Carlo Levi
Cristo si è fermato a Eboli (1943-44)
di Eloise Lonobile
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Dalle ringhiere del balcone pendevano
e dondolavano pigre al vento le trecce di fichi, nere di mosche
che correvano a sorbirne gli ultimi umori, prima che la vampa del
sole li avesse tutti succhiati. Davanti all'uscio, sulla strada,
sotto agli stendardi neri seccavano al sole, su tavole dai bordi
sporgenti, liquide distese color del sangue di conserva di pomodoro.
Sciami di mosche passeggiavano a piede asciutto sulle parti già
solidificate, innumerevoli come il popolo di Mosè; altri
sciami precipitavano e s'impegolavano nelle zone bagnate di quel
Mar Rosso, e vi annegavano come eserciti di Faraone, impazienti
di preda. Il grande silenzio della campagna pesava nella cucina,
e il mormorìo continuato delle mosche segnava il passare
delle ore, come la musica senza fine del tempo vuoto. Ma, a un tratto,
dalla chiesa vicina, cominciava a suonare la campana, per qualche
santo ignoto, o per qualche funzione deserta, e il suono riempiva
lamentoso la stanza.
Analisi testuale
Titolo:
Il titolo del romanzo è particolare.
Definisce un soggetto che compie un'azione in un dato luogo geografico.
Il soggetto è Cristo, cioè Gesù: ci si riallaccia
alla tradizione cristiana; l'azione è quella di fermarsi:
più che un'azione vera e propria è il terminare un'azione,
interromperla; il luogo è Eboli, una città italiana
del Meridione. Cristo, per definizione, è il portatore della
buona novella. La sua vita è stata un viaggio intrapreso
per portare un messaggio di pace e amore a tutti gli uomini. Ma,
come dice l'espressione del titolo, egli sembra non essere andato
oltre Eboli, ed essersi quindi dimenticato, o essere stato impossibilitato,
a procedere il suo viaggio.
Struttura narrativa:
Il paragrafo è di tipo descrittivo.
La narrazione si svolge alla terza persona. Il narratore si trova
collocato nell'interno di un'abitazione, e guarda sull'esterno da
un balcone. Lo sguardo si sposta da ciò che è più
vicino a ciò che si trova più lontano: si va dalle
ringhiere del balcone, per passare davanti all'uscio, sulla strada,
e finire sulla campagna.
Campi
semantici:
- Colori: le trecce di fichi
nere di mosche; gli stendardi neri; la conserva
di pomodoro color del sangue; il Mar Rosso. Due sono i colori
dominanti: il nero e il rosso, due colori forti e in contrasto,
sia cromaticamente che dal punto di vista del significato. Il
nero, da sempre, connota valori negativi nella nostra cultura:
è associato alle tenebre, al freddo, alla morte, al lutto
e a "la passività assoluta, lo stato di morte completa
e senza mutamenti" (dal Dizionario dei simboli, Biblioteca
Universale Rizzoli). Il rosso è il colore del sangue, del
fuoco, della vita, del calore, della passione e della forza impulsiva
e attiva; ma, quasi paradossalmente, il rosso è anche associato
alla morte, perché può simboleggiare il sangue sparso.
- Rumori: vi è il grande
silenzio della campagna, interrotto, o piuttosto accompagnato,
solo dal mormorio continuato delle mosche; poi, nell'ultimo
periodo, comicia a battere una campana dalla chiesa vicina.
Il silenzio della campagna è tanto più profondo
(pesante, si dice nel testo) in quanto accompagnato dal
brusio ininterrotto dello sciame di mosche, che ne accentua l'intensità,
come fosse una musica senza fine del tempo vuoto. Persino la campana
che batte non riesce che a produrre un suono lamentoso.
- La calura estiva: si parla della
vampa del sole, di chiazze di sangue che seccavano
al sole, dei piedi asciutti delle mosche e delle
parti già solidificate (per il caldo) del sangue.
Ma l'impressione di forte calura è accentuato anche dal
resto della descrizione: a partire dal lento dondolare
delle trecce di fichi (pigre per troppa fiacchezza), alla presenza
delle innumerevoli mosche, fino al paesaggio stanco
e pesante dell'intera campagna.
