di Reno Bromuro
Aprile fu un mese pazzo, di sole e pioggie
e nuvole vaganti [...]
Qualcosa era per l'aria, come un tremito lontano [...]
di una vita rinascente
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• L'opera: "Cristo si è fermato
a Eboli"
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Carlo Levi
nasce a Torino il 29 novembre 1902, abbandonata
la professione di medico e si dedica con successo alla pittura e alla
letteratura. Per avere svolto attività antifascista nelle file
di Giustizia e Libertà, nel 1935 è
confinato in Lucania, prima a Grassano,
poi a Gagliano, dove rimane per un anno.
Levi, sia come pittore sia come scrittore, narra i suoi casi e l'incontro
con questa «gente mite, rassegnata e passiva, impenetrabile
alle ragioni della politica e alle teorie dei partiti», usando
la prima persona. Lo fa con il distacco scientifico di un competente etnologo
che descriva esaurientemente gli usi e costumi di una popolazione ignota
e le necessarie partecipazioni e simpatia emotive del narratore e dell'uomo
di cultura.
La Lucania raccontata da Levi è abitata
da signori, la cui vita quotidiana è un «polveroso nodo
senza mistero, d’interessi, di passioni miserabili, di noia, d’avida
impotenza e di miseria», e da contadini pazienti, caratterizzati
da un disperato fatalismo, che vivono in miseri tuguri dalle condizioni
igieniche precarie, assediati dalla malaria, costretti a lavorare una
terra sterile e siccitosa. E’ come vivere di paganesimo mitologizzante
e di superstiziosa religiosità, ha una sfiducia atavica, un'estraneità
totale verso lo Stato, che trova la sua origine nelle varie dominazioni
che si sono succedute, da Enea in poi, su questi territori «per
i contadini, lo Stato è più lontano del cielo, e più
maligno, perché sta sempre dall'altra parte».
«Il fascismo non è che l'ultimo volto dell'oppressione,
violento, inerte e irrazionale, che nega, ai contadini, un'efficace lotta
contro la malaria, un'assistenza sanitaria decente, la prospettiva di
un futuro migliore» e a lui medico che potrebbe aiutarli in
qualche modo viene impedito di esercitare la professione, malgrado la
fiducia della gente. Ma anche per i signori, per i più colti, lo
Stato è un'entità astratta, la lotta politica e ideologica
è soltanto uno strumento per alimentare la loro brama di potere.
Più importanti sono gli odi, le inimicizie, i rancori contingenti.
Lo scrittore torinese racconta tutto ciò in un libro che è
per metà diario e per metà romanzo, facendo ricorso ad una
prosa nitida, emotivamente partecipata, con numerose e interessanti digressioni
storiche, sociologiche, antropologiche Indimenticabili le notazioni sulla
civiltà contadina, il brigantaggio, i riti magici delle plebi meridionali.
Notevole è l'abilità, che gli deriva probabilmente dal suo
mestiere principale, quello di pittore, con cui sa tratteggiare personaggi,
animali, cose, con pochi sapienti, eleganti e precisi tocchi.
Efficace la rappresentazione della natura, del paesaggio lucano, brullo,
selvaggio e inospitale eppure suggestivo e solare, esplorato durante le
passeggiate con il fido cane Barone.
Si avverte che il Meridione raffigurato da Carlo Levi probabilmente non
esiste più nei termini descritti, ma nello stesso tempo un nucleo
consistente agisce ancora, in profondità, sotto la sottile scorza
della modernità e dell'industrializzazione, oltre il rumore del
traffico e il proliferare dei consumi. Nel 1922 il giovane Levi si lega
d'amicizia a Piero Gobetti, che lo invita a collaborare
alla sua rivista «La Rivoluzione Liberale»
e nel 1923 scrive il primo articolo sulla sua pittura per «L’Ordine
Nuovo». Gobetti lo introduce nella scuola di Casorati,
in cui gravita la giovane avanguardia torinese. Nascono le opere Autoritratto,
Arcadia, Il fratello e la sorella,
che risentono della lezione stilistica del maestro, ma che dimostrano
anche l'apertura di Levi agli artisti della «nuova oggettività»
quali Kanoldt, Schad, Beckmann.
