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Freud e quei "folli" delle avanguardie
Letteratura e... psicanalisi

di Antonio Lagrasta

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Tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, in una sorta di grande ideale appuntamento, fisici, filosofi, artisti, scrittori e musicisti celebrano la fine della tranquillizzante e armonica forma platonica di rispecchiamento del pensiero-linguaggio in strutture della realtà e del suo risvolto scientista e positivista.

La crisi del Novecento

L'inizio della lunga e profonda crisi del Novecento affiora in quella grande intuizione di Hugo Von Hofmannsthal (nella Lettera di Lord Chandos) sulla perdita di efficacia della lingua perché a Lord Philipp Chandos le parole «...si sfacevano nella bocca come funghi ammuffiti». Delle parole, private di qualsiasi virtù o potenza conoscitiva resteranno i corpi disabitati dei segni, vuoti involucri, simulacri. E nelle poetiche dell'espressionismo e del surrealismo erompe violentemente il corpo attraverso il quale finalmente vien posto un rapporto di espressione con quella miscela oscura e precategoriale di sensazioni, impulsi e desideri. Le avanguardie mettono sotto pressione il corpo e tutto l'apparato percettivo del fruitore - nella musica, nella scrittura, in tutte le arti - nello sforzo di elaborare nuove disposizioni e modalità percettive.

Quando Van Gogh intuisce il valore metaforico del colore, si allontana dalla grande epica del rispecchiamento, della rappresentazione e del figurativismo e incomincia a usare il colore per sconvolgere lo spazio estetico; i materiali non sono armonizzati in vista di una tonalità complessiva: colore, materia, segno sono finalizzati all'espressione di una grande tensione emotiva e di un'energia vitale e tragica. Egli esprime in una lettera del febbraio del 1890 al fratello Teo il suo rifiuto di usare il colore come una musica di toni e di preferire il mestiere di calzolaio a quello di musicista dei colori!

L'espressionismo tedesco

Dopo Van Gogh, Munch, Ensor, i padri ispiratori, nel 1905 si riunisce a Dresda, con il nome di Die Bruke (Il ponte), il gruppo promotore dell'Espressionismo tedesco composto da Kirkner , Heckel, Schmidt-Rottluf, Bleyl, cui si aggiunsero Pechestein, Muller e Nolde. A differenza delle altre avanguardie non esiste un “manifesto” dell’espressionismo ma interventi teorici di singoli artisti pubblicati soprattutto sulle riviste «Der Sturm» e «Die Aktion». Al gruppo iniziale si aggiungeranno Kokoschka, Kandinsky, Marc, Macke... E nel 1911 nascerà il Blaue Reiter.

La "famiglia" degli espressionisti accomunati dall'intento di esteriorizzare ciò che si prova nel fondo dell'anima attraverso una deformazione dei dati della realtà, presenta una diversità di espressione caratterizzata però da un clima comune di angoscia. Questo aspetto emerge chiaramente nelle differenze individuate tra situazione artistica francese e tedesca da August Macke nel 1910, secondo il quale mentre i giovani artisti francesi affrontavano il rischio della ricerca di nuovi linguaggi a partire da una tradizione, in Germania il rischio era l'esperienza caotica e disperata di chi non riesce a dominare il linguaggio. L'esplodere della guerra fu vissuto in maniera più tragica e dolorosa in quanto l'avvenimento non rappresentava soltanto il crollo delle loro speranze messianiche ma la concretizzazione delle loro angosce. E' quello che emerge nell'appello contro la guerra di Yvan Goll Der Expressionismus stirbt ("L'Espressionismo muore"). E alcuni persero la vita in guerra, molti furono feriti o mutilati.

Freud e il surrealismo

Per ciò che riguarda il surrealismo è esemplare la polemica sotterranea sull'inconscio che divide Freud da Breton. Freud è molto diffidente della valutazione "positiva" dell'inconscio da parte dei surrealisti giudicando espressionismo e surrealismo forme artistiche "basse", troppo vicine a "casi clinici", a fantasie meno trasformate.

