«Dopo aver chiacchierato un po' nel suo studio siamo andati a mangiare al Jack's Deli, abbiamo comprato i sigari Schimmelpenninck nella tabaccheria di Auggie Wren»
di Reno Bromuro
Nella categoria: HOME | TOURismi letterari
• Biografia
di Paul Auster
• L'opera: "Il racconto di Natale di Auggie
Wren" del 1990
• Commento
• Come si sono espressi i quotidiani italiani
• Il luogo: "Brooklyn"
L'arte
della fame di Paul Auster è un libro
di incontri, letture, scoperte. Saggi di poesia e letteratura si mescolano
ai volti e ai testi che hanno segnato l’autore. Il famoso narratore
e uomo di cinema, ci dona un’inedita rassegna ricca delle passioni
letterarie e non. Chi lo ha sollecitato molto è stata la letteratura
del passato.
Così sono nate: il Don Chisciotte nella Città
di vetro, le Memorie d'oltretomba di Chateaubriand
nel nuovo romanzo, Il libro delle illusioni.
Con forza e indipendenza di giudizio, Auster c’invita a riletture
sorprendenti di classici moderni: da Kafka a Hamsun,
da Jabès a Perec, da Mallarmé
a Ungaretti a Celan. Come pure sono
molto interessanti gli interventi dedicati a poeti contemporanei americani,
alcuni ignoti al pubblico italiano: Charles Reznikoff,
Carl Rakosi, George Oppen, Laura
Riding. Con questo precipuo scopo emergono i temi narrativi di
Paul Auster, solitudine ed enigmi della vita e della parola,
e in modo diretto la personalità artistica dell’autore, frequentatore
accanito del mondo della poesia. L'arte della fame, ci mostra anche Paul
Auster intellettuale, pronto a schierarsi contro il fanatismo religioso
che ha condannato Salman Rushdie e a denunciare con fermezza la pena di
morte e l'isolamento dei più deboli. Dal libro traspare anche la
sua verve giornalista, capace di intrattenere sui risvolti agonistici
del gioco del calcio, come di metterci di fronte al dolore di New
York colpita dal terrorismo l’undici Settembre.
Paul
Auster è nato nel 1947 a Newark (New
Jersey). Si è laureato in letteratura alla Columbia
University. Noto come poeta in Francia, è stata la morte
del padre a spingerlo alla scrittura in prosa con L’invenzione
della solitudine, un testo che agli inizi degli anni Ottanta
lo fa apprezzare dalla critica. Segue la Trilogia di New York
che lo ha portato ad affermarsi definitivamente. Le sue storie sono diventate
film, come nel caso di Smoke nato dall’incontro
con Wayne Wang e di Blue in the face,
o del recente Lulu on the bridge.
Lo scrittore, come ho accennato, nasce a Newark, suo padre, Samuel, possiede
alcuni palazzi del New Jersey ed è decisamente benestante. Dopo
un breve periodo di felice idillio familiare la madre, di tredici anni
più giovane del marito, comprende che il matrimonio è destinato
a fallire ma, rimanendo incinta di Paul, decide di fortificare l’unione.
Paul cresce nei sobborghi di Newark; quando ha tre anni, nasce una sorellina,
la quale, in seguito manifesta gravi problemi psicologici, che i genitori
sono costretti a farla interdire. Nel 1959 i genitori acquistano una grande
casa, nella quale il giovane Paul trova numerose casse di libri lasciate
da uno zio girovago che aveva viaggiato parecchio per l'Europa; si getta
a capofitto in quel tesoro, legge entusiasticamente di tutto e comincia
ad amare la letteratura ed è quello il periodo in cui comincia
a scrivere poesie, ed ha solo dodici anni.
Dopo qualche anno i genitori decidono di divorziare e lui si trasferisce,
con la madre e la sorella. Prima di iscriversi all'università,
decide di fare un viaggio in Europa e inizia
contemporaneamente a lavorare ad un romanzo. Tornato in America,
si iscrive all'Università della Columbia. Nel 1966 inizia a frequentare
Lydia Davis, oggi scrittrice di fama. Suo padre, insegnante
di letteratura, presenta Auster allo scrittore francese Ponge.
