ma lancia parecchi spunti di riflessione sul rapporto tra cultura e letteratura e anche sulla semplice "risonanza" di lettura di "Stupore e tremori", libro leggero (o di serie B, come dice Tiziano), scritto da una occidentale (europea) sull'esperienza lavorativa in Giappone di una donna occidentale.

Ma non vi sembra che Amélie possa essere considerata una Zazie cresciuta, che invece che in metrò va in Giappon? La finestra di Amélie, non vi sembra che potrebbe essere...?

RF
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Sara della Giovampaola
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Posted - 09/05/2013 :  23:50:06  Show Profile
Salve, alla fine, come altri romanzi della N., verso cui all'inizio credo di provare una quasi indifferenza, poi mi toccano con forza e delicatezza. Il tema della leggerezza/pesantezza esattamente sinteticamente reso nella sua contemporaneità dall immagine Dell ascensore che cade nel paesaggio mi pare ad un certo punto aprire il passo al tema della dissolvenza. Quello del suicidio come ideale di bellezza e unica forma di Libera esoressione di se. Almeno per le donne. Trovo le pagine centrali del libro sul tema delle donne nipponiche e del suicidio un cuore prezioso e pulsante della narrazione: la soluzione dialettica tra l inibizione delle emozioni (alienazione?) e la possibilità di sperimentare ed esprimerle. I temi delle pagine centrali del libro (la cultura femminile, l educazione dei figli All infelicita necessaria, il suicidio, le differenze di genere e il loro posto nell organizzazione del lavoro) sono temi della cultura giapponese coi quali come dice Eloise non possiamo più fare a meno di confrontarti. Si, ce lo impone la modernità e più che mai il mercato... Ma ce lo impone - l ho pensato leggendo il cuore del libro - il fatto che la cultura giapponese così lontana e altra rispetto a quella europea ci mostra invece come sotto una lente d'ingrandimento quelli che sono archetipi comuni anche alla nostra cultura.

Sara dg
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Rosario
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Posted - 12/05/2013 :  17:16:37  Show Profile
Scrive Sara dg: "Salve, alla fine, come altri romanzi della N., verso cui all'inizio credo di provare una quasi indifferenza, poi mi toccano con forza e delicatezza. ..."

Anche per me come per Sara dg è stato così fino a pagina sessanta; poi le cinque pagine di critica senza sconti verso la cultura giapponese e la fenomenale progressione di carriera della protagonista, mi hanno fatto rivalutare tutte le prime noiose sessanta pagine. L'incipit per esempio:

"Monsieur Haneda était le supérieur de monsieur Omochi, qui était le superieur de monsieur Saito, qui était le supérieur de mademoiselle Mori, qui était ma supérieure. Et moi, je n’étais la supérieure de personne.
On pourrait dire les choses autrement. J’étais aux ordres de mademoiselle Mori, qui étais aoux ordres de monsieur Saito, et ainsi de suite, avec cette précision que les ordres pouvaient, en aval, sauter les échelons hiérarchiques.
Donc, dans la compagnie Yumimoto, j’étais aux ordres de tout le monde."

è importante e dà senso a tutta la lettura.

Amèlie, descrive con freddezza la gerarchia di comando della Yumimoto ed evidenzia come lei, Amèlie, fosse “aux ordres de tout le monde”.

Specifica che qualsiasi superiore può darle ordini scavalcando la scala gerarchica, mentre lei, dal basso, deve assolutamente rispettare la gerarchia; ovvero deve parlare con tutti i superiori, dal più vicino al più distante, rispettando la scala gerarchica. Le sue dimissioni, infatti, seguono pedissequamente questa procedura annunciata.

