di Rosario Frasca
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Riflessioni sullo spettacolo teatrale "Zoe la cantastorie",
andato in scena all'Abarico Teatro di Roma, il 31 maggio 2012
(con Zoe Rondini,
Matteo Frasca - Supervisione alla regia di Tiziana Scrocca)
La genialità dei "matti" è proverbiale e intrigante quanto quella dei poeti.
"Io sono ignorante, ma ho letto qualche libro e mi son fatto un'idea...e cioè che non c'è niente al mondo che non serve. Lo vedi questo sassolino? Ecco, anche questo sassolino serve a qualcosa. Io non lo so a che cosa serve… se uno sapesse tutto, quando si nasce, quando si muore, sarebbe Dio. Io non lo so a che cosa serve questo sasso, ma serve. Perché se non serve questo sasso, non servono neanche le stelle.." (cfr. F. Fellini, La Strada)
Il sogno
si è avverato. Zoe è sul palcoscenico
dell'Abarico Teatro di Roma. Sta lì, seduta immobile sulla sedia;
l’immobilità nasconde
in qualche modo che è una ragazza disabile. Accanto è seduto
Matteo che la guida, la sostiene, la ostacola, la libera in questo sogno
che diventa realtà.
Il
cuore di Zoe palpita sicuramente, come in tutti i debutti della vita;
e palpita all'unisono con i cuori della mamma e della sorella, con quello
del nonno e con i cuori di tutti i famigliari e gli amici più intimi o meno, che sono seduti davanti a lei, in una platea
non separata dalla scena, né materialmente né spiritualmente.
Il teatro è piccolo e raccolto e dà una calda sensazione
d’intimità: si può dire che attori e spettatori sono
sullo stesso palcoscenico. Gli spettatori assumono quasi la funzione
di "coro" del teatro greco. Noi siamo lì, attenti; forse
qualcuno si commuove. La partecipazione del pubblico la sento palpabile;
proprio come quella "degli uditori partecipi, in qualche modo collaboratori" che
Silvio D'Amico ha ben codificato come necessità inderogabile
di uno spettacolo teatrale.
Zoe nasconde la sua emozione nella penombra in cui è immersa;
all'apertura dello spettacolo i riflettori sono puntati su Matteo che,
con la chitarra, qualche passo più indietro, intona una ninna
nanna. "Ninna nanna, ninna nanna, tesoruccio della mamma, della mamma
e della nonna, del papà se poi ritorna"... nel sentire
queste parole, mi sovviene un dubbio: - la ninna nanna dei miei ricordi
dice "del papà quando ritorna" e non "del papà se
poi ritorna" - Un sussulto cerebrale mi riporta per un attimo
alla vita reale di Zoe; poi tutto ritorna in quell'atmosfera di sogno
e di distacco in cui si sviluppa qualsiasi spettacolo. L'assenza di
un padre sarà comunque per me, il motivo guida dello spettacolo
e su questo mi sorprenderò a misurare le mie emozioni nello
sviluppo della narrazione scenica.
Matteo dialoga con Zoe che affabula sull'assenza del padre e sulla sua "miracolosa" nascita con
sereno distacco narrativo. Zoe parla di quei cinque minuti di non
respiro che le hanno "donato" la vita e che... ora sta vivendo
sul palcoscenico. Matteo le dice, infatti: Zoe, usa questi cinque
minuti di sospensione per immaginare e raccontare come sarà la
tua vita. Al termine, potrai così decidere se respirare o no.… Se
vale la pena vivere o non vivere, essere o non essere, venire
al mondo o restare nell'oblio dei non nati.
Zoe inizia, pian pianino esce dall'emozione del debutto e racconta,
anzi, canta la sua vita; la canta con il corpo, i gesti, la mimica, la
voce; ci racconta della mamma, della sorella, della nonna, del nonno.
La famiglia di Zoe ha preso la scena; è lì presente, nei
feticci che ne rappresentano i personaggi nella memoria affettiva di
Zoe: una foto per la mamma, una collana per la nonna, un pupazzo per
la sorella, un libro per il nonno. Zoe parla dei suoi cari, ci si relaziona,
li ama senza inutili smancerie; racconta con realismo il forte legame
affettivo con tutti.
Renè Girard scrive: La memoria affettiva ritrova lo slancio
verso il sacro (...). Il sacro emana il suo profumo. Zoe
odora e accarezza i feticci. Zoe dunque, sul palcoscenico,
riprende la sua vita; "trasfigura" con il ricordo affettivo la personalità dei
suoi famigliari e li rigenera sulla scena. I suoi famigliari spett-attori
partecipano a questa "trasfigurazione" e, ne sono convinto, sentono
fin nelle pieghe più nascoste del loro essere, l'amore di Zoe.