In questi anni appare inserito nell'ambiente culturale di Torino: frequenta
Cesare Pavese, Giacomo Noventa, Antonio
Gramsci, Luigi Einaudi e più tardi Edoardo
Persico, Lionello Venturi, Luigi Spazzapan.
Nel 1923 soggiorna per la prima volta a Parigi
e dal 1924, anno in cui si laurea in medicina, al 1927 vi mantiene uno
studio. Intorno al 1927 la sua pittura subisce il primo di diversi cambiamenti
stilistici, influenzata all'inizio dai fauves
e dalla scuola di Parigi, poi, tra il 1929 e
il 1930, da Modigliani.
Abbiamo accennato che il libro «Cristo si è fermato
a Eboli» è scaturito dall’esperienza
di quell’anno di confino a Grassano.
Nel 1945, appena uscita, l'opera ha subito un immenso successo ed è
considerata un testo esemplare del neorealismo: bilanciata tra arte e
documento, tra prosa di memoria e reportage politico-sociale, è
caratterizzata da una coralità da epos primitivo e da un vivo senso
del colore. Dopo il saggio Paura della libertà
del 1946, appare nel 1950 L'orologio, in cui
l'estetismo di Levi, implicito nell'opera precedente, si manifesta pienamente,
insieme con la componente anarchica della sua ispirazione. Dopo le due
maggiori opere letterarie, ha scritto una serie di reportages, in cui
ha riferito le impressioni dei suoi viaggi in Sicilia
Le parole sono pietre, in Russia
Il futuro ha un cuore antico, in Germania
La doppia notte dei tigli, in Sardegna
Tutto il miele è finito. Nel 1976, sono
apparse postume sia la raccolta di articoli e saggi Coraggio
dei miti sia l'opera Contadini e Luigini
con testi e disegni di Levi sulla lotta di classe in Lucania.
Levi è stato senatore per la Quarta e la Quinta
legislatura, come indipendente nella lista del P.C.I.
L’OPERA
CRISTO SI E’ FERMATO A EBOLI
Scritto tra il Natale del 1943 ed il luglio del 1944,
«Cristo si è fermato ad Eboli»
prende spunto, come abbiamo accennato, da una vicenda autobiografica dell’autore,
confinato in Lucania per le sue coraggiose idee
antifasciste.
Il libro dunque è il risultato di quell’esperienza di vita
che ha cambiato radicalmente il modo di vedere e sentire le cose, soprattutto
alla luce del difficile momento storico che l’Italia si vede costretta
a vivere. I valori umani con cui l’Autore è entrato in contatto
nei paesi di Grassano e Gagliano
(in realtà il paese si chiama Aliano),
situati nel cuore del Sud, in provincia di Potenza,
«gli aprono gli occhi su un mondo tanto diverso dal suo quanto
più vero e più legato all’essenza stessa della vita».
Questa zona, storicamente, è sempre rimasta un po’ isolata
dal resto del Sud (ancora oggi): i suoi paesaggi impervi costituiscono
un deterrente per le popolazioni che nel corso dei secoli si sono avvicendate
nella provincia di Matera, in Puglia
ed in Campania. Anche il percorso ferroviario,
costeggiando il bel mare fino ad Eboli si fa
più disagevole.
Levi comprende da vicino la miseria materiale in cui i contadini lucani
degli anni Trenta sono costretti a vivere, abbandonati da uno Stato in
cui non possono riconoscersi, da uno Stato che impone, pretende e vessa,
senza intervenire neanche per risolvere i problemi primari e che, con
l’avvento del fascismo, ha finito per isolarli ancora di più.
