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Polizieschi tra Cristina Cassar Scalia e Marco Vichi

di Isabella Fantin

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L’uomo del porto di Cristina Cassar Scalia e Ragazze smarrite di Marco Vichi sono due polizieschi freschi di stampa giocati tra Bologna, Catania e Firenze. Uno solo, però, mantiene quanto promette. Chi bara?

 

L’uomo del porto, di Cristina Cassar Scalia

Chissà cosa penserebbe Stendhal scoprendo che Vanina, eroina del quinto racconto della raccolta Cronache italiane, è diventato il soprannome di Giovanna Guarrasi, il vicequestore di Catania protagonista de L’uomo del porto, Einaudi Stile Libero 2021, del medico scrittore Cristina Cassar Scalia.

La fisionomia di Giovanna Guarrasi prende forma in corso d’opera: 39 anni, occhi grigio ferro, accanita fumatrice di Gauloises. Appassionata di film del calibro di “Polvere di stelle”di Sordi e “Amici miei” di Monicelli e delle specialità della cucina catanese che apprezza con voracità maschile; attualmente sotto scorta.
Fa i conti con la morte del padre ucciso dalla mafia quando lei era adolescente. Un lutto mai superato che le impedisce di abbandonarsi all’affetto di chi le vuole bene. Tormentato il rapporto con l’ex (?) compagno Paolo Malfitano sostituto procuratore della Dda di Palermo. Un amore il loro in bilico tra il desiderio e il timore di affrontare i cambiamenti per andare là dove ti porta il cuore, senza archiviare il passato.
La citazione in esergo di Goliarda Sapienza sottolinea proprio la necessità di ricordare per vivere con pienezza il presente: “Che cos’è la vita se non ti fermi un attimo a ripensarla?”

Tra i numerosi personaggi: un’ispettrice della Valcamonica, catanese per amore, lacrima facile e pagato vegano in combutta con le abitudini poco salutiste della protagonista; un medico legale “dichiaratamente e serenamente gay”, altrettanto dichiaratamente griffato; un’avvocatessa single alle prese con una gravidanza politicamente corretta; un corteggiatore patinato e un patrigno DOC. Chiude la cordata un arzillo ottuagenario che collabora alle indagini sotto lo sguardo vigile della moglie, più timorosa di una scappatella che di una pistolettata.

La coppia Bettina - Lo Faro strizza l’occhio a quella di Camilleri formata da Adelina e Catarella perché l’indole accudente di Bettina ricorda quella della domestica del commissario Montalbano.
L’agente di scorta Lo Faro, per la cieca e goffa devozione a Giovanna Guarrasi, ricalca Catarella rispetto al quale mostra uno spirito di iniziativa maggiore che lo riscatta dal ruolo di spalla.

Due parole sul tessuto linguistico.
Le espressioni locali che punteggiano i dialoghi regalano colore a danno dell’autenticità sbandierata in alcune interviste da Cristina Cassar Scalia con l’affermazione: “La mia non è una Sicilia da cartolina.”

La vittima è uno stimato professore di filosofia il cui cadavere viene ritrovato in un locale del centro storico di Catania. Prossimo alla sessantina, celibe, vive schivo in barca. Nell’immediato un progetto umanitario. Un passato intenso in cui amici, ideali e droga sono entrati in rotta di collisione.

I dati inizialmente raccolti sembrano non portare da nessuna parte. Gli inquirenti sanno bene quanto sia difficile indagare su una persona onesta.

L’intuizione determinante ai fini della risoluzione del caso – che nel frattempo si è complicato - giunge inaspettata da un vecchio film: “Vanina ebbe la sensazione che la matassa si stesse ingarbugliando quel tanto in più che serviva a sbrogliarla del tutto”.

Costante il dato cromatico, e non solo paesaggistico, perché l’inchiesta guadagna potenza cercando il rosso “come lava accesa” di una capigliatura.

