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Notizia recente del telegiornale: negli esami 2003 Il Ministero della Pubblica Istruzione ha deciso di proibire l'uso di telefoni cellulari di ogni tipo, da quelli semplici a quelli wi fi e con display video; di personal manager palmari; di computer portatili; di collegamenti internet.
Si presume che il provvedimento serva
ad impedire che gli studenti pigri o impreparati possano farsi trasmettere
i compiti di esame da compiacenti complici esterni, e li costringa ad
affrontare la prova con le sole proprie forze. Si tratta di riforme
che servono a rendere più efficiente la nostra scuola, o di riflussi
tradizionalisti in direzione opposta all'evolversi della società?
A prima vista, sembrerebbe che si voglia fare sul serio: basta con gli
imbrogli, ognuno lavori con le sole sue forze, e faccia vedere quello
che sa. E tutti sarebbero portati ad essere d'accordo con tale visione.
Ma io mi chiedo: se gli esami sono tali da non ammettere nessuna delle
nuove tecnologie, invece di proibire queste non sarebbe più ovvio
cambiare gli esami stessi?
Il tema è molto importante, e non riguarda
solo la scuola, ma tutta la società: imprese, organizzazioni, strutture
burocratiche.
Si può sintetizzare in questa domanda:
Cambiare il modo di vedere le cose insieme con lo sviluppo delle nuove tecnologie, o difendere i vecchi punti di vista dall'attacco delle tecnologie, limitandole e rinunciando ad esse, pur di non cambiare?
I "vizi" da reprimere (cercare
in giro quello che non si sa, farsi fare dagli altri ciò che noi
non sappiamo fare) sono le virtù del buon autore.
Il tema di italiano non serve, è diseducativo, perché chiede
di sviluppare in quattro pagine un pensiero espresso in tre righe. Il
buono scrittore, o chi scrive un testo professionale, deve saper fare
l'opposto: sintetizzare in quattro righe un testo di quattro pagine.
Mettersi a tavolino e scrivere qualcosa tirandola fuori dalla propria testa, come si chiede di fare allo studente, è il contrario di ciò che fa lo scrittore. Costui, quando affronta un tema, o perché lo ha scelto lui, o perché gli è stato proposto da un committente, per prima cosa raccoglie dati, cercandoli in biblioteca o su internet, facendo interviste e indagini, leggendo altri autori. Poi organizza i dati raccolti, scartando quelli superflui o non pertinenti, sistemando in modo gerarchico quelli utili. Quindi fa una scaletta, o una mappa, di ciò che pensa di scrivere. Se ha bisogno di consulenti specialistici (in campo legale, o medico, o militare) si fa aiutare da loro. Infine scrive. Poi fa passare un po' di tempo. E riscrive tutto, abbreviando, sintetizzando, trovando soluzioni più eleganti per esprimere lo stesso contenuto. A questo punto fa leggere ciò che ha scritto a qualche persona di sua fiducia - la moglie, un esperto, uno straniero - e riscrive ancora tenendo conto delle sue osservazioni.
Popper in una intervista
disse che la scuola riversa dentro la testa degli studenti soluzioni preconfezionate
a problemi che loro non si sono posti. I poverini imparano la soluzione
per superare l'interrogazione, poi dimenticano tutto.
Se però si pongono il problema (come scaricare da internet la canzone
preferita?) imparano e non dimenticano.
Invece di versare contenuti in una mente che come un cesto di vimini li fa scorrere via, bisogna aiutare i ragazzi a svilupare mappe di conoscenza che crescano come piante, come insiemi organici. Il confronto fra le mappe iniziali e quelle di fine corso, farà capire a studenti e insegnanti che cosa si è imparato, quanto la mappa si è arricchita.
Invece del tema di italiano, del problema di aritmetica o di fisica, e cioè di prove che separano le conoscenze in artificiose discipline (la molecola che si studia in chimica è la stessa cosa che si studia in fisica?), bisognerebbe aiutare lo studente a costruire un suo portfolio in cui raccogliere tutte le esperienze fatte nel corso, per presentarle nel modo migliore e con i mezzi che preferisce (testi, immagini, calcoli, grafici, video, musica, ipertesti). Un dossier e la sua presentazione, come si fa nella vita reale quando si presenta un progetto.
Queste non sono mie fantasie. Sono idee fondate sulle teorie dell'apprendimento di Ausubel, sviluppate da Novak e applicate anche in Italia in scuole sperimentali. Io stesso ho messo in pratica questi principi nel corso di comunicazione multimediale che faccio all'Accademia dell'Immagine dell'Aquila, dove gli studenti scelgono un argomento, lo preparano e fanno una lezione di due ore ai compagni, con ampio supporto audiovisivo e web. In tal modo io mi limito a proporre la struttura del corso, ma le lezioni le fanno loro. Da tre anni ho adottato questo metodo, con ottimi risultati.
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