di Reno Bromuro
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«Una notte di giugno
Caddi come una lucciola
Sotto un pino solitario
In una campagna d'olivi saraceni
Affacciata agli orli
D'un altopiano
D'argilla azzurre
Sul mare africano»
«come un demonietto che
smonta il congegno delle immagini,
del fantoccio messo su dal sentimento;
lo smonta per vedere come è fatto;
scarica la molla, e tutto il congegno ne stride convulso…»
Luigi
Pirandello nacque il 28 giugno 1867 nella campagna chiamata «Il
Caos» presso Girgenti, l'attuale
Agrigento. Il padre, che aveva militato con
Garibaldi, possedeva alcune miniere di zolfo. La madre apparteneva ad
una famiglia di tradizioni liberali e antiborboniche.
Dopo aver concluso gli studi classici, s’iscrive alla Facoltà
di Legge all’Università di Palermo
e contemporaneamente a quella di Lettere. Gli studi letterari li prosegue
all’Università di Roma, e successivamente
a Bonn, dove nel 1881 si laurea.
Tredici anni dopo sposa Maria Antonietta Portulano e
nel 1897 si trasferisce definitivamente a Roma, dove insegna per quindici
anni stilistica presso l'Istituto Superiore di Magistero.
Pubblica il romanzo «L'esclusa»,
nel 1901; questa pubblicazione dà inizio ad una vasta produzione
in prosa. Seguono, Il fu Mattia Pascal, I
vecchi e i giovani, Novelle per un anno,
in cui raccoglie duecentoventicinque novelle, seguite nel 1926 da Uno,
nessuno e centomila. L'allagamento della zolfara familiare
di Girgenti, avvenuta nel 1903, priva Pirandello di tutto il suo patrimonio
e lo pone in gravi difficoltà finanziarie. La moglie, di carattere
ipersensibile e delicato, manifesta i primi sintomi di una grave e incurabile
malattia mentale. Cinque anni dopo pubblica L'umorismo,
saggio fondamentale per avvicinarsi alla sua opera. Sei personaggi in
cerca di autore, dramma con il quale innova la tradizione drammaturgica
e riscuote, dopo un primo insuccesso, fama internazionale, lo pubblica
nel 1921. Da questo momento Luigi entra nel mondo del teatro con impegno
crescente.
Nel
1926 fonda a Roma, insieme al figlio Stefano, Orio
Vergani e Massimo Bontempelli il Teatro
d'arte, nel quale debutterà Marta Abba,
giovanissima interprete che diverrà musa ispiratrice di alcune
commedie, scritte per lei, di cui risulta anche come coautrice, con la
quale stabilirà un rapporto d'affetti che durerà per tutta
la vita.
Nel 1934 riceve il premio Nobel.
Muore a Roma il 10 dicembre 1936, lasciando
incompiuto I giganti della montagna pubblicato
postumo, nel 1937, ultimo e più elevato dramma di un trittico di
moderni miti, dedicato all'Arte, nato faticosamente, giudicato variamente,
ma sostenuto da una prodiga fantasia, ormai ben lontana dalle matrici
borghesi, che Il premio Nobel, ha precedentemente consacrato la sua fama
ormai diffusa in ogni parte del mondo.
Le sue ceneri sono tumulate in una roccia nella tenuta del Caos nella
quale era nato 68 anni prima, con funerali strettamente privati, come
aveva scritto nelle sue ultime volontà.
Il fu Mattia Pascal è il romanzo che si può considerare il più famoso. Parla di un uomo che, creduto morto, vorrebbe dimenticare la sua vita passata e ricominciare una nuova lontano dal suo paese; però, essendo creduto da tutti morto non è considerato un cittadino e quindi non riesce a vivere, perché non può neanche sposarsi con la donna che ama. Quando, alla fine, ritorna al paese e vorrebbe dire a tutti che è vivo, trova sua moglie sposata e lui continua ad essere il Fu Mattia Pascal, perché tutta la società lo rifiuta. A questo punto anche lui va a mettere un fiore sulla sua tomba.
NOTTE
«Una
notte di giugno
caddi come una lucciola
sotto un gran pino solitario
in una campagna d'olivi saraceni
affacciata agli orli d'un altipiano
di argille azzurre sul mare africano...
