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Riflessioni sulla qualità dell’insegnamento nella scuola primaria

 

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Introduzione
Il caso
La questione dell'inserimento
Il rapporto con il bambino
Conseguenze dell'isolamento: la derisione collettiva e l'emarginazione
L'intromissione dei genitori nelle questioni scolastiche
L'epilogo: una lezione doverosa per tutti
Ringraziamenti

Introduzione

Come mamma, ma anche come figlia di insegnanti con 40 anni di esperienza alle spalle, di cui 13 maturati all’estero, sono rimasta molto addolorata dell’esperienza negativa fatta da mio figlio nel suo inserimento in prima elementare. Né gli evidenti problemi che si hanno nell’affrontare una classe numerosa, dove almeno due o tre elementi più problematici ci sono sempre, né gli spazi ristretti e poco adatti all’accoglienza di bambini, né le questioni sollevate dalla partecipazione sempre più invadente dei genitori nel lavoro prettamente scolastico, possono giustificare un modo d’insegnamento in cui le prime cose che mancano sono una reale capacità di comprendere i problemi di inserimento che i bambini possono avere nei primissimi mesi di una prima elementare, e la reale capacità di rapportarsi a dei bambini che, seppure talvolta in modo maldestro e negativo, stanno chiedendoci di aiutarli. In queste condizioni, isolare e screditare una persona mettendola in condizioni tali da essere visivamente, pubblicamente emarginata agli occhi del resto della collettività, avrebbe per ciascuno di noi conseguenze emotive destabilizzanti. E questo per ogni persona adulta, figuriamoci per un bambino che non è in grado di stabilire con precisione il confine tra il bene e il male; che, anzi, affida inconsciamente a noi adulti la gestione della propria crescita personale per maturare questi confini.
Da questa esperienza abbiamo tratto in famiglia molti spunti importanti per una riflessione generale sulla qualità dell’insegnamento: invito tutti coloro che sono interessati a darci una lettura; forse potrà essere utile per fare, quantomeno, una riflessione appropriata e un paragone tra vari metodi d’insegnamento.

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Riflessioni sulla qualità dell’insegnamento

Come dicevo, sono figlia di due insegnanti in pensione con una carriera alle spalle di 40 anni di insegnamento nella scuola primaria e secondaria, di cui 13 all’estero, in cui è loro capitato di lavorare in città estere anche molto grandi con problemi di delinquenza e situazioni familiari di cui, per fortuna, nei nostri piccoli centri periferici in genere nemmeno ci si immagina. È anche per questo motivo che mi ha molto sorpreso e addolorato vedere come si è svolto a suo tempo l’inserimento di mio figlio nella prima elementare, e che mi sento di scrivere, oggi, mettendo nero su bianco una riflessione su come problemi di ordine prettamente scolastico possano diventare, se gestiti malamente, problemi di ordine interamente sociale, che riguardano tutti noi.

Il caso

Quando è iniziata la scuola, mio figlio è stato inserito in una classe in cui, in una riunione preliminare, era stato detto dalla Dirigente scolastica che non sarebbero stati ammessi più di 24 alunni per motivi di sicurezza (le aule essendo troppo piccole). Chiaramente per motivi di numero (numerosi iscritti) e di soldi (sempre meno) alla fine la scuola ha aperto i battenti e la classe si è formata con 27 alunni. I problemi che comportano un numero consistente di iscritti e spazi ristretti, e non adatti, all’accoglienza di bambini, anche dal punto di vista didattico, sono grossi. Sicuramente il lavoro degli insegnanti è sempre più difficile in certi contesti. Ma comunque sia vorrei soffermarmi su un altro aspetto: la qualità dell’insegnamento e dell’organizzazione scolastica, che proprio nelle situazioni più difficili rivela se una scuola (leggi: un insegnante, un metodo, un approccio educativo) funziona oppure no.

