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Alfred de Musset, Lorenzaccio

di Reno Bromuro

"la vita è lunga e questo dannato tempo non cammina"

Nella categoria: HOME | TOURismi letterari

Biografia
L'opera Lorenzaccio
La storia
La messinscena
Critica: Lorenzaccio, ovvero il disagio e l'utopia politica
Palazzi di Firenze

"La vita è lunga e questo dannato tempo non cammina" così ripeteva spesso il poeta Alfred de Musset nato a Parigi l'11 dicembre 1810 da una famiglia dove ognuno ha la passione per le lettere e le arti. Alfred rappresenta l'urgenza e le febbri di un artista nel secolo Romantico per antonomasia. Si consacra all'arte: alla sua arte, con dedizione assoluta, sempre ispirato dalle donne e dall'amore; e nondimeno,ha vissuto da artista romantico,all'insegna di bacco,tabacco e Venere... Nell'esperienza artistica si interessa anche agli scacchi, ai quali si vota con competenza e poesia. Suo fratello Paul lo rammenta come "uomo parossisticamente inquieto", ama soprattutto il Cavallo, nel suo eloquio "cleval" e non "cavalier", al quale intitola nel 1849 un autografo dal titolo La Régence.
Giovanissimo frequentatore dei cenacoli di V. Hugo e di Ch. Nodier, esponente del romanticismo più tenero e intelligente, nel 1833, vive per due anni una sublime storia d'amore con George Sand; nel 1852, è ammesso all'Académie Française.
La tisi e l'assenzio contrassegnano gli ultimi due anni della sua esistenza e dal 1855 al 1857, ogni giorno si reca alla Régence, intento in partite sostenute con sigarette e assenzio. Tuttavia, Alfred de Musset è stato un degno accolito del regno di Caissa, come dimostra una sua partita col Maestro italiano Serafino Dubois, ma, vino, tabacco e Venere avevano già minato il suo corpo che si abbandona alla morte nella notte dal 1° al 2 maggio 1857 nella sua casa di Parigi.
Nel suo "Piccolo trattato di poesia francese" afferma che "Senza l'esattezza dell'espressione, non vi è poesia".
Musset, come tutti gli autori del suo tempo si muove verso il teatro che procura celebrità e soldi; e scrive dei drammi con il fratello Paul. Ma il dramma la "Ricevuta del diavolo" è tolto dal cartellone a causa delle agitazioni rivoluzionarie di luglio 1830. Il secondo pezzo, una commedia, dal titolo "La notte Veneziana" creata lo stesso anno è un fallimento totale. A questo punto rinuncia al palcoscenico, ma non alla scrittura teatrale che eserciterà liberamente, senza preoccuparsi delle costrizioni del palcoscenico e lo stile alla moda. Nel 1832, pubblica il volume Spettacolo in una poltrona,nel 1833, i Capricci di Marianne. Sta seguendo la pubblicazione di questo lavoro che Buloz, il direttore potente del Periodico dei Due Mondi lo arruola. Durante gli anni che seguiranno, è, lui quello pubblicherà più testi dell'autore.
Dopo un viaggio a Venezia nel 1834; Musset si ammala seriamente e sopporterà allucinazioni e crisi di pazzia. Il rapporto intenso con George Sand raggiunge quella maturità che riesce ad allontanare dalla vista i difetti dell'uno e quelli dell'altra, per una nuova riconciliazione che dovrebbe essere eterna, invece dopo solo un anno naufragherà ancora.
È durante questo periodo che scrive Fantasio ed Uno non burla con l'amore, pezzi che offrono una mistura di fantasia leggera e cinismo che non celano una disperazione profonda. Dalla rottura con la Sand, nel 1834, nascerà un capolavoro ineguagliabile inclassificabile, mostruoso, diamante del romanticismo francese: il dramma teatrale Lorenzaccio e Il Candeliere, un'autobiografia con la narrazione di La confessione di un bambino del secolo, che analizza il dolore singolare che lo colpisce in modo molto lucido: la noia per vivere o il "dolore del secolo" che afferma provenga dalle ragioni storiche e dalle speranze deluse dalla generazione intera, in special modo, quella del suo secolo.
Ma poco a poco, incapace di superare questa crisi esistenziale, Musset, definitivamente a 28 anni già avrà dato il meglio di sé: il ritmo con cui scrive, è lo stesso che manifesta la qualità di produzione.
Un evento inaspettato, però, viene ad illuminare gli ultimi dieci anni della sua vita: nel 1847, la Commédie française lo nomina accademico di Francia, dopo il grande successo del dramma, i Capricci di Marianne che è un vero trionfo. È una sorpresa per tutto il mondo culturale francese, allora Musset capisce che scrivere per il teatro non è stato un gioco e di nuovo in Francia che l'autore non aveva fatto cosa così eccellente. Di tutte le sue opere, però, Lorenzaccio è un'eccezione, che riempie le sale dei teatri, e i produttori lo investono di ordinazioni per nuovi testi. Oramai è ammalato e scoraggiato, nonostante un'ufficiale duplice onorificenza: la Legione d'onore nel 1845 e l'iscrizione all'Accademia francese e la nomina a bibliotecario del ministero dell'istruzione pubblica che lui pensa di ricevere l'anno seguente e, anche, se il suo teatro è riconosciuto, si ritira nella solitudine.