Lo spettacolo diventa a questo punto, una rappresentazione sulla sacralità della
vita. Matteo scandisce il primo minuto: Zoe bambina; poi il secondo:
Zoe adolescente e il terzo: Zoe adulta... e così via fino
al respiro.
Le parole e la musica di Matteo guidano e danno ritmo, come un battito
cardiaco, all'azione scenica di Zoe, del suo essere bambina, "accolta" in
un mondo di adulti. Che cosa fanno i bambini per conoscere
il mondo? Giocano e fanno gli esercizi imposti dagli adulti. Zoe
racconta i suoi giochi, la gioia nel giocare e la noia nell'esercitarsi.
Matteo rafforza le parole e i comportamenti di Zoe; rileva così come
il mondo degli adulti "utilitaristi" è ostile al mondo naturale
e "libero" dei bambini; è così per tutti; è stato
così anche per Zoe.
Romano Guardini scrive sull'educazione: L'educazione consiste
in buona parte, non nell'essere amabili, comprensivi, disinteressati,
ma nel dissimulare i propri sentimenti: così, parole e comportamenti
dell'adulto contengono molto di inautentico e di sleale. Per contro
il bambino è semplice e sincero. (…). Egli non avverte
ancora gli ostacoli che rendono difficile alla persona adulta l'essere
veritiera. Scrive ancora Guardini, qualche rigo prima: (...)
divenire adulti è cosa che ha inizio, in verità, già col
primo respiro. L'educazione di Zoe, inizia, incontra gli
ostacoli e le contrarietà della vita immaginata e “adulterate" ancor
prima di fare il primo respiro. Zoe inizia a essere "adulta" ancor
prima di venire al mondo. Queste sono le "meraviglie educative" del
teatro.
Matteo continua a scandire le fasi della vita immaginata da Zoe. Zoe
immagina e rivive la sua adolescenza, le nuove scoperte; poi, la consapevolezza
di essere adulta e in questa consapevolezza Matteo diventa l'antagonista
di Zoe con un suo monologo su "I limiti" dell'essere umano; parla dei
suoi limiti che fanno da contraltare a quelli di Zoe e che Matteo rimarca
e denuncia con forza perché il proprio limite non gli permette
di eliminarli e/o correggerli.
La rabbia di Zoe adulta esplode in una veemente invettiva contro gli "altri" che
non sono consapevoli dei propri limiti perché troppo occupati
a guardare i limiti altrui. Urla Zoe: - Siete voi gli handicappati! -
Una rabbia forte, vitale che la avvolge nei suoi movimenti quasi neonatali,
quel respiro che resta sospeso...ma lei ha bisogno di quel respiro per
esprimere la propria rabbia. E' il momento culmine dello spettacolo;
Zoe agita le braccia attorno al suo viso, si avvolge in una mobilità fetale
fino a… emettere il primo vagito. Il respiro le dona la vita.
Il respiro la salva dall'oblio. E' nata. E' "Nata viva".
Matteo invita Zoe a esprimere i suoi desideri da adulta ora che è viva
e che è venuta al mondo. Zoe dice voglio essere utile; voglio
fare la cantastorie e raccontare la mia storia agli altri affinché possano
accorgersi che vivere è bello; voglio fare teatro. Matteo risponde: "Questo è già teatro".
Gli applausi scroscianti e liberatori sono durati a lungo; ancora
li sento che danno ritmo al mio vivere quotidiano e ne daranno finché durerà la
mia memoria affettiva.
Appendice
Jerzy Grotowky scrive: "Nel nostro teatro formare un attore non vuol dire insegnargli qualcosa; noi cerchiamo di eliminare le resistenze del suo organismo al suddetto processo psichico ("trance") . Il risultato è l’annullamento dell’intervallo tra gli impulsi interiori e le reazioni esteriori in modo tale che l’impulso sia già una reazione esterna. Impulso e azione sono contemporanei: il corpo svanisce, brucia e lo spettatore non vede che una serie d’impulsi visibili." (Per un teatro povero - 1965)
Nel caso di Zoe il processo è inverso
ovvero è dall'azione
esteriore che lo spettatore risale all'impulso interiore e ri-conosce
l'attore; ma il risultato è lo stesso: “l’annullamento
dell’intervallo tra impulsi interiori e reazioni esteriori.” (In
questo è stata eccellente la regia di Tiziana Scrocca).
L’educazione non è rivolta solo all’attore, come
scrive Grotowsky, ma anche allo spettatore che attraverso l’azione
scenica ri-conosce l’origine ovvero l'autenticità dell’attore
che agisce. Il riconoscimento dell'attrice Zoe, genera nello spettatore
la catarsi ovvero la purificazione della relazione affettiva con Zoe.
