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“Fai luce sulla chiave”, rendering 3d di Michele Ingenuo
Sto tornando a casa. Stasera ho bevuto
un po’ troppo. Ecco, sto imboccando la strada di casa. Che
ore sono? Le due. Bah, ho fatto proprio tardi! Meno male che domani posso
dormire un po’ più a
lungo. Accidenti, non trovo la chiave di casa! Frugo in tutte le tasche,
niente. Deve essermi caduta
quando mi sono tolto i guanti, laggiù. Però è molto
buio, laggiù non la troverò mai. Meglio cercarla
qui, sotto questo bel lampione. Anche perché mi ci appoggio e
barcollo un po’ di meno. Certo, c’è
luce, ma della chiave nemmeno l’ombra.
Arriva un vigile. Dev’essere quello che fa la ronda notturna. Mi
vede un po’ in difficoltà, e mi
chiede che cosa sto facendo.
- Sto cercando la chiave per rientrare
a casa.
- L’ha persa qui?
- No, devo averla persa laggiù.
- E perché la cerca qui?
- Perché qui c’è luce, laggiù è troppo
buio.
***
Ora la sbornia è passata, e rifletto su quanto mi è accaduto. Intanto, come ho fatto a rientrare a casa? Deve avermi aiutato il poliziotto. Sì, sì, ora ricordo. Ha tirato fuori una lampada, e con quella ha cominciato a illuminare la zona in cui gli avevo detto di aver perso la mia chiave. Ha trovato sul marciapiede un mazzo di chiavi, ed ha cominciato a provarle una per una, fino a quando non ha trovato quella giusta. Mi ha anche ammonito bonariamente, dicendomi di bere un po’ di meno, e che se non fosse passato lui avrei trascorso la notte all’addiaccio, perché da solo non sarei riuscito a trovare la mia chiave.
***
Certo, ho fatto la figura dello stupido.
Ma ora è tornato tutto
sotto controllo, e la cosa che mi è
capitata mi fa pensare che anche da un comportamento stupido si può trarre
un insegnamento. Ecco
dunque che mi metto a fare un nuovo gioco: osservare la vicenda come
se fosse una parabola
evangelica, o un aneddoto ricco di metafore illuminanti, a patto di saperle
interpretare.
Torno a casa a notte alta, dopo aver bevuto un po’ troppo. Sono
quindi in uno stato alterato di
coscienza, e mi comporto in modo diverso dal solito (in genere la sera
sto a casa). Mi sono
allontanato dalle mie certezze e dalle mie abitudini, sono uscito dal
porto e ho fatto una navigazione
un po’ avventurosa. Però sto tornando, sono già di
fronte alla mia casa. Dopo il momento di
sbandamento, di incertezza, di follia, di trasgressione, sto rientrando
nella mia routine. Ecco, la
porta è là, sono arrivato, ma non trovo la chiave. L’uscita
mi ha cambiato, e non mi ritrovo più con
le mie abitudini. So che cosa voglio (entrare e andare a dormire), ma
c’è un ostacolo (la porta
chiusa) che normalmente supero, ma che ora non sono in grado di superare.
Conosco anche la
soluzione, ma non la trovo a mia disposizione. Ce l’avevo, l’ho
usata altre volte, ma ora non so più
dov’è. Anzi, so che dev’essere laggiù, da qualche
parte, ma è troppo buio, non si vede nulla. E ora
sono troppo stanco e frastornato per andare fin lì.
Meglio restare qui, sotto il lampione. Meglio appoggiarsi a qualcosa
di solido, di costituito, di
stabile, di conosciuto: il vecchio lampione che sta sempre qui, con il
suo bel cono di luce.
Qui ci sarebbero tutte le condizioni per trovare la chiave, ma la chiave
non c’è. Sarebbe stato
ragionevole perderla proprio qui, sotto il lampione, ma purtroppo l’ho
persa laggiù. Anzi, sarebbe
stato meglio non perderla affatto, e magari bere di meno. Ma tant’è.