Per uno spavento che s'era preso
a causa di questa grande morìa,
mia madre mi metteva al mondo
prima del tempo previsto,
in quella solitaria campagna
lontana dove si era rifugiata.
Un mio zio andava
con un lanternino in mano
per quella campagna
in cerca d'una contadina
che aiutasse mia madre
a mettermi al mondo...
Raccattata dalla campagna
la mia nascita fu segnata
nei registri della piccola città
situata sul colle...
confesso che di tutte queste cose
non mi sono fatta ancora
né certo saprò farmi mai un'idea»
In questo romanzo Pirandello vuole farci capire che se
uno vuole vivere non può sperare in una vita diversa e deve accettare
quella che vive. Ma vediamo come invia questo messaggio, analizzando per
quanto ci è possibile l’opera, attraverso la presentazione
dei singoli personaggi, giacché per molti anni «NOTTE»
è stata considerata una lirica e non il pensiero di Mattia quando
vede la sua esistenza ormai «vagabonda», analizzando il carattere
dei personaggi e l’ambiente in cui agiscono, esaminando a uno a
uno, i principali:
Mattia inizia la sua narrazione a partire dall'età di quattro anni
e mezzo, quando per una febbre perde il padre in un viaggio di lavoro.
L'ambiente ricorda il verismo
di Verga, in
particolare la narrativa e le situazioni sono molto vicino alla novella
La roba. Ma per Pirandello si tratta di un punto
di partenza, poiché non appare alcuna fierezza né per i
possedimenti né per gli agi. I personaggi, poi sono più
siciliani che liguri e nascono da parenti insulari, ma con qualche tic
che li strania fino a rasentare la caricatura.
Mattia che si giustifica:
«ma doveva esser la mia faccia placida e stizzosa
e quei grossi occhiali rotondi che mi avevano imposto per raddrizzarmi
un occhio, il quale, non so perché, tendeva a guardare per conto
suo, altrove. Erano per me, quegli occhiali, un vero martirio. A un certo
punto, li buttai via e lasciai libero l'occhio di guardare dove gli piacesse
meglio. Tanto, se dritto, quest'occhio non m'avrebbe fatto bello. Ero
pieno di salute, e mi bastava. A diciott'anni m'invase la faccia un barbone
rossastro e ricciuto, a scàpito del naso piuttosto piccolo, che
si trovò come sperduto tra esso e la fronte spaziosa e grave. Intravidi
da quel primo scempio qual mostro fra breve sarebbe scappato fuori dalla
necessaria e radicale alterazione dei connotati di Mattia Pascal! Ed ecco
una nuova ragione d'odio per lui! Il mento piccolissimo, puntato e rientrato,
ch'egli aveva nascosto per tanti e tanti anni sotto quel barbone, mi parve
un tradimento. Ora avrei dovuto portarlo scoperto, quel cosino ridicolo!
E che naso mi aveva lasciato in eredità! E quell'occhio!»
"Ah, quest'occhio," pensai, "così in estasi da un
lato, rimarrà sempre suo nella mia nuova faccia! ..."»
«La
Madre, santa donna! D'indole schiva e placidissima, ha scarsa esperienza
della vita e degli uomini! A sentirla parlare, pare una bambina. Parla
con accento nasale e ride anche col naso, come si vergognasse di ridere,
stringe le labbra. Gracilissima di complessione, è, dopo la morte
del marito, sempre malferma in salute; ma non si lagna mai dei suoi mali,
né credo se ne infastidisse neppure con se stessa, accettandoli,
rassegnata, come una conseguenza naturale della sua sciagura. Forse si
aspetta di morire anch'essa, dal cordoglio, e deve dunque ringraziare
Iddio che la tiene in vita, pur così tribolata.
Gerolamo Pomino, omino dagli occhietti ceruli mansueti. Io non so come
sarebbero andati gli affari della famiglia, se la madre, non certo per
sé ma per l’avvenire dei suoi figli, avesse seguìto
il consiglio della zia Scolastica e sposato il signor Pomino.
