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Fabiano Alborghetti, L'opposta riva

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ed. LietoColle
ISBN 88-7848-209-9 pagg 118 € 13,00

«La materia cui Alborghetti ha messo mano con questa sua opera di poesia, di particolare intensità e singolarità [...] Riguarda infatti gli esclusi, gli emarginati, i fuggitivi, i “sans papier”, [...]. Problema spinoso del nostro tempo, [...].
Alborghetti ha voluto avvicinarlo e approfondirlo non da osservatore neutrale, ma facendosi come uno di loro, [...]
La forma, lo stile che ne caratterizzano la qualità (della poesia), stanno in un linguaggio chiaro, diretto, a volte anche teso, che non concede niente alla retorica e fa segnare al percorso espressivo di Alborghetti, infine alla sua poesia, un momento importante di raggiunta e compiuta maturità.»

dalla prefazione di Giampiero Neri

L’Opposta Riva è una raccolta composta come una Spoon River dei vivi.

Le voci sono quelle dei Clandestini di stanza in Italia che ho contattato e con cui ho vissuto per diverso tempo a cavallo tra il 2001 e il 2004. Li ho incontrati nei pressi dei C.P.T. (campi di permanenza temporanea), in Questura, nei “ghetti” etnici dove vivono ricreando comunità indipendenti per luogo e per spazio, nelle strade.
Emerge dalla composizione dei quadri raccolti cosa è l’essere un Clandestino in Italia, il travaglio del viaggio dal paese d’origine (area Balcanica, Albania, nazioni dell’Africa centrale squassate da guerre e fame di cui si sono perse le origini ma anche paesi più pacifici, segnati solo dalla povertà e dai quali la fuga è necessaria per andare altrove, guadagnare ed inviare denaro in seno alle famiglie che spesso hanno solo quell’introito come sostentamento).
Nelle tre sezioni della raccolta vengono tracciate le mappe del come e del perché accade il viaggio sino all’Italia, del come e dove vivono una volta giunti nel nostro paese, delle relazioni che governano l’interagire tra noi e loro, delle pratiche burocratiche, dello svolgere la vita secondo le minuscole regole comprese tra mattina e sera.
Ogni pagina racchiude una voce, un episodio, tutte insieme danno la misura dell’accaduto e dell’accadere.
È un popolo in ombra anche se pienamente visibile, che qui trova una voce (un'altra voce direi piuttosto) per dire dell’istinto e della forza che sorregge quando tutto viene sottratto - anche la terra su cui posare il corpo - terra spetta, che viene ricavata di nascosto negli angoli della nostra cecità e che viene protetta col silenzio, con la speranza.

F.A.

dalla sezione
Mentre cambia il tempo, la nube o il secolo che sia

E dove altro credi possibile la mia presenza
se anche la mia terra è contro? Non rimane niente altro
che la cancellazione ripeteva un dirsi presenti

anche senza il luogo. Adesso conta diceva
fai la somma dei rimasti. Sottratti gli urti i lampi
i sacchi senza nome o le cataste di arti e bocche colme

di vuoto avrai la misura del rimanere, l’innominata ampiezza

dalla sezione
Il presente che ci resta

Come evasi senza ragion veduta, in fila
lungo la sorte sino alle montagne: sottrarsi
alla propria terra per la sola carne riassumeva il motivo

il convoglio, senza custode ognuno
che non l’occhio indietro a dilavare la strada fatta.
La sola parola ripetersi scandiva l’insieme unendo

dalla perdita presente alla trama a venire, noi siamo dove?

dalla sezione
L’opposta riva

Partiva a caso certe volte con la nostalgia
per un luogo dove non era mai stato veramente
apriva le parole stilando particolari minimi: così incontenuto

spandeva il ricordo elencato tra l’andare e il ritorno
consumando senza scissione. Questa è la vita del transfuga
diceva: senza un luogo preciso cui appartenere

e troppo dentro gli occhi su cui fermare.

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