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L'analisi
testuale non è uno strumento che serve soltanto a
chi vuole avvicinarsi a un testo come lettore: è anche un utilissimo
strumento di autoanalisi per tutti gli scrittori che studiano
la propria forma espressiva e vogliono arrivare a dare il meglio di sé.
Un esempio lampante di questo fatto si può rintracciare nei diari
di Sylvia Plath, ragazza americana della metà del XX secolo dalla
sensibilità estremamente sviluppata, che è diventata una
delle poetesse più rappresentative di quegli anni. La sua grande
capacità analitica fuoriesce a più riprese dalla lettura
dei diari, e in particolare nel passo sotto riportato, sorprendente se
si pensa che è stato scritto quando la scrittrice aveva 18 anni.
Dai Diari di Sylvia Plath:
«Il vento ha spinto sul mare una luna giallo intenso: una luna bulbosa, che germoglia nel cielo indaco sporco e sparge occhieggianti petali luminosi sulla nera acqua fremente.
***
Mi riescono meglio le descrizioni illogiche,
sensuali. Testimone la frase qui sopra. Il vento non può assolutamente
spingere la luna sul mare. Inconsciamente, senza parole, nella mia mente
ho identificato la luna con un pallone giallo e leggero spinto qua e là
dal vento.
La luna, stando al mio umore, non è esile, virginale e argentea,
ma pingue, gialla, carnosa, gravida. Questa è la distinzione tra
aprile e agosto, tra il mio stato attuale e uno stato fisico che avrò
chissà quando. Ora la luna ha subìto una rapida metamorfosi,
resa possibile da vaghe, indeterminate allusioni nella prima riga, ed
è diventata un bulbo di tulipano, di croco, di aster, dopodiché
arriva la metafora: la luna è "bulbosa", aggettivo che
significa pingue ma che, essendo l'immagine visiva di qualcosa di complesso,
suggerisce un "bulbo". Il verbo "germoglia" rafforza
la prima allusione a una qualità vegetale della luna. La frase
"cielo indaco sporco" crea una tensione suscettibile di infinite
variazioni con qualsiasi combinazione di vocaboli. Invece di dire un'ovvietà
come "nel terreno del cielo nottruno", l'attributo "sporco"
ha un duplice obiettivo: quello di descrivere un cielo blu macchiato e
quello di evocare il sostantivo fantasma "terra", che rafforza
la metafora della luna come bulbo piantato nel suolo del cielo. Ogni vocabolo
può essere minuziosamente analizzato per quanto riguarda sfumature,
valore, calore, freddezza, assonanze e dissonanze di vocali e consonanti.
Suppongo che tecnicamente l'apparenza visibile e il suono dei vocaboli
presi a uno a uno assomiglino molto al meccanismo della musica... o al
colore e alla grana di un dipinto. Ma, ignorante come sono in questo campo,
posso solo tirare a indovinare e fare esperimenti. Però voglio
spiegare perché uso vocaboli selezionati uno per uno a ragion veduta,
forse fino ad ora non i milgiori in assoluto per il mio intento, ma nondimeno
scelti dopo molte riflessioni.Per esempio, il moto incessante delle onde
crea lo sfavillio del chiaro di luna. Per restituire il senso di moto
discontinuo sono stati usati i participi "occhieggiante" (a
suggerire uno staccato di scintille luminose) e "fremente" (a
comunicare un movimento più legato e tremulo). "Luminoso"
e "nero" sono ovvie varianti di brillante e scuro. Il mio problema?
Non abbastanza libertà di pensiero, freschezza di linguaggio. Troppi
cliché e troppe associazioni forzate, annidati nel subcosciente.
Poca originalità. Troppa cieca adorazione per i poeti moderni e
poca analisi e pratica.»
Passo tratto da: Sylvia Plath, Diari, Adelphi, 1995, pp. 52-53
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