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L'OPERA
LORENZACCIO

Lorenzaccio del 1834, è un dramma storico tratto da un canovaccio di George Sand. Musset partecipa attivamente alla formazione di un nuovo gusto scenico.
Lorenzaccio è un progetto autodistruttivo, che poi è quello della sua vita. Il piacere è anche il punto di partenza dell'annientamento dei personaggi, e fondamento di una scelta esistenziale.
Lorenzaccio uccide Filippo Strozzi, compagno d'orge e tiranno di Firenze, trovando nel regicidio una giustificazione assurda della propria inanità. Rolla assorbe in un nero flacone di veleno, con l'ultimo filtro amoroso, la morte che segna la dilapidazione della fortuna e dei sentimenti, nel piacere. La vita dei personaggi di Musset è seducente ed effimera. Svincolato da impegni morali e politici, prigioniero delle sue scelte esistenziali, si esprime emotivamente nel linguaggio letterario attinto a Marivaux, oppure a Byron, che, con Don Juan, è una delle figure che più condizionano la sua fantasia.

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LA STORIA

Lorenzino De' Medici detto Lorenzaccio, visse dal 1513 al 1548.
Posto sotto la tutela di Clemente VII, dopo la morte del padre, con un folle gesto decapita alcune statue antiche della corte. E' bandito dal papa e si rifugia a Firenze, presso suo cugino Alessandro, che in seguito assassina, con l'aiuto di un servitore, per liberare Firenze dall'oppressione e dalla tirannide.
La mancanza di organizzazione, però, gli chiude la via del successo, lasciando a Cosimo la possibilità di impadronirsi del potere. Lorenzino è costretto a fuggire a Venezia, poi in Turchia, a Parigi e infine ancora a Venezia, dove è ucciso dai sicari di Cosimo.

