di Reno Bromuro
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• Carlo
Goldoni
• L'autore a chi legge "Il Campiello"
• L'arte di Goldoni
• La morale delle opere di Goldoni
• Conclusione
Carlo
Goldoni nasce a Venezia durante il
carnevale, il 25 febbraio 1707. Amante più di letture teatrali
che di studi metodici, fu uno scolaro indocile, e non volendo saperne
di seguire la professione paterna (il padre era medico) preferì
le scuole di diritto civile e canonico. Dopo un breve soggiorno a Perugia
è messo a studiare filosofia dai frati a Rimini, ma fugge con una
compagnia di comici a Chioggia. Avviato agli studi di legge all'Università
di Pavia, n'è cacciato per una satira contro le donne della città.
Ottiene un impiego nella cancelleria criminale di Chioggia, che gli fu
di grande esperienza che più tardi gli fece scrivere Le
baruffe chiazzotte.
Si laurea in legge a pieni voti nel 1731, a Padova,
ma il padre è già morto.
Intanto fa le prime esperienze di commediografo. Nel 1734 il capocomico
Imer mette in scena una sua commedia Belisario
e lo assume come poeta della compagnia, con la quale rimane per nove anni,
iniziando la sua opera riformatrice, e seguendola a Genova dove sposa
Nicoletta Conio. Dopo un breve soggiorno a Venezia coll'ufficio di Console
della Repubblica genovese, nel 1744 va ad esercitare l'avvocatura
a Pisa.
Ma nulla lo soddisfa. Così, dopo quattro anni, nel 1748 ritorna
a Venezia come poeta comico della compagnia di Girolamo Medebac,
che recitava al teatro di Sant'Angelo; passando nel 1752 al teatro del
nobile Francesco Vendramin, rimanendovi fino al 1762.
Questi sono gli anni più fecondi della sua produzione comica, che
fra lotte e difficoltà, anche per l'accesa controversia con Carlo
Gozzi, il quale si vanta di chiamare alle sue fiabe, aride e
strambe ma intenzionalmente fantasiose, più pubblico che non le
"riproduzioni della verità" di Goldoni, riesce ad attuare
la sua riforma. Ma quando già la vittoria gli arride, accetta la
carica di direttore del Teatro Italiano a Parigi,
dove deve adattarsi però, a scrivere e mettere in scena 24 commedie
originali. Malcontento, vorrebbe rimpatriare, ma lo trattiene la nomina
a maestro d'italiano delle principesse reali. Gli è conferita da
Luigi XV una pensione annua che però la Rivoluzione
francese gli toglie, e di cui la Convenzione vota la restituzione il giorno
dopo della sua morte, avvenuta a Parigi nella più squallida miseria
il 6 febbraio 1793, alla vegliarda età di 86 anni.
Le commedie di Goldoni per la loro comprensione si possono distinguere
in tradizionali, che mantengono il tipo delle
improvvisate; d'intreccio, di costume
o d'ambiente e di carattere.
In tutte si rispecchia l'animo dell'autore, calmo, sereno, arguto, semplice,
bonario, schietto, disposto a far prevalere il bene sul male, alieno dalle
investigazioni psicologiche, ma pronto a cogliere i minimi particolari
della vita, propenso al perdono delle umane debolezze. Sebbene si sia
sempre mantenuto estraneo alle competizioni di classe, non nasconde la
sua predilezione per il popolino, onesto e lavoratore, male apprezzato
e male trattato, e per la piccola borghesia ritratta nella sua ingenuità
di vicende.
Le
commedie sono quasi tutte in tre atti, in versi (settenari o martellanti),
in prosa, in italiano, in dialetto veneziano,due in francese, tutte notevoli
per gaia freschezza, per istintiva comicità, per vivacità
dialogica. Impossibile ricordarle tutte; diremo solo che, se alcune sono
ormai scomparse dalla scena, molte altre, come la Locandiera,
la Bottega del caffè, il Bugiardo,
i Rusteghi, il Ventaglio,
la Vedova scaltra, il Campiello,
le Baruffe chiazzotte, Sior Todero
brontolon, ecc... possiedono tanta viva teatralità,
mantengono carattere di profonda verità eterna, che, dopo oltre
due secoli, sono ancora rappresentate e conquistano sempre lo spettatore.