In conclusione, il risultato educativo è: "la ri-nascita
di Zoe e dello spett-attore attraverso la ri-scoperta del “vero” rapporto
affettivo che li unisce nell’unicum famigliare.
Citazioni
Silvio D'Amico, Storia del teatro. (wikipedia)
“Il
Teatro vuole l'attore vivo, e che parla e che agisce scaldandosi al
fiato del pubblico; vuole lo spettacolo senza la quarta parete, che ogni
volta rinasce, rivive o rimuore fortificato dal consenso, o combattuto
dalla ostilità, degli uditori partecipi,
e in qualche modo collaboratori. »
René Girard - "Menzogna romantica e verità romanzesca".
(Ed. Tascabili Bompiani - 2009)
A livello inferiore della creazione letteraria, l'immagine è un
semplice ornamento che lo scrittore può sopprimere
o sostituire a suo piacimento. Marcel Proust si
priva di questa libertà. Il romanziere
non è un realista dell'oggetto ma un realista
del desiderio. Le immagini devono "trasfigurare" l'oggetto.
Non devono trasfigurare in un modo qualunque ma
nel modo particolare all'adolescente borghese che "cristallizza" prendendo
le mosse dai dati scolastici e libreschi. Nelle
immagini mitologiche si congiungono e si fondono
meravigliosamente il desiderio nascente del liceale,
che sognava l'alta società (...), l'infanzia
malaticcia e protetta del narratore e persino l'arredamento
della sala. I puristi non riescono a capire entro
quali limiti ristretti si eserciti la scelta dello
scrittore.
(...) Non appena Marcel (Zoe) posa lo sguardo "fisso e doloroso" su
un essere qualsiasi (o il suo feticcio), vediamo scavarsi tra
questo essere e lui, l'abisso della trascendenza.
(...) Ciò che viene rivissuto, nel contatto con una
reliquia del passato, è la qualità trascendente del
desiderio di un tempo. Il ricordo non è più avvelenato,
come lo era il desiderio, dal desiderio rivale. "ogni persona che
ci fa soffrire può essere da noi ricondotta a una divinità di
cui è solo un riflesso frammentario... divinità (Idea)
la cui contemplazione ci dà subito gioia in cambio della sofferenza
che avevamo."
La memoria affettiva ritrova lo slancio verso il sacro e tale
slancio è puro godimento poiché non è più infranto
dal mediatore (del desiderio).
(...) La memoria dissocia gli elementi
contraddittori del desiderio. Il sacro emana il suo profumo (Zoe
odora e accarezza i feticci) mentre l'intelligenza attenta e staccata
(del ricordo) può ora riconoscere l'ostacolo nel quale urtava;
comprende la funzione del mediatore e ci svela il meccanismo infernale
del desiderio.
La memoria affettiva reca dunque in sè la condanna del
desiderio originale. (...) L'estasi del ricordo e la condanna del
desiderio si implicano vicendevolmente come la lunghezza e la larghezza
o il rovescio e il diritto.
La memoria affettiva è il Giudizio universale dell'esistenza
proustiana. Essa separa il grano dal loglio, ma il loglio deve figurare
nel romanzo perché il romanzo è il passato. La memori
affettiva ... è fonte di verità e fonte di sacro; ...essa
svela la funzione divina e demoniaca del mediatore (del desiderio).
Non bisogna limitarne gli effetti ai ricordi più antichi e
più felici. Mai il vivo ricordo è più necessario
che nei periodi di angoscia, perchè dissipa la nebbia dell'odio.
La memoria affettiva è in gioco in tutta la successione temporale.
Chiarisce altrettanto bene l'inferno (...) quanto il paradiso (...).
La memoria è la salvezza dello scrittore e di Marcel
Proust uomo. (...) Il nostro romanticismo tollera la salvezza soltanto
se immaginaria; tollera la verità soltanto se disperante.
La memoria affettiva è estasi, ma è anche conoscenza.
Se trasfigurasse l'oggetto ... il romanzo ci descriverebbe non tanto
l'illusione vissuta al momento del desiderio, ma una nuova illusione,
frutto di questa nuova trasfigurazione. Non vi sarebbe realismo del
desiderio.
Romano Guardini - Il Signore - (Vita e Pensiero
- Morcelliana)
Nel bambino la vita comincia a nuovo; In contrasto con colui
che già esiste ed è insediato. Essa sovverte le valutazioni
contro di lui. Così nell'adulto vive, al di sotto di tutta
la tenerezza umana, un segreto risentimento, spesso inconscio, contro
il bambino.