Con questo incipit l’autrice ci mette già al corrente della diversità tra i due mondi:
in occidente il rispetto dell’ordine gerarchico è in entrambi i sensi ovvero sia dall’alto verso il basso che dal basso verso l’alto; anche se, molto spesso, in occidente chi sta in basso, attraverso la terziarietà politica, riesce a scavalcare tutta la gerarchia, per arrivare direttamente al capo “supremo”. Questo ci deve far riflettere: nei fatti, la “politica” in occidente sconfessa tutta la dirigenza, salta la gerarchia dell’azienda, tagliando di netto la,(per altri versi), necessaria mediazione. Ma qui andiamo a toccare un campo che ci porterebbe fuori dal tema della discussione ovvero “la letteratura”.

Quel che conta, dal punto di vista letterario, è che l’autrice già nelle prime righe del romanzo ci annuncia il tema di fondo di tutto il romanzo: il “confronto” culturale tra due mondi diversi e distanti (…e chiusi l’uno all’altro).



RF
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Rosella
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Posted - 14/05/2013 :  16:16:18  Show Profile
Ciao a tutti.

Chiedo scusa per la mia poca presenza: l'influenza mi ha graziata quest'inverno, e ha colpito adesso. Vedo le lettere ballare un po' per conto loro...

Vi leggo comunque sempre. Negli ultimi interventi si parlava fra l'altro della capacità di catturare il lettore.

Non conosco altri libri di Nothomb; mi permetto quindi di fare un paragone con un altro libro molto recente "I vizi segreti di Maxwell Sim", di J. Coe. In questo caso, se l'autore avesse evitato di scrivere almeno la metà delle 350 pagine che costituiscono il volume, il risultato sarebbe stato un buon libro. Sembrava proprio che avesse dovuto compilare righe su righe per mere esigenze editoriali, sprecando così un argomento tutt'altro che stupido.

In "Stupore e Tremori" ad un certo punto l'autrice dice chiaramente che "c'era una vita esterna all'azienda, ma parlarne non rientrava nel contesto della storia" (non posso citare esattamente perchè il libro era della biblioteca, e non l'ho più).

Personalmente, ho apprezzato questo volersi mantenere fedele alla vicenda da trattare, senza digressioni inutili. Era quanto il libro si proponeva.


Rosella - Gwendydd

"di uno storico parziale, prevenuto e ignorante"
Jane Austen - La storia d'Inghilterra
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Rosario
Senior Member

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Posted - 20/05/2013 :  12:03:59  Show Profile
Rosella, sono d'accordo; quello che hai scritto sull'evitare le "disgressioni inutili" è appunto la "sottrazione di peso" di cui parla Calvino nella sua lezione sulla leggerezza (Lezioni Americane), che per lui è una qualità del "racconto" letterario.

RF
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Tiziano
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Posted - 21/05/2013 :  19:08:09  Show Profile
Stavo pensando ad una coincidenza: analizzando il romanzo di Pirandello ci siamo soffermati sulla tematica del corpo, lo stesso abbiamo fatto con questo altro romanzo; la differenza è che in quello c'è un corpo disgregato, che non regge più il simulacro dell'identità, in questo c'è uno sdoppiamento, un corpo fantasmatico che se ne va per conto suo, fuori dall'ossessivo spazio burocratico dell'azienda. Potremmo dire: libertà del corpo e libertà dal corpo. In ambedue i casi comunque abbiamo personaggi schizoidi.

Tiziano
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Rosario
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418 Posts

Posted - 24/05/2013 :  20:12:54  Show Profile
Grazie Tiziano per aver introdotto il tema dell'identità.
Ah l'identità. Cos'è l'identità? E' questo nostro corpo sconosciuto a noi stessi e che gli altri vedono in centomila modi diversi? O è quel corpo senza peso che cade nel vuoto al di là della finestra? Potrebbe essere il corpo pesante dei "sans papier" che affollano l'Europa? O il corpo impettito o curvato dei nostri figli costretti ad emigrare in paesi lontani per trovarsi e trovare una ragione di vita? Potrebbe essere il corpo pesantissimo di quei cittadini che dopo il crollo finanziario si sono suicidati? O il corpo di un bambino che ride incurante dei mali sociali? C'è solo da scegliere e il gioco è fatto.