La tragedia di Pirandello, che fa vedere nelle sue opere, è nel
- vedersi vivere -, cioè i personaggi sono come se uscissero da
se stessi per vedersi dal di fuori come se fossero altri e per vedere
il contrasto tra la vera realtà, la vera vita e la maschera (falsità)
che mettiamo per vivere in società. Secondo lui, il mondo è
basato su di un contrasto tra la vita, che è un continuo movimento
e cambiamento, e la forma che è una specie di sistema sociale,
di legge esterna, in cui l'uomo cerca di fermare e di fissare la vita;
per questo l'uomo è prigioniero di queste forme, di questi schemi
sociali in cui si rinchiude o da se stesso o per opera della società.
A volte può succedere che qualcuno voglia abbattere queste forme
e cercare la vera vita e accorgendosi di non poter cominciare a comunicare
con gli altri si sente solo e così secondo Pirandello, l'uomo,
quando si accorge di questi contrasti non ha altra via di uscita che il
delitto o il suicidio, oppure fingersi pazzo ed esprimere liberamente
le sue idee o ancora accettare tutto rassegnato.
La poetica è nelle idee sull'umorismo quando dice che il poeta
deve anche essere critico e anche quando si abbandona al sentimento c'è
sempre in lui come un demonietto maligno che analizza continuamente tutto:
quindi il poeta, così inteso, è il solo che può studiare
a fondo l'uomo e la vita sociale, la quale è un insieme complicato
di verità e di menzogna, per cui quando si dice che la vita è
chiara, razionale e semplice è una menzogna. Allora per salvare
l'individuo bisogna portare la verità nella società. Nella
sua poetica c'è un concetto di arte diversa da quella tradizionale,
che ci ha dato una rappresentazione chiara e ordinata della vita».
L'arte nuova deve parlare dell'uomo con
tutte le sue contraddizioni, che prova sentimenti sempre diversi da un
momento all'altro e deve cercare, di rappresentare la vita, priva di menzogne,
così come è nella più profonda realtà e farci
capire che l'animo umano è pieno di pensieri strani, al punto che
non si ha il coraggio di confessare a se stessi.
L'opera d'arte deve rappresentare la vita reale così come è,
piena di casi particolari. Infatti, all'inizio la sua opera sembra verista,
appunto perché si ferma a descrivere in modo preciso gli aspetti
della vita dell'uomo. Perciò il suo verismo iniziale è sempre
grottesco e non vuole rappresentare la realtà in modo oggettivo
come i veristi, o come i naturalisti e neppure con la partecipazione morale
del verismo del Verga, ma vuole abbattere e scoprire tutte le falsità
della realtà. Questi concetti sono espressi principalmente e si
sviluppano nei dramma «Enrico IV»
e «Sei personaggi in cerca di autore».
L'umorismo è il processo della
rappresentazione della realtà, delle vicende e dei personaggi;
durante la concezione e l'esecuzione dell'opera la riflessione non è
un elemento secondario, ma un ruolo di notevole importanza, perché
è solo attraverso lei che possiamo capire la vicenda che si svolge
sotto i nostri occhi.
La riflessione è «come un demonietto che smonta il congegno
delle immagini, del fantoccio messo su dal sentimento; lo smonta per vedere
come è fatto; scarica la molla, e tutto il congegno ne stride convulso»,
come stridono i personaggi sotto l'occhio acuto dello scrittore; ed è
sempre attraverso la riflessione che i vari elementi della struttura dell'opera
sono coordinati, accostati e composti, sfuggendo al caos delle sensazioni
e dei sentimenti.
Bisogna tener presente che Pirandello, nell'umorismo, distingue un aspetto
comico che deriva dall'avvertimento del contrario e un aspetto
umoristico o drammatico che deriva dal sentimento del contrario;
il primo è fuori dell'uomo ed è visibile, per cui tutti
sono capaci di coglierlo; il secondo, invece, è all’interno
dell'uomo, ma non può essere colto se non attraverso la riflessione,
che riassume tutto nello schema dell'umorismo.
Per analizzare l'opera di Pirandello è importante capire il concetto
di umorismo, perché questo diventa lo strumento con cui rappresentare,
nella narrativa, o il teatro con le vicende dei personaggi. Per una maggiore
chiarezza, sarebbe bene servirsi delle stesse parole che Pirandello usa
nel Saggio sull'umorismo del 1908.