La stessa schiettezza si trova nelle Memories,
autobiografia scritta in francese, composta negli ultimi anni e condotta
fino al 1787, specie di commedia colorita di vita realmente vissuta.
L'AUTORE A CHI LEGGE "IL CAMPIELLO"
«Questa è una di quelle
Commedie che soglio preparare per gli ultimi giorni di Carnovale, sendo
più atte in quel tempo a divertire il popolo che corre affollatamente
al Teatro. L'azione di questa Commedia è semplicissima, l'intreccio
è di poco impegno, e la peripezia non è interessante; ma
ad onta di tutto ciò, ella è stata fortunatissima sulle
scene in Venezia non solo, ma con mia sorpresa in Milano fu così
bene accolta, che si è replicata tre volte a richiesta quasi comune.
La mia maraviglia fu grande, perché ella è scritta coi termini
più ricercati del basso rango e colle frasi ordinarissime della
plebe, e verte sopra i costumi di cotal gente, onde non mi credeva che
fuori delle nostre lagune potesse essere intesa, e così bene goduta.
Ma vi è una tal verità di costume, che quantunque travestito
con termini particolari di questa Nazione, si conosce comunemente da tutti.
I versi di questa Commedia sono dissimili da tutti gli altri che si leggono
ne' miei Tomi e che corrono alla giornata. Questi non sono i soliti Martelliani,
ma versi liberi di sette e di undici piedi, rimati e non rimati a piacere,
secondo l'uso dei drammi che si chiamano musicali. Una tal maniera di
scrivere pare che non convenga all'uso delle Commedie, ma il linguaggio
Veneziano ha tali grazie in se stesso, che comparisce in qualunque metro,
ed in questo precisamente mi riuscì assai bene.
Il titolo del Campiello riuscirà nuovo a qualche
forastiere non pratico della nostra città. Campo da noi si dice
ad ogni piazza, fuori della maggiore che chiamasi di San Marco.
Campiello dunque è il diminutivo di Campo,
che vale a dire è una Piazzetta, di quelle che per lo più
sono attorniate da case povere e piene di gente bassa. Usasi nell'estate
in queste piazzette un certo gioco che chiamasi il "Lotto della Venturina",
con cui si cava la grazia a similitudine del "Birbis", con alcune
pallottole, e il più o il meno guadagna, secondo è stato
prima deciso, se il più od il meno dee guadagnare. Il premio di
questo lotto suol consistere per lo più in pezzi di maiolica di
poco prezzo, ed è un divertimento che chiama alle finestre o alla
strada la maggior parte del vicinato. Con questo gioco principia la Commedia,
la quale poi prosseguisce con quegli strepiti che sono soliti di cotal
gente e di tali siti, e termina con quell'allegria che pure è frequente
nelle medesime circostanze, e che va bene adattata alla stagione per cui
fu la Commedia presente ordinata".
"La storia si svolge in una piazzetta
(campiello) un giorno di carnevale. Pasqua, un po' sorda,
ha fretta di maritare la figlia Gnese. per potersi risposare:
la vecchia Catte, per la stessa ragione, vorrebbe che sua figlia Lucietta
sposasse presto Anzoletto il merciaio; e Orsola,
la frittolera, cerca moglie per il suo Zorzetto.
Un cavaliere napoletano di passaggio fa intanto la corte alla graziosa
e affettatissima Gasparina, nipote del severo Fabrizio.
Verso sera le baruffe, le chiacchiere, i giochi si quietano e tutto è
sistemato: Gnese sposa Zorzetto, Anzoletto ha dato l'anello a Lucietta,
e il cavaliere ha ottenuto la mano, e la dote, di Gasparina".
Nonostante
il 19 febbraio 1756, Il campiello
concludesse con straordinario successo la stagione di carnevale del Teatro
San Luca. Un successo che, da allora, non è mai mancato
ogni volta che è stato ripreso. Nell'Ottocento, la commedia restò
nel repertorio di tutte le maggiori compagnie, nonostante fosse un'opera
corale, senza veri protagonisti. In questo secolo, fra le numerose edizioni
si ricordano soprattutto quella diretta da Renato Simoni
nel 1939 a Venezia nel campiello del Piovan alla Bragora con interpreti
del livello di Laura Adani, Margherita Seglin,
Wanda Capodoglio, Gino Cervi, Cesco
Baseggio, Carlo Micheluzzi e la messinscena
del 1975 di Giorgio Strehler, caratterizzata da un'accentuazione
delle istanze sociali che la commedia proporrebbe. Da quanto ci risulta,
Il Campiello, non ha visto aprire il sipario
sulle sue scene dopo la messinscena di Strehler.