Identità di una profuga

"Perché in quel periodo, tra me e lui, tra noi e il mondo c'era una porta chiusa. La porta era il presente, la realtà quotidiana in cui vivevamo. Da un lato della porta c'era il passato. Dall'altro lato il futuro. E non sapevamo mai da quale lato vivessimo. In direzione del passato, dei ricordi e dell'identità di un tempo ormai trascorso, o in direzione del futuro, verso quella strana impersonalità che sembrava attenderci quale nostro destino nel mondo massificato? Non avevamo nostalgia della patria. Non mi fraintenda padre. I nazisti e i comunisti ci hanno guariti da ogni genere di nostalgia patria. Quando pensavo al mio paese non desideravo più tornare...ma talvolta mi dicevo che prima o poi avrei dovuto recarmi nella città dov'ero nata, per mettere in ordine e ripulire le tombe dei parenti al cimitero. La vita continuava a scorrere anche senza di noi, nel nostro paese, ed era naturale." (Sandor Marai - Il sangue di San Gennaro)

E' una parte di una confessione "senza richiesta di assoluzione" della donna profuga, compagna di un profugo della seconda guerra mondiale. Il pezzo mi ha colpito per la lucidità con cui l’autore per bocca di questa donna riesce a descrivere la condizione di sgomenta indeterminatezza della sua identità e della sua collocazione nel mondo.

In quel tempo Heisenberg postulò il principio di indeterminazione; quasi a dimostrare che, a ben guardare, le teorie e i principi della fisica spesso riflettono e rappresentano il contesto storico e culturale in cui vengono formulati. La teoria della relatività di Einstein e il principio di indeterminazione di Heisenberg ne sono un esempio.

Le difficoltà per i profughi e i migranti manager come Amelie, sono dovute all'estrema volatilità dei riferimenti (culturali) fondamentali ed al relativismo imperante nei paesi occidentali dell'opulenza fittizia dove sono cresciuti; paesi e nazioni che hanno perduto a loro volta i riferimenti fondanti di una identità riconoscibile all’uomo. (penso alle difficoltà di formulare un preambolo fondativo della costituzione della UE)

Desiderio mimetico

Ora tento di applicare il metodo girardiano del “desiderio mimetico” al rapporto Amelie-Fubuki.

Secondo Renè Girard le opere romanzesche si possono raggruppare in due categorie fondamentali:

1. mediazione esterna -laddove la distanza fra due sfere di possibili, che si accentrano rispettivamente sul mediatore (Fubuki) e sul soggetto (Amelie), sia tale da non permettere il contatto.
2. mediazione interna - laddove questa stessa distanza sia ridotta fino al punto da permettere che le due sfere si compenetrino più o meno profondamente.

Anche se la distanza geografica può rappresentare un fattore, la distanza tra mediatore (Fubuki) e soggetto (Amelie) è innanzi tutto spirituale.

Il rapporto tra Fubuki e Amelie si sviluppa sull'invidia (gentilmente detta desiderio mimetico). Da pagina sessanta in poi Fubuki da mediatrice idolatrata, diventa rivale di Amelie; è quindi Fubuki, mediatrice-rivale, il punto di partenza e di arrivo dell'analisi secondo il metodo girardiano.

Nel rapporto tra Amelie e Fubuki è quest’ultima che costituisce l'ostacolo passivo rappresentato dal possesso delle qualità (all'inizio) desiderate da Amelie (giappone(sità), femminilità, bellezza, ecc.); l’ostacolo non apparirebbe come personalità ambita né provocherebbe lo smarrimento di Amelie se la rivale Fubuki non fosse segretamente venerata.

La semi-dea Fubuki sembra ricambiare l'omaggio con una maledizione. Sembra rendere male per bene. Amelie vorrebbe credersi vittima di un'atroce ingiustizia, ma si chiede, con malcelata angoscia (la caduta libera dalla finestra), se la condanna su di lei non sia giustificata. Amelie è quanto mai incapace di distogliersi dall'irrangiugibile desiderio rappresentato dalla ex-dea e ora rivale Fubuki.