Noi, invece, per capirla, ci soffermiamo sul fondamento stesso della vita
sociale della prima metà del Novecento; occorre, quindi, ribaltare
il «concetto di normalità-anormalità, nel quale la
normalità pirandelliana non è solo il banale rifiuto della
norma, ma il suo superamento, che ha come obiettivo i grandi valori umani,
che sono i veri bisogni da soddisfare. Il personaggio, come Enrico
IV o Ciampa, Belluca o Chiàrchiaro,
nella sua ribellione contro le regole rifiuta la realtà imposta
dalle norme,perché in essa ogni possibilità di vita si cristallizza
nella forma. L'impossibilità di trovare una parola che abbia per
tutti il medesimo significato insieme a una realtà che sia valida
e uguale per tutti, senza possibilità di incomprensioni presenti
o future con il sopraggiungere della riflessione, crea una situazione
di solitudine e di incomunicabilità per cui ogni personaggio è
irrimediabilmente solo: la parola, diventa priva di significato universale,
perché ognuno le dà il suo significato».
Se con Pirandello, la nostra letteratura assurge a un livello mondiale,
le ragioni sono:
La concezione dell'arte, nella quale ha tanta parte l'appello alla ragione,
la distruzione dell'illusione scenica tradizionale, la concezione del
teatro come dibattito e scontro di contrastanti interpretazioni del reale,
che hanno molti punti in comune con quanto, proprio in quegli anni, stava
tentando di fare Brecht. Uno dei filoni più importanti
del teatro contemporaneo, ossia il teatro della incomunicabilità,
da Jonesco a Beckett, presuppone senz'altro
la lezione di Pirandello.
Agrigento
dista centonovantanove chilometri da Catania,
centosette da Enna, duecentonovantacinque da
Messina, centotrentanove da Palermo,
centotrentasei da Ragusa, duecentodiciassette
da Siracusa, centottantadue da Trapani.
Sorge in una zona collinare litoranea, posta a duecentotrenta metri sopra
il livello del mare. Il municipio è sito in via Luigi Pirandello
n. 1.
E’ la terra del Mandorlo in Fiore, una delle più
caratteristiche cittadine agricole della Sicilia proprio per la mescolanza
di splendidi mandorleti fioriti in primavera e vaste aree adibite a colture
cerearicole nel periodo estivo. Non mancano le coltivazioni di vasti agrumeti
ed oliveti che spiccano in tutta la produzione locale e sono alla base
dell'economia dell’Isola.
L'antica città Akragas, poi detta dai
Latini Agrigentum, è stata fondata dai
Dori intorno al 581 a. C. nella pianura dove oggi si
trovano i resti degli antichi templi dorici e nota nel mondo come «Valle
dei Templi».
La città ha combattuto nel 406 a. C. contro i Cartaginesi,
e poi insieme a questi si scontra contro Siracusa.
Si allea con Cartagine contro Roma, e per tre
volte è devastata e distrutta, e definitivamente sottomessa dai
Romani nel 210 a. C.
Nell'Ottavo secolo è occupata dagli Arabi, che
sono cacciati dai Normanni nel 1089.
Agrigento è universalmente famosa per il complesso monumentale
della «Valle dei Templi» (l’ho già accennato).
Intorno alla valle si ergono solenni e imponenti i meravigliosi templi,
che testimoniano l'antico splendore che la città raggiunse prima
delle conquiste romane.
I Templi che presentano lo stile dorico sono: il «Tempio della Concordia»
del 430 a. C. uno tra i templi greci meglio conservati e dedicato ai Dioscuri,
il «Tempio di Giunone Lacinia» che risale al 450 a. C., il
«Tempio di Giove Olimpico», oggi diroccato per i terremoti
e inoltre uno dei più grandi monumenti dell'antichità, il
«Tempio di Vulcano» del 450 a. C. e il «Tempio di Castore
e Polluce» dello stesso periodo.
IL TEMPIO DI GIUNONE è posto nella
parte più alta della storica città greca, il tempio è
costruito, intorno alla metà del Quinto a. C. Ha la forma esastile,
cioè sei colonne in larghezza, e periptero, cioè tredici
in lunghezza. Presso questo tempio gli antichi Greci sovente celebrano
i matrimoni alla conclusione di un particolare rito che vede protagonista
un'agnella. Infatti, prima che il matrimonio sia celebrato, gli sposi
portano in offerta un'agnella alla dea. L'agnella è bagnata con
acqua fredda: se trema, il matrimonio non sarà felice e quindi
non sarà celebrato. Col trascorrere degli anni, gli sposi si recano,
in segno di riconoscenza al tempio, anche per donare la cintura della
sposa che a causa della gravidanza, è diventata troppo stretta.