Goldoni, ricordandola molti anni dopo nei Mémoires,
scrisse con giustificatissimo orgoglio che
"tutto era preso dal popolino, ma tutto era di una verità che ognuno conosceva, e i grandi come i piccini ne furono contenti; infatti avevo avvezzato i miei spettatori a preferire la semplicità all'orpello, e la natura agli sforzi dell'immaginazione. Un discorso su questa che resta di gran lunga la più bella commedia del difficile primo quinquennio del San Luca può partire proprio dal giudizio dello stesso autore, anche se esso va chiarito per evitare qualche equivoco. Non c'è dubbio, infatti, che mai prima di allora, Goldoni era riuscito a fare di un ambiente, un campiello, il protagonista assoluto di una commedia. È la sua atmosfera, sono i suoi colori, sono le architetture delle case che lo circondano, che creano subito un'aria magica e incantata, dalla quale i personaggi traggono luce e vita. Senza quel luogo così "quotidiano", nessuno, né i giovani, né i vecchi, né il Cavaliere forestiero potrebbero entrare in scena, giocare, innamorarsi, spettegolare, azzuffarsi, divertirsi, sposarsi. Un campiello vero quanto la vita, eppure trasfigurato, simbolico, luogo dell'anima, oltre che del corpo. Uno spazio di stupefacente "realtà" e insieme tutto inventato da una fantasia drammaturgica ben consapevole della differenza che c'è fra la vita e il teatro".
Qui
trionfa il senso tutto goldoniano "dell'ingenua natura, il suo
gusto dell'osservazione diretta, volta a cogliere più che l'individualità,
il concetto armonioso della vita associativa, che gli permette di superare,
con così naturale sicurezza, attraverso il linguaggio, anche i
limiti sociali, e di godere una visione gioiosa e globale della vita di
tutti i giorni e non certo delle sole feste [...] È un sentimento
intersociale e soprasociale, in armonia con le tendenze spirituali del
suo tempo, ma fuori di ogni polemica illuministica: la contemplazione,
e l'intelligenza, della società nella sua realtà naturale,
prima che storica"
La poesia de Il Campiello è così
scandita non tanto dalle situazioni essenziali e semplicissime in cui
sono coinvolti i personaggi quanto dal loro dialogo, che è un condensato
di ciacole e baruffe, inventate da un Goldoni in stato di grazia, che
trova per ogni personaggio e per ogni situazione un linguaggio di mirabile
consonanza espressiva, si risolve in una musica nuova e più originale
rispetto alle due commedie veneziane precedenti, ma soprattutto in grado
di trovare una sintesi irripetibile fra parola e canto.
IMPORTANZA, OPPOSITORI E CONTINUATORI DI GOLDONI
Quando più nulla giustifica la presenza
contemporanea sulla scena di personaggi realistici e di maschere, toglie
ai Pantaloni e gli Arlecchini
il costume e la maschera e ne fa dei personaggi realistici, padri di famiglia,
servi, interamente calati nella realtà, portatori d'interessi,
di ideologie, di conflitti caratteristici del loro momento storico.
Tutto ciò non avviene facilmente. Goldoni deve vincere una triplice
opposizione:
1° degli attori, che credevano invilita la loro arte, ripetendo
la parte scritta e non improvvisando;
2° del pubblico, troppo affezionato alle banalità della commedia
dell'arte;
3° dei letterati, tra i quali:
il bresciano Pietro Chiari che gli succede al Teatro
Sant'Angelo, che cerca di metterlo in ridicolo con spettacolari
commedie, satireggianti l'intreccio di quelle goldoniane; Carlo
Gozzi che, contro il Chiari e contro il Goldoni,
anche con intento politico, vuole dimostrare che il pubblico chiede solo
di divertirsi, sceneggiando con successo delle fiabe banalissime, quali
L'amore delle tre melarance, Turandot, Augellin
belverde, Re Cervo, ecc...
