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Jacques Deridda ha descritto la metafisica occidentale come
«la mitologia bianca che riassume e riflette la cultura dell'Est: l'uomo bianco prende la propria mitologia, la mitologia Europea, il proprio logos, cioè il mythos del proprio idioma, per la forma universale che chiama Ragione».
Con questi argomenti, la sua teorizzazione è uno dei punti di partenza di tutta la critica post-coloniale.
Tuttavia, il problema principale di questa critica è quello di partire da modelli che appartengono alla tradizione intellettuale Occidentale. Si presenta qui il pericolo e la contraddizione più grandi per questo movimento: quello di confermare la propria sottomissione al modello Occidentale elaborando teorie proprio a partire dei modelli da cui si vuole distaccare.
Edward SaidQuesto problema è al centro della riflessione di Edward Said, uno dei maggiori esponenti della critica post-coloniale, particolarmente impegnato nella causa palestinese. Egli è discepolo di Michel Foucault e della sua versione delle teorie di Nietzsche; opponendosi al discorso Occidentale, segue la logica di Foucault per cui non esiste un discorso che rimanga fisso nel tempo. Ogni discorso interagisce con l'altro, è insieme causa ed effetto; in altre parole: ogni discorso veicola potere ma stimola anche l'opposizione.
Henri GatesUna figura importante nell'ambito della critica Afro-Americana è Henri Gates Jr. Incorporando nella sua riflessione idee tratte da Bachtin, Foucault, Lacan, Deridda e Bloom, ma rielaborandole dal punto di vista della "differenza" raziale, Gates sottolinea la natura necessariamente "comparativa" dell'analisi dei testi scritti da neri; ciò avviene a causa del loro «complesso formale di antecedenti duplici, gli Occidentali e i neri». Analizzando le relazioni tra le tradizioni vernacolari e i testi di tradizione Africana a Afro-americana, egli sviluppa un approccio critico che permette alla "voce nera" di parlare da se stessa.
Gayatri SpivakGayatri Chakravorty Spivak è una critica post-coloniale che si appropria della lezione della decostruzione, partendo dalla constatazione della propria natura da "anormale": come donna del Terzo Mondo o come eminente professoressa americana, come Bengalese esiliata o come donna di successo all'interno della realtà accademica americana. Lei non può essere definita, o "centrata", né biograficamente, né professionalmente e neanche teoreticamente; e nonostante questo lei "è". Questa riflessione è la base della sua investigazione sui meccanismi di costruzione della verità.
La sua condizione essenzialmente "eterogenea", dal punto di vista etnico, sessuale e di classe, solleva il problema dell'identità del soggetto. La sua eterogeneità è ciò che la obbliga, ma che allo stesso tempo le permette, di negoziare con le strutture della violenza imposte dal liberalismo Occidentale, di intervenire, sollevare questioni e cambiare il sistema dal suo interno. Ma l'impasse del post-colonialismo decostruttivo è sempre la stessa: se il soggetto marginale rifiuta il discorso Occidentale, egli è ridotto al silenzio; se se ne appropria per esprimersi, foss'anche per opporvisi, è costretto ad auto-designarsi come soggetto subalterno.
La stessa terminologia del PC, così come quella del post-modernismo o del post-strutturalismo, solleva questioni d'identità non facilmente risolvibili: il prefisso "post-" segna una rottura con ciò che si trova prima o implica soltanto una continuazione e intensificazione del sistema precedente? Comunque si voglia rispondere, questi termini suggeriscono l'evidenza di una crisi contemporanea del significato e delle relazioni di potere, non soltanto all'interno della letteratura e della critica culturale. Questi problemi possono sembrare ermetici e non-costruttivi, ma presi nella loro globalità dimostrano una nuova consapevolezza e un tendere verso un nuovo discorso letterario e nuove relazioni culturali.
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