Mio figlio ha quindi cominciato la sua esperienza scolastica in una classe piuttosto numerosa dove purtroppo, oltretutto, non ha avuto modo di ritrovare nessuno dei suoi principali amici di riferimento della scuola materna, la maggior parte dei quali indirizzati in altri plessi o nella sezione parallela. L’impatto scolastico è stato piuttosto negativo: fin dai primi giorni non si è sentito a suo agio in questa classe, mi raccontava che a ricreazione giocava da solo perché non conosceva nessuno e che non lo considerava nessuno, essendovi fin dall’inizio dei “gruppetti” già formati. Aspettava con ansia il momento della ricreazione durante la quale poteva ritrovare due o tre amichetti che si trovavano nella sezione parallela, e questo fino a che nel plesso non è stato deciso di separare completamente i momenti di incontro tra le due prime, perché ingestibili. Ne approfitto per inciso per dire che se la mancanza di spazi adatti alla ricreazione è sicuramente un problema grosso per la gestione delle classi, mi è comunque molto dispiaciuto sapere che questi bimbi, anche nelle giornate più belle, non venivano mai fatti uscire nel cortile. Anzi, da questo punto di vista la scelta delle insegnanti è stata quella di far passare molto spesso la ricreazione ai bambini all’interno della propria aula. Vi lascio immaginare cosa può voler dire per dei bambini che hanno appena iniziato la scuola elementare mettersi per più di quattro ore dietro un banco senza muoversi, e rimanere rinchiusi nella stessa aula anche durante la ricreazione, oltretutto un’aula giudicata preliminarmente troppo piccola anche solo per starci seduti ognuno sul proprio banchino… Per carità, tralasciamo di parlare di queste “scelte didattiche”.
Torniamo al bambino e al suo inizio scolastico, catapultato in ritmi lavorativi del tutto nuovi, in spazi poco accoglienti, in una classe non familiare e già chiusa in gruppetti di amici, dai quali si è sentito escluso: il risultato in lui è stato l’accrescersi di atteggiamenti troppo vivaci, fino ad assumere posizioni in contrasto con le ingiunzioni dell’insegnante prevalente, e di dispetti continui fatti ai compagni.
Non ci vuole certo uno psicologo per capire che si trattava di forti richiami d’attenzione da parte sua, come del resto accade spesso di veder fare ai bambini.
A questi atteggiamenti si è aggiunto un episodio in cui egli, del tutto involontariamente, ha fatto del male a una bimba in classe: interagendo con una compagna di banco, inavvertitamente le ha provocato una ferita alla mano con una matita. Lui è stato il primo a dispiacersi dell’accaduto e già l’indomani, in segno di scuse, ha tenuto a portarle un regalino e per tutti i giorni successivi mi raccontava come stava la sua compagna. Ma questo episodio ha avuto conseguenze inimmaginabili in quell’ambiente.

Alla luce di tutto quanto l’insegnante ha voluto informare la Dirigente della situazione scrivendo un verbale, e chiedendo una convocazione per la famiglia. Capirete che con mio marito siamo stati i primi ad aspettare con impazienza di poterci confrontare con l’insegnante e con la Dirigente per spiegare la situazione e trovare, insieme, la strada migliore per aiutare il bambino a superare questi problemi comportamentali e maturare un atteggiamento positivo nei confronti della scuola.

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La questione dell’inserimento

In sede di convocazione sono emersi tutti i problemi del bambino, ma sono emersi anche altri aspetti che mi hanno inquietato fortemente. Primo fra tutti, la questione dell’inserimento.
Cosa si intende per “inserimento”? Il Devoto-Oli c’insegna che si tratta del “conferimento o l’acquisto di una collocazione o partecipazione corrispondente a una specifica funzione”, e non a caso sottolineo la parola “partecipazione”. In termini più semplici, per un insegnante ciò deve significare mettere tutta la propria esperienza pedagogica per creare le condizioni più adatte tra i propri alunni a formare una classe unita e compatta che possa maturare insieme la propria esperienza scolastica. E questo è importantissimo, soprattutto nei primissimi mesi di una prima elementare. Forte della sua esperienza, e tanto per citare un esempio diverso, mia madre mi ha sempre detto che solo quando si ha una classe compatta, in cui c’è partecipazione di tutti i singoli alunni, si riesce poi a portare avanti un programma didattico in maniera ottimale, e che questo è sempre stato il suo primo obiettivo nel momento in cui affrontava una prima.

