di Reno Bromuro
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• Biografia
• L'opera: Sostiene Pereira
• La critica
• Il luogo: Lisbona
• Un cenno di storia
• Il mio soggiorno a Lisbona
Il fatto di creare personaggi molto diversi
da me,
che in qualche modo mi implicano, mi riguardano e mi concernono,
mi consente di vedere il mondo con altri occhi,
che in fondo continuano ad essere i miei occhi
Antonio
Tabucchi è nato a Pisa, il 24
settembre 1943 ma è allevato nella casa dei nonni materni a Vecchiano,
un borgo nelle vicinanze della città toscana.
Durante gli anni dell’università, viaggia molto per l’Europa,
sulle tracce degli autori conosciuti nella ricca biblioteca dello zio
materno. Al ritorno da un viaggio a Parigi,
trova su una bancarella nei pressi della Gare de Lyon,
firmato Alvaro de Campos, uno degli eteronomi del poeta
portoghese Fernando Pessoa il poema Tabacaria,
nella traduzione francese di Pierre Hourcade. Dalle pagine
di questo piccolo libro ricava l'intuizione di quello che sarà
per più vent'anni l’interesse principale della sua vita.
Si reca a Lisbona, sviluppa per la città
del fado e per il Portogallo una vera passione,
che sfocia nella tesi di laurea, dal titolo Surrealismo in
Portogallo discussa nel 1969 con Silvio Guarnieri
e Luciana Stegagno Picchio.
Nel 1970 si perfeziona alla Scuola Normale Superiore di Pisa
e nel 1973 è chiamato ad insegnare Lingua e Letteratura
Portoghese a Bologna.
Con María José de Lancastre, ha tradotto
in italiano molte delle opere di Fernando Pessoa, ha
scritto un libro di saggi e una commedia teatrale su questo grande scrittore.
A trent’anni scrive il suo primo romanzo, Piazza d'Italia
edito da Bompiani nel 1975, un tentativo di scrivere la storia dalla prospettiva
dei perdenti, in questo caso gli anarchici toscani, nella tradizione di
grandi scrittori italiani di un passato quasi prossimo, come Giovanni
Verga, Federico De Roberto, Tomasi Di
Lampedusa, Beppe Fenoglio e contemporanei, come
Vincenzo Consolo.
Nel
1978, è chiamato ad insegnare all’università di Genova
e pubblica per i tipi della Mondadori Il piccolo naviglio
e, nel 1981 Il gioco del rovescio e altri racconti
editi da Il Saggiatore, seguito da Donna di porto Pim
per la Sellerio nel 1983.
Dopo i quarant’anni, nel 1984 è il momento del suo primo
romanzo importante, Notturno indiano, da cui
nel 1989 è stato tratto un film di Alain Corneau,
con Jean-Hugues Anglade, Clémentine Célarié
e Otto Tausig. Il protagonista è un uomo che cerca
di rintracciare un amico scomparso in India, ma in realtà è
in cerca della propria identità.
Poi cominciano a uscire un romanzo ogni anno: Piccoli equivoci
senza importanza con Feltrinelli e, l’anno dopo 1986,
Il filo dell'orizzonte. Anche in questo romanzo
il protagonista, Spino, che cerca di assegnare un nome al cadavere di
uno sconosciuto è il tipico personaggio sulle tracce di se stesso.
Non si sa se questi personaggi riescano nel loro intento, ma nel corso
della loro vita sono costretti ad affrontare l’immagine che gli
altri restituiscono di loro. Anche da questo romanzo è stato tratto
un film nel 1993 con Claude Brasseur e la regia del portoghese
Fernando Lopez.