Dopo essersi laureato, lascia gli Stati Uniti e si imbarca come marinaio.
Vive spostandosi per la Francia insieme con
Lydia per alcuni anni; poi torna in patria, dove sposa la fidanzata e
si trasferisce in campagna con lei e il figlio David.
La famiglia è comunque perennemente indebitata e Paul fatica a
trovare il tempo per scrivere.
Un evento drammatico lo spinge alla scrittura in prosa, attività
che segnerà l'inizio della sua fama: la morte del padre, sulla
quale scrive «The invention of solitude».
La critica finalmente lo apprezza. E', insieme a «City
of glass», il primo libro di una trilogia dedicata
a New York. Seguiranno «Ghosts»
e «The locked room». A questo punto,
è definitivamente affermato come scrittore.
Il cinema ha realizzato molte delle sue opere ed ha contribuito ad incrementare
la sua fama: «Smoke», «Blue
on the face» diventeranno un mito. La scrittura di
Auster è apprezzata per la capacità di analisi dei personaggi,
specchi intricati e complessi della realtà che li circonda.
Ho
anticipato che la fortuna abbraccia Auster quando incontra Wayne
Wang, un appassionato di regia nato a Hong Gong
il 12 gennaio 1949. Di due anni più giovane di Auster debutta nel
cinema nel 1975 con A Mon, A Woman, A Killer,
e ha realizzato una quindicina lungometraggi, alternando film hollywoodiani
di successo a produzioni indipendenti. Ricordo Slamdance
Il delitto di mezzanotte, Mangia una tazza di
tè, Il circolo della fortuna e della
felicità, Smoke, che vinse
Orso d’Oro al Festival di Berlino, Blue in the Face,
Chinese Box. Con Un amore a 5 stelle
del 2002 debutta nella commedia rosa sullo stile di Preety
Woman.
L’OPERA
Il racconto di Natale di Auggie Wren del 1990
Nel
novembre 1990 il capo servizio della pagina letteraria del «New
York Times» ha l'idea di commissionare un racconto
a Paul Auster, in occasione dello speciale di Natale.
Il primo impulso dello scrittore, come lui stesso confessa nella prefazione,
è quello di rifiutare, oppresso dai fantasmi di Dickens,
di O. Henry e di altri maestri dello spirito di Natale:
alla fine, però, accetta.
Qualche settimana dopo legge sbigottito un piccolo articolo sul giornale:
annuncia che egli è al lavoro su un racconto natalizio per il prestigioso
quotidiano americano. Se ne era dimenticato! Si mette all'opera immediatamente,
mancano pochissimi giorni alle festività del Natale, e ciò
che scaturisce da questa curiosa genesi prende appunto il titolo de «Il
racconto di Natale di Auggie Wren». Non si tratta
di un convenzionale e edificante racconto ispirato alla festività,
ma di una vicenda durante la quale le azioni dei protagonisti non riescono
che a ricevere risposte «poco ortodosse e ancor meno scontate».
E' la storia dell'amicizia tra uno scrittore ed un tabaccaio di Brooklyn
con l'hobby della fotografia. (...) Paul Benjamin, autore
in piena crisi creativa, accetta per incapacità di rifiutare l'incarico
di scrivere una novella natalizia. Alla ricerca confusa d'ispirazione
si reca quindi, come d'abitudine, alla vicina tabaccheria di Auggie
Wren, strana figura di commerciante, con cui lo scrittore ha
una curiosa relazione d'amicizia. Benjamin racconta all'amico il proprio
problema ed Auggie propone uno scambio: il miglior racconto di Natale
che non abbia mai sentito al prezzo di un semplice pranzo. Lo scrittore
accetta perplesso. La narrazione prende inizio nell'estate del 1972. Un
ladruncolo è sorpreso da Auggie e fugge rincorso da quest'ultimo.