Ma i giorni trascorsi a Gagliano, sempre uguali
a se stessi, lo rendono partecipe di un mondo nuovo che trae la sua linfa
vitale dalla grande forza interiore dei contadini, dalla loro rassegnazione,
dalla loro pazienza, dalla grande saggezza che guida gli atti di ognuno
di loro. Levi rimane stupito dagli insegnamenti che questa gente, con
il suo grande senso dell’ospitalità e con il suo attaccamento
a valori concreti, giorno dopo giorno gli impartisce. Si commuove dinanzi
all’affetto che i suoi nuovi amici dimostrano per lui, dinanzi alla
loro dignità anche nella povertà, dinanzi all’entusiasmo
dei bambini desiderosi di apprendere.
Anch’egli si adopera molto per il bene dei gaglianesi, seppure nei
limiti che la sua condizione di confinato gli permetta, rispolverando
anche i suoi studi in medicina, ma molto di più fanno per lui i
gaglianesi stessi, curando il suo animo, amareggiato dalla situazione
politica e sociale italiana.
All’indomani del conflitto mondiale e della caduta
del fascismo, la letteratura si inserisce spontaneamente nel più
vasto movimento della ricostruzione del Paese, che pone tra i suoi capisaldi
l’impegno dell’intellettuale. Possono essere considerate testimoni
sensibili di tali atteggiamenti le riviste, comparse sulla scena culturale
nell’immediato dopoguerra e nel decennio successivo: Società
del 1945, fondata da Ranuccio Bianchi Bandinelli, Romano
Bilenchi e Cesare Luporini; La Fiera
letteraria, rinata nel 1946 per merito di Enrico
Falqui e Giovanni Battista Angioletti; Il
Mondo di Mario Pannunzio; Nuovi Argomenti,
diretta dal 1953 da Alberto Moravia e Alberto
Carocci e poi, fino alle più recenti riprese, da Enzo
Siciliano; Il caffè, fondato
nel 1953 da Giambattista Vicari; Il Contemporaneo,
attivo tra il 1954 e il 1958, con Romano Bilenchi, Carlo
Salinari e Antonello Trombadori, politico, scrittore
e poeta in romanesco; Il menabò, fondato
da Vittorini e Calvino, attivo dal 1959
fino al 1967 e incentrato sul rapporto tra industria e letteratura; Officina,
del 1955-1959, di Pier Paolo Pasolini, Roberto
Roversi e Francesco Leonetti e Il
Verri fondato da Luciano Anceschi.
Intanto gli scrittori scontano la crisi del Neorealismo,
si dividono sulle grandi questioni mondiali: il pacifismo, la guerra fredda,
l’angoscia nucleare, la crisi del socialismo reale in Ungheria
e, più in generale, dello stalinismo in Unione Sovietica
e nel movimento comunista internazionale. Significativi sono, da tale
angolo visuale, i casi letterari, in sintonia con quello più clamoroso,
proprio perché nato nel mondo editoriale italiano nel 1957, del
Dottor ivago dello scrittore russo Boris
Pasternak: quello di Riccardo Bacchelli e del
suo fluente e poderoso romanzo Il mulino del Po,
scritto alla fine degli anni Quaranta e, soprattutto, Il Gattopardo
di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, opera di demistificazione
dell’epopea risorgimentale e di certa retorica post-unitaria, ma
sensibile alle problematiche politico-culturali contemporanee e stilisticamente
rivolta alla grande tradizione europea, da Balzac e Stendhal
alla letteratura inglese ottonovecentesca.
«Cristo si è fermato a Eboli»
scritto in pochi mesi dal dicembre 1943 al luglio 1944, in piena guerra,
tratta del periodo che lo scrittore, torinese, ha trascorso a Agliano
in Basilicata, dove lo scrittore è stato
spedito in soggiorno obbligato per la sua attività antifascista
dal 1935 al 1936, ma resta lontano dai fatti e dall’atmosfera del
conflitto; ma mette in risalto, invece,i suoi interessi umani e sociali,
i suoi ideali di una società ispirata alla fraternità, alla
solidarietà umana: sentimenti e ideali che emergono dalla miriade
di personaggi che popolano il periodo del confino e dalla descrizione
di paesaggi e ambienti poverissimi e lontanissimi dai livelli di vita
del resto del Paese. Da qui, appunto, il titolo, come dire che la civiltà
non è arrivata al Sud ma si fermata a Eboli
appunto, dove inizia la piana del Sele.