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LA MESSINSCENA DELL'OPERA

Nel 1896 è Sarah Bernhardt che mette in scena, per la prima volta, questo dramma storico, ricco di intrecci, per la parabola esistenziale di Lorenzino de' Medici, il quale nel 1537 uccide il cugino Alessandro. Il giovane de' Medici, proprio per questo suo delitto, diventa "Lorenzaccio", ed è la disperata e vana utopia del giovane solitario che, per la libertà collettiva, vorrebbe opporre la violenza del singolo a quella del potere. Però la sua vicenda, è, come tante altre, legate ai movimenti utopici che si susseguono numerosi nel corso dei secoli, il cui esito è vanificato dalla impreparazione e dalla mancanza di un pensiero comune a coloro che pure si dichiarano pronti al sacrificio supremo pur di riacquistare la libertà: con la conseguenza di un ritorno al potere assoluto, seppure sotto altra veste, ma con pari se non più giustificata violenza. Lorenzaccio è una parabola, che si dipana nei meandri tortuosi della Storia e in quelli non meno complessi dei sentimenti in uno dei capolavori del teatro romantico. Fino allora le censure, quella monarchica di Luigi Filippo, poi quella imperiale di Napoleone III, ne avevano rifiutato il visto.
Nel 1986, dopo circa un secolo, Carmelo Bene, notata la mancanza di naturalezza e di sincerità espressiva, le difficoltà degli attori nell'eseguire azioni "reali" e "credibili", problemi osservati da molti maestri del primo teatro di regia mette in scena "Lorenzaccio" per far vedere in pratica la teoria che enuncia la mancanza di naturalezza espressiva dell'attore.
Da tenere presente che la nozione corpo-mente si sviluppa principalmente negli ambiti della rieducazione psicofisica, soprattutto con la Bioenergetica. A questo proposito si veda il contributo comparativo di D. Boadella - J. Liss, La psicoterapia del corpo. Le nuove frontiere tra corpo e mente, Roma, Astrolabio, 1986.
Carmelo Bene con la messinscena del "Lorenzaccio" ha voluto attirare la polarità del giovane attore e del pretentende attore, e mostrare loro come questa polarità corpo/mente porta con sé un'altra questione, che si evidenzia nella ricerca teatrale: la possibilità per l'attore di essere naturale sulla scena, di essere totalmente presente nelle proprie azioni, di essere sincero e credibile.
Stanislavskij, invece, costatando l'irrigidimento che subisce l'interprete nel ripetere la parte e la mancanza di verità dell'attore nel momento in cui finge d'essere un personaggio durante ogni replica, si avvia verso la ricerca di uno stato d'animo creativo e di una verità interiore che possa supportare l'attore durante la recitazione.
Carmelo Bene, con il "Lorenzaccio" ha affermato la sua teoria, dimostrando che quest'ordine di problemi è reso evidente da una situazione tipica dell'attore: eseguire, durante le repliche, con la medesima spontaneità della prima volta, azioni e gesti predeterminati e conosciuti da tempo.
Grotowski sottolinea, invece, che: "Se un attore vuole esprimere, allora è diviso: c'è una parte che vuole e una che esprime, una parte che ordina e una che esegue gli ordini". In questa scissione interna all'attore, inoltre, la volontà di controllare se stessi, non fa che acuire la generale mancanza di integrità psicofisica; e propone un esempio di questa condizione: "Si verifica spesso che l'attore controlli la sua voce ascoltando se stesso, e quindi esegua male i suoi esercizi. Questo blocca l'organicità del processo e può cagionare una serie di tensioni muscolari che, a loro volta, impediscono la corretta emissione della voce […]. Si stabilisce così un circolo vizioso: volendo usare correttamente la voce, l'attore ascolta se stesso; ma ascoltandosi si blocca e quindi gli diventa impossibile emettere la voce in maniera corretta"
Vi sono anche esperienze teatrali, però, che mettono in luce la medesima problematica seguendo un percorso negativo, nel senso di un iter inverso che non mira al superamento della separazione tra corpo e mente, bensì alla denuncia dell'impossibilità di un'integrazione psicofisica cosciente dell'agire umano. Le idee e il lavoro scenico di Carmelo Bene, per esempio, sono incentrati su questo principio: "l'atto e l'azione sono due fasi logicamente distinte dell'agire umano. L'azione è il progetto, ossia il concetto dell'atto ad esso preesistente, mentre l'atto è l'esito corporeo da cui l'azione, in quanto progetto, è estromessa; se alla coscienza del soggetto appartiene l'azione (il progetto), così non è per l'atto, esito dell'azione di cui il soggetto ha conoscenza soltanto al di fuori del suo compiersi, ossia a posteriori".
Attraverso questo genere di percorsi analitici, e mediante continui riscontri empirici, la ricerca teatrale del Novecento giunge all'individuazione di un problema essenziale per un teatro che si vuole proporre come un'arte del presente e dell'espressione sincera e reale.
Carmelo Bene è stato rappresentato dalla sua voce inconfondibile e ci ha fatto riascoltare con emozione alcune delle sue memorabili interpretazioni, la registrazione video dello spettacolo "Lorenzaccio, al di là di de Musset e Benedetto Varchi", che l'artista aveva cominciato a montare insieme a Mauro Contini e che oggi è stata completata a cura della fondazione "L'Immemoriale di Carmelo Bene". La prima visione del Lorenzaccio è la prova concreta della continuazione della vita delle opere di Carmelo Bene: entrambe queste operazioni, non fanno ancora parte di un lascito ma del suo stesso diretto impegno di lavoro.
Maurizio Scaparro, nel riproporre oggi Lorenzaccio, ha inteso sottolineare la straordinaria attualità di un racconto drammatico al cui centro c'è una generazione di giovani alle prese con aspirazioni, ideologie, tensioni e infelicità così tremendamente presenti, che fa una generazione prigioniera della propria individualità, spesso esposta ai pericoli di scelte estreme e violente.