Nella corsa, però, smarrisce il portafoglio che reca all'interno
alcune istantanee e la patente. Sarebbe facile quindi denunciarlo alla
polizia e liquidare così la faccenda, ma Auggie osservando una
delle fotografie che ritrae il giovane con un'anziana signora, presumibilmente
la nonna, si convince a lasciar stare, ma conserva il portafoglio. Giunge
il Natale ed Auggie decide di restituirlo. Si reca all'indirizzo indicato
sul documento. Ad aprirgli la porta è proprio la donna della fotografia,
che lo accoglie a braccia aperte, scambiandolo per il nipote.
L'uomo accetta, senza rendersi conto del perché; l'apparente errore
della cieca lo spinge per curiosità a portare avanti la finzione.
Sembra evidente che non è possibile che la donna possa scambiare
un estraneo per il nipote, ma è altrettanto chiaro il bisogno d'amore
di entrambi, perciò trascorrono insieme la giornata.
Più tardi la donna si addormenta, ed Auggie prima di andarsene
le lascia il portafoglio e prende una delle macchine fotografiche che
ha trovato nel bagno, probabile furto del nipote. Tornato un'altra volta
Auggie scopre che la vecchia non c'è più, probabilmente
morta, e che quindi quello è stato il suo ultimo Natale.
All’esame di questi fatti il gesto di Auggie assume un carattere
di generosità, nonostante abbia sottratto la macchina fotografica.
A Benjamin, però, sorge il dubbio di essere vittima di un innocuo
raggiro dell'amico, ma decide saggiamente che una storia è vera
finché c'è una persona che vi presta fede. Una conclusione
priva di moralismo, carica anzi di umanità come sono in genere
i personaggi di Auster. Tutti i protagonisti della vicenda sono mossi
da una ricerca di comprensione, segnati da un rassegnato dolore. Questa
malinconia è efficacemente restituita alla carta dal tratto sobrio
ed elegante di Jean Clavière, nonché dalla
scelta delle tonalità pastello con cui è colorato questo
racconto sui personaggi che animano New York, per una volta non più
città di vetro tagliente, ma romantica e rassicurante.
Il romanzo di uno scrittore ancora giovane, ma con alle
spalle innumerevoli viaggi intercontinentali, traduzioni, lavori saltuari,
tragedie familiari e fallimenti letterari di ogni tipo, compare in libreria
intorno agli anni Ottanta, s’intitola Città di
vetro, primo episodio che i lettori avrebbero presto imparato
a riconoscere come Trilogia di New York. Dalle
pagine del libro emerge il ritratto di una città enigmatica, sospesa
nel tempo, capace di dissolvere tra le proprie spire l’identità
dei suoi abitanti, chiusi in un appartamento di Brooklyn o lanciati in
logoranti quanto assurde indagini investigative. Paul Auster «appare
sulle scene come una sorta di Samuel Beckett lunare e metropolitano alle
prese con una trama di Poe».
Il successo è subito enorme al punto da farlo conoscere in tutto
il mondo consacrandolo come maestro indiscusso del «giallo
filosofico» arriva alla fine di un massacrante apprendistato
che in poco più di dieci anni lo ha visto abbandonare New York,
vagabondare senza un soldo tra Parigi, Dublino,
Roma, Madrid, imbarcarsi
come marinaio sui convogli mercantili, scrivere soggetti per film muti
mandare all’aria matrimoni, pubblicare poesie e articoli di critica
letteraria per ritrovarsi a New York, senza il becco di un quattrino.
«La mancanza di denaro era diventata una vera e propria ossessione.
Ho vissuto per anni nel più totale panico», confesserà
più tardi. Nel 1996, con quasi dieci anni di ritardo, la Trilogia
arriva anche in Italia. Con gli anni Novanta la vicenda artistica di Paul
Auster abbraccia anche il cinema. Smoke e Blue
in the face sono i due film rivelazione di Wayne
Wang scritti e sceneggiati da Auster che, nel 1998, si cimenterà
anche come regista con Lulu on the Bridge.
