di Reno Bromuro
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"A
mezzo il giorno
sul Mare etrusco
pallido verdicante
come il dissepolto
bronzo dagli ipogei, grava
la bonaccia. Non bava
di vento intorno
alita. Non trema canna
su la solitaria
spiaggia aspra di rusco,
di ginepri arsi. Non suona
voce, se ascolto"
Gabriele
d'Annunzio nasce a Pescara il 12 marzo
1863 da Francesco Paolo e Luisa de Benedictis.
A undici anni è iscritto al Collegio Cicognini di Prato.
All'esaltazione napoleonica coltivata insieme col "compagno dagli
occhi senza cigli" lentamente la sostituisce, entusiasmato dalle
Odi barbare carducciane. In questo modo l'attività
poetica, mentre si rivela insofferente d'ogni freno, è già
arditamente spinto alle esperienze amorose. Nel 1879 pubblica Primo
vere, che l'anno dopo esce in seconda edizione "corretta
con penna e con fuoco". Giuseppe Chiarini,
sul "Fanfulla della Domenica" annuncia
che l'Italia ha un suo nuovo poeta... Finiti gli studi liceali s'iscrive
a Lettere all'università di Roma. Conosce
Edoardo Scarfoglio e si ambienta rapidamente nel mondo
letterario-giornalistico romano.
L'anno successivo fa un viaggio in Sardegna
con Pascarella e Scarfoglio.
Iniziano le collaborazioni al "Fanfula della Domenica",
alla "Cronaca bizantina", nella cui
redazione incontra Carducci vedendolo poi molte volte,
al "Capitan Fracassa", alla "Tribuna".
Nell'inverno 1882-'83 inizia la vita mondana e galante, che appena ventenne
sposerà la duchessina Maria Hardouin di Gallese.
Nel 1882 pubblica Canto novo e le novelle di
Terra vergine. Seguono Intermezzo
di rime, il Libro delle vergini,
il San Pantaleone composto anch'esso di racconti,
e nel 1886 l'lsaotta Guttadàuro chiamata
poi l'lsottèo quando, rielaborata, esce con La chimera
nella raccolta poetica del 1890. Intanto nel 1889 ha pubblicato Il
piacere e nell'estate precedente L'armata d'ltalia,
saggio critico-polemico sulle questioni della marina militare italiana.
Nei primi mesi del 1890 sulla "Tribuna illustrata"
appaiono varie puntate del romanzo L'invincibile,
che resta allora non finito e sarà riassorbito nel Trionfo
della Morte. Dopo un anno di servizio militare nel Reggimento
Cavalleria "Alessandria", scrive di nuovo a Roma
il Giovanni Episcopo e nel Convento
del pittore Michetti, a Francavilla,come
già Il piacere nasce L'innocente.
La grande relazione amorosa con Barbara Leoni sta per
finire, dopo quattro anni e più, senza che se ne avvantaggi oramai
la vita coniugale con Maria da cui ha avuto tre figli. Nuovamente tormentato
dai debiti si stabilisce a Napoli, negli ultimi
mesi del 1891, restandovi fin quasi all'inizio del 1894. Comincia la reciproca
passione per la contessa Maria Anguissola principessa Gravina
che abita a Napoli; e dalle collaborazioni al
"Corriere di Napoli", direttore Scarfoglio
e la Serao ricava per il momento gran parte dei mezzi
per vivere.
Nel 1893 pubblica il Poema paradisiaco unendovi
le accresciute Odi navali. Suo padre muore nel
giugno di quell'anno, lasciando completamente dissestata la famiglia.
Degli ultimi tristi rapporti col padre c'è larga traccia nel romanzo
Trionfo della Morte finito e pubblicato nel
1894, la cui protagonista femminile ha ancora in Barbara
l'ispirazione biografica; d'Annunzio dà ora il titolo complessivo
di Romanzi della Rosa a Il Piacere,
all'Innocente e al nuovo libro.
