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• Introduzione
• Il caso
• La questione dell'inserimento
• Il rapporto con il bambino
• Conseguenze dell'isolamento: la derisione collettiva e l'emarginazione
• L'intromissione dei genitori nelle questioni scolastiche
• L'epilogo: una lezione doverosa per tutti
• Ringraziamenti
Come mamma, ma anche come figlia di insegnanti con 40 anni di esperienza
alle spalle, di cui 13 maturati all’estero, sono rimasta molto
addolorata dell’esperienza negativa fatta da mio figlio nel suo
inserimento in prima elementare. Né gli evidenti problemi che
si hanno nell’affrontare una classe numerosa, dove almeno due o
tre elementi più problematici ci sono sempre, né gli
spazi ristretti e poco adatti all’accoglienza di bambini, né le
questioni sollevate dalla partecipazione sempre più invadente dei
genitori nel lavoro prettamente scolastico, possono giustificare un modo
d’insegnamento in cui le prime cose che mancano sono una reale
capacità di comprendere i problemi di inserimento che i bambini
possono avere nei primissimi mesi di una prima elementare, e la reale
capacità di rapportarsi a dei bambini che, seppure talvolta in
modo maldestro e negativo, stanno chiedendoci di aiutarli. In queste
condizioni, isolare e screditare una persona mettendola in condizioni
tali da essere visivamente, pubblicamente emarginata agli occhi del resto
della collettività, avrebbe per ciascuno di noi conseguenze emotive destabilizzanti.
E questo per ogni persona adulta, figuriamoci per un bambino
che non è in grado di stabilire con precisione il confine tra
il bene e il male; che, anzi, affida inconsciamente a noi adulti la gestione
della propria crescita personale per maturare questi confini.
Da questa esperienza abbiamo tratto in famiglia molti spunti importanti
per una riflessione generale sulla qualità dell’insegnamento:
invito tutti coloro che sono interessati a darci una lettura; forse potrà essere
utile per fare, quantomeno, una riflessione appropriata e un paragone
tra vari metodi d’insegnamento.
Riflessioni sulla qualità dell’insegnamento
Come dicevo, sono figlia di due insegnanti in pensione con una carriera alle spalle di 40 anni di insegnamento nella scuola primaria e secondaria, di cui 13 all’estero, in cui è loro capitato di lavorare in città estere anche molto grandi con problemi di delinquenza e situazioni familiari di cui, per fortuna, nei nostri piccoli centri periferici in genere nemmeno ci si immagina. È anche per questo motivo che mi ha molto sorpreso e addolorato vedere come si è svolto a suo tempo l’inserimento di mio figlio nella prima elementare, e che mi sento di scrivere, oggi, mettendo nero su bianco una riflessione su come problemi di ordine prettamente scolastico possano diventare, se gestiti malamente, problemi di ordine interamente sociale, che riguardano tutti noi.
Mio figlio ha quindi cominciato la sua esperienza scolastica in una
classe piuttosto numerosa dove purtroppo, oltretutto, non ha avuto modo
di ritrovare nessuno dei suoi principali amici di riferimento della scuola
materna, la maggior parte dei quali indirizzati in altri plessi o nella
sezione parallela. L’impatto scolastico è stato piuttosto
negativo: fin dai primi giorni non si è sentito a suo agio in
questa classe, mi raccontava che a ricreazione giocava da solo perché non
conosceva nessuno e che non lo considerava nessuno, essendovi fin dall’inizio
dei “gruppetti” già formati. Aspettava con ansia il
momento della ricreazione durante la quale poteva ritrovare due o tre
amichetti che si trovavano nella sezione parallela, e questo fino a che
nel plesso non è stato deciso di separare completamente i momenti
di incontro tra le due prime, perché ingestibili. Ne approfitto
per inciso per dire che se la mancanza di spazi adatti alla ricreazione è sicuramente
un problema grosso per la gestione delle classi, mi è comunque
molto dispiaciuto sapere che questi bimbi, anche nelle giornate più belle, non
venivano mai fatti uscire nel cortile. Anzi, da questo punto di
vista la scelta delle insegnanti è stata quella di far passare
molto spesso la ricreazione ai bambini all’interno della
propria aula. Vi lascio immaginare cosa può voler dire per dei
bambini che hanno appena iniziato la scuola elementare mettersi per più di
quattro ore dietro un banco senza muoversi, e rimanere rinchiusi nella
stessa aula anche durante la ricreazione, oltretutto un’aula giudicata
preliminarmente troppo piccola anche solo per starci seduti ognuno sul
proprio banchino… Per carità, tralasciamo di parlare di
queste “scelte didattiche”.