Prenderemo Freud come esempio illustre del disagio e dello sforzo di adeguamento percettivo alle nuove produzioni dirompenti ed "eversive" espressioni di un mondo sotterraneo che come un mugugno o sorda lotta premevano all'attacco di qualsiasi apriori artistico. Il progetto surrealista prevedeva l'abolizione della distinzione ragione/non ragione, esaltava l'esperienza riduttiva del pensiero ad attività automatica, l'uso di automatismi liberati soprattutto negli stati deliranti ai fini dell'espressione artistica (scrittura automatica). In un primo momento Breton credette di poter trovare la base teoretica per le sue principali tesi nella psicoanalisi attraverso un privilegiamento e un'interpetazione completamente positiva dell'inconscio. Ma non era nelle intenzioni di Freud l'obiettivo di esaltare un nuovo primato, quello dell'inconscio come valore irrazionale. Per Freud accettare e comprendere l'inconscio significava poterlo neutralizzare scoprendo i meccanismi nascosti i cui effetti patologici si presentavano come (apparentemente) inspiegabili (le associazioni libere, l'interpretazione dei sogni ecc. erano solo mezzi per riportare alla coscienza le cause rimosse dei disturbi).

Breton era andato in visita a Freud nel 1921 e deluso, aveva pubblicato l’intervista in un divertente e ironico resoconto su "Littérature". Comunque è nelle tre lettere di Freud a Breton, pubblicate in appendice a I vasi comunicanti, che dietro righe pervase da un'estrema cortesia, si può vedere 1'atteggiamento molto deciso di voler dissociare la teoria psicoanalitica da una strumentalizzazione di tipo surrealista. Infatti l'ultima (del 26 dicembre 1932) così si conclude:

E ora una confessione, che dovete accogliere con tolleranza! Benché riceva tante testimonianze dell'interesse che voi e i vostri amici avete per le mie ricerche, io stesso non sono in grado di chiarirmi che cos'è e che cosa vuole il surrealismo. Forse non sono per niente portato a comprenderlo, io che sono così lontano dall’arte.

Deluso, Breton in un secondo momento si indirizzerà verso la parapsicologia decantata però d'ogni presupposto metafisico.

L'impressione che i surrealisti potessero essere dei "puri folli" è parzialmente corretta in occasione dell'incontro a Londra con S. Dalì (che gli fa un ritratto) descritto in una lettera a S. Zweig (del 20 luglio 1938). Freud è colpito dal "giovane Spagnolo" e dalla sua maestria e si dichiara disposto a rivedere la sua opinione sulla nuova arte. Ma subito dopo aggiunge:

Tuttavia, da un punto di vista critico, si potrebbe sempre dire che la nozione di arte si sottrae ad ogni estensione a casi in cui il rapporto quantitativo tra materia1e inconscio ed elaborazione preconscia non si mantiene entro limiti determinati. In ogni caso si tratta di problemi psicologici seri.

Riaffiora la diffidenza per il surrealismo che agli occhi di un Freud rimasto ancorato a una visione ottocentesca dell'Arte Bella rischiava di sconvolgere tutte le ipotesi sull'origine del fenomeno artistico secondo le quali l'arte nascerebbe da una situazione di conflitto e di quasi- nevrosi, di alienazione. Ma a differenza del nevrotico e del malato di mente, l'artista sarebbe capace di trovare la via del ritorno alla realtà, di rompere il cerchio magico delle illusioni e di ristabilire il contatto col mondo dei fatti. Il processo creativo sarebbe caratterizzato da1 fenomeno della sublimazione che consiste nella deviazione di un istinto dal suo obiettivo (censurabile) in direzione di un appagamento indiretto (non censurabile); alla sublimazione si accompagna la flessibilità, la capacità tipica dell’artista di ritornare alla realtà.