Il 1994 è un anno molto importante per Antonio Tabucchi. E’
l’anno de Gli ultimi tre giorni di Fernando Pessoa
per la Sellerio, ma soprattutto del romanzo per il quale è diventato
maggiormente conosciuto: Sostiene Pereira per
la Feltrinelli, vincitore del Premio Super Campiello,
del Premio Scanno e dl Premio Jean Monet per
la Letteratura Europea. Il protagonista di questo romanzo diventa
il simbolo della difesa della libertà d'informazione per gli oppositori
politici di tutti i regimi antidemocratici. In Italia, durante la campagna
elettorale, intorno a questo libro si aggrega l’opposizione contro
il controverso magnate della comunicazione Silvio Berlusconi. Il regista
Roberto Faenza nel 1995 ne trae un film e affida a Marcello
Mastroianni la parte di Pereira e a
Daniel Auteil la parte del dottor Cardoso.
In
novembre è chiamato dall’Ecole des Hautes Etudes
di Parigi a tenere una serie di lezioni. Appaiono Conversaciones
con Antonio Tabucchi di Carlos Gumpert e Dove
va il romanzo.
Nel 1998 riceve dall’Accademia Leibniz il Premio Nossack.
Nel 1999 scrive Gli Zingari e il Rinascimento
e Ena poukamiso gemato likedes (Una camicia
piena di macchie. Conversazioni di A.T. con Anteos Chrysostomidis).
I dubbi sono come macchie su una camicia bianca, fresca di bucato. La
missione di ogni intellettuale e di ogni scrittore è di instillare
i dubbi per la perfezione, perché la perfezione genera ideologie,
dittatori e idee totalitariste. La Democrazia non è uno stato di
perfezione.
Nel 2003 appare in libreria Autobiografie altrui.
Poetiche a posteriori, sette testi di poetica, per la maggior parte inediti
o inediti in Italia, che illuminano un pensiero, una parola, una suggestione
presente nei romanzi dello scrittore.
Lisbona è la città in cui vive scrivendo per sei mesi l’anno,
insieme alla moglie, che vi è nata, e ai figli: un maschio e una
femmina. Passa il resto dell’anno in Toscana, e insegna Letteratura
all’Università di Siena. Tabucchi, infatti, si considera
scrittore solo in un senso ontologico, perché dal punto di vista
esistenziale è felice di potersi definire «professore universitario».
La Letteratura per lui non è una professione, «ma qualcosa
che coinvolge i desideri, i sogni e la fantasia».
La sua attività di scrittore è contraddistinta da numerosi
riconoscimenti tra i quali il Premio Viareggio-Rèpaci; il Premio
Campiello; il Premio Medicis Etranger; il Premio Jean Monet e il Premio
europeo di Letteratura.
Sostiene
Pereira è il romanzo-testimonianza del fatidico agosto del 1939
che vede Lisbona, città «sfavillante»
e conosciuta, trasformarsi... e rinasce più bella come una fanciulla
che ha appena passato la pubertà.
L’incipit, ci porta subito sul palcoscenico della vita che vive
Pereira.
«Sostiene Pereira di averlo conosciuto in un giorno d'estate. Una magnifica giornata d'estate, soleggiata e ventilata, e Lisbona sfavillava. Pare che Pereira stesse in redazione, non sapeva che fare, il direttore era in ferie, lui si trovava nell'imbarazzo di mettere su la pagina culturale, perché il «Lisboa» aveva ormai una pagina culturale, e l'avevano affidata a lui. E lui, Pereira, rifletteva sulla morte. Quel bel giorno d'estate, con la brezza atlantica che accarezzava le cime degli alberi e il sole che splendeva, e con una città che scintillava, letteralmente scintillava sotto la sua finestra, e un azzurro, un azzurro mai visto, sostiene Pereira, di un nitore che quasi feriva gli occhi, lui si mise a pensare alla morte. Perché? Questo a Pereira è impossibile dirlo. Sarà perché suo padre, quando lui era piccolo, aveva un'agenzia di pompe funebri che si chiamava Pereíra La Dolorosa, sarà perché sua moglie era morta di tisi qualche anno prima, sarà perché lui era grasso, soffriva di cuore e aveva la pressione alta e il medico gli aveva detto che se andava avanti cosi non gli restava più tanto tempo, ma il fatto è che Pereira si mise a pensare alla morte, sostiene. E per caso, per puro caso, si mise a sfogliare una rivista. Era una rivista letteraria, che però aveva anche una sezione di filosofia. Una rivista d'avanguardia, forse, di questo Pereira non è sicuro, ma che aveva molti collaboratori cattolici».