Torniamo al bambino e al suo inizio scolastico, catapultato in ritmi
lavorativi del tutto nuovi, in spazi poco accoglienti, in una classe
non familiare e già chiusa in gruppetti di amici, dai quali si è sentito
escluso: il risultato in lui è stato l’accrescersi di atteggiamenti
troppo vivaci, fino ad assumere posizioni in contrasto con le ingiunzioni
dell’insegnante prevalente, e di dispetti continui fatti ai compagni.
Non ci vuole certo uno psicologo per capire che si trattava di forti richiami
d’attenzione da parte sua, come del resto accade spesso di
veder fare ai bambini.
A questi atteggiamenti si è aggiunto un episodio in cui egli,
del tutto involontariamente, ha fatto del male a una bimba in classe:
interagendo con una compagna di banco, inavvertitamente le ha provocato
una ferita alla mano con una matita. Lui è stato il primo a dispiacersi
dell’accaduto e già l’indomani, in segno di scuse,
ha tenuto a portarle un regalino e per tutti i giorni successivi mi raccontava
come stava la sua compagna. Ma questo episodio ha avuto conseguenze inimmaginabili
in quell’ambiente.
Alla luce di tutto quanto l’insegnante ha voluto informare la Dirigente della situazione scrivendo un verbale, e chiedendo una convocazione per la famiglia. Capirete che con mio marito siamo stati i primi ad aspettare con impazienza di poterci confrontare con l’insegnante e con la Dirigente per spiegare la situazione e trovare, insieme, la strada migliore per aiutare il bambino a superare questi problemi comportamentali e maturare un atteggiamento positivo nei confronti della scuola.
In sede di convocazione sono emersi tutti i problemi del bambino, ma
sono emersi anche altri aspetti che mi hanno inquietato fortemente. Primo
fra tutti, la questione dell’inserimento.
Cosa si intende per “inserimento”? Il Devoto-Oli c’insegna
che si tratta del “conferimento o l’acquisto di una collocazione
o partecipazione corrispondente a una specifica funzione”,
e non a caso sottolineo la parola “partecipazione”. In termini
più semplici, per un insegnante ciò deve significare
mettere tutta la propria esperienza pedagogica per creare le
condizioni più adatte tra i propri alunni a formare una classe
unita e compatta che possa maturare insieme la propria esperienza scolastica.
E questo è importantissimo, soprattutto nei primissimi mesi di
una prima elementare. Forte della sua esperienza, e tanto per citare
un esempio diverso, mia madre mi ha sempre detto che solo quando si ha
una classe compatta, in cui c’è partecipazione di tutti
i singoli alunni, si riesce poi a portare avanti un programma didattico
in maniera ottimale, e che questo è sempre stato il suo primo obiettivo
nel momento in cui affrontava una prima.
