Federico Crosara, Prima che il mondo cominci a bruciare
di Rosella Rapa
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Titolo Autore ISBN Editore Prezzo Pagine Genere |
Prima che il mondo cominci a bruciare Federico Crosara 9788862114103 La Riflessione € 12,00 126 Attualità |
Un libro che si legge tutto d'un fiato, una prosa asciutta,
secca, uno stile serrato ed incalzante, che cattura immediatamente e
invoglia a continuare a leggere. La realtà dei giovani d'oggi,
laureati e senza lavoro, soprattutto senza prospettive, viene descritta
in modo drastico, impietoso, a tinte forti, senza piacevoli sfumature
di sottofondo. Le descrizioni della città accaldata e del ghetto
(chiamiamolo col suo vero nome, senza usare il francesismo "banlieue",
che va tanto di moda, ma vuol dire la stessa cosa) sono dirette ed impietose,
eppure, allo stesso tempo, struggenti. Qui non trovo altra parola. Il
linguaggio messo in bocca ai vari personaggi è quello moderno,
ben poco elegante, molto volgare, ma è così che oggi si
parla. Il protagonista e tutte le altre figure che compaiono nella vicenda
sono descritte in modo essenziale ed estremamente efficace. Non si tratta
di macchiette, sono persone, che conquistano il lettore: a volte fanno
piangere, altre volte rabbrividire. L’autore non teme di affrontare
verità scomode, come le guerre dimenticate dell'Africa, con tutto
ciò che comportano, e il difficile rapporto con i Rom, poveri
che derubano altri poveri, scatenando un’ostilità che non
può condurre a nulla di socialmente valido, ma solo l'atto estremo
di Luca, il protagonista, che finirà tra le mani delle “forze
dell’ordine”, come anticipato nell’anteprima posta
all'inizio del romanzo, che rende la narrazione un lungo flashback.
Forse sarebbe stato più eccitante un finale rivoluzionario, catartico,
ma l’autore si mantiene fedele fino in fondo alllo spietato realismo
che contraddistingue la vicenda.
Il protagonista, che è anche il narratore, nei suoi monologhi
avrebbe potuto usare un linguaggio ed un fraseggio più eleganti,
per far maggiore contrasto con la realtà. E’ comunque evidente
che l’autore conosce bene la lingua italiana, e padroneggia lo
stile di scrittura a tuo piacimento, quindi questa “caduta” di
linguaggio anche nell’interiorità è decisamente voluta,
a mio parere per indicare la progressiva mancanza di auto-considerazione
che aggredisce questi giovani, uomini e donne profondamente soli e sull’orlo
della disperazione, che cercano di affogare con alcool e droga. La speranza
nel futuro si affievolisce sempre più : i genitori sono lontani,
o non ci sono più, la mancanza di lavoro rovina le relazioni ed
impedisce di formarsi una nuova famiglia. Quando mai potranno esserci
dei figli? E’ impossibile mantenerli, quindi bisogna rinunciare
a loro, non è possibile neppure metterli al mondo.
Prima opera
narrativa di un autore con esperienza nel campo della sceneggiatura, è priva
di trucchi per accattivarsi il lettore, che non viene accompagnato, preso
delicatamente per mano per arrivare a comprendere un mondo che potrebbe
essere lontano dal proprio vissuto; tutto è descritto con spietata
veridicità e onestà.
Per questo motivo, e per il tipo di linguaggio adoperato, il romanzo è adatto
ad un pubblico adulto, che viene catapultato tra eventi e persone di
una vivezza straordinaria, ciascuno con la propria storia, il proprio
passato, le proprie esperienze.
Una lettura che riesce a prendere corpo
vigorosamente, e lascia dentro l'animo molto su cui riflettere. Non nego
che ad un certo punto mi sia passato un brivido di paura lungo la schiena.
Paura che ritornino gli "anni di piombo", paura che questi
ragazzi si sveglino un mattino e decidano di spaccare tutto, di “bruciare
il mondo”. Per
me si tratta di un’opera valida, le finezze stilistiche (se proprio
le vogliamo) verranno col tempo.