Ne Il poeta e la fantasia (del 1908) Freud dopo aver distinto tra fantasie "a occhi aperti" (l'ambito del poeta) e sogni (fantasie deformate nel sonno perché sottoposte a censura; l'ambito dell'analista) sottolinea come 1a semplice comunicazione delle fantasie private desti ripugnanza e freddezza e come il merito del poeta consista nel superare queste reazioni ricorrendo a una sua tecnica particolare: "addolcendo e velando" le proprie fantasticherie egoistiche, producendo così un forte piacere estetico. I surrealisti invece non sarebbero dei nevrotici ma dei perversi incapaci di "addolcire" il carattere ripugnante, simile a casi clinici, egoistico e privato delle proprie fantasticherie. Ebbene, le immagini dei surrealisti, per questo carattere egoistico e privato non pongono i referenti evocati come "reali" (non rinviano a un mondo reale esterno) e sono piuttosto simili alla perversione di tipo paranoico caratterizzata dall'assenza di una distinzione tra percezione reale e immaginaria.

Freud probabilmente non riesce a cogliere il momento di distacco delle nuove forme artistiche dalla tradizione decorativa della rappresentazione; e nella crisi di questo distacco non percepisce che gli oggetti evocati nella finzione non sono più "reali" ma simbolici (in quanto non più univoci designatori di una sublime e luminosa significazione ma dal punto di vista semantico polivalenti). In altri termini il simbolo viene confuso con il sintomo di una perversione, tanto più che, come dice Jean Starobinski in Freud , Breton, Myers, in « Il Verri », n. 28, «scegliendo e privilegiando l'inconscio il pensiero surrealista si fissava su "l'oggetto parziale"».

E di qui tutta una serie di studi d'indirizzo psicoanalitico sulle patologie linguistiche dell'arte moderna. Si capiscono quindi le urgenze di una certa critica contemporanea di restituire all'arte e soprattutto ai due movimenti "padri" di ogni avanguardia una genesi non necessariamente patologica e una propria autonoma valenza emozionale e conoscitiva.

Così G. Grana in un lungo saggio di alcuni anni fa sul poeta e critico E. Villa pur conferendo una certa validità agli approcci semiopsicanalitici (come ogni altro modo di analisi che dia risultati), rifuta la pretesa di farli assurgere a "metodo" esclusivo o addirittura a "scienza" della letteratura. Egli tende piuttosto a considerare le avanguardie in sintonia, "in analogia" (ma, non "in omologia" o rispecchiamento) con le rivoluzioni epistemologiche del secolo ma «...ben oltre la disciplina delle meccaniche alogiche razionalizzate dalla psicanalisi». Non ci soffermeremo sugli efficaci procedimenti di contestazione di quelle interpretazioni che tendono a ridurre a "regressioni" tutti gli sperimentalismi dei linguaggi verbali e non; ma accenneremo al suo discorso conclusivo secondo cui l'arte e la letteratura del Novecento si configurerebbero come espressioni o "rappresentazione" inintenzonale della instabilità generale del mondo.

Anche F. Leonetti individua l’attualità e la specificità dell'Espressionismo nel contesto epistemologico e di teoria della scienza contemporanea che fa registrare una perdita di certezza di realtà esterna e una distanza più grande fra pensiero e mondo, nella affermata rottura di una illusione armonica. E questa rottura non presuppone la chiusura in una sorta di soggettivismo o scetticismo radicale; si tratterebbe di un soggettivismo non filosofico ma percettivo e artistico. Leonetti individua “il senso materialistico dell’espressionismo” come un pensare sia pure asimmetrico rispetto al mondo ma “infetto” di materia.

E questa “infezione della materia” si diffonderà, con l’influenza di espressionismo e surrealismo, nel teatro, nel cinema, in architettura e urbanistica, nella produzione industriale, nelle comunicazioni visive.

 

Antonio Lagrasta (Corato, 01/10/1940) è vissuto al nord e si è trasferito nel 1992 a Monterotondo. Laureato in filosofia, ha insegnato nelle scuole statali. Si occupa di narratologia e di critica letteraria e cinematografica. Per alcuni anni ha condotto corsi di scrittura creativa presso l'Università Popolare Eretina con la speranza di diffondere un maggior rispetto della lingua. Continua a collaborare con l'università affrontando temi come "Il mito e le sue riattualizzazioni", "Fare filosofia attraverso i film", "Un'idea dei Balcani".

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