- L'assenza di vita, di movimento:
nessun personaggio anima la presente descrizione, oltre al narratore,
la cui figura del resto non appare. Gli unici movimenti, oltre
a quelli delle mosche, sono tutti lenti, pesanti, pigri. Il tempo
sembra scorrere per nessuno (infatti è un tempo vuoto),
la campana sembra battere per nessuno (per qualche santo ignoto,
o per qualche funzione deserta).
- I rimandi biblici: nel titolo
si parla del Cristo, e nel testo del popolo di Mosè, del
Mar Rosso e degli eserciti di Faraone.
Osservazioni conclusive:
- Per i particolari campi semantici evocati, tutta
la descrizione di questo brano potrebbe benissimo essere la trascrizione
di un quadro raffigurante una Natura morta. L'ambiente
è inequivocabilmente rurale e povero, prova ne siano gli
alimenti distesi a seccare (i fichi, i pomodori, cioè cibi
da contadini). La casa dalla quale si diparte il punto di vista
descrittivo assomiglia molto alle antiche case dei vecchi borghi
contadini, con alti soffitti e balconi di ferro; case dove, durante
l'estate, l'aria è fresca e al contempo pesante.
- Nel brano sembra non esserci nulla di degno di
essere raccontato (né succede niente, né si descrivono
oggetti o personaggi interessanti). Ma, proprio come nella più
originale tradizione pittorica olandese della natura morta, dove
la bellezza del mondo visibile appare più importante del
soggetto da raffigurare, anche qui sembra che le parole trovino
motivo di esistere indipendentemente dal soggetto da descrivere.
Sia qui che là, si descrive la tranquillità di una
scena statica, dove ciò che maggiormente traspare, oltre
ai colori del quadro oppure oltre alle parole del testo, è
l'emozione che l'artista prova nell'osservare e restituire
una visione di verità. Non dimentichiamo, en
passant, che Carlo Levi è stato, prima che scrittore,
un pittore attento a restituire dei valori veritieri all'arte,
ponendosi contro la poetica del futurismo e del modernismo a oltranza.
- I
rimandi biblici, numerosi in questo passo, hanno un doppio valore:
metaforico e di verità. Un valore metaforico perché,
nel testo, il popolo di Mosè in realtà è
lo sciame di mosche, il Mar Rosso una chiazza di pomodoro e gli
eserciti egizi un altro sciame di mosche: il racconto
biblico viene sovrapposto al racconto della vita contadina
e ricondotto, dalla sua sfera elevata e mistica, alla sfera quotidiana
e umile. Ma, in linea con quanto detto sopra, essi hanno anche
un valore di verità, nel senso che rappresentano il calarsi,
da parte del narratore, nell'immaginario collettivo del luogo
in cui si trova. Nel mondo contadino del Meridione l'unica cultura
trasmessa, oltre alla saggezza proverbiale, è proprio quella
della Bibbia. Lo stesso titolo non è frutto dello scrittore
ma di un modo di dire in uso tra i contadini, che egli riprende.
- La
ricerca di un valore di verità in opposizione alla poetica
di falsa modernità del futurismo ci riconduce al contesto
del romanzo. Scritto tra il 1943 e il 1944, Cristo si è
fermato a Eboli è la narrazione autobiografica del confinamento
dello scrittore in Lucania durante gli anni del Fascismo. È un
racconto di guerra, un racconto politico, che
tuttavia per il tono dimesso e umano in cui è
raccontato e per i temi che sviluppa, presenta valori
di fratellanza, tolleranza e pace. Valori che ricordano,
appunto, la figura del Cristo presente nel titolo, finalmente
spiegato. Il Cristo (cioè i valori di fratellanza e pace)
esiste, ma si è fermato a Eboli, nel senso che non è
mai arrivato fino alle terre più desolate del Meridione,
dove si svolge la vicenda.
- L'assenza
di movimento, la stasi che permea l'intero romanzo e che si respira
nello stesso titolo, è reale e tangibile, è un elemento
concreto della vita quotidiana del Meridione; ma essa è
anche una grande metafora della stasi politica ed economica,
dell'assenza di provvedimenti legislativi e organizzativi per
migliorarne le condizioni. La legge, se c'è, è quella
di Roma, valida solo per Roma; al Sud essa non arriva, o solo
come un fattore estraneo, come una Novella che non è più
"buona" ma soltanto estranea, incompresa e foriera.
Eloise Lonobile (classe 1976) vive e lavora. La passione per la letteratura, perfezionata con una Laurea all'Università di Pisa, accompagna da sempre la sua vita. Letteratour ne è il prodotto principale.