Intervista all'autore
Tu scrivi sceneggiature. Cosa ti ha portato a scegliere questo tipo di espressione artistica, molto specifico, che unisce la parola scritta, e ferma, con l’immagine in movimento?
Fin da bambino mi sono sempre piaciute le storie ed il cinema. La sceneggiatura è stata quindi un punto di arrivo naturale.
“Prima che il mondo cominci a bruciare” è stato prima pensato come sceneggiatura. Quale motivo ti ha spinto a trasformarlo in romanzo?
La sceneggiatura fu ultimata nel 2007. Pur avendo avuto apprezzamenti
positivi non passò mai alla fase successiva così, per
non buttare anni di lavoro decisi di commutarla in un romanzo.
D'altronde, le case di produzione che mi risposero furono chiare:
il lavoro era buono e non sarebbe stato prodotto per due motivi.
Il primo perché in quegl’anni si stavano producendo
già dei film che trattavano il tema del precariato (“Generazione
mille euro”, “Tutta la vita davanti”, “Cover
Boy”, “Parole sante”,...) e che comunque come argomento
era una cosa passeggera, di nicchia, ormai praticamente esaurito.
Il secondo motivo dipendeva da come viene trattato il precariato
nel romanzo. Non certo in maniera comica e ironica come fatto finora
(esclusi ovviamente “Cover Boy” e “Parole sante”).
E per come vengono descritte le istituzioni alle quali bisognava
chiedere i finanziamenti.
Ricordo ancora il dialogo che ebbi con un consulente di una
banca per il cinema il quale era allucinato. Balbettava tanto non ci
credeva. Forse pensava ad uno scherzo. Mi disse che non aveva mai letto
niente di simile e che anche portando molti cambiamenti, difficilmente
si sarebbe potuto fare qualcosa.
Ma soprattutto il finale lo lasciava sconvolto. Mi chiese tre
volte <<perché? perché? perché? La gente
va al cinema per ridere.>>
Pensi che in un prossimo futuro, dal libro si potrà trarre un film? In questo caso come lo preferiresti? Come film d’azione, dal ritmo mozzafiato, o più psicologico, rivolto alla descrizione dei drammi personali che vivono i singoli protagonisti?
Penso di sì. La speranza è l’ultima a morire.
Non è né molto costoso né complesso da realizzare.
Devono crollare alcuni tabù o il libro deve sfondare.
Ti riporto brevemente le indicazioni di regia che accompagnavano
la sceneggiatura: <<Come stile di regia adotterei una versione
tra i fratelli Dardenne e Alberto Grifi in “Anna”.
Una tecnica piuttosto aggressiva e claustrofobica, con ampio
uso di soggettive e pedinamenti. Soprattutto del protagonista in modo
che lo spettatore si possa calare meglio nello stato d’animo
del personaggio.
La fotografia la vedrei “sporca”, alla NYPD dei
primi anni, con macchina a mano e dominanti di colori freddi>>.
La storia è molto semplice, non c’è nulla
di complesso da capire. E’ molto più importante mettere
lo spettatore dentro di essa, a contatto con i protagonisti. Creare
in lui stati emotivi simili a quelli di Luca, Alessia, Fabio,.... Deve
soffrire, gioire, vincere, perdere, mangiare con loro e come loro perché capisca
che cosa si provi a vivere in questo modo.
Qual è, nelle tue intenzioni, il messaggio più importante che hai voluto esprimere con la pubblicazione di questo romanzo?
Quello che vado ripetendo da ormai purtroppo molti anni è che
il problema del lavoro precario, in Italia, è sempre stato molto
più grave e radicato di quanto politici, sindacati e mass media
dichiarino.
