di Francesca Colella
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Vittoria "nata fra le vittorie"
Figura
centrale della cultura del ‘500, Vittoria Colonna nacque a Marino
(Roma) nel 1490, terzogenita di Fabrizio Colonna e di
Agnese di Montefeltro. Di lei disse l’Ariosto che il nome le derivava
dall’essere “nata fra le vittorie”, in quanto discendente
di due nobili famiglie: i duchi di Marino, acerrimi nemici dei Borgia
nella scalata al potere Vaticano, per parte di padre, e i duchi di Urbino,
da cui Vittoria derivava per parte di madre, Agnese, figlia di Federico
di Urbino e sorella del grande Guidobaldo da Montefeltro.
Nella contesa tra Francia e Spagna per la conquista del Regno di Napoli,
i Colonna si schierarono in un primo tempo a fianco dell’esercito
di Carlo VIII d’Angiò, ma poi, offesi dall’atteggiamento
del re francese che si era alleato con i Borgia, passarono al servizio
della Spagna. Banditi dallo Stato Pontificio da papa Alessandro VI, che
ordinò la confisca di tutti i loro beni, per “troppa fedeltà”
alla Corona spagnola, i Colonna si trasferirono a Napoli, dove abitarono
un palazzo in via Mezzocannone, donatogli dagli Aragonesi.
In seguito la famiglia d’Avalos, di origine spagnola e per tradizione
fedele agli Aragona, li ospitò per molti anni sul Castello di Ischia,
che, grazie alla presenza colta e raffinata di Costanza d’Avalos,
duchessa di Francavilla e governatrice dell’isola, era diventato
uno dei centri culturali della corte aragonese, attorno al quale ruotavano
poeti e letterati come Sannazzaro, Cariteo, Galeazzo di Tarsia, Moncada,
Fuscano, Bernardo Tasso. L’amicizia fra le due famiglie, i Colonna
e i d’Avalos, fu consolidata dalla decisione di concordare il matrimonio
tra i propri figli ancora bambini, Vittoria e Francesco Ferrante, col
beneplacito di re Federico, favorevole a un’unione che avrebbe ulteriormente
rafforzato il legame tra i Colonna e la Corona Spagnola.
Il matrimonio nel Castello Aragonese di Ischia
Il
27 dicembre 1509, nella cattedrale del Castello
di Ischia vennero celebrate le nozze tra Vittoria Colonna
e Francesco Ferrante d’Avalos.
Il matrimonio stretto fra due discendenti di tanto illustri casate fu
ovviamente molto fastoso e memorabile per il lusso e la magnificenza del
convito. Le cronache dell’epoca si soffermano con dovizia di particolari
a descrivere sia la magnificenza degli abiti (la sposa indossava una veste
di broccato bianco con rami d’oro adornata di un mantello azzurro)
che la ricchezza dei doni, come il letto alla francese di raso rosso foderato
di taffettà azzurro, regalo del padre, Fabrizio Colonna, e una
croce di diamanti e dodici braccialetti d’oro, dono dello sposo.
Alle nozze parteciparono le migliori famiglie della nobiltà napoletana.
Ben presto Ferrante, insignito anche del titolo di marchese di Pescara,
lasciò la giovane sposa, e partì agli ordini del suocero
Fabrizio Colonna, militando sotto le bandiere spagnole nella guerra che
opponeva Ferdinando il Cattolico al re di Francia.
Brevi
furono i ritorni e soggiorni di Ferrante ad Ischia
dove Vittoria dopo la sua partenza si era trasferita e dove lo attendeva
trascorrendo il tempo tra conversazioni colte e la frequentazione di molti
poeti e letterati. Su questo “scoglio”, al cospetto del golfo
di Napoli, Vittoria Colonna dimorò quasi ininterrottamente dal
1509 al 1536.
Durante la sua permanenza a Ischia strinse una forte amicizia
con Costanza di Francavilla, castellana colta ed energica che
diventò per la giovane Vittoria una preziosa confidente e una guida
anche per la sua formazione letteraria, per la quale non tardò
a brillare a corte, tanto che i letterati chiamati dalla duchessa di Francavilla
facevano a gara per celebrare e corteggiare la marchesa, ammirata per
la sua cultura e per la sua austera bellezza. Questi anni la videro dunque
musa di un cenacolo di letterati umanisti (Bernardo Tasso,
padre di Torquato, Luigi Tansillo, Galeazzo di Tarsia, Girolamo Britonio,
Capanio, Cariteo, Sannazaro) e le ispirarono rime amorose
e spirituali composte per lo più in seguito alla morte dello sposo.