Mi sono sorpresa più di una volta nel sentire che mio figlio
nemmeno conosceva i nomi della maggior parte dei suoi compagni di classe,
quando in genere è un bambino con una socialità e una memoria
molto sviluppate: fin dall’inizio in questa classe c’è stato
qualcosa che non quadrava. La stessa Dirigente ha, giustamente, sollecitato
l’insegnante prevalente a lavorare in classe in modo da inserirlo
e valorizzarlo nel contesto in cui era. Invece, a seguito dell’episodio
della matita, mio figlio è stato allontanato dal cuore della
classe e isolato in un banco separato. Ma non è stato un
semplice spostamento atto a tenerlo vicino alla maestra, come spesso
accade per gli alunni più vivaci, per “tenerlo d’occhio”:
il suo banco è stato posto al muro, immediatamente sotto
la lavagna (come facesse poi a copiare per bene quello che c’era
scritto sono i miracoli silenziosi a volte operati dai nostri bambini),
con la faccia proprio rivolta al muro e le spalle alla classe, in una
posizione in cui persino quando l’insegnante spiegava gli
venivano date le spalle. E questo è durato
più di
un mese e mezzo, cioè, all’epoca in cui è successo
tutto quanto, per circa lo stesso periodo di tempo in cui egli era stato
collocato in mezzo agli altri bambini.
A questo punto è necessario dire che le altre insegnanti (non
prevalenti) che lavoravano nella classe hanno più volte sostenuto
che non era corretto lasciarlo dov’era, e di fronte al perpetrarsi
di questo isolamento mi hanno proposto di spostarlo e rimetterlo accanto
agli altri durante le loro ore di didattica, anche perché – come
mi è stato detto più volte – durante le ore passate
con loro in classe il bimbo si comportava come tutti gli altri, senza
causare particolari disagi e, anzi, in maniera perfettamente educata
e partecipativa.
Ma allora il problema esisteva solo con l’insegnante prevalente?...
Inutile dirvi com’era contento il bambino quando,
grazie a queste altre insegnanti, una mattina è stato
reinserito accanto agli altri. Ma questo
inserimento, di sicuro non programmato con la prevalente, ha acuito i
problemi di rapporto tra il bimbo e quest’ultima: perché mio
figlio, in cuor suo, aveva capito benissimo che il problema esisteva
solo con la prevalente, tanto che non appena questa è rientrata
in classe di sua iniziativa ha voluto rimettersi nella sua vecchia posizione,
nel suo banco isolato, da solo contro il muro. E la sera stessa ci ha
riferito che l’insegnante ha detto, rivolgendosi al resto della
classe: “fai come ti pare, tanto noi non si piange”.
Questo forse solo per emarginarlo ancora di più agli occhi dei
suoi compagni?
Qualcuno potrà pensare che queste parole siano farina del suo
sacco, e non siano mai state dette dall’insegnante. Ognuno giudichi
come crede. I bambini si inventano spesso molte cose, perché come
noi adulti anche loro sono furbi, talvolta meschini, talaltra “cattivi”.
Ma ci sono cose a mio avviso che un bambino non si può inventare,
perché non arriva da solo a creare parole ed espressioni se non
le ha mai sentite dire prima.
Come non credo che si sia inventato un’altra espressione, il giorno
in cui è stato portato fuori dalla classe con un’insegnante
di compresenza per fare la lezione, e ci ha raccontato la sera che la
prevalente mandandolo fuori aveva detto che “ne aveva già abbastanza
di 24 alunni”...
Per inciso, altra cosa sulla quale in questa
sede invito lettori e soprattutto insegnanti a riflettere: si portano
fuori dalla classe con un’altra
insegnante bambini incapaci di stare al passo con la lezione per motivi
di handicap – di
tipo cognitivo o linguistico – , non bambini che a livello
cognitivo sono perfettamente in grado di seguire la lezione, anche se “disturbano”;
sono fermamente convinta che sia compito dell’insegnante che sta in classe
gestire i comportamenti che disturbano.
Com’è finito questo reinserimento? Nel peggiore
dei modi.
Invece di essere il frutto di un lavoro attento e ponderato,
creando le migliori condizioni per un’accoglienza serena in seno
alla classe, è stato
vissuto come un’operazione chirurgica inattesa e violenta, anche
da parte del resto della classe che non era più ormai in grado di accettare
un bambino allontanato ed emarginato per un mese e mezzo. Tra l’altro,
nei giorni successivi al suo primo reinserimento è stato collocato
dalla maestra in un banco non “suo” ma appartenente ad un
bambino assente per malattia: ma allora il suo posto in seno alla classe
qual era? Evidentemente non
c’era proprio.