Il primo problema davanti a Smoke e Blue
In The Face è capire che rapporto hanno i due film.
Il secondo, infatti, non è il seguito del primo o lo è soltanto
in parte, e a posteriori. Certo, a unificarli pensano la tabaccheria
di Brooklyn che è il centro irradiante delle diverse
vicende e dei diversi racconti, e il personaggio stesso del tabaccaio,
Auggie Wren, interpretato da Harvey Keitel.
Ma in Blue In The Face scompare lo scrittore
Paul Benjamin interpretato da William Hurt,
che nell'unica settimana di riprese era impegnato altrove, e la struttura
del film si fa, se non sperimentale, più libera e rilassata rispetto
alla concatenazione a orologeria, e insieme casuale, dell'opera precedente.
Mentre l'obiettivo si apre, nonostante le tante star chiamate a fare da
comparse, un impagabile Lou Reed, Madonna,
John Lurie, Michael J. Fox..., sul quartiere
di Brooklyn, in cui una passeggiata può
riepilogare la storia degli Stati Uniti. E in cui «lo scrittore
ebreo Paul Auster e il regista sino-americano Wayne Wang, a tutti gli
effetti coautori nonostante le distinzioni di comodo dei titoli, ritrovano
molte delle loro ossessioni portate all'ennesima potenza: il dramma e
l'utopia del melting pot, l'incontro di storie diverse, la scoperta della
solidarietà».
Un'idea
forte di entrambi i film è ad esempio quella di muovere la macchina
da presa con estrema parsimonia, evitando qualsiasi virtuosismo squisitamente
cinematografico. Ma mentre in Smoke questa limpidezza
dello sguardo non sacrifica una certa variazione del punto di vista, come
accade nel finale con la lenta carrellata verso le labbra di Auggie
Wren, impegnato nel racconto di Natale, in Blue In
The Face, invece, la macchina da presa fissa è padrona
di ogni scena e si assume coscientemente il rischio di annoiare lo spettatore.
Che non si tratti però di una scelta di comodo o di un'esigenza
da cabaret filosofico, lo precisa meglio e di nuovo il film maggiore.
E lo fa con una scena tra le più intense del dittico, quella che
vede Paul sfogliare l'album fotografico di Auggie. Un'infinità
di fotografie scattate per anni tutti i giorni alla stessa ora da un identico
punto di Brooklyn: in una di queste, Paul scoprirà
un'immagine della moglie uccisa durante una rapina, ritornando paradossalmente
in possesso della sua vita, e della sua scrittura, grazie ad una persona
che conosce appena. Le cose e le persone sono lì, davanti a noi,
ci parlano e sembrano parlare di Wang e Auster:
lasciamo che manifestino il loro essere visibili, senza l'obbligo di colpirci
allo stomaco o inchiodarci alla poltrona.
Il film, come abbiamo visto, inizia proprio nella tabaccheria di Auggie,
interpretato da un meraviglioso Harvey Keitel, dove Paul
(William Hurt), comprando i suoi sigari, da una divertentissima
spiegazione su come sia possibile pesare il fumo. E’ proprio in
quest’angolo di Brooklyn che i personaggi
s’incontrano e cambiano a mano a mano che le loro vite s’incrociano.
Sono proprio le relazioni fra la gente del quartiere che costituiscono
il fulcro della storia scritta da Paul Auster; ed è infatti leggendo
il suo Racconto di Natale di Auggie Wren, pubblicato
dal New York Times, che Wayne Wang
ha avuto l’idea per il film. Ed è così che dall’accoppiata
Wang – Auster è nato Smoke, niente effetti speciali, nessun
grande nome, un film reale in cui ad emozionare sono i personaggi, ognuno
con la sua storia alle spalle, le sue manie, le sue sfumature, il suo
fascino; personaggi veri che condividono la passione per i sigari e danno
una calda immagine di quella che può essere la vita in un posto
come Brooklyn.