Inoltre, nella parte più ad est del tempio, c'è un altare
che è utilizzato per i sacrifici in onore della dea Era.
Al suo interno c’è una statua che raffigura Giunone alla
quale si rivolgono gli sposi e le donne sposate e tradite, anche per condividere
il loro destino. Il suo pavimento in origine è in marmo bianco,
ma durante la dominazione romana, sono sostituiti. Oggi è possibile
notare delle arrossature sulle strutture, causate da un incendio.
IL
TEMPIO DELLA CONCORDIA, il cui nome è un richiamo ad una
iscrizione latina che fa riferimento alla Concordia degli Agrigentini
si erge Lungo la Via Sacra. Eretto, come ho anticipato, nel Quinto secolo
a. C. è oggi quello meglio conservato grazie al fatto che nel Sesto
secolo d. C. è stato adattato e trasformato in chiesa cristiana
dedicata ai Santi Pietro e Paolo. Il basamento segue l'inclinarsi della
collina. In origine le pareti del tempio,le sue colonne e le scale sono
dipinte di bianco e i capitelli e i frontoni variopinti. Il tetto è
di marmo e le grondaie sporgono con teste di leone.
L'ingresso principale è quello presente sul lato est perché
gli antichi greci pensano che il tempio debba guardare dove sorge il sole,
che rappresenta la vita e non ad ovest, segno di buio e tenebre e sede
dell'Ade. Anche questo tempio, come tutti gli altri, è in stile
dorico. Le sue colonne sono alte sei metri e trentadue centimetri ciascuna.
Oggi il Tempio della Concordia è uno dei simboli di questa Valle.
La vista del tempio illuminato con il tramonto sullo sfondo è uno
spettacolo unico al mondo.
IL TEMPIO DI ERCOLE è il più antico tra i templi agrigentini. Risale presumibilmente al Sesto secolo a. C. di lui ne parla Cicerone che lo descrive molto vicino all’agorà. Dove oggi, nella grande piazza, si trova un posto di ristoro. Ercole è molto venerato dagli akragantini tanto che questi sono soliti dedicargli anche delle feste Eraclee. Al suo interno vi è una statua di bronzo raffigurante Ercole, venerato come eroe nazionale, il cui mento è divenuto lucido perché continuamente baciato dai fedeli. Il tempio è stato distrutto, come molti altri, a causa di un terremoto e solo nel 1920 si è provveduto ad innalzare le otto colonne che oggi si possono ammirare.
IL TEMPIO DI GIOVE OLIMPICO: Secondo Diodoro
Siculo, la costruzione del Tempio, è stata iniziata dopo la battaglia
di Imera, intorno al quattrocentottanta a. C. ma non è stata mai
portata a termine. E’ stato il tempio più grande mai costruito
dai greci. Il suo basamento misura 113,45 metri per 56,30 metri. Le colonne
sono alte circa 18 metri e, a circa 11 metri di altezza,sono presenti
i giganti,chiamati Telamoni o Atlanti, che danno l’impressione di
reggere l’intero peso dell’architrave così come Atlante
è stato condannato da Zeus a reggere il mondo per aver aiutato
i Titani.
Oggi rimangono pochi ruderi. Alcuni massi del tempio sono stati utilizzati,
ai tempi di Carlo III di Borbone, per costruire il molo del porto di Porto
Empedocle.
Nel Museo Archeologico di San Nicola è conservato un Telamone fedelmente
ricostruito da Raffaello Politi, oltre ad alcune teste di altri giganti
e alla riproduzione completa del tempio.
IL
TEMPIO DEI DIOSCURI risale al Quarto secolo a. C., è divenuto
il simbolo turistico di Agrigento. Gli agrigentini sono soliti chiamarlo
le tre colonne anche se ne possiede quattro. Effettivamente una prima
ricostruzione iniziata nel secolo scorso ha portato ad innalzare tre colonne,
mentre la quarta è stata rialzata più tardi. Sebbene fosse
un piccolo tempio, è uno dei più immortalati da turisti.
Castore e Polluce sono due gemelli nati dall’unione di Leda, regina
di Sparta, con Giove. Castore è mortale mentre Polluce immortale.