Come madre ovviamente rimango molto addolorata nel constatare cosa può essere fatto di male al proprio figlio. Ma qui entro nel merito del secondo punto che voglio affrontare: il rapporto con il bambino. In questo caso ho visto un insieme di comportamenti, da parte della maestra prevalente, che obiettivamente denunciano un’incapacità di rapportarsi a dei bambini. E questa incapacità si rivela proprio nei casi in cui si ha a che fare con bambini più problematici: è fin troppo facile essere bravi insegnanti se si epura una classe dai quei due o tre elementi che, purtroppo, in una classe normale ci sono sempre. Tra l’altro, ne approfitto per dire che i miei genitori come insegnanti hanno avuto a che fare con bambini e problemi di tutti i generi: da famiglie fortemente disadattate, a figli di drogati, figli di prostitute, bambini adottati con un passato fatto di violenze e isolamento, a figli di stranieri che della nostra lingua nemmeno capivano nulla, a delinquenti veri e propri, che andavano a rubare nei negozi e che – una volta è successo anche questo – hanno tirato una coltellata alla Direttrice. E nonostante tutto, posso dire che non hanno mai scritto nessun verbale ai superiori per chiedere aiuto, per cautelarsi o per qualsiasi altro motivo.
Ma del resto che l’insegnante prevalente era incapace
di rapportarsi ai bambini doveva già risultare da un altro fatto
grave: un giorno, nei primissimi giorni di scuola, aprendo il quaderno
di mio figlio ho trovato una scheda con delle scritte blu, che sembravano
senza senso. Quale non è stato il mio stupore quando ho scoperto
che era una scheda consegnata in classe, da fare durante le ore di scuola,
che egli non aveva completato regolarmente, ma sulla quale aveva cercato
di esprimere il suo disagio! Cos’era accaduto? Durante la ricreazione
aveva ricevuto da un altro bambino (e qui davvero intenzionalmente: un
bambino ha detto a un suo compagno: “Vai a picchiare [mio figlio]!”,
e questi, a seguito dell’ingiunzione avuta, lo ha fatto)
un pugno in pancia che dal dolore gli aveva tolto il respiro.
Al rientro in classe, arrabbiato dell’accaduto, si è chiuso
in se stesso e ha pianto. Ho visto con i miei occhi la scheda bagnata
di lacrime. Gli ho chiesto se lo aveva detto alla maestra, e lui mi ha
detto che la maestra, una volta chiesto cos’aveva, sentendosi rispondere: “Niente”,
lo aveva ignorato. Per cui lui, da solo, ha cercato di scrivere (dopo
neanche un mese di scuola, con la sua scrittura goffa e piena di errori): “Ho
pianto tutto il tempo perché mi hanno dato un pugno”.
Non mi sembra normale che un bambino debba affidarsi ad un foglio per
comunicare il proprio disagio, quando è in una classe e c’è un’insegnante
davanti a lui. Questo la dice lunga sul tipo di rapporto che c’è tra
l’alunno e l’insegnante, sulla fiducia che il discente (ricordiamocelo:
un bambino di sei anni!) nutre per il docente.
Mi sono confrontata più di una volta con quest'insegnante,
come potrete immaginare, per cercare di collaborare insieme. Ma c'è una
frase che fin dall'inizio è stata detta, che per me mostra con
evidenza che ragionavamo correndo su binari paralleli che non si sarebbero
mai incontrati: "quando una mamma mi dice che suo figlio a casa è in
un modo e io a scuola vedo che è in un altro non ci credo".
Ecco io penso invece che un bambino può essere molto
diverso a seconda degli stimoli esterni che riceve, perché l'ambiente
condiziona moltissimo. E questo non è vero solo per i bambini, ma anche
per noi adulti. Certo la natura di una persona non si cambia, se un bambino
è particolarmente vivace, testardo, magari anche permaloso, lo rimarrà
senz'altro anche da adulto. Ma questo non vuol dire che non si possano
canalizzare positivamente questi aspetti del carattere facendo leva sui
tratti migliori della sua natura, perché questi ci sono in tutti,
ed è lì sopra che si deve saper lavorare.