COME SI SONO ESPRESSI I QUOTIDIANI ITALIANI
Maurizio Porro del «Corriere della Sera»
«In una tabaccheria, al crocicchio di Brooklyn, s'incontra, come nei campielli goldoniani, gente di varia umanità, originale e a doppio fondo come la vita. a ciascuno il suo problema: c'è chi piange una moglie, chi cerca un padre, chi va in giro con un gruzzolo, chi racconta un Natale trascorso a fin di bene tanto tempo fa, chi fa ogni giorno la stesa fotografia. Viva la gente, basta che sia un po' bislacca. Un film diverso, divertente, accattivante, dove Hurt e Keitel aggiungono il loro talento: ma la vita, alla fine, sarà davvero un film di fumo? Da vedere».
Antonello Catacchio «il Manifesto»
«Auggie è il tabaccaio all'angolo di una strada di Brooklyn. Tutte le mattine alle otto scatta una fotografia del suo angolo. Foto tutte uguali solo per chi non sa leggere le immagini. e nel suo negozio sfilano Paul, scrittore di qualche successo in crisi creativa dopo che la moglie è stata assassinata durante una rapina. Una vecchia fiamma che gli porta insospettate notizie di paternità. Un ragazzo afroamericano che cambia nome a ogni incontro e un padre senza mano che cerca di ricostruire una vita a brandelli. Racconti che si intrecciano, lasciano il segno per qualche istante, prima di sparire nel nulla. Come il fumo di sigari e sigarette. Avvio lento, forte ripresa e grande contributo narrativo di Paul Aster coautore con Wayne Wang».
Paolo
Mereghetti da «Sette»
«C'è una specie di "elogio del risparmio" all'origine di questo film, un'idea riduttiva - seppur simpatica - di "passività" cinematografica a fare da spina dorsale a Smoke, perfettamente esemplificata dalla mania del tabaccaio Auggie che ogni mattina alle otto in punto fotografa lo stesso angolo di Brooklyn. E un po' allo stesso modo il regista cino-americano Wayne Wang e lo scrittore Paul Aster (autore del racconto all'origine del film e coautore della sceneggiatura) scelgono un anonimo angolo di New York uguale a mille altri (la tabaccheria di Auggie Wren) per aprire i loro occhi - e quelli della macchina da presa - e "aspettare" di vedere quello che succede, quello che "entra" nel campo visivo e nella porta del negozio. minimalismo quotidiano: facce simpatiche o strane, storie insignificanti o piccoli drammi quotidiani, una lacrima, una risata, un atto di generosità, uno scatto di rabbia. Niente di meno ma anche niente di più. Cinema sulla difensive, che si affida alla forza delle parole (la storia di Natale che chiude il film) più che su quella dello sguardo, che non ci prende per mano per farci entrare in un universo che altrimenti non avremmo mai conosciuto (che poi è quello che vorremmo chiedere sempre al cinema), ma ci porta a fare una passeggiata in un angolo poco battuto. A sorridere insieme sulle piccolezze della vita. Minimalista»
La
regione di New York fu scoperta da Giovanni
Verrazzano nel 1524, mentre era in servizio per Francesco
I re di Francia.
Nel 1609 è l’inglese Henry Hudson, che per
iniziativa della Compagnia olandese delle Indie Orientali
esplora l’entroterra, alla ricerca del passaggio a nord-ovest.
I primi ad arrivare in questa zona sono gli olandesi
che nel 1653 vi stabiliscono un loro insediamento. Nel corso degli anni
la zona si popola sempre più rapidamente, fino a diventare il quartiere
più densamente abitato di New York. I primi collegamenti regolari
con l'isola di Manhattan iniziano verso il 1840
con dei traghetti vapore, quindi nel 1883 è aperto il Ponte
di Brooklyn. Oggi, se fosse considerato città a sé,
sarebbe, per numero di abitanti, la quarta d'America.
Brooklyn, che si trova su Long Island a sud
del Queens, è anche conosciuto come il
quartiere delle chiese, perché ce ne sono tantissime. I punti di
interesse turistico la zona Brooklyn Heights,
dove, sulla sponda dell'East River a sud del
Brooklyn Bridge, è possibile ammirare
e fotografare la zona downtown di Manhattan, uno dei panorami
più famosi del mondo.