Il suo scrittore preferito, di cui ha tradotto anche alcune
opere in italiano è Fernando Pessoa nato a Lisbona,
il quale dopo essere rimasto orfano di padre si trasferisce, in seguito
alle seconde nozze della madre, in Sudafrica.
Tornato nel 1905 a Lisbona lavora come corrispondente commerciale. Pessoa,
che sarà considerato il più grande poeta del novecento,
ha vissuto sempre in modeste condizioni, solo dopo la sua morte si è
scoperta l'impressionante mole di scritti prodotti. Si è sempre
nascosto dietro una serie infinita di altri nomi, definiti i suoi «eteronomi»
così che Alberto Cajero, Alvaro de Campos, Ricardo Reis, che sono
solo alcuni dei nomi inventati dal poeta contribuiranno ad accrescere
il senso di nebulosità che circonda il poeta, al punto che a volte
nasce il sospetto che lo stesso Fernando Pessoa altro non sia che un ennesimo
eteronomo di un poeta portoghese che forse in realtà, quella stessa
realtà sempre discussa in vita, si chiama... Fernando Pessoa.
Tabaccheria del 1928, firmata Alvaro De Campos
è considerata forse la sua poesia più bella.
Antonio Tabucchi descrive un immaginario dialogo tra lo scrittore e i
suoi eteronomi nel suo romanzo «Gli ultimi tre giorni di Fernando
Pessoa». Lo scrittore giace nel suo letto di morte ed essi, uno
per volta, vengono ad accomiatarsi da lui. Esiste una bellissima canzone
di Roberto Vecchioni dedicata a Pessoa, si intitola «Le lettere
d’Amore».
Pessoa e il Portogallo ispirano allo scrittore tre elementi
principali: il concetto di saudate, la finzione
e il lato nascosto della realtà. La saudade,
definita nostalgia del passato e del futuro insieme, sentimento contenente
sofferenza e dolcezza, pervade tutti i racconti di Tabucchi conferendogli
una peculiarità tipica, ma meno spiegabile. Il gusto per la maschera
e le mille facce di sé, la finzione emblematico e seducente in
Pessoa, si lega al problema del mentire e si traduce
anche in un grande amore per il teatro. Invece il lato nascosto della
realtà ne contiene il senso più vero, che non è mai
svelato dalla ragione, che può così poco in un universo
in cui la chiave di lettura del reale è riposta sempre nel suo
rovescio. Solo l'incongruità delle cose svela il senso autentico,ma
dal paradosso, dall'equivoco, dal rovescio, appunto. Ecco allora il Sogno,
soprattutto l'allucinazione, strumenti conoscitivi col sogno, il rebus,
l'enigma, la coincidenza. Accanto a Pessoa, si profilano gli altri grandi
maestri novecenteschi: Svevo, Pirandello,
Montale.
La matrice visiva quale elemento ispiratore è fortissima: la Toscana
e l'educazione alla pittura che si porta dietro; e sono tanti i pittori
da cui parte per avventure narrative e i quadri protagonisti di storie:
Beato Angelico, Paolo Uccello, Goya,
Velasquez, Van Gogh. E con la rappresentazione
della realtà, anche la sua mistificazione, la ri-proposizione dei
dati in dimensioni mutate e prospettive bizzarre, richiamano i giuochi
dei surrealisti del primo Novecento.
La tecnica narrativa ha caratteri tutti suoi: il giallo e il poliziesco,
una letteratura d'inchiesta che ricorda Sciascia e Dürrenmatt.