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CRITICA
LORENZACCIO OVVERO IL DISAGIO E L'UTOPIA POLITICA

Lorenzaccio è considerato il Capolavoro teatrale del Diciannovesimo secolo, questo dramma squisitamente "shakespeariano" è ricco di un'analisi psicologica, di un'attenta ricostruzione storica e di un'arte precisa del chiaro-scuro, è ispirata alla cospirazione repubblicana contro suo cugino Alessandro.
Cosa muove Lorenzo al tirannicidio? La passione politica, il disagio, prettamente giovanile, fatto di rabbia impotente, di noia, di contestazione totale e forse d'incertezza.
Lorenzaccio, affascinante capolavoro poco frequentato del romantico Alfred De Musset e portato in scena, la prima volta, da Sarah Bernhardt nel 1896, è la storia di un uomo incapace di vivere in modo calmo la propria esistenza.
Disadattato perché sognatore, illuso ribelle, libero e solo, come spesso sono gli anti-eroi: non vincitore, certo, perché Lorenzino de' Medici soffre della insostenibile libertà concessagli, del vuoto di ideali, di valori, che lo circonda in una Firenze al declino. Uno sconfitto che sembra diventare eroe nel momento in cui sceglie di combattere il potere crudele e corrotto del despota Alessandro.
Sotto quest'aspetto Lorenzaccio diviene quasi un simbolo, quanto mai contemporaneo, di una "generazione sfortunata", privata com'è di valori concreti, che vive con estrema fatica una fase continua di transizione tra l'inglobamento in una società menzognera e la fuga come unica via di salvezza, non va trascurato l'aspetto fortemente politico, ed incredibilmente attuale, del testo.
De Musset pur ricreando una Firenze cinquecentesca, avverte le contraddizioni ed il fallimento della Rivoluzione Francese: censurato dalla Restaurazione, scomodo per il potere e per il contro-potere, il dramma disvela trame fitte che anticipano gli elementi umani, caratteriali dell'esistenzialismo, della contestazione sessantottina, la dissolutezza dell'uomo di potere. E il fragoroso rumore di sogni infranti di una gioventù abituata a convivere con il nulla, appare chiaro che il fatto di portare oggi sulle scene il Lorenzaccio, può dar spunto ad una riflessione diversa, a domande che abbracciano questioni squisitamente etiche. Cosa è che risulta così affascinante, tanto da risultare inquietante, di questa parabola del potere?
Con la contestazione giovanile del Sessantotto, la rivolta scende in strada, negli anni di piombo l'utopia si fa lotta armata, poi gli ardori si spengono. Al mondo mistico dei figli dei fiori si contrappone l'energia rampante degli yuppie: ma ai giovani non rimangono troppe scelte.
In Mercuzio e Benvolio, come in Romeo, è sempre una sottile linea di assurda violenza a segnare queste fragili esistenze. In Amleto l'inquietudine della vendetta si fa omicidio. Lorenzo è diverso, da Mercuzio e Benvoglio del Giulietta e Romeo, perché riesce a coinvogliare la sua emotività nella Politica, ritrovando la forza ed il coraggio di una scelta. L'assassinio politico. Con quale animo giudicare questa azione? La violenza omicida può dunque avere una giustificazione etica e morale? Il popolo distratto, sfruttato, resta muto, lontano dalla Politica; e Lorenzo, nel suo disincantato cinismo, lo sa bene.