Altra intensa esperienza fu quella che si potrebbe definire una maternità
spirituale verso il piccolo Alfonso del Vasto,
cuginetto di Ferrante, che fu amato dalla poetessa al pari di un figlio,
al punto che lo designò suo erede ed ebbe per lui parole di grande
orgoglio quando, rispondendo anche ai pettegolezzi di corte sulla sua
presunta sterilità, affermò: “non son sterile veramente,
sendo nato dal mio intelletto costui.” La sua morte, avvenuta nel
1546 a Vigevano in battaglia, le lasciò un doloroso vuoto di cui
ci è rimasta traccia in un meraviglioso e struggente sonetto (Rime,
Sonetto CCVIII).
Gli anni ischitani di Vittoria furono segnati anche da
gravi lutti: nel 1516 la morte del fratello Federico in giovanissima età,
nel 1520 la perdita del padre Fabrizio e nel 1522 della madre Agnese di
Montefeltro; in questa triste occasione rivide il consorte.
Nel quadro delle nuove ostilità tra Francia e Spagna, Ferrante
fu chiamato da Carlo V a capo del suo esercito e partì per la Lombardia,
dove nel corso della memorabile battaglia di Pavia del 1525 venne sconfitto
e fatto prigioniero Francesco I. Il 25 novembre 1525, in seguito alle
ferite riportate nel corso di questa stessa battaglia (non si sa se anche
per sospetto veleno), morì Ferrante D’Avalos, che aveva avuto
gran merito in questa vittoria.
L’amore e la devozione che portava al consorte, di cui non fu sposa
felicissima anche per le continue infedeltà di lui, fecero di Vittoria
una vedova esemplare. Tornata a Roma, chiese il permesso di ritirarsi
nel convento di San Silvestro in Capite a papa Clemente VII, il quale
acconsentì, ma con espresso divieto di prendere il velo. Questo
fu solo l’inizio del suo peregrinare, che la condusse di preferenza
nella quiete dei conventi, dove scrisse versi e lettere
pieni di rimpianto e nostalgia per il “bel sole” perduto.
Il ritorno al paese natale e la fuga
Tuttavia
il desiderio di Vittoria di vivere in ritiro fu contrastato dai membri
della famiglia Colonna, in modo particolare dal fratello Ascanio, uomo
turbolento e difficile, perduto dietro sogni di alchimia e negromanzia,
che qualche tempo dopo la dolorosa perdita riuscì a persuaderla
a ritornare a Marino. L’insistenza di quest’ultimo era dovuta
al fatto che la presenza della sorella, dama romana e spagnola colta,
risultava particolarmente preziosa in quegli anni caratterizzati da feroci
dissidi tra la Chiesa e i Colonna. Il pontefice Clemente VII, infatti,
per vendicarsi degli oltraggi subiti, comandò di radere al suolo
i castelli dei Colonna costringendoli alla fuga. La stessa Vittoria, nonostante
in ogni modo cercasse di mettere pace tra i contendenti, dovette fuggire
da Marino a Napoli e al caro rifugio di Ischia.
Durante il Sacco di Roma del 1527, perpetrato dalle milizie
mercenarie di Carlo V, ebbe gran parte negli aiuti alla popolazione romana:
scrisse a quanti potevano intervenire per mitigare gli effetti di quella
tragedia, offrì le proprie sostanze per riscattare i prigionieri
e insieme a Costanza accolse le molte dame e letterati che cercarono rifugio
sull’isola.
Intanto un altro uragano si preparava nelle vicinanze di Ischia: nella
battaglia navale di Capo d’Orso, combattuta nel golfo di Salerno
nell’aprile 1528, dove Filippino Doria vinceva sugli Imperiali,
furono fatti prigionieri Ascanio e Camillo Colonna, insieme al marchese
Alfonso del Vasto. Vennero poi liberati per intercessione di Vittoria
presso F. Doria, riconoscente per la carità da lei dimostrata al
tempo del sacco di Roma.