Il senso nascosto, va trovato, ma non sempre si trova alla fine della
ricerca, le domande rotolano come ciottoli di un fiume: ciò che
conta è il cercare. Tutto è sospeso e resta quasi nulla,
«si chiude e non chiudendosi suggerisce altre angolature da cui
spiare l'esistenza». Tutto torna più volte, anche in altri
racconti, quasi con ossessione. Tabucchi è poco portato alle certezze
assolute, affascinato dai problemi della filosofia, è lo scrittore
del «frammento» e del «sospeso». La sua opera,
però, è unificata: «c'è un'intertestualità
tenace che percorre tutta l'opera creando l'effetto di un unico tecnica
narrativa e sulla propria origine».
Se Memoria, Fantasia e Curiosità sono i tre elementi fondamentali
della poetica di Tabucchi, il primo risulta fortemente manipolato dagli
altri due: «lo scrittore è poco affidabile anche quando dichiara
di praticare il più rigoroso realismo»: è a questo
punto trionfa la Menzogna, sottile forma di esercizio della fantasia,
che propone il volto del mondo più irto di contraddizioni.
La
Lisbona cui vi parlerò, non è
certo la stessa di Tabucchi e mi auguro abbia anche in piccolissima parte
la sua matrice, perché i miei occhi non potranno mai vedere con
i suoi occhi, né sentire con la sua sensibilità.
Lisbona, nel 1991 conta 880.000 abitanti, è la capitale del Portogallo
e capoluogo del distretto omonimo, situata sulla sponda destra dell'estuario
del fiume Tago, là dove si restringe
dopo aver formato l'ampio bacino interno del Mar da Palha,
lo sapete tutti; come anche del forte incremento demografico che la città
ha avuto nel corso del secolo passato. Il fenomeno dell’immigrazione
ha portato allo sviluppo di diversi nuclei periferici, ciascuno con caratteristiche
funzionali specifiche: quartieri residenziali, centro universitario, aree
industriali, ecc… Per lo stesso motivo la città si è
dovuta estendere anche sulla sponda sinistra del Tago,
superato da un grande ponte, il più lungo d'Europa, formato da
diciassette campate antisismiche, che ho avuto la fortuna di vedere ultimato
nel 1998, durante l’Expo che si è svolto dal 22 maggio al
30 settembre, ciò è stata l'ultima grande esposizione mondiale
del secolo, consacrata agli Oceani, patrimonio del futuro, alla quale
hanno partecipato Centoquarantacinque Paesi. Per questo importante appuntamento
a Lisbona sono stati realizzati immensi lavori urbanistici e architettonici,
che si conta di poter recuperare per oltre il 70%.
Oltre ad essere il massimo centro politico e amministrativo del Paese,
Lisbona è anche importante centro industriale, con numerosi stabilimenti
attivi nei settori alimentare, tessile, chimico, meccanico, petrolchimico,
della carta, del vetro e delle ceramiche. Per la sua felice posizione,
all'estremità continentale dell'Europa verso l'Atlantico, svolge
un'importante funzione commerciale a favore di un vasto retroterra. Notevole
è il ruolo che la città ricopre in campo culturale, quale
sede di un'università fin dal 1290, di un politecnico, di istituti
superiori, musei e gallerie. Aeroporto internazionale Portela de Sacavém.
La
leggenda narra che la fondazione di Lisbona sia opera di Ulisse
che le avrebbe dato il nome Ulissipo è
leggenda molto antica, ma priva di fondamento scientifico. Secondo alcuni,
il nome sarebbe di origine fenicia e significherebbe «baia
deliziosa», con allusione all'incomparabile posizione
della città. E’ probabilmente dei Turduli
quando, nel 137 avanti Cristo, la conquista fortifica il console romano
Giunio Bruto il Galaico, vittorioso sui Lusitani.
E’ municipio romano, chiamata poi Felicitas Julia,
in onore di Giulio Cesare ma non raggiunge l'importanza
di altre città romane della provincia lusitana. Occupata dagli
Svevi e dal 469 dai Visigoti,
ha presto un vescovo, dipendente però dal metropolita di Emerita.