Isolare una persona mettendola in condizioni tali da essere visivamente,
pubblicamente emarginata agli occhi del resto della collettività,
anche attraverso espressioni verbali usate a sproposito, avrebbe per
ciascuno di noi conseguenze emotive destabilizzanti. E questo
per ogni persona adulta, figuriamoci per un bambino che non è in
grado di stabilire con precisione il confine tra il bene e il male, che,
anzi, affida inconsciamente a noi adulti la gestione della propria
crescita personale per maturare questi confini.
Nella classe ormai gli ingredienti per trasformare mio figlio da bambino
con comportamenti aggressivi a capro espiatore di ogni male c’erano
tutti. E difatti racconterò un solo episodio a conferma di quanto
dico.
Un giorno andando a prendere il bambino all’uscita
l’ho
trovato col viso gonfio di pianto. Cercando ansiosamente nell’insegnante
una risposta alle mie domande mi sono sentita dire che il bambino quel
giorno era stato un disastro, aveva disturbato continuamente, si era
tolto le scarpe durante le prime ore della lezione e non se le era più volute
rimettere fino alla ricreazione, addirittura all’uscita aveva scaraventato
lo zaino contro il muro. Allibita
e fortemente preoccupata ho cercato poi per tutto il pomeriggio di capire,
attraverso il bimbo, cos’era
successo e perché aveva fatto quelle cose: perché sono
convinta che se avvengono determinati comportamenti dietro c’è sempre
un motivo. Non vi dico il mio sgomento quando, pezzo dopo pezzo,
ho ricostruito l’accaduto: nelle prime ore della mattina le scarpe
del bimbo si sono slacciate e gli sono scivolate via dai piedi (sono
scarpette ortopediche e difatti a volte gli capita); lui ha cercato di
rimettersele ma alcuni suoi compagni gliele hanno tolte mettendogliele
sotto la cattedra; poi gliele hanno del tutto nascoste e lo hanno intimidito
a star zitto e non dire niente alla maestra altrimenti lo avrebbero picchiato.
Mio figlio ha avuto paura della minaccia? Certo, perché chi glielo
ha detto è stato un bambino più grosso di lui, che già altre
volte gli aveva riservato dimostrazioni di violenza. Egli è rimasto
dunque scalzo, sotto le risate di tutto il gruppo. E tutto questo è successo durante la
lezione. A ricreazione finalmente qualche anima buona gli ha
detto dov’erano nascoste le sue scarpe, che si è dunque
rimesso. Durante la ricreazione poi lo stesso bimbo che lo aveva minacciato
lo ha poi sollevato di peso (sì, ne è capace perché è davvero
grosso, l’ho visto personalmente) e sbatacchiato su una sedia,
poi ripreso e nuovamente sbatacchiato su un banco a ridosso del muro;
e di nuovo giù minacce.
Vogliamo commentare? No, non ancora. Perché non è finita:
all’uscita quando i bimbi si avviavano a prendere i giacchetti
con lo zaino, è stato più volte spinto dallo stesso bambino
finché non è caduto a terra. Allora sì, è vero,
mio figlio ha preso lo zaino e lo ha scaraventato con rabbia sul muro
piangendo.
Scusi, forse dirà qualcuno, ma per suo figlio è stato
redatto un verbale, per cui si suppone che la stessa cosa sia stata fatta
quantomeno anche per quest’altro bambino, tanto più che
questi episodi sono stati con tutta evidenza intenzionali? No,
non è stato scritto nessun verbale. Forse perché il bambino
in questione si è limitato a fare il bullo per sue questioni “personali” ma
ha avuto il merito di non disturbare mai l’andamento didattico
delle lezioni? Non saprei rispondere, questa è solo una terribile
ipotesi.
Scusi, forse dirà qualcun altro, ma di tutto l’accaduto
l’insegnante non si è accorta di nulla? Sembrerebbe di no.