Altre zone interessanti sono Park Slope, paragonata
al quartiere londinese di Chelsea e considerata
zona di interesse storico, Coney Island famosa
per il suo Luna Park e per la sua spiaggia, lunga tre miglia e duecento,
che d'estate è presa d'assalto dai newyorchesi e Sheepshead
Bay che assomiglia ad un piccolo villaggio di pescatori
e dove è possibile affittare una barca per la pesca d'altura.
Nell'ottobre del 1929 ci fu il grande panico a Wall Street
che segnò l'inizio della depressione legato alla grave crisi economica
mondiale. Nel 1931 fu completato l'Empire State Building
che fu fino al 1952 l'edificio più alto del mondo, quando è
inaugurata la sede dell'ONU sull'East River.
Durante gli anni Sessanta, la città è teatro di forti conflitti
razziali e disordini sociali.
Il 15 ottobre 2003 il traghetto che collega Manhattan
a Staten Island ha un incidente molto grave.
Si parla di dieci morti e molti feriti, alcuni dei quali molto gravi.
Sembra che il traghetto poco prima di attraccare a Staten Island abbia
urtato violentemente contro il molo. In quel momento nella baia soffiava
un vento molto forte. C'è già un piccolo mistero che riguarda
il comandante della nave. La CNN ha annunciato che si sarebbe suicidato.
Questa notizia è stata smentita dallo stesso sindaco di New York.
Sembra comunque certo che il comandante abbia tentato il suicidio.
Due anni prima dell’incidente, il 13 ottobre, come ogni anno la
città di New York organizza una serie di manifestazioni per celebrare
il Columbus Day. I festeggiamenti si concludono
con la parata che si svolge su Fifth Avenue, promotrice della quale e
la Columbus Citizens Foundation. Nel 1984 l'allora presidente degli Stati
Uniti, Ronald Reagan, dichiarò il Columbus Day
festa nazionale. Ora si svolge ogni anno, il secondo lunedì di
ottobre.
L'architetto Daniel Libeskind, vincitore con il suo progetto
per la ricostruzione del WTC, ha annunciato che la Freedom Tower non sarà
più alta 1.776 piedi come inizialmente proposto a livello simbolico
per ricordare l'anno dell'indipendenza degli Stati Uniti, ma 2.000 piedi,
cioè circa 610 metri. La motivazione della variazione è
tecnico-commerciale. Infatti le società che gestiscono radio e
televisioni, che utilizzeranno la futura antenna posizionata sulla punta
della torre, spingono per alzare l'edificio in modo da raggiungere un
numero più elevato di utenti. Roland Betts, direttore
del Lower Manhattan Development Corp., incontrando
Libeskind gli architetti di Larry Silverstein
e David Childs ha infatti dichiarato di apprezzare l'altezza
simbolica di 1.776 piedi, sottolineando però che sicuramente a
2.000 piedi c'è una ricezione migliore.
Reno Bromuro è nato a Paduli, in Campania, nel 1937. E' stato un poeta, scrittore, attore e regista teatrale. Nel 1957, a Napoli, ha fondato il Centro Sperimentale per un Teatro neorealista. Ha fondato nel 1973 (di fatto) l'A.I.A. Associazione Internazionale Artisti "Poesie della Vita", e, come critico letterario, ha recensito molti poeti italiani e stranieri. Si è spento nel 2009, qualche anno dopo averci dato l'opportunità di collaborare con lui. Noi di Letteratour lo ricordiamo con affetto qui.
Vuoi pubblicare un articolo o una recensione?
Scopri come collaborare con noi
Rosario Frasca
VAI AL BLOG
Rosella Rapa
VAI AL BLOG
Davide Morelli
VAI AL BLOG
Elio Ria
VAI AL BLOG
Anna Stella Scerbo
VAI AL BLOG
Anna Lattanzi
VAI AL BLOG