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I Balcani, un pezzo di terra gentile

L'Albania

di Anna Lattanzi

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A Belgrado lascio tanto di me e altrettanto porto via. Lascio persone e passioni e porto via esperienze ed emozioni, con un grande bagaglio fatto di speranze e obiettivi. Il mio arrivederci alla città è reso meno triste da quello che mi aspetta: l’Albania. Sono emozionata e curiosa di approdare per la prima volta in questa Nazione. Mi chiedo se troverò quanto ho sempre letto e sentito e mi domando se ci sarà quel qualcosa in più che ho sempre pensato e di cui ho sempre avuto sentore. Sono sicura che in qualche modo le mie aspettative troveranno concretezza, quella consistenza fatta di umanità. Questa certezza è già radicata in me, mentre percorro la strada che mi separa dal Paese.

 

Olizana

La prima volta che ho conosciuto Oli, ero arrivata da pochi giorni a Belgrado. Lei era al posto di guida e quando sono salita in macchina si è girata per salutarmi. Ricordo di aver incrociato lo sguardo dolce di una donna riservata, forse un po' sulle sue, ho pensato. In realtà Oli si è rivelata una persona accogliente, incantevole nella sua semplicità, a completamento della gentilezza che ho trovato in questo pezzo di terra. Partiamo da Belgrado, lasciandoci dietro una città avvolta dal gelo e la nostra direzione è l'Albania. Oli è un'ottima driver. Con lei alla guida, significa sentirsi al sicuro e rilassati e le ore di viaggio scorrono serene, senza peso alcuno. Soprattutto, è la prima volta che ci ritroviamo da sole, senza compagnia di altri. Chiacchieriamo di tutto, parliamo di Belgrado, dell'Albania, dei fatti del mondo. Si respira molto forte il legame con la sua terra, anche se non lo ostenta e questo mi piace. Si parla di famiglia, di padri, di genitori, del loro bene, dei loro danni, di figli e di realtà quotidiana. Quello che mi colpisce di questa donna, è la sua parola di conforto, sempre. Di fronte a un dolore che emerge o a una sofferenza narrata, lei trova il modo per dirti che in fondo non potevi fare nulla di diverso e che così doveva andare. E quello che è ancora più forte, è il renderti conto che è la verità, che te la stai prendendo per qualcosa che non potevi modificare. Mi narra delle disavventure di un'amica e del suo matrimonio naufragato. Qui conosco una Oli legata ai valori, quelli di un tempo, che ormai sono poco riconosciuti e una persona che dona consigli solo su richiesta. Mi racconta alcuni suoi pezzi di vita, che l'hanno portata in posti diversi dall'Albania, se pur per periodi limitati. Ne parla comunque con positività, narra dell'accoglienza ricevuta e anche quando si esprime su quello che non le è piaciuto, lo fa con gentilezza. Perché la cultura passa anche dal non giudizio, dall'usare parole gentili sempre nei confronti degli altri e delle situazioni e passa anche dallo stare bene insieme. Sto bene, mi sento bene in queste ore, sono tranquilla, mi piace la sua compagnia, discreta e attenta a ogni esigenza. Ed è chiacchierando amabilmente che lasciamo la Serbia, attraversiamo il Kosovo, arriviamo in Albania e finalmente realizzo uno dei miei sogni: toccare suolo albanese.

 

Durazzo

Ero poco più che una ragazzina e non dimenticherò mai quelle navi che nel '91 sono approdate in Puglia. Barconi della disperazione, talmente stracolmi di uomini, tanto che era impossibile contarli. All'epoca ho sentito qualsiasi cosa su questa gente.

Sono delinquenti, dicevano i giudicanti
Hanno aperto le carceri, dicevano quelli che sanno tutto
Povera gente, dicevano i compassionevoli
Bisognerebbe aiutarli, dicevano i propositivi, che non alzavano un dito

E poi c'è stato chi li ha aiutati davvero, per tanto tempo, anche se poi le cose sono degenerate. A me, però, nulla era chiaro e mi sono ripromessa di recarmi in Albania. Sono passati trent'anni e sono qui.