La leggenda vuole che quando Castore muore, Polluce chiede al padre di
renderlo mortale per riunirsi al fratello.
Zeus lo esaudisce e fa in modo che i due tornino alla vita alternativamente,un
giorno ciascuno. Sono stati posti nella costellazione dei Gemelli dove,
quando una stella muore, ne nasce un’altra.
Del TEMPIO DI VULCANO, che risale al Quinto secolo a. C. rimane ben poco.Si tratta di una costruzione imponente di trentaquattro colonne, nelle cui fondamenta sono stati rinvenuti resti di un tempietto arcaico di cui sono conservate alcune parti della decorazione del tetto.
IL TEMPIO DI ESCULAPIO è stato costruito fuori dalle antiche mura della città. E’ stato luogo di pellegrinaggio dei numerosi malati che vanno al tempio per chiedere di essere guariti. Le pareti sono ricoperte da ex voto che sono lasciati dai malati che ricevono la grazia della guarigione. All’interno del tempio si trovava una statua in bronzo raffigurante il dio Esculapio, trafugata, poi, da Verre.
LA TOMBA DI TERONE: Una costruzione che è indicata come la Tomba di Terone, il tiranno che ha governato Akragas per sedici anni, dal 488 a. C. al 472 a. C. si erge in prossimità della Porta Aurea. Gli studi che si sono succeduti su questa costruzione hanno rivelato che potrebbe trattarsi di un mausoleo costruito dai Romani in memoria degli oltre trentamila caduti durante l’assedio di Agrigento del 262 a. C., oppure di un mausoleo costruito nel secondo o nel terzo secolo dopo Cristo la cui forma ricorda quella di altri mausolei africani.
IL QUARTIERE ELLENISTICO ROMANO: La parte storica della città, cui il disegno urbano della seconda metà del Sesto secolo a. C., quando la città si estendeva dalla Rupe Atenea fin sotto la collina dei Templi, è la parte di Agrigento più antica. Lo schema urbano è rimasto inalterato nei secoli successivi ed ha contraddistinto la città ellenistico romana della quale oggi sono conservate alcune abitazioni che risalgono al Secondo secolo a. C. In particolare la Casa del Peristilio, che all’origine è formato da un peristilio ellenistico con una vasca centrale, è stato successivamente ampliata in epoca romano-imperiale fino a comprendere una casa contigua con atrio di tipo italico e della quale sono ancora ben visibili splendidi pavimenti a mosaico. La città ellenistico-romana ricalca molto gli stenopoi greci con una serie di isolati molto allungati dell'ampiezza di trentacinque metri ciascuno.
MUSEO ARCHEOLOGICO: Vi ho narrato, una
settimana in Sicilia, nel 1974, quando dovetti recarmi a Siracusa perché
membro di giuria del Premio «Il verso d’oro», ma il
mio ricordo non può fermarsi alla «Valle dei Templi»,
perché ben altre cose accaddero in quella settimana, in special
modo la conferenza «Il Racket dell’Arte e il valore umano
della Poesia» di cui oggi mi rimane solo una copia dell’antologia
delle poesie di tutti i partecipanti. Il ricordo, dicevo, non può
fermarsi perché la parte più esaltante sotto l’aspetto
emozionale è stata la visita al Museo Archeologico di Agrigento,
inaugurato nel giugno del 1967 ed è oggi uno dei luoghi più
visitati dai turisti che invadono la Valle dei Templi in tutti i mesi
dell'anno. Il Museo conserva interamente reperti frutto di scavi eseguiti
dalla Soprintendenza dei Beni Culturali dal dopoguerra ad oggi.
E'
situato a pochi decine di metri dal quartiere ellenistico-romano e a qualche
centinaio di metri dalla via sacra dove si ergono i meravigliosi templi
dorici. E' suddiviso in due settori: nel primo, che comprende Undici sale,sono
conservati reperti rinvenuti all'interno dell'area della città;
nel secondo, che occupa le altre Sei sale, si conservano i reperti rinvenuti
fuori dalla città capoluogo.