Mi sono sorpresa più di una volta nel sentire che mio figlio nemmeno conosceva i nomi della maggior parte dei suoi compagni di classe, quando in genere è un bambino con una socialità e una memoria molto sviluppate: fin dall’inizio in questa classe c’è stato qualcosa che non quadrava. La stessa Dirigente ha, giustamente, sollecitato l’insegnante prevalente a lavorare in classe in modo da inserirlo e valorizzarlo nel contesto in cui era. Invece, a seguito dell’episodio della matita, mio figlio è stato allontanato dal cuore della classe e isolato in un banco separato. Ma non è stato un semplice spostamento atto a tenerlo vicino alla maestra, come spesso accade per gli alunni più vivaci, per “tenerlo d’occhio”: il suo banco è stato posto al muro, immediatamente sotto la lavagna (come facesse poi a copiare per bene quello che c’era scritto sono i miracoli silenziosi a volte operati dai nostri bambini), con la faccia proprio rivolta al muro e le spalle alla classe, in una posizione in cui persino quando l’insegnante spiegava gli venivano date le spalle. E questo è durato più di un mese e mezzo, cioè, all’epoca in cui è successo tutto quanto, per circa lo stesso periodo di tempo in cui egli era stato collocato in mezzo agli altri bambini.
A questo punto è necessario dire che le altre insegnanti (non prevalenti) che lavoravano nella classe hanno più volte sostenuto che non era corretto lasciarlo dov’era, e di fronte al perpetrarsi di questo isolamento mi hanno proposto di spostarlo e rimetterlo accanto agli altri durante le loro ore di didattica, anche perché – come mi è stato detto più volte – durante le ore passate con loro in classe il bimbo si comportava come tutti gli altri, senza causare particolari disagi e, anzi, in maniera perfettamente educata e partecipativa. Ma allora il problema esisteva solo con l’insegnante prevalente?...

Inutile dirvi com’era contento il bambino quando, grazie a queste altre insegnanti, una mattina è stato reinserito accanto agli altri. Ma questo inserimento, di sicuro non programmato con la prevalente, ha acuito i problemi di rapporto tra il bimbo e quest’ultima: perché mio figlio, in cuor suo, aveva capito benissimo che il problema esisteva solo con la prevalente, tanto che non appena questa è rientrata in classe di sua iniziativa ha voluto rimettersi nella sua vecchia posizione, nel suo banco isolato, da solo contro il muro. E la sera stessa ci ha riferito che l’insegnante ha detto, rivolgendosi al resto della classe: “fai come ti pare, tanto noi non si piange”. Questo forse solo per emarginarlo ancora di più agli occhi dei suoi compagni?
Qualcuno potrà pensare che queste parole siano farina del suo sacco, e non siano mai state dette dall’insegnante. Ognuno giudichi come crede. I bambini si inventano spesso molte cose, perché come noi adulti anche loro sono furbi, talvolta meschini, talaltra “cattivi”. Ma ci sono cose a mio avviso che un bambino non si può inventare, perché non arriva da solo a creare parole ed espressioni se non le ha mai sentite dire prima.
Come non credo che si sia inventato un’altra espressione, il giorno in cui è stato portato fuori dalla classe con un’insegnante di compresenza per fare la lezione, e ci ha raccontato la sera che la prevalente mandandolo fuori aveva detto che “ne aveva già abbastanza di 24 alunni”...
Per inciso, altra cosa sulla quale in questa sede invito lettori e soprattutto insegnanti a riflettere: si portano fuori dalla classe con un’altra insegnante bambini incapaci di stare al passo con la lezione per motivi di handicap – di tipo cognitivo o linguistico – , non bambini che a livello cognitivo sono perfettamente in grado di seguire la lezione, anche se “disturbano”; sono fermamente convinta che sia compito dell’insegnante che sta in classe gestire i comportamenti che disturbano.

Com’è finito questo reinserimento? Nel peggiore dei modi.
Invece di essere il frutto di un lavoro attento e ponderato, creando le migliori condizioni per un’accoglienza serena in seno alla classe, è stato vissuto come un’operazione chirurgica inattesa e violenta, anche da parte del resto della classe che non era più ormai in grado di accettare un bambino allontanato ed emarginato per un mese e mezzo. Tra l’altro, nei giorni successivi al suo primo reinserimento è stato collocato dalla maestra in un banco non “suo” ma appartenente ad un bambino assente per malattia: ma allora il suo posto in seno alla classe qual era? Evidentemente non c’era proprio.