Memorabile la descrizione dei «sassi» di Matera,
le abitazione scavate nel tufo, dove le famiglie vivono nella miseria
più totale, e dove i bambini circondano il visitatore gridando
«dammi u chinì, dammi il chinino!» per combattere
la febbre.
Si legge con facilità ed avvince il lettore con la sua poesia.
È illuminante per comprendere le ragioni e le radici storiche di
quella mentalità e di quello spirito, che paiono rinnegare ogni
senso civico, che per molti anni ha caratterizzato le regioni del Sud.
Come per Carlo Levi, anche per il lettore sarà
piacevole «riandare con la memoria a quell’altro mondo,
serrato nel dolore e negli usi, negato alla Storia e allo Stato, eternamente
paziente; a quella mia terra senza conforto e dolcezza, dove il contadino
vive, nella miseria e nella lontananza, la sua immobile civiltà,
su un suolo arido, nella presenza della morte».
I luoghi hanno un’importanza particolare ed a volte svolgono quasi
la funzione di delineare la psicologia dei personaggi, tanto sono caratterizzati
e importanti. Come si può vedere a pagina 37 la descrizione della
chiesetta
«… che era uno stanzone imbiancato a calce sporco e trasandato, con in fondo un altare disadorno su un palco di legno e un piccolo pulpito. Da qui si potevano notare i muri pieni di crepe che erano coperte da tele del ‘600».
Levi si serve della sua professione di pittore per cogliere con straordinaria abilità tutte le caratteristiche del paesaggio. A tal proposito propongo di rileggere la descrizione di una casa del paese (pagina 38).
«Quasi tutte le case erano costituite da una sola stanza, senza finestre, che prendeva la luce dalla porta. Le porte erano sbarrate poiché i contadini erano nei campi: a qualche soglia, stavano sedute delle donne con i bambini in grembo».
Tra le tante descrizioni di luoghi e oggetti, Carlo Levi, per mettere in risalto la stupidità della borghesia del luogo e lo spreco di soldi, cita la costruzione di un «orinatoio» pubblico, inutile ai contadini di Gagliano (vedi pagina 40):
«In mezzo la piazza si ergeva uno strano monumento, alto quasi quanto le case, e, nell’angustia del luogo, solenne ed enorme. Era un pisciatoio: il più moderno, sontuoso, monumentale pisciatoio che si potesse immaginare;[…] Sulla sua parete spiccava come un’epigrafe un nome familiare al cuore dei cittadini: «Ditta Renzi – Torino»».
Lo scrittore stando a Gagliano non si sofferma solo descrivere cose e monumenti, ma descrive anche le località geografiche e i luoghi della Lucania (pagina 96):
«A sinistra del Timbone, (un monticciuolo di terra, tutto in cavi e sporgenze) per un tratto lunghissimo, fino a laggiù in fondo, verso l’Agri, dove il terreno si spianava in un luogo detto il Pantano era un seguirsi digradante di ponticelli, di buche, di coni di erosione rigati dall’acqua, di grotte naturali, di piagge, fossi e collinette d’argilla uniformemente bianca,…».
Il libro è pubblicato da Giulio Einaudi
nel 1945 dopo la liberazione, in un’edizione dalla carta grigiastra.
Da subito incontra il favore della critica e del pubblico, in Italia e
all’estero, tanto da diventare un classico della letteratura italiana,
grazie alla capacità di raccontare quel mondo chiuso, con la consapevolezza
che sarebbe rimasto uguale a se stesso.
Afferma Rocco Scotellaro: «Cristo si è
fermato a Eboli è il più appassionante e crudele memoriale
dei nostri paesi», mentre Asor Rosa in Scrittori
e popolo scrive «Levi giudica la realtà
secondo gli schemi semi-mitici dell’Uomo e della Storia. Ma l’Uomo
a cui guarda, e la Storia, secondo cui giudica, non restano opinioni generali,
volontaristiche affermazione di verità. Egli non esce dal campo
del Mito, anzi per lui la realtà descritta tende sempre a diventare
anch’essa mito ma come accade talvolta, il Mito s'incarna in lui
in una figura concreta».