È
dell'estate 1895 il famoso viaggio in Grecia
sullo yacht di Scarfoglio. Del novembre, nel medesimo
anno, il discorso a Venezia per la chiusura dell'Esposizione
d'Arte,che è intitolato poi"Gloria alla
Allegoria dell'Autunno" ed entrerà nel romanzo Il
fuoco. A Venezia,ritrova Eleonora
Duse, già incontrata nel 1881, durante il suo primo soggiorno
romano, stabilendo con lei un'intensa amicizia. Nel maggio 1897 ha il
secondo figlio da Maria Gravina ma i loro rapporti si
stanno esaurendo. L'amicizia sempre più calda con la Duse
si intreccia ai rinnovati propositi di lavoro per il teatro, e alla loro
prima realizzazione: La città morta,
rappresentata e pubblicata nel 1898, è per ora la più importante.
Ma rivolgendosi a Sarah Bernhardt per la prima rappresentazione,
suscita nella Duse un profondo e lungo risentimento.
Nel 1897 partecipa con successo alle elezioni politiche riuscendo deputato
nel collegio di Ortona a Mare che comprende Pescara.
Il suo programma "al di là della destra e della sinistra"
ha tuttavia una netta impostazione nazionalistica e, quelle poche volte
che va a Montecitorio si colloca sui banchi
d'estrema destra.
Nei due anni che seguono l'intimità con la Duse si fa ancora più
forte, dopo la ripresa; e il Vate, ora, vive abitualmente a Settignano
nella villa "La Capponcina" presso
la "Porziuncola" della Duse. La segue
in Egitto e in Grecia;
accanto a lei compone il dramma La gloria, a
Corfù, ed è la Duse a strappare
il successo del precedente dramma, La Gioconda,
nella primavera 1899 recitandolo insieme a Zacconi.
Gran rumore e scandalo fa il romanzo Il fuoco
uscito nel 1900 per le rivelazioni in parte crudeli sugli amori con la
Duse.
Nel
1901 scrive la tragedia Francesca da Rimini.
È ormai alle soglie del più grande periodo per la sua poesia;
escono nel 1903 i primi tre libri delle Laudi Maia, Elettra,
Alcyone, con la data 1904 il secondo e il terzo, massimo
capolavoro della lirica dannunziana e che avrà poi il titolo lievemente
modificato in Alcyone.
Nel 1930 donava all'Italia il Vittoriale. Nel
1937 è nominato Presidente della Accademia d'Italia.
Grandi onori ufficiali, isolamento e sostanziale tristezza segnano gli
ultimi anni del poeta, che aspetta la morte "ma non fra le lenzuola".
Muore improvvisamente martedì 1 marzo 1938, per emorragia cerebrale,
nel suo studio, poco dopo le otto di sera.
L'Alcyone, completato
nel 1903, è il terzo dei quattro libri poetici (o cinque libri,
se si conta anche Asterope, pubblicato tra il
1914 e il 1918) che D'Annunzio compose sotto il titolo
di Laudi del Cielo, della Terra e degli Eroi.
Maia, il primo libro, riprende temi cari Al
Vate: una celebrazione vitalistica della esistenza e un naturalismo pagano
impreziosito da riferimenti classici e mitologici. Elettra,
secondo libro, celebra gli eroi della patria e dell'arte, mentre Merope,
quarto libro, raccoglie canti celebrativi per la conquista della Libia.
Alcyone, pubblicato nello stesso periodo di
Maia, ma collocato come terzo libro, rappresenta l'apoteosi poetica di
D'Annunzio. In questa raccolta di ottantotto liriche di metro vario sono
racchiuse, tra le più belle poesie del Vate come La
sera fiesolana e La pioggia nel pineto.
Ma noi crediamo che la lirica "Meriggio"
sia un poco trascurata perché in essa abbiamo trovato che la maestria
stilistica si armonizza con una forte e audace sensualità che unita
alle liriche menzionate, fa dell'Alcyone un'opera molto apprezzata.