E’ successo e non ci posso fare
più nulla. Posso solo cercarla, e per fare meno fatica la cerco
nel posto migliore. Sotto il lampione
che fa una bella luce. Nel posto più ovvio, più rassicurante,
non in quello dove è più probabile che
sia.
Il vigile è un controllo esterno, potrebbe essere il capo, un’autorità costituita,
un cliente, un
consulente. Mi fa osservare l’incongruità del mio comportamento: è inutile
cercare la chiave sotto la
luce se l’ho persa nel posto buio. Mentre io non ho uno strumento
di indagine personale e flessibile,
e mi devo affidare al lampione, cioè a qualcosa di esterno, rigido
e incontrollabile, il vigile ha una
lampada portatile, che può dirigere dove vuole. La lampada è meno
potente del lampione, ma è
molto più usabile, e il suo piccolo cono di luce può andare
a frugare laggiù, nel buio, per trovare la
piccola chiave.
Questa volta non sono stato capace di risolvere da solo il mio problema.
Se non fossi stato aiutato
dal vigile, sarei rimasto fuori tutta la notte. Però ho imparato
come fare. Ho imparato che la chiave è
lo strumento per risolvere i miei problemi, che la luce è lo strumento
per definirli, per cercare le
soluzioni più efficaci. Ho imparato che bisogna muoversi. Se resto
sotto il lampione, se ricorro a
soluzioni collaudate ma rigide e inadatte al momento attuale, non trovo
la chiave giusta, che è più in
là, e richiede strumenti di indagine e di definizione più duttili
e personali.
Ed è così che ora, anche senza l’aiuto del vigile,
posso dirigere il cono di luce sulla mia chiave, e
aprire la porta dietro la quale c’è il porto sicuro, l’obiettivo
raggiunto.
E la tua chiave qual è? E il tuo lampione? Ce l’hai una
lampada portatile?
Se ti fai tutte queste domande puoi leggere il mio libro, presentato
qui sotto.
Umberto Santucci
Umberto
Santucci, Fai luce sulla chiave.
Problem setting: l’arte di definire i problemi
prima di risolverli
pp. 208, € 20.00
Collana "Fare Azienda"
L’Airone Editrice
dal 24 gennaio in tutte le librerie
È più importante saper risolvere i problemi o saperli definire? Una chiave senza luce rimane nascosta. Una luce senza una chiave da illuminare non serve a nulla. Questo libro ci aiuta a scoprire la luce giusta e a dirigerla verso le zone in cui potremo trovare la nostra chiave. La chiave è il problem solving. La luce il problem setting. Esistono libri sul problem solving, ma fino ad ora nessuno sul setting, che invece è la parte più “intelligente” dell’intero processo, una “fase trasformativa” e costruttiva che rende attive le persone rispetto allo stato di disagio che provano in situazioni di incertezza. Dall’essere passive rispetto a un senso di malessere e smarrimento, le persone possono divenire attive generando nuova comprensione, nuovi punti di vista, nuovi comportamenti. Con uno stile rapido e conciso, questo manuale insegna come definire e individuare esattamente i problemi: un’abilità che è indispensabile condizione preliminare per la loro corretta soluzione e ci permette anche di affrontare ansie e preoccupazioni in modo più efficace e costruttivo, trasformandole da fonti di malessere a stimolanti occasioni di crescita. Il libro è pubblicato in collaborazione con la Scuola di Ingegneria dell’Impresa dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”.
Umberto Santucci è consulente di problem solving strategico, mappe mentali, agile project management. Oltre alla solida preparazione teorica, ha maturato sul campo una collaudata esperienza di problem solving nel campo della comunicazione multimediale, della progettazione e realizzazione di eventi speciali, della formazione in aula e a distanza. È autore de La comunicazione multimediale, "Il Sole 24 Ore Libri", 1991, e Multimedia e comunicazione d’impresa, "Sperling & Kupfer", 1994. Il suo sito è www.umbertosantucci.it.
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