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Il calcio non è sempre gioia, luminosa passione, sfoggio di virtù atletiche. Ci sono anche casi in cui il gioco del pallone entra nel dominio del taetrum, concetto latino che sta appunto a significare tetraggine, scoraggiamento e cupo annichilimento.
Ne è un esempio il romanzo “Cagliosa”, firmato da Giuseppe Franza e pubblicato da Ortica editrice. Un testo curioso dal punto di vista linguistico, che mischia italiano colto e dialetto napoletano, adornato da una proliferazione di avvenimenti tragici e mortificanti, raccontanti con un certo divertito cinismo. Come annunciato, si parla di calcio, più precisamente di una squadretta di dilettanti iscritta all’ultimo campionato di una serie minore, un torneo dove non è possibile retrocedere, perché più in basso di così non si può scendere.
Il romanzo si svolge a Ponticelli, quartiere periferico e malfamato di Napoli. Il protagonista è l’attaccante titolare del Rione Incis Club. Giovanni Croce, un venticinquenne che vive rubando motorini, abituato a trascinarsi senza prospettive in un ambiente suburbano pieno di violenza e di squallore.
Con ogni capitolo del romanzo si segue una partita del torneo del Rione Incis Club, si scende su campi fangosi, pieni di buche, senza attrezzature e senza recinsioni, dove i calciatori si impegnano soprattutto a malmenare gli avversari. In questo campionato di dilettanti ne succedono davvero di tutti i colori. Ogni partita è rovinata da episodi molesti, esplosioni di violenza, ignobili imbrogli e sfoghi di pura brutalità. Tutto questo senza che i calciatori si lascino mai prendere dalla vera passione sportiva o dai valori più edificanti del gioco. La loro è una militanza che sa di tribale. La squadra assomiglia quasi a una gang di strada, un gruppo di individui difficili che riversa delusione e insoddisfazione in uno scontro che è simile a una guerra.
“Cagliosa” è un romanzo duro. Una critica al calcio e ai suoi più nobili e fraintendibili valori. Ma è anche il racconto quasi documentaristico della vita difficile di un quartiere periferico e degradato, in cui i giovani spesso smarriscono la loro umanità e si piegano a esistenze misere sotto tutti i punti di vista.
Scritto con precisione, svelto, ma non molto leggibile a causa dell’uso quasi aggressivo del dialetto, “Cagliosa” è un libro originale, che si allontana dall’ovvio e dalla maniera. Un’entrata a gamba tesa. Una storia curiosa, a tratti divertente ma più spesso inquietante e dolorosa.
Giuseppe Franza è nato nel 1981 a Napoli. Laureato in filosofia, ha lavorato come redattore ed editor in campo editoriale. Attualmente vive a Roma.
Allora Giovanni Vangò pensò che doveva fare qualcosa per prendere in mano la situazione. Non poteva starsene lì a squadrarla come un maniaco sessuale senza quagliare niente. Il destino lo aveva premiato, lei era venuta a cercarlo. E mo, se Giovanni non sfruttava l’occasione, il destino doveva solo sputarlo in faccia. Ma c’era un problema di ordine strutturale che lo bloccava: Vangò, a livello oratorio, stava inguaiato; non sapeva cosa dire, non si ricordava niente più di tutto quello che si era preparato la notte prima e quella prima ancora. Si sentiva di nuovo a scuola, in quei terribili minuti che anticipavano l’interrogazione di italiano, quando poi acchiappava sempre 3: impreparato. Sapeva solo che una così era troppo bella, troppo raffinata e troppo intelligente per uno come lui, ma nonostante questa consapevolezza non se la voleva far scappare. E allora gli parve giusto dire una sottospecie di verità, parlarle col cuore in mano.
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