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Il fatto è che, puoi voltarla come ti pare, ma il colpevole di tutto sei sempre tu.
Scritto nel 1854, Memorie del sottosuolo annuncia un cambiamento radicale nella letteratura occidentale, infatti è con quest’opera che Dostoevskij porta sulla scena letteraria quello che sarà il protagonista di numerosi romanzi novecenteschi: l’antieroe.
Basta pensare ai romanzi di Moravia, Svevo, Pirandello e ancora Joyce per capire l’importanza di questo romanzo, che non solo ha creato un nuovo personaggio ma ha dato vita a un nuovo genere narrativo basato sullo scavo interiore. Infatti se volgiamo lo sguardo alla letteratura ottocentesca ci accorgeremo, non con grande difficoltà , che è costellata e improntata sulla descrizione di ambienti, scene, anche del personaggio, ma sempre e solo esteticamente. Mai una volta sentiamo pronunciare al personaggio la parola ‘Io’. E' a questo meccanismo privo di colore che Dostoevskij dà una pennellata violenta: getta il colore sulla tela e inizia a dipingere l’uomo, la sua anima e la sua coscienza. Uno scavo non facile, né privo di pericoli, perché ancora nessuno sa cosa è nascosto lì sotto; si tratta di un abisso inesplorato, buio, inquietante, dove i pensieri non si lasciano domare e con tutta la loro rabbia urlano in faccia la loro verità, ed è in questo sottosuolo che scende l’autore, scavando sempre più a fondo, fino a diventare abisso, giù nel buio e poi alla fine... il male.
Ma che fare se la prima e unica destinazione dell’uomo intelligente è la chiacchiera, cioè il meditato travasamento di un vuoto in un vuoto più grande?
Come ormai si sarà capito il sottosuolo è una metafora per indicare quello che oggi noi chiamiamo "incoscio" ma non è solo questo; il sottosuolo è un luogo ideale nel quale il protagonista, cioè il suo Io, si rifugia dalla società alla quale non vuole appartenere e verso la quale prova un rancore sprezzante, dilaniante; dunque con il suo isolamento nel "sottosuolo" il personaggio esprime una critica, mai velata, a quella società che soffoca le pulsioni, l’individualità, quella che vive ipocritamente al sole, al primo piano e con egregia superficialità si muove tra l’umanità... tutti uguali,tranne uno, lui. Il protagonista è relegato nella sua solitudine, mentale e fisica, perché non accetta il soffocamento, la falsità. E' sincero fino alla brutalità, indecentemente vero, si accanisce contro un mondo povero di spirito, che lo respinge nel suo angolo, perché nel banchetto della vita non c’è posto per la verità. E se possiamo credere che la sincerità ci rende liberi, leggendo le confessioni di quest’anima abbiamo la sensazione di catene al cuore, perché la sincerità è prima di tutto verso sé stessi e questo, a volte, ci ferisce più di tutto. Così il protagonista oscilla tra un comportamento sadico nei confronti di anime più deboli di lui, come ad esempio la prostituta Liza (altro prototipo letterario spesso usato da Moravia), e poi, quando il pendolo si muove, si passa al masochismo, spinto fino all’umiliazione estrema, l’odio verso sé stessi che non sa tacere, il rincorrere l’ammirazione di quella società che lo fa tremare. E quindi la nevrosi, il crollo, il collasso.
Ma la sfida del sottosuolo è ormai stata lanciata, i piani superiori inorridisdono, il vuoto spalanca le fauci, la coscienza trova la sua espressione e il suo linguaggio e Dostoevskij come un pittore impressionista ci lascia nella mente la sensazione di un sogno che con le sue parole alchemiche ci trascina giù, nel sottosuolo, dove la luce non può arrivare.
Marzia Samini (21/05/1992) ha studiato presso il liceo umanistico Vittoria Colonna per poi prendere la facoltà di Lettere all'università Roma Tre. Si è laureata con una tesi su Musil e la sua opera I turbamenti del giovane Torless e qui continua il suo percorso universitario e letterario.
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