Metto piede fuori casa il giorno dopo e devo ammettere che il passaggio da Belgrado a Durazzo è scioccante. Mi ritrovo una cittadina semplice, fatta di gente semplice, dove tutti mi fissano e inizialmente non capisco perché, anche se poi mi spiegano che qui la gente ha l'abitudine di guardare, affinché l'altro non si senta solo. Decido di andare dalla parte della spiaggia e vedo uomini e donne che passeggiano, sereni, avvolti dalla tranquillità della propria camminata. Non mi aspettavo così tante persone, non pensavo che le spiagge potessero essere così piene di gente a Novembre. Amano il proprio territorio, tanto da volerne godere sempre le fattezze. Vedo il mare, bello, bellissimo in tutta la sua irruenza, luminoso e arrogante, nonostante il sole. Questo è quello che rapisce il mio sguardo, anche se quanto sento è tutt'altra cosa. Avverto il profumo della genuinità, di quell'autenticità che non sentivo da tanto tempo. Mi arriva il peso della povertà, ma anche la fragranza della serenità e soprattutto mi chiedo quando sono stata ancora qui. Mi sento a casa, in realtà, sento che questo posto mi appartiene. Forse perché mi ricorda la Puglia di quando ero bambina - tanti parlano italiano a Durazzo - o forse perché qui, io ci dovevo proprio arrivare e forse perché non mi sento a casa, ma sono a casa.

 

Ivo

Se devi andare in centro e hai del tempo da dedicarmi, ti faccio vedere qualcosa di Durazzo...

Ivo è un host eccellente, attento e premuroso, che si offre di farmi da guida a Durazzo. Chiacchierando con lui, scopro che è scultore e che collabora con il Museo Archeologico della città. Ha avuto il suo studio distrutto dal terremoto del 2019, ma non si è perso d'animo. Mi racconta delle sue esperienze in Italia, non sempre felici, di suo fratello che si è trasferito a Bergamo e del suo amore per Durazzo, che non avrà mai fine. Mi narra di sue vicende personali e i suoi occhi si riempiono di tristezza, sostituita prontamente dalla gioia, quando parla del suo nuovo amore e della sua famiglia.

 

I Bunker

Ogni goccia di sudore versata per la fortificazione del Paese, è una goccia di sangue risparmiata sul campo di battaglia.

Così giustificava la sua paranoia il comunista Enver Hoxha che, durante il regime dittatoriale, fa erigere ben settecentomila bunker, per difendersi da un'invasione rimasta esclusivamente nelle sue fantasie. Una frenesia di costruzione, che impoverisce ulteriormente un'Albania già economicamente provata. Oggi, la Nazione vive queste edificazioni come una ferita profonda, lasciandole all'incuria, come a voler estirpare un cancro, diventato ormai permanente. Ivo mi porta in questo posto, dove non solo ci sono dei resti di bunker, ma da dove si può godere di un bellissimo panorama su Durazzo, se pur fatto di costruzioni vecchie e nuove, che sembrano sorgere come funghi. Questa vista così aperta, vuole cozzare con i bunker che sono dietro di noi. Solo una mente malata può essere in grado di concepire un luogo di inutile chiusura, in contrasto con tanta apertura. Questo pensiero mi intristisce, perché ripenso a quelle navi, a quanto possa essere terribile sentirsi rinchiusi in un Paese, per ben quarant'anni, sapendo di quanta aria sia possibile respirare. Ripenso a quella disperazione...

Devi distinguere due tipi di disperazione, quella materiale e quella degli intellettuali...

Un'affermazione letta da qualche parte, che in qualche modo condivido. Certamente, non so cosa sia peggio, se non riuscire a soddisfare i propri bisogni o non riuscire a trovare una propria dimensione nel mondo. Detto questo, no, non riesco a fare una distinzione della disperazione, pur condividendo questo pensiero. L'afflizione è la distruzione della serenità dell'Anima, senza eguali. Non vedo altra spiegazione.