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Il rapporto con il bambino

Come madre ovviamente rimango molto addolorata nel constatare cosa può essere fatto di male al proprio figlio. Ma qui entro nel merito del secondo punto che voglio affrontare: il rapporto con il bambino. In questo caso ho visto un insieme di comportamenti, da parte della maestra prevalente, che obiettivamente denunciano un’incapacità di rapportarsi a dei bambini. E questa incapacità si rivela proprio nei casi in cui si ha a che fare con bambini più problematici: è fin troppo facile essere bravi insegnanti se si epura una classe dai quei due o tre elementi che, purtroppo, in una classe normale ci sono sempre. Tra l’altro, ne approfitto per dire che i miei genitori come insegnanti hanno avuto a che fare con bambini e problemi di tutti i generi: da famiglie fortemente disadattate, a figli di drogati, figli di prostitute, bambini adottati con un passato fatto di violenze e isolamento, a figli di stranieri che della nostra lingua nemmeno capivano nulla, a delinquenti veri e propri, che andavano a rubare nei negozi e che – una volta è successo anche questo – hanno tirato una coltellata alla Direttrice. E nonostante tutto, posso dire che non hanno mai scritto nessun verbale ai superiori per chiedere aiuto, per cautelarsi o per qualsiasi altro motivo.

Ma del resto che l’insegnante prevalente era incapace di rapportarsi ai bambini doveva già risultare da un altro fatto grave: un giorno, nei primissimi giorni di scuola, aprendo il quaderno di mio figlio ho trovato una scheda con delle scritte blu, che sembravano senza senso. Quale non è stato il mio stupore quando ho scoperto che era una scheda consegnata in classe, da fare durante le ore di scuola, che egli non aveva completato regolarmente, ma sulla quale aveva cercato di esprimere il suo disagio! Cos’era accaduto? Durante la ricreazione aveva ricevuto da un altro bambino (e qui davvero intenzionalmente: un bambino ha detto a un suo compagno: “Vai a picchiare [mio figlio]!”, e questi, a seguito dell’ingiunzione avuta, lo ha fatto) un pugno in pancia che dal dolore gli aveva tolto il respiro. Al rientro in classe, arrabbiato dell’accaduto, si è chiuso in se stesso e ha pianto. Ho visto con i miei occhi la scheda bagnata di lacrime. Gli ho chiesto se lo aveva detto alla maestra, e lui mi ha detto che la maestra, una volta chiesto cos’aveva, sentendosi rispondere: “Niente”, lo aveva ignorato. Per cui lui, da solo, ha cercato di scrivere (dopo neanche un mese di scuola, con la sua scrittura goffa e piena di errori): “Ho pianto tutto il tempo perché mi hanno dato un pugno”.
Non mi sembra normale che un bambino debba affidarsi ad un foglio per comunicare il proprio disagio, quando è in una classe e c’è un’insegnante davanti a lui. Questo la dice lunga sul tipo di rapporto che c’è tra l’alunno e l’insegnante, sulla fiducia che il discente (ricordiamocelo: un bambino di sei anni!) nutre per il docente.

Mi sono confrontata più di una volta con quest'insegnante, come potrete immaginare, per cercare di collaborare insieme. Ma c'è una frase che fin dall'inizio è stata detta, che per me mostra con evidenza che ragionavamo correndo su binari paralleli che non si sarebbero mai incontrati: "quando una mamma mi dice che suo figlio a casa è in un modo e io a scuola vedo che è in un altro non ci credo".
Ecco io penso invece che un bambino può essere molto diverso a seconda degli stimoli esterni che riceve, perché l'ambiente condiziona moltissimo. E questo non è vero solo per i bambini, ma anche per noi adulti. Certo la natura di una persona non si cambia, se un bambino è particolarmente vivace, testardo, magari anche permaloso, lo rimarrà senz'altro anche da adulto. Ma questo non vuol dire che non si possano canalizzare positivamente questi aspetti del carattere facendo leva sui tratti migliori della sua natura, perché questi ci sono in tutti, ed è lì sopra che si deve saper lavorare.