Nello stesso periodo a Napoli Vittoria cominciò
a frequentare un circolo formatosi attorno alla predicazione
di Giovanni Valdés che riuniva personalità
desiderose di operare una riforma della religiosità cristiana,
come Flaminio, Piero Vermigli, Isabella Bresena, Giulia Gonzaga e molti
altri.
Nel 1531 la peste scoppiata a Napoli raggiunse anche Ischia e Vittoria
si trasferì ad Arpino, e di là a Roma, dove, riguardo la
polemica sui Cappuccini, prese apertamente posizione in favore della nuova
religiosità. La poetessa in questi anni fece sistematicamente la
spola tra Roma e Ischia, sua residenza preferita. Nella città eterna
strinse molte amicizie illustri: tre famosi cardinali, Reginald Pole,
il Contarini, il Bembo le furono devoti.
Risale a questo periodo il progetto caldeggiato dalla marchesa di Pescara
di indurre l’imperatore a un’impresa in Terra Santa, ma, tramontata
ogni speranza di promuovere un’azione imperiale in favore della
Cristianità, decise di recarsi lei stessa in quei luoghi sacri
come umile pellegrina e nel 1537, in attesa del parere favorevole di papa
Paolo III, si trasferì a Ferrara con la segreta speranza di poter
proseguire a Venezia e di lì imbarcarsi. In questa città
la sua presenza fu molto gradita alla duchessa Renata di Francia e al
duca stesso Ercole II d’Este. Affascinata dal clima riformato e
intellettualmente vivace, smise di parlare del viaggio in Terra Santa,
soprattutto a causa del parere contrario del marchese del Vasto, e si
fermò a lungo nella corte estense.
Decise poi di ritornare a Roma, anche a causa della salute cagionevole.
Fra gli incontri di questi anni bisogna ricordare quello importantissimo
con Michelangelo, da cui nacque un’amicizia indissolubile
e profonda.
Le disavventure familiari e la morte
Intanto i rapporti tra la famiglia Farnese del papa Paolo
III e i Colonna si deterioravano sempre più, fin quando si giunse
ad un vero e proprio conflitto dopo la promulgazione della tassa del sale
che Ascanio si rifiutò di pagare, in nome di un vecchio privilegio.
Vittoria, lasciata Roma che era divenuta insicura, si ritirò nel
monastero domenicano di San Paolo ad Orvieto (1541). I Colonna furono
sconfitti e Paolo III ordinò la confisca di tutti i loro possedimenti
nello Stato della Chiesa, mentre Ascanio fu costretto in esilio a Napoli.
Dopo essere rientrata a Roma, la poetessa si ritirò nel convento
di Santa Caterina a Viterbo, dove risiedeva il cardinale inglese
Reginald Pole, che ella considerò la sua guida spirituale
e con cui stabilì un fitto scambio epistolare.
Nel 1544 nel suo continuo peregrinare giunse nel convento delle benedettine
di S.Anna dei Funari a Roma. La morte la colse il 25
febbraio 1547 dopo lunghissima malattia; troppo grave per restare
in convento era stata portata in casa di parenti- Giulia Colonna e Giuliano
Cesarini- alla Torre Argentina. L’Inquisizione andava raccogliendo
prove contro di lei e forse la morte la salvò da un processo simile
a quello che dovettero subire molti suoi compagni dei cenacoli di un tempo,
accusati di eresia. Michelangelo, suo ammiratore devoto, la vegliò
fino all’ultimo e inconsolabile per il dolore di questa perdita
scrisse: “Morte mi tolse un grande amico”.
Donna e sposa austera, schiva, riservata e al tempo stesso energica e
determinata, Vittoria Colonna fu nodo di potere e religione tra gli intellettuali
rinascimentali e le cariche istituzionali del tempo. Scrittrice instancabile
scambiò lettere (Lettere, 1530-1570) con i più
rappresentativi personaggi dell’epoca (Baldesar Castiglione, Pietro
Aretino, Marco Antonio Flaminio) e, sulla scia dei “petrarchisti”
del Cinquecento, compose pregevoli poesie: Rime (1538); Rime
Spirituali (1546); Pianto sulla passione di Cristo e l’Orazione
sull’Ave Maria (1556).
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