Il
giovane D'annunzio assume come modelli il classicismo
carducciano, vedi Primo vere e il realismo
verghiano, vedi Terra vergine,
non solo per una strategia editoriale, ma anche per la natura del suo
talento che lo porta ad assimilare fino all'apparente plagio i prodotti
letterari altrui, che investe però di nuovi significati grazie
ad una sensibilità eccellente e un amore per la parola e l'immenso
desiderio di esprimere se stesso attraverso l'Arte: "espressione
è il mio unico modo di vivere". Abbandona presto il Verismo
perché convinto di non essere abbastanza schietto, sufficientemente
vero e delinea un ideale di prosa moderna che armonizza tutte le varietà
letterarie.
L'elemento costante diventa esperienza sensibile ch'è resa attraverso
la magia della parola, che evoca la realtà insieme al suo mistero,
alla sua sensuale ambiguità.
L'estetismo diventa valore supremo e unico che identifica con la vita
stessa. E allora inizia la ricerca per la parola raffinata, dichiara il
proprio amore sensuale per la parola, il verso diventa tutto. La parola
possiede elementi musicali, e la musica parla direttamente all'anima;
si stacca dal testo, assume valenza magica e diventa azione, gesto; diventa
"incantesimo di massa" commuove, persuade, affascina e seduce.
Ecco la necessità di rivelare le cose con le raffinatezze dello
stile, della metrica e la scelta del termine. Il carattere dominante della
poesia di D'Annunzio è la sensualità intesa come gioia di
vedere, di possedere e di godere. Si è soliti periodizzare la sua
produzione in fasi, che non rappresentano un'evoluzione, ma qualcosa che
è nel poeta in origine e che prevale in diversi momenti.
Prendiamo per esempio il Naturalismo sensuale
e ci accorgiamo che esso è tipico delle opere del primo periodo,
caratterizzato da una breve fase di intonazione carducciana, che però
già comprende tracce della sua personalità e da cui poi
rapidamente si allontana per esprimere la sua originalità e per
approdare, per poco, a "Terra vergine",
una raccolta di novelle di intonazione verghiana;
L'estetismo sensuale che appartiene al secondo
periodo romano, ispirato dal principio che i valori estetici e il culto
della bellezza devono avere l'assoluta priorità nell'arte e nella
vita, si caratterizza da una eleganza stilistica che tenta di dare una
soluzione intellettualistica al suo sensualismo. Il concetto ci viene
teorizzato nella sua forma più esplicita ne Il piacere
il suo primo romanzo. In esso viene trattato il dramma dell'esistenza
dell'autobiografico Andrea Sperelli ossessionata dall'avidità
di soddisfazioni sensuali e dal tentativo di spiritualizzare questa sensualità
nell'arte;
Il superuonismo ufficialmente, nasce in Italia
nel gennaio del 1895 con la pubblicazione nel primo numero del convito
della prima puntata de "Le vergini delle rocce"
di Salinari; nel romanzo, Claudio Cantelmo
si intrattiene con tre sorelle, principesse di sangue borbonico, per decidere
con quale delle tre unirsi in matrimonio e fondare la razza dei nuovi
"dominatori in un'epoca in cui la vita pubblica non è
se non uno spettacolo miserabile di bassezza e di disonore".
La personale concezione del superuomo matura sotto l'influsso di Nietzsche,
ma in realtà è una rielaborazione che fraintende o che,
diversamente da Nietzsche, rielabora L'oltre-uomo: metafora
dell'espressione, della liberazione dell'uomo dalle sue miserie e affermazione
di valori come la vitù; e lo identifica con l'eroe, secondo cui
l'stinto è la sola verità e la morale una menzogna; l'unica
legge è il dominio. Avvicinandosi alla belva l'uomo supera l'uomo
e realizza, appunto, l'eroe.
Il naturalismo panico è il punto di approdo
della poesia dannunziana. Teorizzato nell'Alcione,
ove viene instaurato un rapporto con la natura in chiave mistico-magica,
la natura è sentita come una forza misteriosa, terribile e attraente,
a cui l'uomo può unirsi solo abbandonandosi ad un flusso istintivo
ed inferiore che nulla ha di razionale e di meditato. L'Alcione
è il diario poetico di una estate in Toscana,
è il superamento della sensualità primaria nella ricerca
del godimento completo perseguito da tutti i sensi e goduto con l'anima.