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Conseguenze dell’isolamento: la derisione collettiva e l’emarginazione

Isolare una persona mettendola in condizioni tali da essere visivamente, pubblicamente emarginata agli occhi del resto della collettività, anche attraverso espressioni verbali usate a sproposito, avrebbe per ciascuno di noi conseguenze emotive destabilizzanti. E questo per ogni persona adulta, figuriamoci per un bambino che non è in grado di stabilire con precisione il confine tra il bene e il male, che, anzi, affida inconsciamente a noi adulti la gestione della propria crescita personale per maturare questi confini.
Nella classe ormai gli ingredienti per trasformare mio figlio da bambino con comportamenti aggressivi a capro espiatore di ogni male c’erano tutti. E difatti racconterò un solo episodio a conferma di quanto dico.

Un giorno andando a prendere il bambino all’uscita l’ho trovato col viso gonfio di pianto. Cercando ansiosamente nell’insegnante una risposta alle mie domande mi sono sentita dire che il bambino quel giorno era stato un disastro, aveva disturbato continuamente, si era tolto le scarpe durante le prime ore della lezione e non se le era più volute rimettere fino alla ricreazione, addirittura all’uscita aveva scaraventato lo zaino contro il muro. Allibita e fortemente preoccupata ho cercato poi per tutto il pomeriggio di capire, attraverso il bimbo, cos’era successo e perché aveva fatto quelle cose: perché sono convinta che se avvengono determinati comportamenti dietro c’è sempre un motivo. Non vi dico il mio sgomento quando, pezzo dopo pezzo, ho ricostruito l’accaduto: nelle prime ore della mattina le scarpe del bimbo si sono slacciate e gli sono scivolate via dai piedi (sono scarpette ortopediche e difatti a volte gli capita); lui ha cercato di rimettersele ma alcuni suoi compagni gliele hanno tolte mettendogliele sotto la cattedra; poi gliele hanno del tutto nascoste e lo hanno intimidito a star zitto e non dire niente alla maestra altrimenti lo avrebbero picchiato. Mio figlio ha avuto paura della minaccia? Certo, perché chi glielo ha detto è stato un bambino più grosso di lui, che già altre volte gli aveva riservato dimostrazioni di violenza. Egli è rimasto dunque scalzo, sotto le risate di tutto il gruppo. E tutto questo è successo durante la lezione. A ricreazione finalmente qualche anima buona gli ha detto dov’erano nascoste le sue scarpe, che si è dunque rimesso. Durante la ricreazione poi lo stesso bimbo che lo aveva minacciato lo ha poi sollevato di peso (sì, ne è capace perché è davvero grosso, l’ho visto personalmente) e sbatacchiato su una sedia, poi ripreso e nuovamente sbatacchiato su un banco a ridosso del muro; e di nuovo giù minacce.
Vogliamo commentare? No, non ancora. Perché non è finita: all’uscita quando i bimbi si avviavano a prendere i giacchetti con lo zaino, è stato più volte spinto dallo stesso bambino finché non è caduto a terra. Allora sì, è vero, mio figlio ha preso lo zaino e lo ha scaraventato con rabbia sul muro piangendo.

Scusi, forse dirà qualcuno, ma per suo figlio è stato redatto un verbale, per cui si suppone che la stessa cosa sia stata fatta quantomeno anche per quest’altro bambino, tanto più che questi episodi sono stati con tutta evidenza intenzionali? No, non è stato scritto nessun verbale. Forse perché il bambino in questione si è limitato a fare il bullo per sue questioni “personali” ma ha avuto il merito di non disturbare mai l’andamento didattico delle lezioni? Non saprei rispondere, questa è solo una terribile ipotesi.
Scusi, forse dirà qualcun altro, ma di tutto l’accaduto l’insegnante non si è accorta di nulla? Sembrerebbe di no. L’indomani mattina sono io che mi sono preoccupata di raccontare all’insegnante quello che avevo capito dell’intera mattinata, e l’insegnante ha detto che purtroppo può capitare che non ci si accorga di certe cose e che evidentemente “le era mancato un pezzo”. E che comunque ormai era mio figlio che aveva provocato tutta questa situazione e ne avrebbe subìto per sempre le conseguenze.
Possibile che durante la lezione quest’insegnante non si sia accorta che i bambini nascondevano le scarpe e deridevano il bambino? Possibile che durante la ricreazione (che oltretutto si svolgeva dentro l’aula) non si sia accorta che stavano sbatacchiando il bambino? Ma allora – mi chiedo infine – quanti altri episodi possono essere successi e noi nemmeno l’abbiamo saputo?