Soprattutto raramente viene discusso come queste persone (soprav)vivono,
che sacrifici e privazioni devono sopportare. Inoltre quasi nessuno
porta alla luce le sofferenze a livello psicologico di chi non sa se
la settimana prossima potrà lavorare, pagare l'affitto e fare
la spesa. Queste persone non possono richiedere mutui, non hanno diritto
all'indennità di malattia, ferie pagate, maternità e
nemmeno una pensione decente.
Questo libro vuole portare alla luce tutto questo e soprattutto
lanciare un
monito a chi fa finta di non vedere: che cosa succederà nel
prossimo futuro? Quanto queste persone possono resistere in queste
condizioni? e alla generazione successiva che cosa rimarrà?
E soprattutto com'è possibile che accanto a questi sfruttati
ci siano invece delle classi (caste) sociali con molti più privilegi
di quelli che meritano?
Queste domande non solo restano inevase ma il malessere si è diffuso
ancora di più colpendo liberi professionisti, artigiani ed
imprenditori.
Senza contare i cassaintegrati che crescono giorno dopo giorno.
Per quanto tempo le persone chiederanno ancora “gentilmente” di
essere ascoltate prima di passare a sistemi più violenti?
Pensi che il futuro dei tuoi personaggi, e di coloro cui ti sei ispirato, o che si ritroveranno in essi, da lettori, sia già segnato? Sono già una “generazione perduta”, oppure credi che ci sia speranza, spiritualmente e/o materialmente?
Credo ci sia sempre la possibilità di cambiare. E che
ci siano anche diversi modi per farlo. Il fatto che molti dei voti
nelle ultime elezioni siano andati al M5S significa molto in termini
di cambiamento di mentalità. Non credo fossero soltanto voti
di protesta. Bisogna anche dire però che a parte questo non
vedo grandi opposizioni nel paese e questo mi fa pensare al peggio.
Credo che ci sia troppa passività nel recepire le decisioni
di chi ci governa e ancora troppa tolleranza con gli sprechi e con
i privilegi.
C’è però un problema che mi lascia perplesso
e che viene perennemente rinviato: le pensioni.
Obbiettivamente, mantenendo questo stato delle cose, nei prossimi
anni sarà impossibile garantire una pensione decente a tutti
ed il mantenimento delle persone anziane ed inabili al lavoro.
Continuando ciecamente ed ostinatamente a vivere come facciamo
oggi ci saranno sempre più poveri e quindi l’economia
logicamente andrà a stabilizzarsi a livelli ben più bassi
di quelli a cui si era abituati una decina di anni fa.
Spero che il mondo non cominci a bruciare tra una ventina d’anni
quando ormai coloro che ci hanno portato a questo avranno da tempo
concluso la loro bella vita.
Rendere subito inerme l’attuale classe politica e dirigenziale
faciliterebbe di molto il lavoro e potremmo iniziare prima la rinascita.
Rinascita che dovrà puntare sul rispetto del prossimo
e dell’ambiente sennò non usciremo mai da questo sistema
che fa gioco soltanto a pochi.
Aggiungo, inoltre, che ci vorranno pene esemplari per coloro
che ci hanno condotto a questo punto. A memoria futura per chi volesse
riprovarci.
So che hai dei figli, che scrivi per i bambini e che lavori
con i giovani. Non ti voglio dire che è tutto finito. Dico solo
che la salvezza dipende solo da noi, dalla nostra unione e da nessun
altro.
Chi volesse maggiori informazioni può consultare direttamente il sito dedicato al romanzo www.fuocodentro.it
Rosella Rapa (classe 1959) è nata a Torino. Si è laureata in Cosmo-Geo-Fisica, scrive e disegna fin da bambina. Collabora con Letteratour dal 2001, quando uscì il suo libro Draghi & Computer (sette racconti fantasy). Si interessa di Matematica, Letteratura e Storia Europea, vecchi Film e Serial impegnati. Le piace viaggiare, soprattutto nell'Europa del Nord, per vedere con i propri occhi paesaggi, arte e persone. Un po' estrosa, non ama pregiudizi e preconcetti.
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