Tra i continuatori, nel senso stretto della parola, Goldoni non ne ha
degni di nota; la sua arte è troppo personale perché potesse
averne.
Quanto riguarda lo svolgimento del teatro comico, solo durante il Romanticismo
la Commedia si adatta a satira di costume, imitando il teatro goldoniano
ed accostandosi a poco a poco al dramma. I commediografi di questo periodo,
i quali non escono dalla mediocrità, sono i romani Giovanni
Gherardo De Rossi e Giovanni Giraud non privi
di evidenza rappresentativa e di spirito comico; il piemontese Alberto
Nota che in commedie fredde e compassate si propone ammaestramenti
morali. Un esempio della brillantezza del dialogo goldoniano e della spontaneità
delle situazioni lo possiamo costatare leggendo una semplice scena, di
una delle sue commedie.
Goldoni, in vita non conobbe mai un trionfo pieno, incontrastato;
né ha avuto, dopo la morte, un riconoscimento indiscusso. È
vero, però, che nella storia letteraria dei libri scolastici è
definito "il padre", in verità è chiamato il "riformatore",
o se vogliamo è appellato solo come il "restauratore"
della Commedia italiana. Esiste, però,
una vasta letteratura goldoniana; e si fanno raccolte e musei goldoniani,
proprio perché l'opera di Goldoni venga considerata vanto delle
massime glorie dell'Italia. E' anche vero, che Goldoni continua ad avere
efferati disprezzatori.
Qual è realmente, il valore storico ed estetico dell'opera compiuta
da Goldoni, almeno in quelle venticinque o trenta commedie ancora vive
e vitali tra le oltre duecentododici performance teatrali, tra commedie,
tragicommedie, drammi per musica e intermezzi, da lui scritte?
Nelle scuole s'insegna che due furono i principi adottati dal riformatore.
Il primo, come lui stesso ha affermato, nella "Prefazione
alla prima raccolta delle commedie" pubblicate a Venezia
nel 1750, fu la VERITA?:"Quanto si rappresenta sul teatro non
dev'essere se non la copia di quanto accade nel mondo. La commedia allora
è quale esser deve, quando ci pare di essere in una compagnia del
vicinato, o in una familiar conversazione (...) e quando non vi si vede
se non ciò che si vede tutto giorno nel mondo". Parole
che Goldoni aveva letteralmente tradotte dalle Reflexions sur la Poétique
d'un gesuita francese del Seicento, il padre Rapiti,
ma facendole sue con sincera identità di propositi.
Secondo principio "pulizia ed edificazione". "La
commedia" dice Fattore Anselmo nel secondo
atto della commedia-programma "Il teatro comico",
"è stata inventata per corregger i vizi e metter in ridicolo
i cattivi costumi".
La vita qual è contemplata nell'opera è tutta impostata
sulla dimostrazione di questi due punti:
1) Carlo Goldoni è un grande commediografo realista;
2) Carlo Goldoni è uno dei commediografi più morali
che il Teatro abbia mai avuto.
Il "realismo" di Goldoni fu ed è accettato,
come dato di fatto indiscutibile, non solo dai suoi apologisti, ma anche
dai detrattori sia di ieri sia di oggi. L'amore della "verità"
che gli ammiratori manifestano al merito del poeta, i suoi nemici glielo
affermano per biasimarlo; ma sempre considerandolo realismo. Il Barelli
e Carlo Gozzi, lo accusavano principalmente, di aver
cancellato lo splendore e la fantasia della Commedia dell'arte, per sostituirvi
la scialba riproduzione di piccole e grigie vicende popolaresche.
LA MORALE DELLE OPERE DI GOLDONI
È necessario inserire anche l'altra questione e
cioè accennare alla "morale" di Goldoni, così
esaltata dai suoi ammiratori, fra cui si annovera anche qualche padre
gesuita; e della quale anche uno studioso americano ha fatto, pur se,
contro questa "morale", non sono venute meno delle
eccezioni; non solo per opera dei censori del suo tempo che vanno a scavare
nel dialogo equivoci sconvenienti, e nelle scene, scorrettezze disdicevoli
fra maschi e femmine. I nemici di oggi hanno scavato ancora più
addentro. Non si accontentano di mettere a nudo una frase o un intreccio,
ma mettono sotto accusa tutto lo spirito di Goldoni e della sua opera.