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PALAZZI DI FIRENZE

Firenze, fondata dai Romani nel Primo secolo avanti Cristo, raggiunge i più alti vertici di civiltà tra l'Undicesimo e il Quindicesimo secolo, come libero Comune, in equilibrio tra l'autorità degli Imperatori e quella dei Papi, superando il disagio delle lotte interne tra Guelfi e Ghibellini. Nel Quindicesimo secolo passa sotto la Signoria dei Medici, che in seguito divengono Granduchi di Toscana. E' questo il periodo di massimo splendore della città, nelle arti e nella cultura, in politica e in economia. Al Granducato dei Medici succede, nel Diciottesimo secolo, quello dei Lorena, fino a quando, nel 1860, la Toscana entra a far parte del Regno d'Italia, di cui è capitale dal 1865 al 1871.
Firenze conserva un eccezionale patrimonio artistico, gloriosa testimonianza della sua secolare civiltà. Qui sono vissuti Cimabue e Giotto, padri della pittura italiana; Arnolfo e Andrea Pisano, rinnovatori dell'architettura e della scultura; Brunelleschi, Donatello e Masaccio, iniziatori del Rinascimento; Ghiberti e i Della Robbia; Filippo Lippi e l'Angelico; il Botticelli e Paolo Uccello, i geni universali di Leonardo e di Michelangelo. Le loro opere, con quelle di molte altre generazioni d'artisti, fino ai maestri del nostro secolo, sono raccolte nei numerosi musei della città. A Firenze, con Dante, nasce la lingua italiana; con Petrarca e con Boccaccio si affermano gli studi letterari; con l'Umanesimo è rinnovata la filosofia e valorizzata la cultura classica; con Machiavelli nasce la moderna scienza politica, con Guicciardini la prosa storica e con Galileo si afferma la moderna scienza sperimentale. Fin dai tempi di Carlomagno Firenze è sede universitaria ed oggi comprende decine d'istituti specializzati e un centro di cultura per stranieri. All'intensa attività della città in questo settore contribuiscono Accademie e scuole d'Arte, Istituti scientifici e centri di cultura.
Il primo tipo di palazzo edificato in Firenze è quello fortificato, pensato più per la difesa che come luogo di residenza privata, austero sia nell'aspetto esterno sia negli arredi e decorazioni interne, come Palazzo Davanzati. Si passa quindi, con il mutamento della situazione politica, che si è stabilizzata con l'avvento della dinastia medicea, a residenze il cui aspetto esteriore, ma soprattutto quello degli interni, diviene sinonimo di potenza, ricchezza e prestigio. E' così che sono concepiti Palazzo Antinori o Palazzo Strozzi, dove sembra ancora di sentire in sottofondo l'eco dei versi allegri e festosi dei poeti rinascimentali e di Lorenzo Il Magnifico.
Palazzo della Condotta e della Mercanzia, si estende da Piazza della Signoria a Piazza Santa Maria. Questo splendido edificio, monumento nazionale, costruito sopra i resti di un antico teatro romano, nasce dall'unione di due importanti palazzi, quello della Condotta e quello della Mercanzia, e si trova nella maestosa Piazza della Signoria, proprio a fianco del Palazzo Vecchio, dimora e luogo di lavoro della famiglia Medici, oggi sede del Comune di Firenze.
E' stato sede dal 1337 dell'Ufficio della Condotta degli Stipendiati. Cessato l'Ufficio militare per la caduta della Repubblica, la residenza degli Ufficiali della Condotta fu occupata da quello della Gabella dei Contratti.
Accanto al palazzo della Condotta si trova un altro edificio di dimensioni più ridotte, che diverrà il Palazzo della Mercanzia, così chiamato per aver ospitato l'Università dei Mercanti e il così detto Ufficio della Mercanzia, nato per tutelare i cittadini e il Comune delle Arti. A gestire e rappresentare tale ufficio sarebbero stati eletti i rappresentanti di Ciascuna delle Arti fiorentine, proprio per ospitare al meglio le due istituzioni, il Comune decide di far ampliare l'edificio.
A lavorare al progetto sono incaricati architetti e artisti la cui fama è rimasta viva: Francesco Rinuccini, Iacopo di Gherardino Gianni, Francesco da Orvieto, Ciardo di Donato. La parte inferiore dell'edificio è stata ultimata nel 1362; quella superiore è restata incompiuta per molto tempo, fino a che Cosimo I, nel 1540, non si adopera per concludere i lavori e portare il palazzo alle dimensioni che possiamo vedere oggi. Nonostante nel corso degli anni abbia più volte corso il rischio di essere demolito o comunque deturpato per lasciare spazio a nuove istituzioni quali la Direzione Generale del Registro e il Dipartimento Generale delle Poste, il palazzo ha mantenuto immutato il suo aspetto ospitando molteplici uffici: l'Ispettorato di San Giovanni, l'Ufficio centrale del Genio Civile, la Direzione Generale del Contenzioso finanziario, l'Ufficio d'esazione per le rendite demaniali.
Palazzo Medici Riccardi è il più tipico esempio di palazzo civile rinascimentale. E' stato costruito secondo un austero disegno di Michelozzo per Cosimo il Vecchio, nel 1444. Residenza dei Medici per cento anni è stato poi acquistato dalla famiglia Riccardi e oggi è sede della Prefettura e dell'Amministrazione provinciale.
All'interno si trovano un elegante cortile, un piccolo giardino all'italiana e la celebre Cappella affrescata da Benozzo Gozzoli nel 1459, che rappresenta La Cavalcata dei Magi.
Palazzo Pitti è il più grandioso dei palazzi fiorentini: s'innalza su una superficie di oltre tre ettari alle pendici della collina di Boboli. E' stato costruito per il banchiere Luca Pitti su progetto attribuito a Brunelleschi, verso la metà del Quindicesimo secolo. La vastità dell'edificio dimostra la determinazione a rivaleggiare con la famiglia dei Medici. Il fallimento del banchiere provocò la sospensione dei lavori che furono ripresi un secolo dopo quando proprio i Medici comprano il palazzo per farne la loro residenza. Del 1560 sono il grandioso cortile e le due ali laterali, progettate da Bartolomeo Ammannati. Con Cosimo II dei Medici, nel 1621, iniziano i lavori per l'ingrandimento del prospetto e per la sistemazione della piazza, eseguiti su progetto di Giulio e Alfonso Parigi. Passato ai Lorena, l'edificio si arricchisce dei due rondò, terminati da Paoletti e Poccianti nella prima metà dell'Ottocento insieme alla palazzina della Meridiana.
Attualmente hanno sede nel palazzo e nel retrostante Giardino di Boboli alcuni tra i più importanti musei fiorentini: la Galleria Palatina, al primo piano; il Museo degli Argenti, al pian terreno e al mezzanino; la Galleria d'Arte Moderna, all'ultimo piano. Dislocato nella Palazzina del Cavaliere sul versante alto del giardino è il Museo delle Porcellane, mentre nella Palazzina della Meridiana si trova la Galleria del Costume.
Palazzo Rucellai è stato costruito tra il 1455 e il 1458 da Bernardo Rossellino, su progetto di Leon Battista Alberti, per conto di Giovanni Rucellai. E' uno degli edifici rinascimentali di Firenze più riccamente decorati. Attualmente ospita il Museo Alinari, dedicato alla storia della fotografia. Primo in Italia, è attualmente l'unica istituzione nazionale dedita esclusivamente alle mostre fotografiche.
Palazzo Strozzi è il capolavoro dell'architettura rinascimentale, ed è situato in via de' Tornabuoni, è stato iniziato da Benedetto da Maiano nel 1489, su ordine di Filippo Strozzi il Vecchio, e continuato dal Rosselli e dal Cronaca fino al Sedicesimo secolo. Il magnifico cornicione sotto il quale corrono due piani di bifore divisi da cornici dentellate è del Cronaca. A pianterreno i portali sono affiancati da finestre rettangolari. Aggiunge monumentalità all'insieme il rivestimento esterno a bugne.