«L’atteggiamento di Levi è quello di colui che
per passione di vivere si trova bene in qualsiasi luogo, e cerca di tenere
tutto insieme. Quel suo parlare di un paese ignoto, di linguaggi ignoti,
problemi antichi non risolti, presente nell’individuo come luogo
di tutti i rapporti e di un mondo immobile di chiuse possibilità.
Ci si accorge, quando si prende il treno per Eboli, osservando la stazione
martoriata, per incuria, inciviltà, percorrendo questo paese ancora
lontano dal Tempo e dalla Storia, andando per i paesi da lui descritti,
come Senise, che «quel» mondo è ancora lì: tutto
racchiuso in un dolore che non può essere lenito».
Eugenio Montale, colloca il Cristo in contrasto con la tradizione italiana della prosa d'arte, caratterizzata nelle sue contrazioni decadenti e liricheggianti. Esalta inoltre il suo valore di testimonianza, la «verità» dei personaggi, delle cose e situazioni. La stessa conclusiva digressione di tipo politico ha per Montale una sua funzionalità, come «segno di una totale identificazione nella sua materia».
Vittore Branca, rimarca le distanze del Cristo rispetto alla nostrana letteratura novecentesca, pur apparentandolo «a quelli che finora hanno espresso la forza morale degli spiriti liberi in quegli anni pesanti» (Vittorini, Jovine, ecc.), definendolo inoltre «l'esperienza narrativa forse più originale e interessante» degli ultimi anni. Branca considera, infine, irrilevanti all'economia dell'opera le preoccupazioni politico-sociali dell'autore.
E. Falqui è poco incline a soffermare l'attenzione sul valore documentario dell'opera, perché a suo parere «l'amore per il mito porta Levi a voler tirare al simbolico ogni più letterale realtà».
P. Pancrazi esalta il Cristo per il suo calore di «libro d'arte», e sorvola sull'importanza del saggio. Egli non manca di accennare però, a un limite dell'opera «la magia forse si scopre e insiste un po' troppo; diventa un po' pragmatica»; ma aggiunge, infine, che l'autore ha trovato in quell'opera il giusto equilibrio tra una materia seducente e la sua disposizione.
Muscetta punta sul carattere mistificatorio della scoperta leviana del mondo contadino, isolando le radici decadenti dell’esperienza artistica di Levi. Tutta la rappresentazione che Levi fa del mondo contadino gli appare dovuta alla sua vocazione: «quello era il mondo sognato dalla sua poetica, un mondo senza Storia, un mondo chiuso alla Libertà e alla ragione».
Petronio apprezza le qualità di partecipazione, di interesse e di pietà dell’autore del Cristo e afferma che: «…proprio quanto in questo mondo vi è di misterioso ed oscuro attrae il Levi che gode di sentirsi trascinare così indietro nello spazio e nel tempo […] fino a provare il brivido di orrore e di voluttà che dà il contatto con una civiltà preistorica […] pare che egli a poco a poco sprofondi in quel mondo di superstizione e magia».
Alberto Asor Rosa inserisce il giudizio
sul Cristo nella più complessiva valutazione
degli scrittori populisti del periodo della Resistenza e ritiene di doverli
tutti accomunare nella genericità e discutibilità del loro
livello politico e ideologico, nella sterile protesta, nell’ottimismo
democraticistico. Però il Cristo è
uno dei pochissimi esempi del tentativo di ancorarsi in qualche modo «alle
grandi correnti contemporanee della letteratura europea e mondiale […]
deve la sua fortuna alla capacità che l’autore vi rivelò
di mediare, in un sogno di palingenesi universale il caso storicamente
determinato della miseria contadina lucana».