Il poeta immerso nella natura, il suo canto non è più solo
dell'uomo, ma è il canto stesso della natura.
A mio avviso D'Annunzio ha voluto dare alla sua poetica
poteri pratici: di seduzione, di oratoria imperialistica, di affermazione
individuale; ed ha trovato invece la sua vera poetica, il fiore di tutte
le altre esperienze, quando, servendosi sempre di quei procedimenti, di
quei tecnicismi epurati, è ritornato natura, ha agito come la natura.
Dov'è la discriminazione fra la poetica dell'Alcione e quella delle
opere precedenti? Nella mancanza appunto di scopi pratici, di intrusioni
volitive, psicologiche. L'Alcione nasce così, senza miracoli, sul
diffuso terreno estetizzante; non sfugge, ma trasfigura in arte le intenzioni
di tutto un programma. In generale si esagera nell'isolare l'Alcione,
nel farne un miracolo staccato dal resto dell'attività dannunziana.
Se invece si esamina l'Alcione dal punto di vista della poetica, non si
può non avvertire la sostanziale similarità di modi di costruzione:
se si eliminano le intenzioni extraestetiche del superuomo o i particolari
che derivano dallo atteggiamento della bontà, si vede che l'interesse
più profondo in senso poetico di non è variato. Anzi la
poetica dell'Alcione è, purificata, come la ricerca di una musica
verbale e sensuale, non musica del mistero o dell'ineffabile, ma musica
che emana dalle parole amate, gustate, e che a sua volta trascina e provoca
fiotti di nuove parole.
"La
foce è come salso
stagno. Del marin colore,
per mezzo alle capanne,
per entro alle reti
che pendono dalla croce
degli staggi, si tace.
Come il bronzo sepolcrale
pallida verdica in pace
quella che sorridea".
Alle pause vocative, che la poetica dannunziana sempre cercò inutilmente come esplosioni eroiche od orgiastiche:
Dormono i Monti Pisani
coperti da inerti
cumuli di vapore.
e si sentirà chiaramente il tono di
discorso superiore che costituisce la musica più duratura e pacata.
In "Meriggio" la poetica, è
nei suoi particolari costruttivi, nella sua maturità, nella sua
libertà di fronte ai tentativi precedenti; è più
potente che in ogni altra poesia dell'Alcione,
forse più della Pioggia nel pineto e
della Sera fiesolana. Qui la natura della poetica
dannunziana vi si mostra d'altronde nel miglior modo, nella sua struttura
decadente. È decadente per l'assoluta mancanza del contenuto, dello
argomento, sì che a noi non ne resta che un senso preciso di atmosfera
musicale, non turbata dalla presenza di un racconto o di un'intrusione
psicologica; non esistono centro e particolari, nucleo e periferia, ma
l'anima del poema è per tutto, nella trama continua delle sensazioni
che si fanno musica, delle parole che diventano note musicali. Il canto
comincia e dilegua senza lo stacco delle costruzioni classiche. Ma, poiché
è grande poesia, la musicalità è costretta a trainare
una necessità non minore di quella che vive nella conclusa armonia
classica.
Poetica nuova, senza dubbio: eppure nei confronti dei poeti nuovi e del
decadentismo più sottile, manca in questa poetica un valore di
suggestione. Perché non c'è suggestione di mondi metafisici,
conoscenza di un al di là, ma musica di parole-sensazioni. E vi
manca quel certo spirito critico, che è essenziale nella poetica
di Valéry o di Rilke.
Quel lembo di terra alle foci di un fiume
è Pescara, terra natale del Vate; anticamente
nota col nome di Aternum, fu città dei
Vestini alleati di Annibale durante
la Seconda Guerra Punica. Conquistata dai Romani,
in epoca imperiale gode di grande prosperità come porto attivo
a cui fanno capo numerose strade provenienti dai valichi appenninici e
i traffici per la Dalmazia. Nell'alto Medioevo
decade e subisce gravissime distruzioni per opera dei Longobardi.
Assunto il nome attuale di Pescara e forse mutata
parzialmente la sede, risorge intorno al Mille.
