La Repubblica con Masaniello re.
La rivoluzione in Terra
d’Otranto
di Emidio Tomai-Pitinca
di Massimo Rondi
Nella categoria: HOME | Nuovi autori
Edizioni Angolo Manzoni alta leggibilità
"La Repubblica con Masaniello re”, sostiene l’autore, è una metafora. Ma, sostengo io, anche uno straordinario testo in cui si intrecciano storia, poesia dello stile e ricerca linguistica. Un libro fuori dell’ordinario.
Stella Maria lo stava ad ascoltare col cuore gonfio, e lo guardava con tanta tenerezza, e in quel momento si accorse che non le importava più niente. Non le importava del pudore, e di quello che la gente avrebbe raccontato sul suo conto, e di suo padre, che non l’avrebbe trovata in casa quella sera al suo ritorno. Gli afferrò la testa tra le mani e se la strinse al petto quasi a soffocarsi. Si sciolse i capelli e si slacciò il corpetto, e col cuore che le batteva forte forte, si abbandonò sopra Raffaele. Il torrente trattenne il respiro, e i grilli del bosco diventarono muti, e per tutta la notte, fino a quando la luce del giorno non spense le stelle e il silenzio stupito del bosco e del mare in lontananza.
La metafora del potere è resa evidente dall’ossimoro del
titolo, una Repubblica con un Re … (quantunque, un re “rivoluzionario”).
Ed è un tema di attualità: penso al “Diario italiano” di
Corrado Augias, a colloquio con Giovanni Borgognone, autore di “Come
nasce una dittatura” (Laterza 2012), cioè la nascita ufficiale
del fascismo italiano come regime dall’erosione della democrazia
giolittiana...
http://lucatleco.wordpress.com/2012/04/02/giovanni-borgognone-come-nasce-una-dittatura-corrado-augias-diario-italiano/
E poi la Storia: o almeno il “Verosimile”, a metà strada,
come dice il Manzoni, fra "il vero storico e il vero
poetico, cioè due tipi di vero o due modi di rappresentarlo.
Ma a differenza del Manzoni, che uniformò la lingua sul modello
dell’italiano-toscano, Tomai-Pitinca opera uno straordinario arricchimento
del nostro idioma, ripescando dalla liturgia, dagli archivi e dal dialetto
il greco, l’albanese, o meglio la parlata di Pulsano in quell’anno
del Signore 1647.
Ma Cocò era un cafone a secco e a mala pena arrivava a contare sino a dieci sulle dita della mano. Si era ingegnato però a tirare una croce su quel pezzo di carta per ogni diecina di stelle che spigolava su quella che gli pareva una sconfinata ristoppia. Ci avrebbe rimediato la pazienza di Pap’Antonio a fare il conto e passargli il risultato. “Rafé, quant’è trecento e passa?”. “Assai, assai”, tagliò corto Raffaele. “Piuttosto, tieni gli occhi aperti sulla strada”. Ma le stelle quella notte gli parevano più belle e lo tenevano stregato. “Facciabbrutta non attacca di notte. Preferisce starsene al Caggione, incollato a Rosa Musodiporco”.
Emidio Tomai-Pitinca, nato a Pulsano (Ta), laureato in
Lettere, ha conseguito la specializzazione in Storia e Civiltà del
Cristianesimo presso l’Università Cattolica di Milano, con
una ricerca sulle Istituzioni ecclesiastiche dell'Albania tarantina,
giudicata con il massimo dei voti, la lode e la dignità di stampa,
curata dall’Università degli
Studi di Lecce (Congedo, 1984).
Ha inoltre illustrato, in Convegni e saggi pubblicati su riviste nazionali,
i risultati delle ricerche storiche negli archivi, indagando sulle immigrazioni
albanesi di rito greco nell’Italia meridionale e sul monachesimo
greco e benedettino in Terra d’Otranto. Nel 1989 ha pubblicato
per la SEI un testo di “Letteratura latina”.
Dopo aver insegnato Italiano e Latino nei licei di Taranto, nel 1977
si è trasferito a Torino e ha insegnato nel liceo scientifico “Galileo
Ferraris”.
La Repubblica di Masaniello re è il suo primo, ma solo il primo, romanzo.
Con questo volume la Edizioni Angolo Manzoni inaugura anche una collana: EAM LA GRANDE ONDA Grandi Caratteri, diretta dal filosofo e scrittore Piero Burzio, che stende anche la prefazione (la postfazione è di Alberto Altamura) dedicata a una letteratura non “usa e getta”: “occorre tempo e vita per capire cosa nascerà nel fluido elemento delle sue trame. Perché la grande onda vive anche dopo la sua morte; e quando le cose saranno passate e le parole dette, essa avrà ancora mondi da rivelare, parole da riscoprire, cose da costruire. E non si fermerà mai”...