Non è difficile rimanere incantati dalle meraviglie esposte: reperti
che testimoniano i diversi passaggi della storia delle civiltà
che sono fiorite sull’area. In una delle sale del Museo si può
ammirare uno splendido Telamone originale, il celeberrimo gigante che
serviva da supporto al maestoso tempio di Giove Olimpico; statuette, urne
funerarie, monete d’oro uniche al mondo, monili, ricostruzioni di
piante antiche, utensili di vita quotidiana e armi.
Adiacente alla museo sorge l'Ekklesiasterion,che risale al Quarto secolo
a. C., presso il quale i cittadini sono soliti riunirsi per discutere
i problemi della città e dello Stato. Dall'orchestra, area circolare
piatta, che si trova al centro, l'oratore di turno parla all'uditorio.
L'Ekklesiasterion accoglie oltre duemila cittadini che prendono posto
tra le venti file di gradoni orizzontali, divise verticalmente in cinque
cunei. E’ anche il luogo dei sacrifici a Zeus che sono offerti prima
dell'apertura di ogni sessione.
LA SAGRA DEL MANDORLO IN FIORE: Ci
sono ritornato nel 1992, inviato dal settimanale in cui svolgevo mansioni
di Capo Redattore, per vedere, questa festa che si svolge ogni anno, tra
la prima e la seconda domenica di febbraio, Agrigento si pone al centro
del mondo con la Sagra del Mandorlo in Fiore e l'annesso Festival Internazionale
del Folklore.
Miti e tradizioni popolari si fondono in una grande manifestazione dove
tutti i popoli della terra si uniscono simbolicamente, in nome della pace,
per festeggiare l'arrivo anticipato della primavera che si manifesta,
cosa più unica che rara, nel magico sbocciare dei fiori di mandorlo
che rendono la Valle dei Templi di una suggestione unica. Partita come
Sagra tipicamente paesana, quella del Mandorlo in Fiore ha subito negli
anni diverse evoluzioni che l’hanno arricchita fino ad arrivare
anche alla organizzazione di importanti eventi musicali nello scenario
naturale della Valle dei Templi. Migliaia di turisti ogni anno si riversano
ad Agrigento per assistere alle varie manifestazioni e all'assegnazione
del Tempio d'Oro, premio che va al miglior gruppo folcloristico. Ricordo
anche l'accensione del tripode dell'amicizia e la fiaccolata della pace
a cui partecipano tutti gli esponenti dei gruppi folclorici arrivati da
ogni parte del mondo. Quest’anno dal 30 gennaio all’8 febbraio
si è svolta la Cinquantanovesima «Sagra del Mandorlo».
MOSTRA D’ARTE CONTEMPORANEA: Non
potevo ritornare al giornale senza aver visitato il Museo dove è
in esposizione permanente l’Arte contemporanea. Vi narro brevemente
come è nata e da chi l’idea di una Mostra Permanente dell’Arte
Contemporanea.
Giuseppe Sinatra, nel 1892 scopre la pittura di Francesco Lojacono, in
occasione della Esposizione Nazionale di Palermo, cui il pittore già
famoso partecipa con successo. Da allora la circostanza di conoscere personalmente
il Maestro e di avviare con lui la formazione della raccolta si concretizzerà
nel 1905.
Negli anni tra fine Otto e primi Novecento la famiglia Sinatra, originaria
di Caltagirone, ha consolidato ad Agrigento la propria posizione con un'attività
commerciale nella piazzetta di Via Atenea.
I fratelli Francesco e Giuseppe si dedicano alla ditta, organizzata sul
modello di una moderna azienda e parallelamente ognuno di loro coltiva
le proprie inclinazioni.
Francesco, nominato su indicazione del Senatore Paolo Orsi, Ispettore
Onorario della Soprintendenza alle Antichità, collabora con l'archeologo
Pirro Marconi e il mecenate inglese Alexander Hardcastle, alla sistemazione
e valorizzazione della zona archeologica. Giuseppe, schivo e defilato
dalla vita pubblica, matura negli anni una grande sensibilità per
il paesaggio e le vedute agrigentine, dedicandosi anche alla fotografia
per riprendere le immagini più suggestive della Valle dei Templi.
Trascorre le ore del proprio tempo libero nella casina di famiglia posta
tra il Tempio della Concordia e il Tempio di Giunone.