L’indomani
mattina sono io che mi sono preoccupata di raccontare all’insegnante
quello che avevo capito dell’intera mattinata, e l’insegnante
ha detto che purtroppo può capitare che non ci si accorga di certe
cose e che evidentemente “le era mancato un pezzo”. E che
comunque ormai era mio figlio che aveva provocato tutta questa situazione
e ne avrebbe subìto per sempre le conseguenze.
Possibile che durante la lezione quest’insegnante non si sia accorta
che i bambini nascondevano le scarpe e deridevano il bambino? Possibile
che durante la ricreazione (che oltretutto si svolgeva dentro l’aula)
non si sia accorta che stavano sbatacchiando il bambino? Ma allora – mi
chiedo infine – quanti altri episodi possono essere successi
e noi nemmeno l’abbiamo saputo?
Credo sia facile intuire a questo punto come mio figlio abbia vissuto
i primi mesi della sua esperienza scolastica.
La scuola, questo
crogiolo di tante personalità dove il sapere s’intreccia
con la crescita dell’individuo, la sua formazione, la sua educazione,
il suo inserimento non solo nella classe ma nell’intera collettività,
era diventata per lui il luogo dell’isolamento, della derisione,
dell’emarginazione, della violenza mirata. Come tutti i bambini,
che hanno una incredibile capacità di fagocitare l’esperienza
e di adattarsi ad essa, egli ne ha maturato e interiorizzato una concezione
assolutamente negativa. Non è quindi un caso se ogni mattina mostrava
la sua sofferenza all’ingresso (non volendosi staccare
dalla mano di suo padre che lo accompagnava), come non è un caso
se alla fine dichiarava di fare incubi la notte (essere legato e picchiato
dai compagni!).
Una cosa che come insegnanti ho sempre sentito deplorare ai miei genitori è l’eccessiva intromissione dei genitori nelle questioni scolastiche. Intendiamoci, con ciò non voglio dire che i genitori non devono sapere nulla di quanto accade ai loro figli nella scuola, e non intervenire in nessuna maniera. Soprattutto dopo questa esperienza so quanto invece sia fondamentale la cooperazione tra scuola e famiglie. Ma ci sono dei limiti che vengono spesso ignorati e superati, e ciò per colpa dei genitori, chiaramente, ma ancora di più per colpa degli stessi insegnanti. Ritengo che nella professionalità di ciascuno di noi ci debbano essere dei confini entro cui gli altri non devono interferire. Un bravo insegnante, a fronte di intromissioni troppo frequenti e soprattutto invadenti, deve saper lanciare un messaggio chiaro e forte: tutto ciò che succede a scuola è gestito dalla scuola e quello che deve essere fatto o meno durante le ore didattiche è compito e responsabilità del solo insegnante. Se, poi, ci sono motivi e ragioni per i genitori per interferire in qualche modo nell’operato della scuola, l’ordinamento scolastico prevede dei luoghi e dei momenti a tal fine predisposti: è questo il senso della presenza del Rappresentante di classe, delle Assemblee dei genitori, delle riunioni di Interclasse, ecc.
Alcuni genitori, che
fin dall’inizio della scuola si sono manifestati
accorati sostenitori dell’insegnante prevalente, hanno preso di
mira mio figlio. Non tutti, perché la maggior parte di essi, com’è emerso
anche durante i colloqui individuali di Dicembre, nemmeno erano a conoscenza
del “caso” (e un motivo in questo sicuramente ci sarà…).
Ma l’esperienza c’insegna che bastano alcuni elementi per
fomentare in un gruppo grossi problemi. Citerò solo un episodio
che secondo me può da solo dare l’idea della gravità della
questione.
