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Incontro con Nunzio Cocivera

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La Sicilia è una terra forte, espressiva, dai colori e dai profumi intensi. La sua stessa lingua si colora di sole e di una mimica senza paragoni. Forse, è proprio per questo che qui nasce la più pura vena teatrale "classica", fatta di vita quotidiana e lingua delle origini.

Nunzio Cocivera nasce a Librizzi (Messina) il 30 giugno del 1955. Dal 1991 è Iscritto alla SIAE, settore DOR e Musica, come autore della parte letteraria.
Vincitore nel 1999 del primo premio Nazionale Luigi Capuana per la sezione in Vernacolo con la commedia "Il Panettiere Paninaro". A partire dal 1986 ha curato le sue dodici commedie in Vernacolo Siciliano, che sono state tutte rappresentate con successo. Successivamente è passato a curare testi in lingua, come "La Colpa d'invecchiare", una interpretazione in chiave comica del tema sociale della senilità, che è stata portata con successo nelle piazze siciliane nell'estate 2000 (il testo esiste sia in lingua che in Vernacolo). Da qualche anno si occupa anche di commedie per le scuole ("Valori Persi", "Processo all'Uomo", che esistono anche nelle versioni spagnole).
Hanno parlato di lui e delle sue opere i quotidiani La Sicilia, La Gazzetta del Sud, Il Giornale di Sicilia, La Repubblica e molti altri.

Email: ncocivera@tiscali.it

L'avrei intagliata

Con il passare degli anni l'unica cosa che lei ancora ammirava di me era il mio lavoro di intarsio e di intaglio.
Era a pochi passi da me e ammirava "l'ultima cena" che stavo intagliando su una tavola di ciliegio africano. Mi guardava con una certa ammirazione, ma non l'uomo bensì l'artista.
Erano trascorsi sette lunghi anni da quel dì nel quale mi scelse come sua vittima, ma almeno da quattro ci univa solo "il sesso", un sesso-amore che mi teneva legato a lei come prigioniero di un sentimento tra l'odio e l'amore.
Aveva un corpo scultoreo, trasudava sesso a vista d'occhio, sembrava dicesse "prendetemi". Ma non riuscivo ad allontanarla da me, ero vittima dei suoi tradimenti sfrontati e sfoggiati, vittima senza dignità, umiliato, esiliato e rimpatriato tra le sue cosce agognate; ero come schiavo, come burattino del quale lei muoveva i fili a suo piacimento.
A volte mi scioglievo in un pianto, quando mi diceva ti "pianto", e gli restavo accanto, perché l'amavo tanto!
I nostri discorsi erano ormai formali, solo dialoghi fatti di sì e di no e su argomenti occasionali.
"Sei bravo", mi disse, "quei personaggi sembra che parlino!"
Era sincera lo sapevo, l'unica cosa che amava ancora di me era il mio lavoro.
Spronato dal suoi approcci di dialogo e dei complimenti ricevuti, abbozzai un dialogo sull'argomento del momento e dissi: "certo che questa epidemia della mucca pazza sta buttando alle ortiche intere aziende, e i lavoratori del settore."
"Sei il solito ignorante" replicò lei , "il termine epidemia si può usare quando si parla di infezioni e patologie umane, per gli animali si usa il termine epizozia, ma tu sei il solito "ZOION" e se vuoi sapere cosa significa ti informo che vuol dire animale vivente, in pratica ciò che sei."
Giuro, l'avrei intagliata o meglio intarsiata, incastrando in lei un cuore più buono, una mente più umile e sentimenti come rispetto, affetto, amore, cose mai esistite dentro di lei.
A volte cresceva dentro me un'angoscia che mi buttava nella disillusione più nera perché vivevo con lei, prendendo i suoi scarti, i pochi attimi di sesso che mi donava; e quando lo faceva mi portava così in basso fino ad annullare l'uomo fisico e morale: in quei momenti aveva tutto di me, anima e corpo.
Perché mi faceva quell'effetto? Perché pur avendolo pensato e detto varie volte non avevo il coraggio di andare fino in fondo e di partire per chissà dove, basta che sia lontano da lei?
Mormorò ancora varie cose; dentro di me cresceva una strana rabbia, alzai il braccio con impeto e la colpii; nell'attimo finale, prima di vibrare il colpo decisivo di martello, provai paura, paura di farle del male.
Emise solo un lieve gemito e si accasciò sul pavimento. I suoi lunghi capelli le coprivano il viso, il suo dolce viso di fata. Scostai piano i capelli, i suoi occhi neri erano fissi, stupiti.
Piansi per lei, recitai come Catullo una bellissima poesia, che incisi su un enorme tronco di rovere siciliano. Poi cominciai il mio grande capolavoro finale: scolpii lei.
Ero sudato e stanco, affamato da matti; per due giorni lavorai ininterrottamente per lei; e lei era lì, sublime, adagiata dentro la sua dimora, dentro quel meraviglioso tronco di rovere dei nebrodi; la baciai teneramente; poi con abbondante colla vinilica la sigillai. All'esterno la intagliai nuda come una Venere, nella parte superiore circondata da fiori e piante bellissime.
Col muletto portai quel tronco all'ingresso del capannone, lo issai, lei era lì, bellissima come un bronzo di Riace, solo che era di rovere siciliano.
Poi mangiai i suoi pesci rossi, unici esseri viventi che amava, bevvi l'acqua, ed ero come "liberato", feci un bel falò con le sue cose; infine sfinito l'ammiravo, sembrava parlarmi, ma non favellò, la insultai, mi sfogai dissi cose mai dette; ero felice e triste insieme.
Ricevetti molte offerte per anni, per quel mio capolavoro; tutti potevano ammirarla, ma nessuno poté più averla: ormai era solo mia e per sempre.
I suoi amici, amanti, vennero ad informarsi, a cercarla, ma lei era partita, chissà con quale amante e chissà per dove.

Un messaggio d'umanità

«Nel corso dei secoli, l'uomo è sempre andato alla ricerca del cambiamento, dell'innovazione, di tutto ciò che avrebbe migliorato la sua esistenza, anche a discapito dell'ambiente circostante. Il progresso, di cui è artefice l'uomo, porta con sé innumerevoli vantaggi per l'umanità, ma al tempo stesso rappresenta un pericolo per l'equilibrio dell'ecosistema. Il messaggio che palesemente viene lanciato dalla commedia è proprio questo:"L'uomo può rimanere soffocato dal peso del progresso!". È necessario allora che egli sia in grado di provvedere prima che sia troppo tardi»

Incipit di un altro racconto...

«"Chiunque debba attraversare lo stretto ci deve passare davanti", diceva Lucio, "Sapore di città sarà il locale dei turisti, il locale dei camionisti, con sale grandi, ben arredate, con vista sullo stretto, da lì si può vedere la Sicilia come a due passi"; Lucio era davvero entusiasta. "E poi Berlusconi farà il ponte! Rilancerà alla grande Reggio Calabria".
Ci si era buttato a capofitto, lavorava anche quindici ore al giorno perché tutto fosse perfetto. Il datore di lavoro era un amico d'infanzia e Lucio gli dedicava l'anima pieno di gioia, sentiva quel locale come se fosse un po' suo. E "Sapore di città" aprì e diventò realmente un locale di successo come Lucio aveva immaginato; poi all'improvviso la beffa, il suo licenziamento che arrivò come un fulmine a ciel sereno, senza alcun chiarimento ma con tante scuse inutili»

Da SAPORE DI CITTA', Nunzio Cocivera
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