Nascondi
le cose lontane,
tu nebbia impalpabile e scialba,
tu fumo che ancora rampolli,
su l'alba,
da' lampi notturni e da' crolli,
d'aeree frane!
Nascondi le cose lontane,
nascondimi quello ch'è morto!
Ch'io veda soltanto la siepe
dell'orto,
la mura ch'ha piene le crepe
di valerïane.
Nascondi le cose lontane:
le cose son ebbre di pianto!
Ch'io veda i due peschi, i due meli,
soltanto,
che danno i soavi lor mieli
pel nero mio pane.
Nascondi le cose lontane
Che vogliono ch'ami e che vada!
Ch'io veda là solo quel bianco
di strada,
che un giorno ho da fare tra stanco
don don di campane...
Nascondi le cose lontane,
nascondile, involale al volo
del cuore! Ch'io veda il cipresso
là, solo,
qui, quest'orto, cui presso
sonnecchia il mio cane.
Analisi testuale
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Schema
metrico:
5 strofe
di 6 versi ciascuna: 3 novenari + 1 ternario + 1 novenario + 1 senario.
Rime: ABCBCA. Tutti i senari rimano tra loro.
Figure di ripetizione:
Il primo verso di ogni strofa è sempre
lo stesso: «Nascondi le cose lontane». Inoltre questa
formula viene ripresa in altri versi: troviamo nascondimi al v.
8 e poi nascondile al v. 26.
Il 2o e il 3o verso formano una lieve anafora
con la ripetizione del pronome «TU» seguito da due
nomi, entrambi quasi sinonimi (Tu nebbia... Tu fumo...).
Anche la formula: « ch'io veda soltanto
» è ripetuta più volte, con leggere varianti:
la troviamo al v. 9, poi ai vv. 15-16, di nuovo al v. 21 ed infine
al v. 27.
La lontananza: è piena
di cose che vanno tenute nascoste (vv. 1, 7, 13, 19 e
25), di cose morte (v. 8), che fanno piangere
(v. 14), che «vogliono ch'ami e che vada» (v. 20).
Per il poeta, quello che è lontano è dunque negativo,
è qualcosa che deve essere represso, dimenticato, perché
fa soffrire e, cosa interessantissima, perché costringe
ad amare e «andare», ad uscire dal nido, cioè
a vivere. Il poeta esprime la sua paura di fronte all'ignoto del
mondo esterno.
La vicinanza: è
composta da poche, essenziali presenze: una siepe (v.
9) e un muro (v. 11) che svolgono il ruolo di delimitare
lo spazio ristretto intorno all'IO, due peschi e due meli
(v. 15), una strada bianca (vv. 21-22), un cipresso
(v. 27), un orto (v. 29) e un cane (v. 30),
simbolo per eccellenza della fedeltà, dell'amicizia, della
sicurezza. Questo piccolo mondo è lo spazio dell'IO, lo
spazio privato e soprattutto protetto in cui rinchiudersi per
evitare «le cose lontane», l'ignoto e la negatività
del mondo esterno. Il «qui» del v. 30, che riassume
in sé tutto il mondo vicino, è messo particolarmente
in rilievo dal fatto che è posto ad inizio del verso, e
che è rinforzato dal successivo «questo».
Altri temi importanti:
Tra lo spazio vicino e quello lontano si trova
la nebbia, che svolge un ruolo importantissimo
perché è ciò che permette di separare questi
due mondi, e quindi di assicurare al poeta la serenità.
La nebbia svolge il suo ruolo protettivo grazie alla sua capacità
di nascondere le cose, e quindi di rispondere al desiderio
del poeta, più volte espresso, di non vedere (vedi la costante
ripetizione del tema «Ch'io veda soltanto»).