Credo sia facile intuire a questo punto come mio figlio abbia vissuto i primi mesi della sua esperienza scolastica.
La scuola, questo crogiolo di tante personalità dove il sapere s’intreccia con la crescita dell’individuo, la sua formazione, la sua educazione, il suo inserimento non solo nella classe ma nell’intera collettività, era diventata per lui il luogo dell’isolamento, della derisione, dell’emarginazione, della violenza mirata. Come tutti i bambini, che hanno una incredibile capacità di fagocitare l’esperienza e di adattarsi ad essa, egli ne ha maturato e interiorizzato una concezione assolutamente negativa. Non è quindi un caso se ogni mattina mostrava la sua sofferenza all’ingresso (non volendosi staccare dalla mano di suo padre che lo accompagnava), come non è un caso se alla fine dichiarava di fare incubi la notte (essere legato e picchiato dai compagni!).

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L’intromissione dei genitori nelle questioni scolastiche

Una cosa che come insegnanti ho sempre sentito deplorare ai miei genitori è l’eccessiva intromissione dei genitori nelle questioni scolastiche. Intendiamoci, con ciò non voglio dire che i genitori non devono sapere nulla di quanto accade ai loro figli nella scuola, e non intervenire in nessuna maniera. Soprattutto dopo questa esperienza so quanto invece sia fondamentale la cooperazione tra scuola e famiglie. Ma ci sono dei limiti che vengono spesso ignorati e superati, e ciò per colpa dei genitori, chiaramente, ma ancora di più per colpa degli stessi insegnanti. Ritengo che nella professionalità di ciascuno di noi ci debbano essere dei confini entro cui gli altri non devono interferire. Un bravo insegnante, a fronte di intromissioni troppo frequenti e soprattutto invadenti, deve saper lanciare un messaggio chiaro e forte: tutto ciò che succede a scuola è gestito dalla scuola e quello che deve essere fatto o meno durante le ore didattiche è compito e responsabilità del solo insegnante. Se, poi, ci sono motivi e ragioni per i genitori per interferire in qualche modo nell’operato della scuola, l’ordinamento scolastico prevede dei luoghi e dei momenti a tal fine predisposti: è questo il senso della presenza del Rappresentante di classe, delle Assemblee dei genitori, delle riunioni di Interclasse, ecc.

Alcuni genitori, che fin dall’inizio della scuola si sono manifestati accorati sostenitori dell’insegnante prevalente, hanno preso di mira mio figlio. Non tutti, perché la maggior parte di essi, com’è emerso anche durante i colloqui individuali di Dicembre, nemmeno erano a conoscenza del “caso” (e un motivo in questo sicuramente ci sarà…). Ma l’esperienza c’insegna che bastano alcuni elementi per fomentare in un gruppo grossi problemi. Citerò solo un episodio che secondo me può da solo dare l’idea della gravità della questione.
Circa un mese e mezzo dopo l’episodio del lapis, alcune mamme, tra cui – e questo mi ha molto meravigliato – la Rappresentante di classe, mi hanno fermata una mattina nel cortile della scuola per dirmi che l’insegnante prevalente a causa del bimbo era impossibilitata a portare a termine il programma e a svolgere una normale didattica, per cui volevano, in maniera molto decisa, che fossi disposta ad andare assieme a loro in Presidenza per chiedere alla Dirigente delle ore di compresenza in più per la classe o addirittura una figura di sostegno per il bimbo. Queste mamme qualche giorno dopo già avevano fissato un colloquio con la Dirigente, al fine di avanzarle espressamente questa richiesta.
Farò solo pochi commenti:

  1. Non credo che queste mamme abbiano dato prova d’intelligenza fermando proprio me, la madre, oltretutto in sede così poco ortodossa per discutere l’argomento, per chiedermi di appoggiarle in una richiesta contro mio figlio.
  2. La richiesta oltretutto era veramente assurda perché, in caso in cui sia davvero necessario un insegnante di sostegno, può essere richiesto solo dall’intero staff didattico-pedagogico, e solo laddove tutti gli insegnanti ne rilevino la necessità.
  3. Un ultimo pensiero lo dedico nuovamente all’insegnante prevalente, che era al corrente del fatto che questi genitori volevano chiedere un colloquio con la Dirigente: mi stupisco fortemente che abbia permesso a questo tipo di genitori di intromettersi così fortemente nelle questioni scolastiche. Di fronte a casi simili, ricordo che i miei genitori hanno sempre tranciato netto ai discorsi dicendo che non avrebbero mai permesso interferenze nello svolgimento del proprio lavoro. E questa credo sia la posizione più coerente che si possa assumere di fronte alla coscienza della propria professionalità. L’atteggiamento della prevalente mi fa sospettare invece che questa, per incapacità o scarsa volontà, fosse ben contenta di potersi appoggiare a un gruppetto di pochi genitori molto desiderosi di prendere in mano la situazione della classe al posto suo.

Vorrei aggiungere una sola cosa: so da fonte sicura (la stessa Dirigente scolastica) che a seguito dell’episodio del lapis in Direzione hanno ricevuto una telefonata da parte del Maresciallo dei Carabinieri. Noi genitori e le stesse insegnanti siamo rimasti allibiti quando l’abbiamo saputo. Dico: due bambini giocano e incidentalmente uno dei due fa male all’altro, e allora tutti interpelliamo i Carabinieri?... Oltretutto la madre della bambina ferita, con la quale da brava persona civile mi sono scusata personalmente per l'accaduto (come penso debba avvenire sempre tra genitori) era stata espressamente sollecitata da altri genitori a porgere una denuncia, ma non ha voluto. Quindi è poco probabile che sia stata la famiglia della bimba a prendere l'iniziativa di coinvolgere tale Maresciallo.
E su questo aspetto posso quindi insinuare un forte sospetto che mi è rimasto nel cuore: chiaramente è solo un sospetto, per carità, prendetelo molto alla leggera. Il sospetto è che anche in questo caso vi sia stata una forte intromissione da parte di questo famoso gruppetto di mamme, tra cui la Rappresentante - il cui marito, tra l’altro (guarda caso) era proprio un Carabiniere, collega del famoso Maresciallo (famoso a casa mia, per carità, per il resto nemmeno lo conoscevo e potrà anche essere una persona ineccepibile, mettiamo le mani avanti). Ma lasciate stare i miei sospetti dove stanno, laggiù in fondo al pavimento di questa mia esperienza, e andiamo avanti sulla diritta via.

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L’epilogo: una lezione doverosa per tutti

A questo punto cos’altro potevamo fare se non decidere di allontanare il bimbo da quella scuola? La decisione non è stata facile, anzi. Non smetterò mai di ricordarlo: parlo come figlia di insegnante, che ha visto per anni e anni i propri genitori dedicarsi anima e corpo alle loro classi, e a maggior ragione a quei bimbi che per vari motivi avevano rapporti veramente problematici con la scuola. E non avrei mai creduto dovermi trovare io nella situazione di subire attraverso mio figlio quello che di peggiore l’insegnamento e la scuola possono dare ai bambini: perché con le punizioni protratte per settimane intere, con le derisioni collettive fatte quasi con l’approvazione dell’insegnante, con la violenza mirata e intenzionale che mio figlio ha subìto, con l’intervento delle mamme più agguerrite che addirittura volevano farlo dichiarare “con sostegno” … cos’altro poteva ancora essergli fatto di male?