Gli Arabi la occupano fin dal primo secolo della
loro dominazione, chiamandola Lischbuna e facendone
la capitale di un loro Stato. E’ stata aspramente disputata, all'epoca
della Riconquista, presa da Alfonso VI di Castiglia nel
1094, ma subito ripresa dagli Almoravidi, nel
1147 è definitivamente conquistata da Alfonso Henriques, primo
re portoghese, con l'aiuto di una flotta di crociati; ma solo nel 1255,
1256 Alfonso III vi trasferisce stabilmente la residenza
reale, da Coimbra.
Le
grandi scoperte marittime portoghesi ne fanno, alla fine del Secolo Quindicesimo,
la città più ricca d'Europa, perciò si rimette presto
dai terremoti del 1531 e del 1551. I sessant'anni di dominazione spagnola,
che vanno dal 1580 al 1640, e le sconfitte navali ispano-portoghesi sono
conseguenze disastrose per la città, che riprende a fiorire solo
dopo il 1640. Decaduta con la conquista francese e la fuga della famiglia
reale in Brasile nel 1807, risorge dopo la Restaurazione e viene abbellita
con altri insigni monumenti. È stata teatro dei principali avvenimenti
della storia portoghese moderna: guerre civili, assassinio del re Carlo
e del suo erede Luigi, nel 1909; dalla rivoluzione del
1910, ecc…
Lisbona è anche città d’arte. Cinta di mura in epoca
visigotica, che risalgono al secolo Sesto, dopo il dominio dei Mori,
la riconquista di Alfonso I e l'elezione a capitale del
Portogallo, si amplia continuamente fino a raggiungere il massimo sviluppo
nel Sedicesimo secolo, dopo la scoperta dell'America.
Distrutta per due terzi dal terremoto del 1755, che fa circa cinquantamila
vittime; è ricostruita razionalmente sui piani del ministro Pombal,
detta città nuova o Baixa rinasce una
delle più belle città d'Europa. Dopo il 1850 Lisbona conosce
un nuovo periodo di espansione urbana, inglobando i sobborghi a Ovest
e a Nord raggiungendo una superficie urbana assai vasta.
Viene ricostruita la cattedrale in stile romanico del secolo Dodicesimo
e successivamente rifatta a più riprese. La chiesa e il convento
di Nostra Signora del Carmine, gravemente danneggiati
dal terremoto del 1755, sono un bell'esempio di stile gotico del Trecento.
Il monastero dei Jerónymos del 1496,
nel sobborgo di Belém è un capolavoro
dello stile manuelino, originale mescolanza di elementi gotico-fioriti,
primo-rinascimentali ed esotici: ibero-islamici, indiani. La chiesa del
monastero, a tre navi di uguale altezza, è divisa da otto pilastri
ottagonali ricoperti di viticci rinascimentali, che reggono le volte con
nervature a rete; la facciata principale presenta un portale fastoso con
le statue del re Manuel, della moglie e dei santi protettori
e i gruppi dell'Annunciazione, della Natività e dell'Adorazione
dei Magi. Notevole esempio di architettura manuelina è anche la
torre di Belém, di Francisco
de Arruda. Nella seconda metà del Sedicesimo secolo il
pittoresco stile manuelino lascia il posto a un classicismo severo, di
derivazione romana, presente nelle chiese di São Vicente de Fora,
e di São Roque dei gesuiti, progettate dallo architetto italiano
Filippo Terzi. La cappella di São Giovanni Battista
in São Roque è costruita a Roma
per Giovanni V dal Vanvitelli e dal
Salvi nel 1742 e poi montata a Lisbona. Al rifacimento
settecentesco della città risale la sistemazione della piazza del
Commercio, a portici, con la statua equestre di José I. Con Maria
I si diffonde lo stile neoclassico, quali la basilica del Cuore
di Gesù, con tele di Batoni; Teatro
Nazionale di São Carlo.