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BIO-BIBLIOGRAFIA
J. Liss, La psicoterapia del corpo. Le nuove frontiere tra corpo e mente, Roma, Astrolabio, 1986.
Stanislavskij, La mia vita nell'arte, Torina, Einaudi, 1963, p. 362
E. Barba - N. Savarese, L'arte segreta dell'attore. Un dizionario di antropologia teatrale, Lecce, Argo, 1996, p. 18
Jerzy Grotowski, Per un teatro povero, Roma, Bulzoni, 1970, p. 187.
Jacques Copeau, L'educazione dell'attore (1920),
V. Mejerchol'd, L'attore del futuro, in L'Ottobre teatrale 1918/1939, Milano, Feltrinelli, 1977.
Carmelo Bene, Lorenzaccio, in Carmelo Bene, Opere, Milano, Bompiani, 1995
E. Jaques-Dalcroze, Il ritmo, la musica e l'educazione, Torino, ERI, 1986,

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Reno Bromuro è nato a Paduli, in Campania, nel 1937. E' stato un poeta, scrittore, attore e regista teatrale. Nel 1957, a Napoli, ha fondato il Centro Sperimentale per un Teatro neorealista. Ha fondato nel 1973 (di fatto) l'A.I.A. Associazione Internazionale Artisti "Poesie della Vita", e, come critico letterario, ha recensito molti poeti italiani e stranieri. Si è spento nel 2009, qualche anno dopo averci dato l'opportunità di collaborare con lui. Noi di Letteratour lo ricordiamo con affetto qui.





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