La singolarità dell’opera, a parere di Asor Rosa, consiste
nell’aver lasciato un ampio spazio alla «oggettiva, storica
rilevazione ambientale», nel suo «spiccato interesse sociologico».
Asor Rosa prende le distanze dalle proposte politiche contenute nel Cristo,
per la presunzione del suo autore «di far diventare questa proposta
[l’autonomia contadina] un elemento di un programma politico e di
un’azione ad esso conseguente». Con il saggio di Asor
Rosa, però, si recuperano in positivo i motivi di una problematica
decadente ed esistenziale di matrice europea, che darà da allora
in poi uno spessore più consistente all’opera narrativa di
Levi.
La denuncia contenuta fra le righe del Cristo
si è fermato a Eboli può far riflettere anche
oggi sulla differenza di cultura, di storia e di comportamento fra il
meridione ed il settentrione italiani. Questo comportamento e separazione
sostanziale tra Nord e Sud d’Italia, è ben descritto, specialmente
dove sono evidenziati gli atteggiamenti del regime fascista volti a minimizzare
il problema meridionale e sono altrettanto ben spiegati gli atteggiamenti
dei contadini, che a causa sia dell'ingenuità sia dell'ignoranza,
ostacolarono l'evoluzione economica del Sud Italia.
Soprattutto c'è il lato sociale del problema, legato alla massiccia
presenza del latifondo, anche se secondo l'autore «il vero nemico,
quello che impedisce ogni libertà e ogni possibilità di
esistenza civile ai contadini, è la piccola borghesia dei paesi».
I luoghi che oggi fanno parte del Parco Letterario
Carlo Levi sono quelli che hanno ispirato lo scrittore:
ciò che si legge e s’immagina corrisponde a posti tuttora
esistenti. Immergendosi negli ambienti descritti, si ha come l'impressione
che nulla sia cambiato. Tutti i luoghi proposti nel progetto sono citati
in Cristo si è fermato a Eboli e il turista-viaggiatore
nel Parco si trova talmente immerso nelle pagine del libro da sentirsene
parte integrante.
E' proprio ciò che succede uscendo dalla casa di Carlo Levi per
inoltrarsi nei vicoli e nelle piazzette del centro storico, scoprendo
gli elementi che caratterizzano l'architettura popolare lucana. «Le
case hanno una loro espressione curiosa e interrogativa che rivela un
messaggio esoterico: una teoria di sguardi attenti, segue chi cammina
in ogni angolo: sono le case con gli occhi».Il confinato Carlo
Levi è autorizzato a passeggiare in una piccola porzione di paese,
nel tratto che va dalla sua abitazione al cimitero, e lì incontra
la gente del luogo, ne conquista la stima e la fiducia, cura i bambini
malati, continua a dipingere e ad annotare sul taccuino i suoi pensieri.
Dal restauro della casa di Carlo Levi ad Aliano,
che è mantenuta spoglia com'era, si parte per organizzare le attività
del Parco Letterario. Spettacoli teatrali all'aperto, l'ex municipio recuperato
per una mostra permanente, riallestito il set cinematografico del film
Cristo di è fermato a Eboli di Francesco
Rosi con Gian Maria Volonté.
E’ stato recuperato e riqualificato il Museo della Civiltà
contadina, organizzati Centri culturali permanenti,
una Mostra e un Premio di pittura
e un Corso e un Premio di scrittura. I percorsi
letterari proposti sono molti e diversificati: si inizia da Aliano,
ricco di testimonianze della presenza di Levi, per muoversi verso la campagna:
i calanchi gli insediamenti della Magna Grecia,
il fiume Sauro e agli altri paesi limitrofi.
In questi itinerari si potranno vivere incontri con la magia: le case
«con gli occhi», gli incantatori di lupi, i monachicchi, gli
intrugli magici; con l'artigianato: le casse armoniche, gli orci di pelle
di capra, i bocchini di osso per sigari; con la gastronomia: la cucina
nei caminetti, le grotte dei vini.