La Fondazione Caluste Gulbenkian comprende dipinti
di pittori europei dal Quindicesimo al Diciannovesimo secolo, pezzi di
arte antica e orientale, ceramiche, arazzi, manoscritti. Il Museu
Nacional de Arte Antiga raccoglie interessanti dipinti di
scuola portoghese, tedesca e fiamminga dei secoli Quindici e Diciassette,
spagnola; i dipinti di Zurbaran provenienti dal monastero
di São Vicente de Fora, e ceramiche, arazzi, oreficerie, e l’ostensorio
di Belém, del 1506.
Il Museo Etnologico è un'importante raccolta
di arte antica portoghese:preistorica, iberica, romana. Il Museo
di Arte Contemporanea, il Museo Nazionale delle
carrozze, il Museo di Arte Popolare,
il Museo di Arte Decorativa sono altri punti
d’incontro con l’arte.
Se la sera si ha voglia di vedere uno spettacolo si può andare
a Teatro, che a Lisbona è cominciato nel Quindicesimo secolo, con
entremezes recitati dai nobili a corte, momos e arremedilhos eseguiti
da comici ambulanti. Nel secolo successivo vengono rappresentate commedie
vere e proprie sotto la protezione dei sovrani.
Dal 1502 al 1536 Gil Vincente rappresenta, nel Palazzo
Reale del Castello, diverse sue opere. Nel 1588 un decreto
di Filippo II di Spagna sottopone ogni rappresentazione
teatrale alla preventiva autorizzazione dell'ospedale di Todos
os Santos, che conserva questo monopolio fino al 1743. Si
recita nei pátios de comédias, semplici cortili che in seguito
vengono coperti e resi più accoglienti: il primo è quello
del Poço do Borratém, preesistente
al decreto; il più famoso è il Pátio
das Arcas, nato nel 1594 e distrutto dal terremoto del 1755.
Il repertorio comprende soprattutto opere di autori spagnoli contemporanei:
Lope, Tirso, Calderòn,
lavori portoghesi e, dal 1737, opere musicali italiane, ospitate soprattutto
al Pátio dos Condes e al Teatro da Ajuda. In questo stesso secolo
si costituisce al Teatro do Bairro Alto la prima compagnia di attori portoghesi
professionisti, che rappresenta tra l'altro le commedie di Antonio
José da Silva. Sorgono poi quelli che sono tuttora i due
maggiori teatri cittadini: il Real de São Carlos,
costruito nel 1792, che riproduce l'omonimo edificio napoletano ed è
destinato soprattutto all'opera, e il Nacional D. Maria II
per la prosa, fondato nel 1846 da Almeida Garrett, nominato,
dopo la rivoluzione del 1836, ispettore generale per i teatri. Si deve
a lui anche la fondazione del Conservatorio. A questi se ne aggiungono
altri, per lo più destinati a un vasto pubblico, come il Trinidade,
aperto nel 1867, e l'Avenida, inaugurato nel
1888, dedicati alla prosa; il Maria-Vitória
e l'A.B.C., dedicati al genere leggero; il Monumental
aperto nel 1950, che accoglie spettacoli in prosa e musicali, con repertori
limitati dalla censura politica instaurata dopo il colpo di Stato salazariano
del 1933. Il più interessante esperimento di teatro alternativo
è stato il Teatro Estúdio do Salitre
agibile dal 1946 al 1950, fondato da Saviotti nella sede
dell'Istituto Italiano di Cultura.
Gli innamorati della danza devono sapere che alla metà del Sedicesimo
secolo si contano nella capitale portoghese oltre una dozzina di scuole
di ballo. Nel Diciottesimo l'attività ballettistica si limita ad
alcune apparizioni di stelle parigine o viennesi, anche se allievi di
Noverre hanno modo di rappresentare a Lisbona alcuni balletti del grande
riformatore francese. Nel 1793 due balletti di Gaetano Gioia,
La felicità lusitana e I
dispetti amorosi, inaugurano l'attività del Teatro
Real de Sao Carlos, dove successivamente sono chiamati a
operare diversi altri maestri italiani. Il pubblico portoghese non dimostra
di apprezzare particolarmente capolavori quali La Sylphide
o Giselle, rappresentati nella capitale rispettivamente
nel 1838 e nel 1843, né maestri come Saint-Léon,
Blasis o Cecchetti, che operano in quella
città, fra la fine del Diciannovesimo secolo e l'inizio del Ventesimo.
