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Miele sul coltello, di Romeo Çollaku

di Anna Lattanzi

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"Cacciala fuori, sta malanova!" Tuonò Papateo, quando nessuno proprio se lo sarebbe aspettato; una gridata così forte in tutti gli ulivi e gli oleastri che lo sguardo può abbracciare, gli uccelli interruppero il loro canto e con quale tremacuore sbatterono le ali altrove! E come succedeva ogni volta che si sentiva lo sparo lontano di qualche cannone tedesco, anche l'urlaccio del prete fu seguito dallo starnazzo chiassoso delle galline, dal latrato dei cani, dal soffiare dei gatti e perfino dal nitrito del cavallo malato di Arcilé, che da quasi un mese non usciva più dallo stabbio.

I bizzarri personaggi

Il villaggio è di quelli di montagna, che ben si incastonano tra le rocce e di sera sembrano far parte di un presepe. Un villaggio in cui non ci si annoia, perché c'è Papateo per esempio, il prete ortodosso, che vuole a tutti i costi impartire i suoi insegnamenti. Non sono dolci i suoi metodi, ma rimane comunque un punto di riferimento per tutti. E vogliamo parlare della sigaretta sempre accesa di Arcilé? Fuma tanto il medico, che ha fatto i suoi studi in Austria, ma del resto è anche il proprietario della più bella tabaccheria di tutta la regione. Come in tutti i piccoli paesi che si rispettano, il pettegolezzo la fa da padrone. Chi ci pensa? Kondja la sordomuta e Gilda, la vedova barese, che si ritrova nel paesino per essersi innamorata di un marinaio del posto, ora passato a miglior vita. Eppure non parla nemmeno l'albanese Gilda, ma con le chiacchiere è bravissima. Non manca sicuramente l'accoglienza in questo villaggio, tanto che i disertori, Ndoni e Zef, possono trovare riparo, senza che nessuno batta ciglio. Zef è di origini napoletane e si è ritrovato a combattere nei Balcani. Diserta così dal reggimento trovando ospitalità nel borgo. Non si arrangia per niente con la lingua locale. Ndoni è italiano come il suo compagno e anche lui è disertore. Il ragazzo, però, è un grande oratore e l'utilizzo della parola per lui non costituisce affatto un problema, tanto da diventare il barbiere del paese. Non sempre sono attenti alla sensibilità altrui gli abitanti del borgo: Mihelangjelo, per esempio, non riesce a nascondere la propria incontinenza e per questo viene costantemente preso in giro. E vogliamo parlare di Demetri il Verde, solitario come pochi? Oppure di Gogo, con il suo mazzo di carte in tasca, così interessato al mondo che lo circonda? E poi c'è Galinia, l'unica figlia di Papateo, ancora piccina...

L'importanza delle parole

È la lingua l'indiscussa protagonista di questo Miele sul coltello di Romeo Çollaku (ottobre 2020, BesaMuci Editrice). Una lingua che si esprime in maniera svariata, dal gergo, ai termini più antichi, ai silenzi e alla gestualità. Una babilonia di termini e di parole, che rendono il libro interessante nella sua complessità. Una lettura che permette di entrare in punta di piedi, se pur con fervente intensità, nei meandri più profondi del linguaggio e dell'importanza della parola.

Grande la capacità di Çollaku di esprimere attraverso i personaggi che animano il libro e in particolare, attraverso la voce di Ndoni, tutta la potenza della comunicazione, dello spirito energico e fortemente invasivo, se pur in senso buono, della favella. Decisamente rilevante la presenza italica nella narrazione, molto forte il profumo del Mediterraneo, elevata all'ennesima potenza la realtà che accompagna le storie, fatta di povertà e voglia di farcela, miseria e necessità di emergere. Il tutto rappresentato con la "forza espressiva" del vocabolo, come dice la traduttrice Eda Derhemi.

Un romanzo, Miele sul coltello, dalla grande abbondanza linguistica, che offre attraverso le varie sfaccettature dell'idioma, il disegno di una piccola comunità, fatta di semplicità, meraviglie infrante e desiderio di costruzione. Vocaboli ed espressioni arcaiche, termini dialettali e l'uso dell'arbërësh in lingua originale, fanno di questo romanzo uno scritto singolare, che grazie alla traduzione certosina e attenta in lingua italiana, consegna al lettore un romanzo di un vigore spiazzante.

Una traduzione importante quella operata da Eda Derhemi e da Francesco Ferrar, che hanno dovuto gestire tre fondamentali elementi:

uno sull'uso dei dialetti, l'altro su una categoria grammaticale che esiste in albanese, ma non in italiano e l'ultimo sull'adattamento fonetico dei nomi propri.

É quanto afferma Eda Derhemi, nell'interessante postfazione "La sfida delle mescolanze linguistiche", in cui puntualizza quanto "mirare a tradurre le mescolanze del linguaggio... sia real bitch ...cioè un vero incubo, un mostro". Altro concetto rilevante, circa l'impegno richiesto da tale traduzione, è contenuta nella postfazione di Francesco Ferrari, "La vertiginosa Babele di Romeo Çollaku", che preferisco riportare pari pari:

Lavorare a questo libro è stato un po' come realizzare il paradosso di tradurre da una lingua che non leggo a una lingua che non scrivo. Il mondo di Romeo Çollaku è infatti linguisticamente vasto, sebbene racchiuso entro i confini di un villaggio isolato, frazione di Babele brulicante di linguaggi. Protagoniste qui sono le forme di comunicare, la vischiosa materia-miele della parola della parola che si può assaporare senza che si lasci però mai afferrare del tutto. Refrattaria alla cristallizzazione, la parola di Çollaku mantiene un grado di fluidità che rende sfuggente e scivolosa, ma in quel suo sfuggire, in quel suo scivolare, lascia l'impressione di un dolce straniamento.

 

Maggiori info su: http://www.besaeditrice.it/

 

Anna Lattanzi (classe 1970) è nata a Bari, dove ha frequentato la facoltà di Lettere e Filosofia. La passione per i libri e la scrittura hanno da sempre guidato il suo percorso di vita e professionale. E' amante dei viaggi e delle passeggiate nella natura, prediligendo su tutto la montagna, che sembra permetterle di toccare il cielo con un dito.

 

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