Circa un mese e mezzo dopo l’episodio del lapis, alcune mamme,
tra cui – e questo mi ha molto meravigliato – la Rappresentante
di classe, mi hanno fermata una mattina nel cortile della scuola per
dirmi che l’insegnante prevalente a causa del bimbo era impossibilitata
a portare a termine il programma e a svolgere una normale didattica,
per cui volevano, in maniera molto decisa, che fossi disposta ad andare
assieme a loro in Presidenza per chiedere alla Dirigente delle ore di
compresenza in più per la classe o addirittura una figura di sostegno
per il bimbo. Queste mamme qualche giorno dopo già avevano fissato
un colloquio con la Dirigente, al fine di avanzarle espressamente questa
richiesta.
Farò solo pochi commenti:
Vorrei aggiungere una sola cosa: so da fonte sicura (la
stessa Dirigente scolastica) che a seguito dell’episodio del lapis
in Direzione hanno ricevuto una telefonata da parte del Maresciallo dei
Carabinieri. Noi genitori e le stesse insegnanti siamo rimasti allibiti
quando l’abbiamo
saputo. Dico: due bambini giocano e incidentalmente uno dei due fa
male all’altro, e allora tutti interpelliamo i Carabinieri?...
Oltretutto la madre della bambina ferita, con la quale da brava persona
civile mi sono scusata personalmente per l'accaduto (come penso debba
avvenire sempre tra genitori) era stata espressamente sollecitata da
altri genitori a porgere una denuncia, ma non ha voluto. Quindi è poco
probabile che sia stata la famiglia della bimba a prendere l'iniziativa
di coinvolgere tale Maresciallo.
E su questo aspetto posso quindi insinuare un forte sospetto che mi è rimasto
nel cuore: chiaramente è solo un sospetto, per carità,
prendetelo molto alla leggera. Il sospetto è che anche in questo
caso vi sia stata una forte intromissione da parte di questo famoso gruppetto
di mamme, tra cui la Rappresentante - il cui marito, tra l’altro
(guarda caso) era proprio un Carabiniere, collega del famoso Maresciallo
(famoso a casa mia, per carità, per il resto nemmeno lo conoscevo
e potrà anche essere una persona ineccepibile, mettiamo le mani
avanti). Ma lasciate stare i miei sospetti dove stanno,
laggiù in
fondo al pavimento di questa mia esperienza, e andiamo avanti sulla diritta
via.
A questo punto cos’altro potevamo fare se non decidere di allontanare il bimbo da quella scuola? La decisione non è stata facile, anzi. Non smetterò mai di ricordarlo: parlo come figlia di insegnante, che ha visto per anni e anni i propri genitori dedicarsi anima e corpo alle loro classi, e a maggior ragione a quei bimbi che per vari motivi avevano rapporti veramente problematici con la scuola. E non avrei mai creduto dovermi trovare io nella situazione di subire attraverso mio figlio quello che di peggiore l’insegnamento e la scuola possono dare ai bambini: perché con le punizioni protratte per settimane intere, con le derisioni collettive fatte quasi con l’approvazione dell’insegnante, con la violenza mirata e intenzionale che mio figlio ha subìto, con l’intervento delle mamme più agguerrite che addirittura volevano farlo dichiarare “con sostegno” … cos’altro poteva ancora essergli fatto di male?
Abbiamo quindi accuratamente cercato
un ambiente in cui la scolarizzazione potesse essere svolta in maniera umana,
anzi a misura di bambino,
e non è stato facile avendo a che fare con un bambino non solo
da inserire nuovamente, ma sul quale doveva essere svolta un’azione – lenta
ma sicura – di azzeramento del concetto di scuola che
aveva maturato fino ad allora. Fortunatamente abbiamo trovato una scuola
con spazi adatti, un cortile molto ampio in cui i bambini vengono fatti
uscire a giocare quotidianamente, compagni di classe tendenzialmente
tranquilli e non violenti, famiglie perlopiù civili e collaborative,
e soprattutto maestre
che hanno dimostrato fin da subito di avere una concezione della psiche
del bambino molto diversa.