L’uomo del porto di Cristina Cassar Scalia, a mio parere, è un romanzo piacevolmente furbo i cui personaggi cedono troppo spesso al pittoresco o ammiccano alle mode, in un’atmosfera addomesticata per lo share.

 

Ragazze smarrite, di Marco Vichi

Impruneta, Firenze 1970

Un’allegra brigata detta “confraternita del Chianti” festeggia il 60esimo compleanno dell’amico commissario Franco Bordelli, impegnato alle soglie della pensione nell’ultimo caso della carriera: la morte di una ragazza bellissima, al centro di Ragazze smarrite, Guanda Noir 2021, di Marco Vichi.

Dopo una cena a regola d’arte ogni commensale è ‘obbligato’ a raccontare una storia. L’ampiezza di questa sequenza insieme allo spirito dei racconti mi fanno pensare che non si tratti solo di una parentesi nostalgica che spesso accompagna chi, come il commissario, taglia un traguardo anagrafico e professionale.

La serata era finita, ma molte altre aspettavano di essere vissute. Nello sguardo di ognuno si poteva leggere la soddisfazione di essere stati insieme, di avere mangiato e bevuto bene, di avere ascoltato storie da non dimenticare.

A me sembra che questo Decameron a conduzione familiare concorra a delineare per contrasto la miseria morale in cui il fatto criminoso è maturato. Perché amicizia, lealtà, amore, devozione filiale, coraggio e solidarietà che animano le storie sono estranei all’orizzonte etico di vittima e colpevole.
Quest’ultimo, anche se sarebbe opportuno usare il plurale, riporta inoltre il commissario Bordelli agli aspetti più drammatici del Secondo Conflitto da lui vissuto sul campo.

I ricordi, che non si fanno rinchiudere in una scatola di cartone come le cianfrusaglie dell’ufficio, si alternano senza forzature su diversi piani temporali a tutela della coesione complessiva.
I ricordi accarezzano le estati dell’infanzia nel villino liberty delle zie a Marina di Massa; si imbattono nella guerra con dolorosi moti involontari; si incagliano dubbiosi sul presente:

Forse era davvero il momento giusto per andare in pensione (…). Era quella la modernità? Il risultato del benessere? A pochi anni dalla fine di una guerra atroce che aveva fatto milioni di morti, costellato di crudeltà inimmaginabili, di crimini di guerra che avevano calpestato il valore della vita, sembrava proprio che questa nuova epoca di pace e di libertà, spacciata per luminosa, fosse invece ammorbata dalla mediocrità, dalla corruzione, dalla vigliaccheria, dall’ingiustizia.

Tasselli della quotidianità marcano l’ambientazione anni ‘70. Tognazzi, Celentano e “Rischiatutto”, La 500 e il Maggiolino. La magia della calcolatrice elettronica e di quel “demonio” della Polaroid. L’eccezionalità di una chiamata da un telefono a gettoni e l’impatto dei Rolling Stones.
Sullo sfondo a volte non troppo lontano l’immigrazione dal Meridione nei poli industriali, la forbice sociale, l’emancipazione femminile, il boom della moda e la voglia di trasgressione.

Sono stata conquistata fin dalle prime pagine da questo poliziesco sui generis in cui dimensione intimistica ed autenticità dei personaggi arricchiscono l’inchiesta. Tralascio il protagonista per non rovinare la sorpresa di un nuovo incontro o del primo appuntamento come nel mio caso.
Una menzione speciale per Rosa ed Eleonora, estremi sentimentali del commissario Bordelli che, ribaltando il cliché compagna matura/ amante giovane, regalano una sessualità gioiosa, giocosa e vissuta con naturalezza.

 

 

Isabella Fantin è nata nel '61, abita a Milano in piena movida da tormento notturno. Una laurea in Cattolica in Lettere moderne. Docente di lungo corso, vaglia nuove rotte. Il tempo per lei è il vero lusso. Legge da sempre. Conduce una vita anonima. Le piace ricordare una frase che ripete sempre ai suoi studenti: leggere insegna a vivere. Ci crede anche lei.

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