Dopo essere stata possesso di Montecassino,
nel 1140 è occupata dai Normanni, quindi, nel
1209, da Ottone Quarto e poi dagli Angioini.
Nel 1381 Giovanna Prima la dona a Raimondo Orsini
e da allora passa di signore in signore.
Nella
prima metà del Quindicesimo secolo, è feudo dei d'Ávalos
e resta in loro possesso sino alla fine della feudalità. Carlo
Quinto vi costruisce una fortezza compiuta poi dal duca
d'Alba a difesa contro i Turchi e i Barbareschi
e nel 1566 la città resiste validamente a un attacco turco. Nel
1707 è conquistata dalle truppe austriache del generale Georg
Olivier conte di Wallis. Nel 1798 è presa dai Francesi
e l'anno successivo è a lungo difesa contro i Borboni
da Carafa che, catturato dopo la resa, viene
decapitato. Durante la Seconda Guerra Mondiale
subisce gravi danni in seguito ai ripetuti bombardamenti alleati.
Oggi è capoluogo della Provincia omonima; si estende, sopra una
superficie d 33,62 chilometri quadrati con 116.837 abitanti (la stima
è di tre anni fa).
La città è situata a quattro metri sul livello del mare,
sulla costa adriatica, alla foce del fiume Pescara,
che divide l'abitato in due parti non molto ineguali tra loro. Il nucleo
originario sorse sulla sponda destra del fiume, la cui foce venne utilizzata
come porto-canale; Pescara è l'unica importante città abruzzese
sul mare. Benché sia posta in favorevole posizione alla convergenza
di frequentate direttrici del traffico, Pescara tarda a svilupparsi; nel
1921 non raggiungeva neppure i 10.000 abitanti. Nel
1927 due fatti contribuiscono sensibilmente a dare un avvio rapido e ininterrotto
alla sua espansione demografica, edilizia ed economica: in quell'anno
infatti la città è elevata a capoluogo della nuova provincia,
il cui territorio è stato staccato dalla provincia di Chieti,
e il suo comune ha incorporato il soppresso comune di Castellammare
Adriatico, già in provincia di Teramo,
che si stendeva sulla sponda opposta del fiume. La città, che al
censimento del 1931 contava già 43.943 abitanti, ha quindi un rapido
sviluppo e si afferma ben presto come il principale centro economico della
regione, perché vivace mercato dei prodotti agricoli di un vasto
comprensorio, centro portuale e successivamente anche industriale e turistico-balneare.
L'abitato, come hi già accennato, si estende lungo il litorale
sabbioso del Mare Adriatico, con pianta molto
regolare a scacchiera, determinata da strade rettilinee e parallele al
mare, con trasversali ortogonali, spingendosi anche all'interno nella
bassa valle del Pescara, sia alla destra del fiume sia nella direttrice
opposta, verso Montesilvano. L'attività
industriale è rappresentata da varie imprese operanti nei settori
alimentare, metalmeccanico, chimico, petrolchimico, dell'abbigliamento,
del legno, delle pelletterie e dei materiali da costruzione. Sviluppate
sono la pesca, le attività connesse con il turismo e quelle commerciali,
favorite dall'efficienza delle attrezzature dello scalo ferroviario, del
porto-canale e dell'aeroporto, l'unico della regione. La città
è sede vescovile. A Pescara si trova
una sede distaccata dell'Università Gabriele D'Annunzio
di Chieti.
Bibliografia
Attilio Somigliano: "Ultimi studi"
Walter Binni: "La poetica del Decadentismo"
Reno Bromuro è nato a Paduli, in Campania, nel 1937. E' stato un poeta, scrittore, attore e regista teatrale. Nel 1957, a Napoli, ha fondato il Centro Sperimentale per un Teatro neorealista. Ha fondato nel 1973 (di fatto) l'A.I.A. Associazione Internazionale Artisti "Poesie della Vita", e, come critico letterario, ha recensito molti poeti italiani e stranieri. Si è spento nel 2009, qualche anno dopo averci dato l'opportunità di collaborare con lui. Noi di Letteratour lo ricordiamo con affetto qui.
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