Amelie e Fubuki sono fisicamente vicine ma la distanza sociale, intellettuale e culturale che le separa resta insuperabile; il lettore non scoprirà mai che Amelie desidera ciò che desidera Fubuki.
I due mondi possibili sono distanti e non si compenetrano, nemmeno alla fine del romanzo: le congratulazioni di Fubuki sono scritte in giapponese.

Per ora mi fermo qui spero d'aver dato spunti per approfondire e appigli per inserire risonanze e riflessioni.

RF
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Sara della Giovampaola
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Italy
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Posted - 25/05/2013 :  20:37:52  Show Profile
... E quando Amelie tenta di entrare nella sfera diFubuki (seguirla un bagno dopo che F. era stata violata) scopre che questo e' impossibile. L aver visto le lacrime di F. Anziché volgere vero la solidarietà sviluppa un sistema di rappresaglie in cui il gesto di pietà viene punito con la perdita di dignità. Continuo a pensare che questa incomunicabilità tra le sfere dei personaggi, prevalentemente di due personaggi femminili sia tutt'altro che prerogativa giapponese. E' la storia achetipica di bincaneve e della matrigna. Le prerogative dell una non possono essere avvicinate dall altra, oena l esclusione. nel nostro occidente, la nostra generazione attuale propone un modello agito analogo: non c'e solidarieta tra persone che non appartengano alla stessa 'famiglia', ceto, casta. chi ha dimestichezza con gli adolescenti sa quanto difficile sia compenetrare, far interagire gli individui. La fragilità Dell uno viene spesso derisa dal gruppo.

Sara dg
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Rosario
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Italy
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Posted - 27/05/2013 :  12:54:55  Show Profile
Nei nostri interventi, tra i diversi spunti interessanti, abbiamo anche accennato alla questione del confronto culturale tra Giappone e Europa. Sara dg, nel suo ultimo intervento, ha evidenziato che l’incomunicabilità tra i personaggi femminili non è solo una prerogativa giapponese ma è “la storia archetipa di biancaneve e della matrigna”; ovvero passiamo dal piano culturale al piano antropologico; in definitiva Sara dg fa notare che si tratta di una incomunicabilità causata, oltre che dalle diversità storico-culturali, anche dai desideri e rivalità tra i due personaggi femminili.

Questo è confermato anche dall’analisi girardiana che si fonda, non sulla differenza dei mondi culturali dei due personaggi ma sul desiderio e la rivalità mimetica di due “donne”. Gli archetipi di Biancaneve e della Matrigna, corrispondono secondo gli schemi di Renè Girard, al soggetto Amelie-Biancaneve e alla mediatrice(rivale)Fubuki-Matrigna; gli universi possibili dei due personaggi non si incontrano mai. Ciascuno rimane nel suo mondo. Ne risulta che le diversità culturali tra Giappone e Europa, alla fine non sono così determinanti in quanto riconducono al desiderio e alla rivalità mimetica tra le due protagoniste-antagoniste.

E’ il meccanismo antropologico dell’esistenza, comune a tutte le culture e diffuso in tutte le latitudini. L’umanità si regge e costruisce la sua storia sul desiderio e la rivalità mimetica, che si alimentano e trovano giustificazione nel sacro e che riconduce all’origine divina( trascendenza) dell’umanità.

C’è poco da trastullarsi sulla diversità culturale tra Giappone e Europa: la femmina è femmina al di là del bene e del male.