Certo un bambino come il nostro è stato problematico in quell’anno,
nel senso che doveva proprio interiorizzare e maturare concetti come
il rispetto delle regole e il rispetto dei confini tra il gioco e il
lavoro. Ma questo fa parte della maturazione che ogni buon genitore da
una parte, ma anche ogni buon insegnante dall’altra, sa che deve
operare, giorno dopo giorno, sui bambini: perché insegnare
a dei bambini non vuol dire meramente “erudire” una persona,
ma anche collaborare con la famiglia alla sua formazione
individuale e collettiva. E questo sempre, ma soprattutto in una
scuola primaria dove si lavora su bambini dai 6 agli 11 anni.
Ora che l’incubo di quell’inizio è alle nostre spalle, che vedo mio figlio serenamente guardare ogni sua giornata di scuola come l’inizio di una bella avventura, che lo sento entusiasmarsi per le cose fatte a scuola, per i giochi condivisi con i compagni; ora che lo vedo tranquillamente sedersi tutti i pomeriggi a fare la sua lezione e trarre soddisfazione dal suo lavoro; quando lo guardo affrontare ogni situazione sociale con serenità e senso di rispetto per le cose e per gli altri, e ciò nonostante sia un bimbo molto vivace; quando vedo che nello sport fa azioni sportivamente corrette; quando lo vedo giocare con le sue sorelline e provare a insegnarli le cose… Che dire? Mi si scioglie il cuore e non mi sembra vero che uno stesso bambino possa arrivare a fare cose così opposte, ma soprattutto traggo una grande, fortissima lezione di vita valida per tutti noi educatori, genitori e insegnanti: i bambini sono davvero una materia viva, che si plasma in base a ciò che noi gli diamo.
Concludo questa mia riflessione con una citazione che dedico a tutti gli insegnanti, compresa l’ex maestra di mio figlio (possa aver tratto anche lei qualche insegnamento da questa meteora di mio figlio che le è passata tra le mani per un istante!): che possa servire a tutti per riflettere sull’importanza e il ruolo del Maestro, che non è solo un termine che designa una professione, ma un termine che dovrebbe designare una missione, perché Maestro è colui che apre la porta dei bambini al mondo, che li introduce al sapere, tramite una formazione dell’intera persona.
Avvertire l’entusiasmo del coinvolgimento, la consapevolezza che spesso i bambini ti guardano per scrutare il tuo comportamento e tu non puoi tradirli perché faresti del male a te stesso e a loro; comprendere che anche una parola fuori posto può ferire un alunno ed aver coscienza del fatto che nelle gioie e nelle fatiche di ogni giorno di scuola si realizza un incontro tra anime: questi sono i nostri delicati ed autorevoli compiti. Rappresentiamo dei modelli di riferimento e non dobbiamo mai dimenticarlo: è questa la grandezza del nostro ruolo e l’impegno che ci deve animare è quello di cercare di migliorare sempre noi stessi per rendere migliori i nostri alunni.
(Tratto da L’importanza di chiamarsi “maestro”,
di Aida Dattola,
di cui consiglio la lettura integrale alla pagina:
http://www.educare.it/Scuola/vivere_scuola/importanza_chiamrsi_maestro.htm)
Ringraziamenti
Un ringraziamento particolare
ai miei genitori che mi sono stati vicini durante tutto il periodo
del nostro travagliato inizio scolastico e del successivo cambio di
scuola, e alle due insegnanti non prevalenti che, nel loro piccolo,
hanno cercato di aiutare mio figlio e me prima che decidessimo di tagliare
definitivamente i ponti con quella scuola.
In particolare un ringraziamento
all’insegnante
di Religione, di cui non dimenticherò mai le parole quando mi
ha detto che “un bambino come [mio figlio] è una grande
risorsa per ogni classe”, non può immaginare in quel momento
di sbando come mi ha fatto bene sentirle dire una cosa del genere.
Per chi volesse postare un commento o raccontare la propria
esperienza, si rimanda alla pagina dedicata sul forum:
http://www.letteratour.it/forum/topic.asp?TOPIC_ID=396&FORUM_ID=18&CAT_ID=8&Topic_Title=Riflessioni+sulla+qualit%E0+dell%27insegnamento&Forum_Title=Didattica+e+insegnamento
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