 

Il Castello-La Torre Veneziana

Il monumento è costituito da un’unica torre e da un muro, risalente al '400, il periodo che vede regnare l’Imperatore bizantino Anastasio I, che nasce a Durazzo ed è ciò che rimane del vecchio castello di Durazzo. L'antica costruzione è da sempre stata soggetta a numerosi importanti interventi, come la fortificazione a opera dei veneziani, antecedente la conquista della città da parte degli Ottomani. Nel 1939, il castello ospita un'adunata di patrioti albanesi, che cercano di contrastare l’avanzata dell’esercito italiano. Il loro impegno, se pur portato avanti con devozione, naufraga di fronte ai militari, che sbarcando al porto di Durazzo invadono la città. Quando Ivo mi propone di andare a vedere il castello, mi aspetto qualcosa di diverso, qualcosa di strutturato, così come la nostra cultura ci ha abituato a pensare. Mi ritrovo di fronte alla Torre, unico resto della fortificazione che fu. Comunque la mia sensazione e la mia impressione rimangono totalmente esenti da ogni forma di delusione. Il monumento, se pur in qualche modo solitario, conserva un incanto e un profumo di storia tutti suoi. La torre merlata, da cui si gode un meraviglioso panorama, sembra creata apposta per accogliere e abbracciare principi e principesse e gli albori del loro primo amore. Mi sembra quasi di vedere far capolino una giovane donna e un giovane uomo, ignari di guerre e lontani da ogni forma di religione: la loro unica fortezza è l'Amore.

 

L'Anfiteatro

Dopo un breve giro in macchina, arriviamo di fronte a uno dei simboli di Durazzo: l'Anfiteatro. Il magnifico monumento vede la luce nel II secolo d.C., durante il regno dell’Imperatore Traiano ed è collocato nel centro della città, con la cavea occidentale appoggiata su una zona collinare e quella opposta situata su un terreno pianeggiante. Nonostante sia stato scoperto per la prima volta nel corso del XX secolo e sia stato poi oggetto di interesse di numerose campagne di scavo, sembra che finora sia stata portata alla luce soltanto metà dell’intera struttura.

Trovarsi all'interno dell'Anfiteatro, che tra l'altro è il più grande dei Balcani, è un'emozione unica. La cavea presenta una forma ellittica di ben 20 metri di altezza e quasi 136 di diametro, con gradinate, originariamente ricoperte di piastrelle bianche, che potevano ospitare almeno fino a ventimila spettatori. Pare che la struttura abbia accolto spettacoli con gladiatori, fino al IV secolo d.C., quando poi furono interrotti per via di un terremoto che danneggiò quasi irrimediabilmente parte dell’Anfiteatro (345/346 d.C.). La costituzione delle scale all'interno è decisamente complessa, in quanto formata da gradini e gallerie. Impossibile non subire il fascino della meravigliosa cappella paleocristiana affrescata e risalente alla seconda metà del IV secolo. Altrettanto improbabile non provare le più vive emozioni alla vista degli incantevoli mosaici risalenti all’XI secolo d.C. Le suggestioni più grandi le ho però vissute in due momenti particolari: il primo, quando mi sono ritrovata nel corridoio che accoglieva i gladiatori prima che andassero incontro al loro destino. Se quel pezzo di terra potesse parlare, narrerebbe di passi trepidanti, incerti, oppure sicuri e veloci. Se quei muri potessero dire, racconterebbero di paura, rassegnazione, sfida e voglia di sfuggire al fato, oppure di quella volontà irrefrenabile di andarvi incontro. Chissà quante lacrime ha raccolto quel terreno e chissà quante urla di orgoglio e terrore hanno ascoltato i muri.

La voce di Ivo mi risveglia e mi porta verso il centro dell'Anfiteatro, il secondo punto emozionante. Guardarsi intorno da quella posizione è una sensazione unica. Sembra che tutto il mondo ruoti intorno a quel posto, pare quasi assurdo che quel pezzo di terra abbia accolto sudore e sangue.

 

Un caffè sul mare

Una breve parentesi per spendere due parole sul momento di pausa che ci siamo concessi, in questo venerdì mattina, nella bella e suggestiva Durazzo. Sole, mare, un buon caffè e buona compagnia. Ed è così che mi sento, su questa terrazza, che ha le sue gambe nel mare, mentre ascolto Ivo. Parliamo delle nostre vite, così diverse, ci lasciamo andare a confidenze, perché tutti ne abbiamo bisogno e forse quando non ci si conosce, vengono fuori meglio, perché la cultura passa anche dall'ascolto disinteressato. Mentre parlo, mentre presto attenzione a ogni singola parola di questo giovane uomo, mentre guardo la linea di confine tra il cielo e il mare, mi rendo sempre più conto di sentirmi a casa.

 

Il Museo Archeologico

Adesso andiamo a vedere il Museo Archeologico.

