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“Ascesa e caduta di una famiglia alto-borghese nella Germania baltica del XIX secolo”.
Così recita un vecchio retro-copertina. Troppo riduttivo per un romanzo di qualche centinaio di pagine; d'altronde può sembrare presuntuoso accingersi alla recensione di un testo così famoso, letto, studiato e analizzato. Ebbene, proprio per la sua complessità si presta a numerose riflessioni e interpretazioni, senza mai invecchiare.
Posso dire subito cosa NON è: non è una saga, non è una trilogia, non è il ritratto di un'epoca. E' una storia, la storia della famiglia Buddenbrook, attraverso quattro generazioni, ma che si concentra sulle due centrali. E poiché si tratta della famiglia, una famiglia piuttosto unita, sono esplorati tutti i complessi rapporti intercorrenti tra padri e figli, tra fratello e fratello, tra zii e nipoti. Infine c'è “La Ditta”, la ditta Johann Buddenbrook, per il commercio dei cereali, con la quale tutti gli elementi della famiglia, in un modo o nell'altro, si devono confrontare.
Il romanzo inizia con una sontuosa cena offerta dall'anziano Johann Buddenbrook padre, per inaugurare la nuova, lussuosa casa appena costruita, destinata ad ospitare tutta la famiglia, e preparata per grandi pranzi, feste, riunioni di amici. Tutti sono allegri, bendisposti verso se stessi e gli altri. J.B. padre si ritira a vita privata, e la conduzione della ditta passa a J.B. figlio (chiamato Jèan, o il “il console”), che riuscirà, pur tra alti e bassi, a mantenerla florida.
Ma... non si può ipotecare il futuro.
La nuova generazione di Buddenbrook, in particolare i primi tre figli del console, Thomas, Christian e Antonie (Tony) non ha l'istinto adatto al commercio. Thomas si sforza di essere all'altezza di padre, nonno e bisnonno (il fondatore, che nel romanzo non compare), ma questo gli costerà la salute. Chistian fa qualche tentativo isolato, lontano da casa, ma non riesce a concludere nulla, ritrovandosi con una vita insignificante. Tony, irrequieta fin da bambina, è molto fiera del buon nome della ditta, che dà prestigio alla famiglia, ma il severo periodo vittoriano non le concede alcuna libertà di azione: tenterà, sposandosi, di portare altro lustro alla famiglia: invano.
Verso la metà del romanzo, la svolta: una cena di Natale triste, pallido riflesso di un tempo che non c'è più. Gli anziani, allegri signori sono ormai scomparsi, e non sono stati sostituiti da nuovi amici; la famiglia si è ridotta e al contempo disunita, la ditta non è florida come un tempo. Invece di un gruppo di bambini si vede solo il figlio di Tom, il giovanissimo Hanno, per qualsiasi attività pratica, perso nella musica come sua madre, ed incapace persino di concretizzare il suo indubbio talento. E' la fine. La ditta Buddenbrook fallisce prima del termine del romanzo.
Su un narrato di stile ottocentesco, T. Mann inserisce le sue figure maschili, in particolare Jean, Tom, Hanno, che vengono esplorate negli aspetti più intimi e sottili dei loro pensieri, catalizzando di volta in volta su di sé l'attenzione, mostrando al lettore il mondo che li avvolge attraverso i loro stessi occhi. Un mondo che l'autore conosceva assai bene, le città della sua infanzia e della sua giovinezza, che descrive con toccante ed amorevole sentimento.
L'universo femminile non è esplorato altrettanto efficacemente. Figure appena abbozzate, descritte ossessivamente sempre con le stesse parole, che riguardano solo caratteristiche esteriori. Alcune vengono completamente dimenticate man mano che la narrazione procede. Solo per Tony viene definita una psicologia, un processo mentale, ma lei parla di sé definendosi “ragazzetta sciocca” o “stupidina”. I rapporti tra madre e figlia, tra sorella e sorella sono inesistenti. Le donne compiono in effetti azioni prive di ogni comune buonsenso, e solo queste sono evidenziate. Le ragazze povere non si sposano mai, quelle ricche sposano uomini bruttissimi, poco eleganti, avidi di denaro e indegni. Non possiamo imputare questo disprezzo solamente al periodo di stesura, è il pensiero dello scrittore.
Luci ed ombre nella famiglia Buddenbrook riflettono luci ed ombre dell'autore, certamente grande nello scrivere e nell'interpretare il passato, ma non altrettanto acuto nel comprendere i suoi stessi tempi, ferventi di cambiamenti epocali. Un'opera che resta sempre e comunque un capolavoro, e che andrebbe valorizzata maggiormente, soprattutto nelle nostre scuole.
Rosella Rapa (classe 1959) è nata a Torino. Si è laureata in Cosmo-Geo-Fisica, scrive e disegna fin da bambina. Collabora con Letteratour dal 2001, quando uscì il suo libro Draghi & Computer (sette racconti fantasy). Si interessa di Matematica, Letteratura e Storia Europea, vecchi Film e Serial impegnati. Le piace viaggiare, soprattutto nell'Europa del Nord, per vedere con i propri occhi paesaggi, arte e persone. Un po' estrosa, non ama pregiudizi e preconcetti.
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