In quel luogo privilegiato trae ispirazione per le sue foto e anche gli
spunti pittorici da suggerire al Lojacono e dopo di lui agli altri pittori,
Camarda, De Francisco, De Maria, Mirabella, che ricevono ospitalità
nella casina, divenuta luogo di sosta obbligato e punto di incontro nelle
passeggiate archeologiche. Il sodalizio con il Lojacono, dura circa un
decennio, fino alla morte del pittore nel 1915, porta Sinatra ad acquisire
numerosi dipinti del Maestro che trovano sistemazione nella casina a valle
e nell'abitazione paterna di Via Atenea, dove gli è agevole recarsi
nelle brevi pause di lavoro, per contemplare le opere.
Francesco,che in qualità di Ispettore ai Monumenti ha voluto la
riapertura del Museo. L'intera collezione, assieme alle altre raccolte
del Museo Civico, è ceduta con la convenzione del 1955 allo Stato.
La raccolta Sinatra, mai prima d'ora studiata integralmente, consente
di accostarsi alle opere in modo problematico, inoltrandosi fino all'ultimo
dipinto eseguito dal Maestro, per scoprire un percorso artistico spesso
inedito. Questo percorso rivela un Lojacono tutt'altro che insensibile
al nuovo,cui è sempre aggiornato, sperimentatore non occasionale,
saldamente ancorato alla tradizione, ma nello stesso tempo in grado di
superarla, per ritornarvi con piena consapevolezza.
Il percorso culturale si dispiega lungo le pareti laterali dello spazio
espositivo, intrecciandosi con la progressione cronologica dei pochissimi
dipinti di cui si conosce la data. Dalla lunga sequenza sono state estratte
alcune opere che, divise in due gruppi con le etichette di repliche e
bozzetti, si presentano isolate al centro della sala. L'intento è
di dare una maggiore preminenza, di carattere qualitativo e documentario.
Le une, le repliche, forniscono le reinterpretazioni in chiave più
emotiva e immediata di dipinti di successo, gli altri, i bozzetti, si
impongono per la loro assoluta novità e vigore insospettati.
Nella sala successiva seguono i dipinti che si sono aggiunti alla raccolta
dopo il 1915, anno di morte di Francesco Lojacono. Sinatra ha voluto continuare
nel suo intento collezionistico, mantenendo fede ai valori estetici consolidati
durante il sodalizio con il Lojacono. La selezione privilegia quindi gli
allievi del Maestro e quanti hanno posto al centro della propria ispirazione
la natura ed il paesaggio siciliano.
Bibliografia
B. Croce, in La letteratura della Nuova Italia, VI, Bari,
1940; A. Di Pietro, Saggio su Pirandello, Milano, 1941; L. Russo, Il noviziato
letterario di Pirandello, Pisa, 1947; A. Janner, Luigi Pirandello, Firenze,
1948; L. Sciascia, Pirandello e il pirandellismo, Palermo, 1953; G. Daumur,
Pirandello, Parigi, 1955; J. Chaix-Ruy, Pirandello, Parigi, 1957; G. B.
Angioletti, Pirandello narratore e drammaturgo, Torino, 1958; G. Calendoli,
Luigi Pirandello, Roma, 1962; G. Munafò, Conoscere Pirandello,
Firenze, 1968; M. Apollonio, Attualità di Pirandello, Roma, 1969;
L. Lugnani, Pirandello. Letteratura e teatro, Firenze, 1970; F. T. Roffaré,
L'essenzialità problematica e dialettica del teatro di Pirandello,
Firenze, 1975; G. Borsellino, Ritratto e immagini di Pirandello, Bari,
1991.
Per la Valle dei Templi: Scuola paterna:La Valle dei Templi,Soprintendenza
Museo Archeologico, Casa natale di Luigi Pirandello, Biblioteca Museo
Luigi Pirandello, Museo Archeologico della Badi.
Reno Bromuro è nato a Paduli, in Campania, nel 1937. E' stato un poeta, scrittore, attore e regista teatrale. Nel 1957, a Napoli, ha fondato il Centro Sperimentale per un Teatro neorealista. Ha fondato nel 1973 (di fatto) l'A.I.A. Associazione Internazionale Artisti "Poesie della Vita", e, come critico letterario, ha recensito molti poeti italiani e stranieri. Si è spento nel 2009, qualche anno dopo averci dato l'opportunità di collaborare con lui. Noi di Letteratour lo ricordiamo con affetto qui.
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