Quella di Goldoni è ironia amabile, non satira. Nel suo cuore non
fremono meno sdegni che in quello di un Aristofane, o
del combattente Molière. Goldoni non ha mai provato
odio per chi scrisse Tartuffe. Quando dice di voler mettere alla
gogna il male, fa precisamente il contrario.
Nelle avvertenze su La locandiera asserisce che ha scritto la commedia
per "rendere odioso il carattere delle incantatrici Sirene":
ora giudicate voi: sono quasi due secoli che la si vede a teatro se Mirandolina
è un personaggio "odioso". Sinceramente, sembra un personaggio
adorabile come gli altri personaggi della commedia, dai signori ai servi
innamorati di lei, ma le simpatie più schiette sono tutte per Mirandolina.
"La locandiera e non solo la scintillante pittura, ma altresì l'incommensurabile apologia d'una delle più luminose civette che si siano mai viste sulle scene. La sua dichiarata "conversione" finale, come tutte le battute conclusive poste dal Nostro in fondo alle sue commedie, non significa ne psicologicamente ne moralmente nulla. Perché proprio da quel momento la realtà poetica dell'opera, e quindi la sua suggestione sul pubblico, cessa; i personaggi, facendo la riverenza, ridiventano attori, e noi torniamo, dal regno della efficace, perché seducente, illusione, a quello dell'inefficace, perché fredda e didattica, esortazione. Forse, l'unico a credere al rinsavimento di Mirandolina è il povero Fabrizio, così rimbambolato sta dinanzi a lei ma sulla sua sorte di marito, chi sarebbe disposto a far giuramenti?"
(Silvio d'Amico: Storia del Teatro - Vol. 1 pag.290)
Goldoni non è un assertore di idee morali; e non
è nemmeno un difensore del vero ad ogni costo; e neppure un annunciatore
di un mondo nuovo. Carlo Goldoni è, semplicemente, un artista.
Da questo punto di vista lo troviamo veramente a posto, con gli uomini
e la morale, con Dio e con se stesso, e questo non è poco. Tuttavia,
il successo delle sue commedie, non solo riesce a coesistere con l'amore
che gli spettatori manifestano verso la limpida vena goldoniana, mentre
nello stesso periodo, in qualche modo, i drammi dell'abate Pietro
Chiari, acerrimo nemico di Goldoni, forse più di Gozzi,
già preludevano all'avvento del Teatro romantico.
Certi commediografi, che avevano elogiato i principi della riforma goldoniana,
predicando bene o male la grandezza di Goldoni, dopo un po' finirono col
razzolare male, perdendosi nei vicoli delle vicende. Come si è
visto, i personaggi e i motivi della commedia goldoniana sono, senza dubbio,
i personaggi e i motivi di quella che nel nuovo secolo sarà, in
Francia, e poi in tutta Europa, con altro stile ripreso da poeti più
o meno autentici, che troveranno forma e vita nel Teatro nuovo.
In ogni modo, quelle che seguono la gloriosa avventura teatrale di Goldoni,
sono delle mezze figure che hanno assunto stili più o meno autentici,
un po' dovunque in Europa.
Bibliografia
S. D'Amico "Storia del teatro" Aldo Garzanti Editore 1960
Vito Pandolfi "Storia del Teatro" UTET 1964
V.Buzzòli-R.Bromuro "Oltre il fondale" Vincenzo Urini
Editore 1996
Reno Bromuro è nato a Paduli, in Campania, nel 1937. E' stato un poeta, scrittore, attore e regista teatrale. Nel 1957, a Napoli, ha fondato il Centro Sperimentale per un Teatro neorealista. Ha fondato nel 1973 (di fatto) l'A.I.A. Associazione Internazionale Artisti "Poesie della Vita", e, come critico letterario, ha recensito molti poeti italiani e stranieri. Si è spento nel 2009, qualche anno dopo averci dato l'opportunità di collaborare con lui. Noi di Letteratour lo ricordiamo con affetto qui.
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