Delle femmine, vecchie e giovani

…e così parlai:
Tutto nella donna è un enigma, e tutto nella donna ha una soluzione: questa si chiama gravidanza.
L’uomo è per la donna un mezzo: lo scopo è sempre il figlio. Ma cos’è la donna per l’uomo?
Due cose vuole l’uomo autentico: pericolo e giuoco. Perciò egli vuole la donna, come il giocattolo più pericoloso.
L’uomo deve essere educato per la guerra e la donna per il ristoro del guerriero: tutto il resto è sciocchezza.
Al guerriero non piacciono frutti troppo dolci. Perciò gli piace la donna; anche la donna più dolce è amara.
La donna intende i bambini meglio di un uomo, ma l’uomo è più bambino della donna.
Nell’uomo autentico si nasconde un bambino: che vuol giocare. Orsù, donne, scopritemi il bambino nell’uomo!
Un giuoco sia la donna, puro e gentile, simile alla pietra preziosa, illuminato dalle virtù di un mondo che ancora non è.
Il raggio di una stella splenda nel vostro amore! La vostra speranza sia: “possa io partorire il superuomo!”.

Così parlò (il Samurai) Zarathustra

Friedrich Nietzsche

Amelie Nothomb ha una storia e per capire più in profondità Stupore e Tremori è bene ricordare che: "Laureatasi, decise di ritornare a Tokyo per approfondire la conoscenza della lingua giapponese studiando la «langue tokyoïte des affaires»: assunta come traduttrice in una enorme azienda giapponese, visse un'esperienza durissima (da traduttrice fu declassata a pulire i servizi igenici), che raccontò in seguito nel libro Stupore e tremori, che riceverà il Grand Prix du Roman dell'Académie française."

«Quitter le Japon fut pour moi un arrachement…», «lasciare il Giappone fu per me uno sradicamento», scrive nel libro autobiografico Stupore e tremori.

sono frasi prese da Wikipedia ecco il link:
http://it.wikipedia.org/wiki/Am%C3%A9lie_Nothomb
RF
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Rosario
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418 Posts

Posted - 01/06/2013 :  19:49:45  Show Profile
Per chi avesse voglia di approfondire la conoscenza di Renè Girard e della sua ermeneutica realista http://facereetdocere.blogspot.it/2013/06/la-verita-nel-testo-lermeneutica.html

per quanto riguarda la nostra conversazione sulle avventure di Amelie, questa notte mi sono intrattenuto un pochino con la bellissima Fubuki e mi è venuta voglia di cambiare soggetto e mediatore ovvero: ho considerato Fubuki come soggetto e Amelie come mediatrice-rivale; l'oggetto del desiderio mimetico non è più la giapponesità ma diventa il ruolo di dirigente e l'occidentalità che vede Amelie come mediatrice. Allora è Fubuki che soffre in silenzio e le sue lacrime diventano emblematiche; come emblematica è la sua reazione al tentativo di avvicinamento di Amelie: la rivalità tra il soggetto che desidera essere occidentale in carriera e la sua mediatrice, esplode quando quest'ultima si avvicina troppo. Fubuki ha paura che Amelie le rubi e si appropri del suo desiderio; i loro due mondi non devono interagire; devono restare estranei l'uno all'altro.

Anche invertendo il ruolo tra mediatrice e soggetto resta affermata l'estraneità e la rivalità tra le due eroine del romanzo. Fubuki può essere considerata l'alter ego (il doppio) di Amelie ovvero la sua proiezione giapponese che le è stato impedito di vivere nella realtà. Amelie (autrice), in questa proiezione, è Fubuki; nel romanzo l'autrice fa sì che il soggetto Fubuki desideri essere come la mediatrice Amelie per riappropriarsi di sè stessa e guarire dal suo doppio. Vien da pensare che scrivere "Stupore e tremori" e gli altri romanzi è stata una specie di terapia vincente per la Nothomb. L'autrice infatti ha sofferto molto l'allontanamento dal Giappone («Quitter le Japon fut pour moi un arrachement…», «lasciare il Giappone fu per me uno sradicamento»,)e la sua sofferenza è sfociata nell'anoressia patita (mi pare in Africa) nei suoi viaggi nelle diverse regioni del mondo al seguito del padre diplomatico.

RF
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ombra
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Posted - 11/06/2013 :  15:43:06  Show Profile  Visit ombra's Homepage
Ragazzi ho letto tutti i vostri interventi, purtroppo non sono riuscita a partecipare!!! Spero per la prossima avventura di esserci.