Il Museo Archeologico di Durazzo è situato nei pressi della spiaggia, accanto a un circuito murario di età bizantina (VI secolo). L'edificio nasce nel 1951, grazie all’archeologo Vangjel Toci, con il l'intento di raccogliere tutti i reperti archeologici recuperati dagli scavi del dopoguerra, in un'unica grande collezione permanente. Tanti sono stati gli interventi di ristrutturazione effettuati, fino a quando il Primo Ministro Edi Rama, ne ha deciso la riapertura il 20 marzo 2015, dopo ben  quattro anni di chiusura. Il Museo ha all'attivo due diverse aree espositive. L’interno dell’edificio ospita un’esposizione di manufatti provenienti dall’antico sito di Dyrrhachium, oltre ad una collezione di reperti (per lo più provenienti da edifici templari) appartenenti al periodo greco antico, a quello ellenico e poi a quello romano. Sarcofagi in pietra e stele funerarie romane e una vasta collezione di busti in miniatura raffiguranti la dea Venere, a testimonianza del fatto che Durazzo un tempo fu un importante centro di culto dedicato alla dea. Bellissimi i vasi di ogni grandezza e le anfore, alcune levigate dal passare del tempo, che si presentano come nuove e altre rese meravigliose dai segni dell'usura e dei secoli. Ivo mi ha poi accompagnato a visitare l'area esterna e rimango impressionata da quanti reperti siano accomodati fuori dal Museo. Statue in marmo di grandi dimensioni e tanti altri recuperati dai numerosi scavi.

Ce ne sono ovunque, nei depositi, ovunque. E ancora ce ne sono altri da recuperare...

Il patrimonio storico di questa piccola cittadina è davvero impressionante.

 

Il Kanun non è l'Albania

ll Kanun, o Kanuni (detto anche canone di Lekë Dukagjini) è il più importante codice di diritto consuetudinario albanese, tra i numerosi codici creatisi nelle zone montane dell'Albania nel corso dei secoli. È parte integrante del patrimonio culturale albanese, e in quanto tale non differenzia tra le quattro confessioni tradizionalmente presenti nel Paese...

È parte integrante del patrimonio culturale albanese... Il più importante codice di diritto consuetudinario albanese... così recita Wikipedia e così tanti di quelli, che identificano in questa pratica o credenza o usanza, chiamatela come volete, la storia dell'Albania.

Tu mi fai qualcosa, io faccio a te qualcosa, anzi anche di peggio. Vendetta.

Intendo dedicare poche righe a questo argomento, solo per esprimere il mio pensiero, da neofita dell'Albania, ma fermamente convinta che sia un'idea colma di verità. Dovrebbe essere ormai un dovere di chi utilizza la penna come strumento di lavoro, di non accostare più la storia della Nazione albanese al Kanun. In una piccola parte dell'Albania le faide attraversano i decenni e spesso le vendette attendono; la cosiddetta giakmarrja, la presa del sangue, è quella faida prevista dal Kanun, un compendio di norme di convivenza che risale al XIV secolo, il tutto racchiuso in un codice che nulla ha a che vedere con un Paese che cerca di farsi strada e di trovare la propria dimensione nel mondo. Parlare ancora di Kanun associato all'Albania, significa intrappolare una Nazione nel passato, in quel tempo che fu, riguardante un pezzetto di Paese, le valli. Si fa sempre più urgente la necessità di abolire tale immedesimazione, che ha riguardato e in parte riguarda il Nord dell'Albania, dove parola d'onore, vendetta e virilità, sono concetti indubbiamente tutt'altro che tramontati, ma che non possono e non devono essere più identificati con l'intera storia del Paese.

L'Albania è una nazione dal patrimonio storico invidiabile, decisamente variegato; è un Paese dalla grinta eccellente, che nell'epoca moderna è riuscita a superare tantissime difficoltà. Abbiamo il sacrosanto dovere di parlare di questo, abbiamo il sacrosanto dovere di portare rispetto a un popolo che in un modo o nell'altro ce la sta mettendo tutta. Diamogli una mano, il Kanun non è l'Albania.

 

Anna Lattanzi (classe 1970) è nata a Bari, dove ha frequentato la facoltà di Lettere e Filosofia. La passione per i libri e la scrittura hanno da sempre guidato il suo percorso di vita e professionale. E' amante dei viaggi e delle passeggiate nella natura, prediligendo su tutto la montagna, che sembra permetterle di toccare il cielo con un dito.

 

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