Nel biennio 1917-1918 la compagnia dei Ballets Russes di Djagilev
è a Lisbona e vi si trattiene per il sopraggiungere del primo conflitto
mondiale, ma anche in questo caso senza raccogliere particolare successo.
Nel secondo dopoguerra l'attività si è notevolmente intensificata
sul piano teatrale e tutte le più importanti compagnie di danza
si sono esibite a Lisbona.Dal 1965 esiste nella capitale il Gulbenkian
Ballet, espressione della Fondazione Caluste
Gulbenkian, largamente influenzato da modelli britannici.
La prima emozione è quella visiva, delle semplici
scritte tutto intorno all’aeroporto, in attesa dei bagagli. Parole
e suoni in una lingua conosciuta, ma mai parlata, perché ho una
fobia per le lingue straniere, quando non riesco a farmi capire con i
gesti e in italiano, mi metto a parlare in napoletano, è il solo
modo per farmi capire, per capirci. E come c’intendiamo, così
accadde anche a Stoccolma 25 anni prima. Ero disperato, perché
non riuscivo a fermare un Taxi, quando udii alle mie spalle: «Sigurì
datemi ‘a valigia, v’ha port’j e si non avite prenotato
l’albergo ve porto j’ ‘a n’albergo ch’è
‘n’amore». In cuor mio speravo che a Lisbona accadesse
lo stesso miracolo, invece… niente.
Seguo
la corrente umana e salgo sull’autobus numero 44, dove vanno più
persone. Di tanto in tanto mi giunge qualche parola che capisco e mi risollevo:
so dove siamo diretti. La prima fermata del bus è su una collinetta
erbosa poco lontano dallo scalo Portela de Sacavèm. Issata ad un
palo bianco, in alto, sventola la bandiera portoghese verde-rossa. Emetto
un sospiro di sollievo: non sono in un altro mondo.
L’autobus numero 44 è stracolmo di gente, con le mie due
borse e la vecchia 22 lettere m’infilo. L’autobus imbocca
una serie di viali, che sembrano autostrade, contornate da alti palazzoni
di vetro e cemento, palazzine popolari e malconce, altre sono quasi baracche,
ai margini della strada. Mi scorrono dinanzi agli occhi le prime insegne
di negozi, «papelaria», «confinaria»,
«pastalaria», con tendoni colorati dagli sponsor
dei caffè, delle bibite e di altre mercanzie.
Arrivo alla grande rotonda (la prima) che si chiama «Campo Grande».Lo
stile è da metropoli, è monumentale ma anonimo.
La fermata successiva è la mia, sono alla rotonda del Marchese
di Pombal, la piazza è dedicata a colui che ha pianificato
i nuovi ampliamenti, i nuovi viali, le piazze, con evidente riferimento
allo stile dei boulevards, dopo le distruzioni del terremoto nel 1755.
Il mio albergo è poco lontano, si trova in rua Castilho 74. Un
serioso palazzone pieno di bandiere. Ho una cameretta al quinto piano.
Sono cotento perché dal balcone posso godermi indisturbato il panorama:
è fantastico! Da un lato i grattacieli della città moderna,
il verde del Parco Eduardo VII e dall’altro
le case basse e colorate del vecchio centro, la rocca di Sao
Jorge e in fondo l’ampio fiume Tejo,
che sembra un lago.
Afferma Goethe che «per conoscere una città
bisogna prima osservarla dall’alto». Da qui, a me vien voglia
di esplorarla, questa città che ho immaginato per anni, e che ora
ho qui tutta intorno. Per seguire le Olimpiade, mi devo abituare, devo
imparare che gran parte delle strade sono inclinate, e soprattutto conoscere
le scorciatoie per raggiungere il villaggio Olimpico.