A presto
Un abbraccio

Marta

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Tiziano
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166 Posts

Posted - 11/06/2013 :  16:30:10  Show Profile
@Rosario: scrivi:
"E' una parte di una confessione "senza richiesta di assoluzione" della donna profuga, compagna di un profugo della seconda guerra mondiale. Il pezzo mi ha colpito per la lucidità con cui l’autore per bocca di questa donna riesce a descrivere la condizione di sgomenta indeterminatezza della sua identità e della sua collocazione nel mondo.In quel tempo Heisenberg postulò il principio di indeterminazione; quasi a dimostrare che, a ben guardare, le teorie e i principi della fisica spesso riflettono e rappresentano il contesto storico e culturale in cui vengono formulati. La teoria della relatività di Einstein e il principio di indeterminazione di Heisenberg ne sono un esempio."

La mia coscienza di filosofo della scienza si ribella, perciò approfitto di questa pausa della conversazione per dichiarare che il principio di indeterminatezza non c'ntra nulla con il contesto storico-sociale in cui fu enunciato, in quanto è un problema tutto interno agli sviluppi della fisica dopo le equazioni di Maxwell; tanto meno può in qualche in modo essere accostato alle questioni psichiche delle persone e neanche - come fece De Benedetti - può essere usato come analogia del personaggio nel romanzo novecentesco. Lasciate in pace gli elettroni a saltabeccare nelle loro orbite!



Tiziano
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Rosario
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418 Posts

Posted - 11/06/2013 :  20:22:19  Show Profile
Ola Tiziano, bentornato!

Il principio di indeterminazione configura una profonda ridefinizione del nostro modo di concepire il rapporto tra soggetto e oggetto.

Niels Bohr colse questa ridefinizione quando scrisse che l’uomo «è al contempo spettatore e attore nel grande dramma dell’esistenza».

Il romanzo e qualsiasi opera letteraria scaturisce dal “dramma dell’esistenza” e ne tratta sia in prosa sia in poesia. Il principio di indeterminazione parla anch'esso dell’esistenza dell'uomo pur trattando scientificamente di piccole, inutili, insignificanti e invisibili particelle...che giocano a dadi mentre noi ci saturiamo il cervello per dimostrare che esistono veramente.

Spero di aver chiarito che la mia citazione di questo importante principio non vuole, almeno nelle intenzioni, sconvolgere la serenità di nessuno. Era solo un "tentativo di esaurire un luogo parigino" (Perec) elencando ogni particolare che appare, interferisce e interagisce con l'uomo nel dramma dell'esistenza.

La fisica, la metafisica e la filosofia sono "parenti stretti".

La questione dell'identità dell'uomo, d'altra parte, non è così estranea ai temi della nostra discussione già dalla lettura di "Zazie dans le mètro" e, passando per "Uno, nessuno e centomila", ce la ritroviamo in questo "Stupore e tremori"; e la ritroveremo sempre, in tutte le letture che faremo sia quelle di serie A che di serie B.

La letteratura non è estranea al "dramma dell'esistenza" dell'uomo, come affermò Bohr; anzi ne è il riflesso fedele e io ne sono convinto.

"Ricordo bene gli anni che precedettero immediatamente la guerra: fu, in Germania, un periodo di estrema solitudine individuale." (Werner Heisenberg - Fisica e oltre: incontri con i protagonisti - 1984 Bollati Boringhieri editore srl, Torino).

Forse non è letteratura di serie A ma è la testimonianza diretta di Werner Heisenberg il fisico, premio Nobel, che non era "filosofo della scienza" e che ha teorizzato Principio di Indeterminazione.

La lettura di questa testimonianza fuga tutti i dubbi sulla situazione di "solitudine individuale" che, in quel tempo condizionava il comportamento e i pensieri di ciascun individuo, minandone certezze e identità.

Ora chiudo questa disgressione sui "massimi sistemi" e tornerò ad occuparmi della nostra povera Amelie-Fubuki di Stupore e tremori.



RF
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