Queste novità, però, non hanno tolto nulla al fascino di
una città antichissima; un luogo abitato da sempre, dove è
facile ripercorrere la storia dell'Uomo dal paleolitico fino ad oggi,
dai villaggi neolitici al vasto tessuto urbano della Civita e dei Sassi.
La Gravina, la Murgia
e le oltre centoventi chiese rupestri con affreschi bizantini fanno di
questo posto un habitat unico ed irripetibile, dove l'Uomo ha saputo utilizzare
le scarse risorse del territorio senza distruggerlo, ma integrandosi con
esso.
Alcuni grandi Maestri del cinema hanno ambientato i loro films in questo
suggestivo ambiente, che per le sue peculiarità è stato
dichiarato dall'UNESCO «paesaggio culturale».
La Fondazione che porta il suo nome custodisce
tutta la copiosa raccolta di opere pittoriche dallo stile e dal tratto
inconfondibile che l'artista ha voluto donare alla città di Matera.
Sono esposte nel Palazzo Lanfranchi, insieme
al grande murale «Italia 61», suggestivo ed inquietante, che
riassume e trasmette al visitatore molte emozioni e lo mette in contatto
con una realtà lontana e metafisica. Ha vissuto intensamente i
momenti culturali della città, quando le difficili condizioni di
vita degli ultimi abitanti dei Sassi sono state da lui denunciate al mondo
come «vergogna nazionale» e quando la città stessa
ha saputo ricercare una nuova dimensione umana e sociale, durante e dopo
il trauma dello svuotamento degli antichi rioni, con la scelta consapevole
di affondare le radici del suo futuro nei valori secolari della sua antica
civiltà.
Dal libro «Cristo si è fermato a Eboli» :
«Arrivai a Matera, (racconta la sorella) verso le undici del mattino. Avevo letto nella guida che è una città pittoresca, che merita di essere visitata, che c'è un museo di arte antica e delle curiose abitazioni trogloditiche… Allontanatami un poco dalla stazione, arrivai a una strada, che da un solo lato era fiancheggiata da vecchie case, e dall'altro costeggiava un precipizio. In quel precipizio è Matera. (…) ...La forma di quel burrone era strana; come quella di due mezzi imbuti affiancati, separati da un piccolo sperone e riuniti in basso in un apice comune, dove si vedeva, di lassù, una chiesa bianca, Santa Maria de Idris, che pareva ficcata nella terra.
Questi coni rovesciati, questi imbuti, si chiamano Sassi. ...Hanno la forma con cui, a scuola, immaginavamo l'inferno di Dante. ...in quello stretto spazio tra le facciate e il declivio passano le strade, e sono insieme pavimenti per chi esce dalle abitazioni di sopra e tetti per quelle di sotto. ...alzando gli occhi vidi finalmente apparire, come un muro obbliquo, tutta Matera ...E' davvero una città bellissima, pittoresca e impressionante.»
Cristo si è fermato a Eboli ed. Mondatori Carlo Levi
Saggio su Carlo Levi ed. De Donato Gigliola De Donato
La Libreria di Dora - gennaio 2002
C.L. Ragghianti, Carlo Levi , Firenze, 1948.
Carlo Levi- Disegni dal carcere 1934- Materiale per una storia, catalogo
della mostra, Roma, 1983 ;
Carlo Levi. Opere dal 1923 al 1973, catalogo della mostra, Perugia, 1988;
Gardens and Ghettos, catalogo della mostra a cura di .V. B. Mann, contributi
di E. Braun, F.R. Morelli, New York 1989.
Reno Bromuro è nato a Paduli, in Campania, nel 1937. E' stato un poeta, scrittore, attore e regista teatrale. Nel 1957, a Napoli, ha fondato il Centro Sperimentale per un Teatro neorealista. Ha fondato nel 1973 (di fatto) l'A.I.A. Associazione Internazionale Artisti "Poesie della Vita", e, come critico letterario, ha recensito molti poeti italiani e stranieri. Si è spento nel 2009, qualche anno dopo averci dato l'opportunità di collaborare con lui. Noi di Letteratour lo ricordiamo con affetto qui.
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