Dopo il pranzo, mi trovo nella bella zona de il Rato,
quartiere popolare e giovanile, con una piazza lunga, ma anche di casine
basse, cortiletti.
Dal Rato, imbocco la lunga rua da Escola Politecnica
che mi porta verso le discese vertiginose e le salite del Bairro Alto.
Si respira bene qui, si percepisce un misto di aromi esotici, e si è
anche protetti dal forte vento lusitano, di Lisbona.
Le vie sono coloratissime, grazie alle facciate delle case molto fantasiose.
M’inerpico su per la collina degli artisti, Bairro Alto,
qui è nata Amalia Rodrigues, qui c’è
la casa museo Fernando Pessoa, rimodernata ma
interessante,con il ricordo delle stanze che furono, e la biblioteca dello
scrittore dell’inquietudine che è stata riunita. Cammina,
cammina; mi trovo al rione Estrela, così si chiama l’ampio
giardino pubblico che ne è il cuore. E’ affollato di gente:
bambini, giocatori di calcio, suonatori di bongo, giocatori di carte con
il basco sulla testa. Anche qui bellissime palme e ci sono anche le rose
rosso sangue della Galilea.
Dal balcone, dicevo, si gode la fresca vista della città antica,
la parte più curiosa, dove ripide scalinate, terrazzine, fontane
e piccole taverne dove si suona ancora e si canta il malinconico struggente
fado, il fato o destino, melodia triste di Lisbona, colonna sonora di
questa città e dei suoi abitanti.
Le rovine del Castello de Sao Jorge sono affascinanti,
per quel loro aspetto di antico riadattato. E’ bellissimo camminare
tra le torrette di guardia e gli ulivi, con i pavoni che guardano. L’aria
è limpidissima, soffia un vento piacevole.
Viale della Libertà, è un lungo rettilineo alberato che
porta alle piazze animate del centro, dalla rotonda del Marchese, dove
hanno sede le compagnie aeree. Al centro, un chiosco elegante ospita il
Cafè Lisboa, che ha il sapore della
belle epoque. Ecco finalmente anche al Duomo,
molto antico, l’unica chiesa di Lisbona di età medievale.
L’interno scuro ha il fascino delle pietre secolari, delle abbazie.
Nel Parque Eduardo VII le poesie si incontrano anche sulle porte dei gabinetti!
E’ una nazione di poeti, questa! E di santi, e di navigatori?
Bibliografia
Eleonora Conti: Bollettino ‘900 - Electronic Newsletter of '900 Italian Literature; B. Croce, La letteratura della nuova Italia, Bari, 1950; F. Flora, Storia della letteratura italiana, Milano, 1952; L. Russo, Storia della letteratura italiana, Firenze, 1957; G. Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo, 1967; C. Dionisotti, Geografia e storia della letteratura italiana, Torino, 1967; W. Binni, N. Sapegno, Storia letteraria delle regioni d'Italia, Firenze, 1968; E. Cecchi, N. Sapegno, Storia della letteratura italiana, 9 voll., Milano, 1969; A. Asor Rosa, Sintesi di storia della letteratura italiana, Firenze, 1972; G. Getto, Storia della letteratura italiana, Milano, 1972; R. Luperini, Letteratura e ideologia nel primo Novecento italiano, Pisa, 1974; S. Ramat, Storia della poesia italiana del Novecento, Milano, 1976; F. Fortini, I poeti del Novecento, Bari, 1977; G. Farinelli, Il romanzo fra le due guerre, Milano, 1979.
Reno Bromuro è nato a Paduli, in Campania, nel 1937. E' stato un poeta, scrittore, attore e regista teatrale. Nel 1957, a Napoli, ha fondato il Centro Sperimentale per un Teatro neorealista. Ha fondato nel 1973 (di fatto) l'A.I.A. Associazione Internazionale Artisti "Poesie della Vita", e, come critico letterario, ha recensito molti poeti italiani e stranieri. Si è spento nel 2009, qualche anno dopo averci dato l'opportunità di collaborare con lui. Noi di Letteratour lo ricordiamo con affetto qui.
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