Infatti l’onda, la Grande Onda, come
quella dipinta dal pazzo Hokusai, “arriva
improvvisa, spiana e sconvolge. Rovescia l’antico, prepara il nuovo.
Forse smaschera il nuovo, rivela l’antico. Certo viene da lontano,
dalla superficie del mare, dal vento del cielo. Certo non placa, non
acquieta: mescola sale e sabbia, provoca, soffre. Potrebbe anche non
venire, potrebbe ritardare, ma quando giunge irrompe, costringe al movimento,
allo stupore”.
Ad un pensiero così irriverente che arriva a sbeffeggiare e a
negare se stesso, metafora o antinomia o ancora ossimoro che dir si voglia:
Cocò però un cognome ce lo aveva, anche se nessuno più lo ricordava. Si chiamava Cosimo Damiano Passante del ‘quondam’ Giuseppe Andrea, zappatore. Ma lo avevano chiamato sempre Piscialachiesa non perché da bambino, come spesso gli piaceva raccontare e scherzare, in una Messa della Settimana Santa, nel bel mezzo del ‘Passio’, al ‘Crucifige’, contorcendosi sempre più nella pancia, non ne poté più, e si trovò con le scarpe in una pozzanghera di piscia. Lo avevano chiamato Piscialachiesa perché quella catapecchia dov’era nato e cresciuto con quella santa donna di sua madre, Rosa la Cattìa (che Dio l’abbia in gloria) non aveva orto, ed era di una sola camera di pochi passi quadrati, e per non tenersi in casa tutto il giorno sotto il letto il cantaro con la piscia, all’oscuro di sera e di notte, o alla luce del giorno senza farsi vedere, andava a pisciare sul muro della Nunziata. Quella era la ragione vera che Cocò non raccontava, perché Cocò ci teneva all’onore suo, e per non perderlo arrivava persino a colorare di favola le cose brutte della vita, menandola sullo scherzo e la risata, per farsene una ragione e non pensare.
Perché si tratta di un testo, come scrive Piero
Burzio nella Prefazione, che “è altresì capace di
richiamare da un passato antico (il XVII secolo) vicende ed eventi di
una sconcertante attualità, con un’operazione metaforica
globale non consueta nel contemporaneo carosello di storie romanzate
moderne per il pubblico “moderno”.
Che hanno ancora da dire, a noi donne e uomini emancipati e globalizzati,
storie di rivolte nella terra d’Otranto tra contadini e Principi,
tra un Masaniello evocato come eroe nazionale e gli sgherri di un potere
feudale retrivo e ottuso? Vicende e racconti di un mondo popolato da
una rozza e incolta plebaglia che si accende un istante per lottare contro
le malversazioni e le prepotenze di poteri locali per noi tramontati
e condannati dalla storia? Visioni di violenza e di poesia che hanno
come sfondo il cielo stellato, un pozzo e un trullo?
Eppure, proprio così il romanzo testimonia del fascino mai dismesso
dell’eterna vicenda umana, e lo fa senza ammiccare e senza indulgere,
con il solo trasporto della metafora, a patto che si sia in grado di
passare oltre gli spazi, oltre i tempi, e di installarsi nel bel mezzo
di quella metafora, che proviene certo dai tempi storici, ma che per
essere metafora, li sopravanza tutti. Tomai-Pitinca arricchisce il quadro
con uno scorcio storico particolare, derivantegli dai suoi studi sugli
esuli albanesi in terra d’Otranto. L’incrocio di tradizioni
folcloristiche e linguistiche, dove nella parlata locale si inserisce
il greco ecclesiastico e la parlata albanese, crea una fantasmagoria
carnevalesca che è forse la cifra più autentica del romanzo,
e nei cui confronti la rivolta contro il potere e il richiamo alla repubblica
di Masaniello Re appaiono simboli di una più vasta umanità che
non conosce né frontiere, né ideologie.
Tali le brevi meditazioni del prefatore con se stesso, che, come s’è detto,
non forniscono chiavi di lettura e tanto meno “presentano” ciò che
già si presenta da sé. Resta da dire, in ultimo, ed è la
domanda che mi faccio sempre, perché leggere un romanzo simile.
Tante le risposte: ma una in particolare mi sento di proporre alle lettrici
e ai lettori miei contemporanei. Ed è che qui si racconta una
storia. Forse a qualcuno sembrerà poca cosa: ma è appena
il caso di sottolineare, se mai ce ne fosse bisogno, la differenza che
passa tra il narrare una vicenda, costruita con stile e mestiere, e dar
mostra di narrare qualcosa senza narrare realmente di nulla..”
In conclusione, da leggere, perché no? anche da recitare!
http://www.angolomanzoni.it/libri/leggi/627/la-repubblica-con-masaniello-re
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