La morte: riguardo alla morte
il poeta prova dei sentimenti contraddittori. Da un lato per lui
quello che è morto va celato e rimosso, perché
triste e doloroso (vv. 6-7 e 13-14); ma dall'altro egli
si sente legato ad essa perché sa che è l'ultimo,
inevitabile rifugio dell'uomo. In altre parole, se è vero
che la morte è triste e dolorosa perché racchiude
un passato da dimenticare (le cose lontane), è
altrettanto vero che essa è l'unica prospettiva indolore
per l'uomo affranto, nella misura in cui gli offre un sonno, un
riposo eterno. Il poeta sa che un giorno dovrà morire pure
lui (dovrà fare «quel bianco di strada [...] tra
stanco don don di campane» - vv. 21-24), e questa è
la sola prospettiva che vuole intravedere per il proprio futuro
(«Ch'io veda là solo quel bianco di strada»
- vv. 21-22). Ad accentuare questo aspetto positivo della morte
come di un sonno eterno ed indolore abbiamo, nell'ultimo verso,
la figura del cane fedele che sonnecchia. L'idea della stanchezza,
del sonno e della morte si trovano così ad essere intimamente
legate.
La natura: che sia vegetale,
animale o minerale, ha un ruolo protettivo per il poeta, e tiene
lontana la visione del pianto, del mondo esterno, violento e ostile.
Così, la siepe, l'orto e i quattro alberi riempiono di
dolcezza il nero pane del poeta, cioè la sua vita
quotidiana; il cane fedele offre un immagine insieme di pace,
affetto e protezione; la nebbia è un fenomeno meteorologico
positivo; e, allo stesso modo, i «lampi notturni»
e i «crolli d'aeree frane» della prima strofa, pur
nelle loro sembianze violente, non toccano affatto il poeta, che
ne trae unicamente una visione suggestiva.
Osservazioni conclusive:
Le frequenti figure di ripetizione, la presenza
di ritornelli sono una costante nella poesia di Pascoli, e gli
danno un ritmo cantilenante. Spesso leggendo
queste poesie si ha l'impressione di trovarsi di fronte ad una
canzone, o più precisamente ad una nenia, dolcemente recitata.
Questo loro aspetto musicale (che ne rende spesso difficile la
lettura ad alta voce) rispecchia perfettamente il tipo di contenuto
che veicolano: il poeta malinconico esprime un forte bisogno d'affetto
e di protezione, quasi come se fosse un bambino, e la poesia,
col suo ritmo cantilenante, fa le veci di una figura materna,
simbolo per eccellenza di amore e protezione.
Il fatto che la poesia si sviluppi sulla base
di una contrapposizione tra mondo esterno e mondo privato, e che
il primo sia connotato negativamente, mentre il secondo positivamente,
è un'altra costante in Pascoli. Ciò si ricollega
al bisogno di affetto e protezione, per cui, proprio come
un bambino, il poeta sente la necessità di rinchiudersi
in un nido e sfuggire ai pericoli della vita, rifiutando
persino di "andare" ed "amare" («Nascondi
le cose lontane che vogliono ch'ami e che vada!» - vv. 19-20).
Diretta conseguenza delle osservazioni precedenti,
troviamo espresso in questa poesia il rifiuto, forse inconsapevole,
di crescere, di diventare adulto, attraverso la parola di un IO-bambino.
Al di là della sua apparente semplicità e ingenuità,
la poesia di Pascoli nasce dall'esigenza dolorosa e lacerante
di dar voce a sentimenti intimi e remoti, di regredire verso un
passato prenatale.
La poesia è espressione di un IO
poetico molto forte, la cui presenza è dominante.
Questo ruolo dominante è accentuato dal fatto che, in tutta
la poesia, non si parla mai degli uomini: le uniche presenze ammesse
fanno parte del mondo naturale.
Le descrizioni del piccolo mondo chiuso
in cui si trova il poeta si caratterizzano per un forte determinismo:
il muro non è coperto da un generico rampicante, ma dalle
valerïane (v. 12), gli alberi nell'orto non sono soltanto
specificati in numero (due..., due...), ma anche in genere (peschi
e meli) (v. 15). Questa estrema precisione nella denotazione dovrebbe
creare un effetto assolutamente realistico dell'ambiente descritto.
In realtà queste descrizioni, poiché sono inquadrate
in uno sfondo imprecisato e indeterminato (dove siamo? in che
periodo? ecc.) e introdotte da una prima strofa dal contenuto
altrettanto sfocato (la nebbia, il fumo, le aeree frane), accentuano
l'aspetto simbolico della poesia.
Eloise Lonobile (classe 1976) vive e lavora. La passione per la letteratura, perfezionata con una Laurea all'Università di Pisa, accompagna da sempre la sua vita. Letteratour ne è il prodotto principale.