Il bambino è inerme. Non può proteggersi dagli
adulti. Non riesce a resistere contro l'influenza proveniente dall'abilità,
dall'esperienza dal pensiero maturamente riflesso dagli adulti. ...
Il bambino non sa tutelarsi da ciò. Gesù dice: State
in guardia! Là dove voi vedete solo l'essere debole, v'è un
mistero divino, delicato e sacro. Chi lo tocca fa qualcosa di tanto
terribile che per lui sarebbe meglio fosse stato reso in precedenza
inoffensivo, come un animale pericoloso. (...)
E ora Cristo dice: Se tu volessi attentare a quel "sacro" in
un bambino - guardatene! Dietro il fanciullo sta l'angelo, ed egli
contempla Dio. Dietro il bambino, Dio è manifesto. Quando
ti avvicini troppo a lui, tu violi qualcosa che conduce direttamente
nel segreto di Dio. ... Certo egli tace. Sembra che non avvenga nulla.
Ma un giorno tu ti renderai conto di ciò che in verità avvenne
quando egli diventò tuo avversario. Qui apparirà chiara
la santa dignità dell'indifeso.
L'adulto ha scopi, cerca i mezzi per raggiungerli e li usa.
(...) Ha intenzioni. Il bambino invece non ha "intenzioni". Tuttavia
esageriamo; naturalmente anche egli ha intenzioni; vuole questo e
quello. Ha anche paura. Ha in genere tutto quello che ha l'adulto,
perchè divenire adulti è cosa che ha inizio, in verità,
già dal primo respiro. (...)
L'educazione consiste in buona parte non nell'essere amabili,
comprensivi, disinteressati, ma nel dissimulare i propri sentimenti:
così, parole e comportamenti dell'adulto contengono molto
di inautentico e di sleale. Per contro il bambino è semplice
e sincero. (...) Egli non avverte ancora gli ostacoli che rendono
difficile alla persona adulta l'essere veritiera.
Da noi tutto è concentrato sulla “maturazione” dell’attore
che è espressa da una tensione verso l’assoluto, da
una denudazione completa, dall’estrinsecazione degli strati
più intimi del proprio essere e tutto questo senza la benché minima
traccia di egoismo o di auto-compiacimento. L’attore fa dono
totale di sé. Questa è la tecnica della “trance” e
dell’integrazione delle energie psichiche e fisiche dell’attore
che, emergendo dagli strati più intimi del suo essere e del
suo istinto scaturiscono in una specie di “transluminazione”.
Nel nostro teatro formare un attore non vuol dire insegnargli
qualcosa; noi cerchiamo di eliminare le resistenze del suo organismo
al suddetto processo psichico. Il risultato è l’annullamento
dell’intervallo tra gli impulsi interiori e le reazioni esteriori
in modo tale che l’impulso sia già una reazione esterna.
Impulso e azione sono contemporanei: il corpo svanisce, brucia e
lo spettatore non vede che una serie d’impulsi visibili.
Jerzy Grotowky – Per un teatro povero (articolo del
1965)
Da noi tutto è concentrato sulla “maturazione” dell’attore
che è espressa da una tensione verso l’assoluto, da una
denudazione completa, dall’estrinsecazione degli strati più intimi
del proprio essere e tutto questo senza la benché minima traccia
di egoismo o di auto-compiacimento. L’attore fa dono totale di
sé. Questa è la tecnica della “trance” e
dell’integrazione delle energie psichiche e fisiche dell’attore
che, emergendo dagli strati più intimi del suo essere e del
suo istinto scaturiscono in una specie di “transluminazione”.
Nel nostro teatro formare un attore non vuol dire insegnargli
qualcosa; noi cerchiamo di eliminare le resistenze del suo organismo
al suddetto processo psichico. Il risultato è l’annullamento
dell’intervallo tra gli impulsi interiori e le reazioni esteriori
in modo tale che l’impulso sia già una reazione esterna.
Impulso e azione sono contemporanei: il corpo svanisce, brucia e lo
spettatore non vede che una serie d’impulsi visibili.
Rosario Frasca (Pozzallo, Ragusa, 18/12/1951) si trasferisce a Roma nel 1957. Compiuti gli studi tecnici, nel 1971 lavora presso un ente ministeriale dello spettacolo; nel 1972 all'INAIL di Torino e nel 1974 alla Direzione Generale di Roma. Dal 2012 è in pensione e ritorna a frequentare teatro e teatanti; e a coltivare le passioni giovanili per arte, musica, cinema e letteratura. Collabora con articoli, recensioni e discussioni nel sito di Letteratour, applicando le dinamiche del "desidero mimetico" di René Girard.
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