Abbiamo quindi accuratamente cercato un ambiente in cui la scolarizzazione potesse essere svolta in maniera umana, anzi a misura di bambino, e non è stato facile avendo a che fare con un bambino non solo da inserire nuovamente, ma sul quale doveva essere svolta un’azione – lenta ma sicura – di azzeramento del concetto di scuola che aveva maturato fino ad allora. Fortunatamente abbiamo trovato una scuola con spazi adatti, un cortile molto ampio in cui i bambini vengono fatti uscire a giocare quotidianamente, compagni di classe tendenzialmente tranquilli e non violenti, famiglie perlopiù civili e collaborative, e soprattutto maestre che hanno dimostrato fin da subito di avere una concezione della psiche del bambino molto diversa.
Certo un bambino come il nostro è stato problematico in quell’anno, nel senso che doveva proprio interiorizzare e maturare concetti come il rispetto delle regole e il rispetto dei confini tra il gioco e il lavoro. Ma questo fa parte della maturazione che ogni buon genitore da una parte, ma anche ogni buon insegnante dall’altra, sa che deve operare, giorno dopo giorno, sui bambini: perché insegnare a dei bambini non vuol dire meramente “erudire” una persona, ma anche collaborare con la famiglia alla sua formazione individuale e collettiva. E questo sempre, ma soprattutto in una scuola primaria dove si lavora su bambini dai 6 agli 11 anni.

Ora che l’incubo di quell’inizio è alle nostre spalle, che vedo mio figlio serenamente guardare ogni sua giornata di scuola come l’inizio di una bella avventura, che lo sento entusiasmarsi per le cose fatte a scuola, per i giochi condivisi con i compagni; ora che lo vedo tranquillamente sedersi tutti i pomeriggi a fare la sua lezione e trarre soddisfazione dal suo lavoro; quando lo guardo affrontare ogni situazione sociale con serenità e senso di rispetto per le cose e per gli altri, e ciò nonostante sia un bimbo molto vivace; quando vedo che nello sport fa azioni sportivamente corrette; quando lo vedo giocare con le sue sorelline e provare a insegnarli le cose… Che dire? Mi si scioglie il cuore e non mi sembra vero che uno stesso bambino possa arrivare a fare cose così opposte, ma soprattutto traggo una grande, fortissima lezione di vita valida per tutti noi educatori, genitori e insegnanti: i bambini sono davvero una materia viva, che si plasma in base a ciò che noi gli diamo.

Concludo questa mia riflessione con una citazione che dedico a tutti gli insegnanti, compresa l’ex maestra di mio figlio (possa aver tratto anche lei qualche insegnamento da questa meteora di mio figlio che le è passata tra le mani per un istante!): che possa servire a tutti per riflettere sull’importanza e il ruolo del Maestro, che non è solo un termine che designa una professione, ma un termine che dovrebbe designare una missione, perché Maestro è colui che apre la porta dei bambini al mondo, che li introduce al sapere, tramite una formazione dell’intera persona.

Avvertire l’entusiasmo del coinvolgimento, la consapevolezza che spesso i bambini ti guardano per scrutare il tuo comportamento e tu non puoi tradirli perché faresti del male a te stesso e a loro; comprendere che anche una parola fuori posto può ferire un alunno ed aver coscienza del fatto che nelle gioie e nelle fatiche di ogni giorno di scuola si realizza un incontro tra anime: questi sono i nostri delicati ed autorevoli compiti. Rappresentiamo dei modelli di riferimento e non dobbiamo mai dimenticarlo: è questa la grandezza del nostro ruolo e l’impegno che ci deve animare è quello di cercare di migliorare sempre noi stessi per rendere migliori i nostri alunni.

(Tratto da L’importanza di chiamarsi “maestro”, di Aida Dattola, di cui consiglio la lettura integrale alla pagina:
http://www.educare.it/Scuola/vivere_scuola/importanza_chiamrsi_maestro.htm)

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Ringraziamenti
Un ringraziamento particolare ai miei genitori che mi sono stati vicini durante tutto il periodo del nostro travagliato inizio scolastico e del successivo cambio di scuola, e alle due insegnanti non prevalenti che, nel loro piccolo, hanno cercato di aiutare mio figlio e me prima che decidessimo di tagliare definitivamente i ponti con quella scuola.
In particolare un ringraziamento all’insegnante di Religione, di cui non dimenticherò mai le parole quando mi ha detto che “un bambino come [mio figlio] è una grande risorsa per ogni classe”, non può immaginare in quel momento di sbando come mi ha fatto bene sentirle dire una cosa del genere.

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